Gestione del rischio di contagio da Covid-19 nei luoghi di lavoro e profili di responsabilità penale: riflessioni ad un anno dalla pandemia

Maria Hilda Schettino
23 Aprile 2021

La diffusione del Coronavirus ha introdotto un nuovo e ulteriore rischio per la salute e sicurezza dei lavoratori, la cui gestione e le cui conseguenze in termini di responsabilità continuano a generare dubbi e incertezze nei datori di lavoro e nelle imprese, a causa del susseguirsi dei numerosi decreti e protocolli condivisi che sono stati adottati nel corso dell'ultimo anno...
Premessa

È trascorso ormai oltre un anno da quando il mondo ha iniziato a fare i conti con il virus SARS-Cov-2 (“Severe Acute Respiratory Syndrome – Coronavirus – 2”), ormai noto come “Coronavirus” o “Covid-19”.

Arrivato in Italia dalla Cina nei primi mesi del 2020, inizialmente si auspicava che il nuovo virus rappresentasse una emergenza destinata a risolversi in un breve lasso di tempo. In quest'ottica, complice anche il fatto che neppure la scienza medica non fosse in grado di fornire risposte certe sui tempi, sui meccanismi effettivi di diffusione, sulle contromisure necessarie, i primi interventi del legislatore italiano si erano condensati in provvedimenti di urgenza, volti per l'appunto a fronteggiare, per quanto possibile la nuova contingenza.

A fronte del protrarsi della pandemia, la cogenza delle misure normative è stata di volta in volta prorogata, assumendo una efficacia commisurata al protrarsi dello “Stato di Emergenza” che, alla data in cui si scrive, è stato prorogato fino al 31 luglio 2021. Per effetto di ciò sembra a questo punto oltremodo riduttivo pensare ancora al Covid-19 come ad una emergenza, trattandosi piuttosto di un evento di lunga durata, destinato a cambiare per sempre molte abitudini e ad incidere in via definitiva su ogni aspetto delle relazioni sociali. Profondamente stravolto, ad oggi, è il mondo del lavoro, sia con riferimento alla potenziale perdita di migliaia di posti di lavoro che agli obblighi in materia di salute e sicurezza gravanti sui datoti di lavoro.

Da questo angolo visuale, la diffusione del Coronavirus ha introdotto, infatti, un nuovo e ulteriore rischio per la salute e sicurezza dei lavoratori, la cui gestione e le cui conseguenze in termini di responsabilità continuano a generare dubbi e incertezze nei datori di lavoro e nelle imprese, a causa del susseguirsi dei numerosi decreti e protocolli condivisi - sia generali che di settore - che sono stati adottati nel corso dell'ultimo anno.

Alla luce di tale scenario, gli Autori si propongono di analizzare i possibili profili di responsabilità penale - sia individuale del datore di lavoro, che collettiva degli enti ai sensi del d.lgs. n. 231/2001 - connessi alla gestione del rischio di contagio nei luoghi di lavoro.

La problematica qualificazione del contagio da coronavirus come infortunio sul lavoro

Un tema particolarmente sentito nel mondo aziendale, come ricordato in premessa, è la possibilità che il contagio avvenuto in ambito lavorativo possa comportare una responsabilità del datore di lavoro per i reati di lesioni colpose (art. 590 c.p.) e omicidio colposo (art. 589 c.p.) aggravati dalla violazione delle norme antinfortunistiche laddove, non avendo adottato le misure necessarie a prevenire tale rischio, un proprio dipendente venga infettato o, nei casi più gravi, muoia a causa del Covid-19.

Quello descritto è uno scenario tutt'altro che residuale (le statistiche pubblicate dall'INAIL il 10 febbraio 2021 riferiscono che il 25% percento delle denunce di infortunio e il 30% dei decessi verificatisi nell'ultimo anno sono riconducibili al Coronavirus) e idoneo a determinare anche la responsabilità dell'ente ai sensi dell'art. 25-septies d.lgs.n. 231/2001, qualora la mancata adozione delle misure di prevenzione del contagio comporti un interesse o vantaggio per l'impresa.

Tali preoccupazioni sono state alimentate dal fatto che, sin dall'inizio della pandemia, l'art. 42, comma 2,dl. n. 18/2020 (c.d. “Decreto Cura Italia”) aveva qualificato l'infezione da Coronavirus avvenuta sul luogo di lavoro e in occasione dello svolgimento dell'attività lavorativa quale infortunio sul lavoro ai fini assicurativi, inducendo alcuni a ritenere che da ciò discendesse automaticamente la responsabilità penale del datore di lavoro e, conseguentemente, dell'impresa.

Invero, la ratio della norma era solo quella di garantire una pronta copertura assicurativa ai lavoratori contagiati dal virus: si pensi, ad esempio, al personale sanitario o non sanitario impiegato negli ospedali, o ancora ai dipendenti che hanno continuato a lavorare a contatto con il pubblico anche durante l'esperienza del lock-down, soggetti certamente rientranti tra le categorie di lavoratori maggiormente esposti al rischio di contagio.

Sul tema è intervenuta più volte l'INAIL che, con Circolare n. 13/2020, confermando l'assunto che la malattia da Covid-19 è equiparata ad infortunio sul lavoro, ha fornito un primo chiarimento, attraverso la distinzione di due fondamentali categorie di lavoratori:

- i lavoratori esposti ad elevato rischio di contagio, tra cui rientrano a pieno titolo gli operatori sanitari e più in generale tutti coloro che si trovino, in ragione dell'attività svolta e previo accertamento in concreto, a più diretto contatto con il virus;

- tutti gli altri lavoratori, la cui attività non determina di per sé un maggiore rischio di contagio.

A fronte di questa importante ripartizione, l'INAIL ha poi ulteriormente precisato che, per la prima categoria, vige la presunzione semplice di origine professionale, considerata appunto la elevatissima probabilità che gli operatori sanitari possano entrare in contatto con il Coronavirus. Viceversa, per la seconda categoria, ove non sia possibile risalire all'episodio che ha determinato il contagio e non si possa presumere una stretta dipendenza con l'attività prestata, troverà invece applicazione la procedura ordinaria pervista per l'accertamento medico-legale, in base agli elementi di tipo epidemiologico, clinico, anamnestico e circostanziale.

Ciò ha dato immediatamente conto della difficoltà che si sono trovati ad affrontare i datori di lavoro anche in ambiti non caratterizzati da un diretto aumento del rischio.

Di tali difficoltà ha provato a farsi carico anche il legislatore e, in questo senso, è risultato rilevante lo sforzo di disciplinare la materia attraverso lo strumento - apparentemente più flessibile - dei protocolli condivisi, risultanti dalla concertazione tra strutture politiche e parti sociali.

Lo scorso 6 aprile 2021 è giunto alla sua terza versione il “protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-CoV-2/Covid-19 negli ambienti di lavoro”.

Il predetto documento, secondo gli intendimenti, risponde alla necessità di una piena ripresa dell'attività imprenditoriale, è essenziale che le imprese tengano in adeguato conto tale protocollo, poichè fornisce le linee guida necessarie per contemperare le esigenze di continuità operativa con quelle di contenimento del contagio da Covid-19.

Si tratta infatti di un documento predisposto, sin dalle sue prime edizioni del 14 marzo e del 24 aprile 2020, con l'intento di agevolare le imprese nell'adozione di protocolli di sicurezza anti-contagio, fornendo indicazioni operative finalizzate a incrementare, negli ambienti di lavoro non sanitari, l'efficacia delle misure precauzionali di contenimento adottate per contrastare il dilagare del virus.

In particolare, il protocollo condiviso contiene un inventario di misure protettive relative a:

  1. l'informazione ai lavoratori e a chiunque entri nei locali aziendali circa le prescrizioni anti-contagio imposte dall'Autorità;
  2. le modalità di ingresso in azienda per i dipendenti, compresa le modalità e le tempistiche di riammissione al lavoro del dipendente che ha contratto il virus;
  3. le modalità di accesso dei fornitori esterni;
  4. la pulizia e sanificazione in azienda;
  5. le precauzioni igieniche personali;
  6. i dispositivi di protezione individuale, tra cui le mascherine chirurgiche;
  7. la gestione degli spazi comuni, come la mensa, gli spogliatoi, le aree fumatori, i distributori di bevande e/o spuntini;
  8. l'organizzazione aziendale, in relazione alle modalità di turnazione, svolgimento delle trasferte e home office e rimodulazione dei livelli produttivi;
  9. la gestione dell'entrata e dell'uscita dei dipendenti;
  10. gli spostamenti interni, le riunioni, gli eventi interni e la formazione;
  11. la gestione di una persona sintomatica in azienda;
  12. la sorveglianza sanitaria e il ruolo del medico competenze e degli altri attori del sistema di gestione della sicurezza sul lavoro;
  13. l'istituzione di un comitato interno all'impresa, ovvero una sorta di “Covid Task Force” deputata all'applicazione e alla verifica delle regole contenute nel protocollo di regolamentazione.

Oltre alla tutela del personale aziendale, attraverso le singole prescrizioni contenute nei sopraelencati 13 punti che compongono il protocollo, di peculiare interesse è il rilievo che il legislatore ha attribuito al corretto e puntuale rispetto dello stesso.

Con l'art. 29-bis dl. n. 23/2020 (c.d. “Decreto Liquidità”) è stato, infatti, previsto che “i datori di lavoro pubblici e privati adempiono all'obbligo di cui all'articolo 2087 del codice civile mediante l'applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso di regolamentazionedelle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del Covid-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 tra il Governo e le parti sociali, e successive modificazioni e integrazioni, e negli altri protocolli e linee guida di cui all'articolo 1, comma 14, dl.n. 33/2020, nonché́ mediante l'adozione e il mantenimento delle misure ivi previste”. La disposizione aggiunge altresì che “qualora non trovino applicazione le predette prescrizioni, rilevano le misure contenute nei protocolli o accordi di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.

Si tratta, con ogni evidenza, di una previsione di peculiare importanza dal momento che, a fronte di una situazione di rischio diffuso, consente alle imprese che facciano una corretta applicazione del protocollo di considerare adempiuto il precetto di cui all'art. 2087 c.c.

In aggiunta a tale previsione normativa, anche l'INAIL è nuovamente intervenuta con la Circolare n. 22/2020, precisando che la responsabilità del datore di lavoro è ipotizzabile solo in caso di violazione della legge o degli obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali e tecniche che, in relazione al Coronavirus, possono essere individuati nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali.

In altre parole, l'infortunio sul lavoro dovuto al Covid-19 non comporta direttamente l'insorgere di una responsabilità penale a carico del datore di lavoro, atteso che, ai fini dell'integrazione di quest'ultima, è necessario accertare la sussistenza dei criteri di imputazione dei reati, propri della disciplina penalistica che non ammette automatismi o presunzioni.

Tuttavia, pur avendo evidenziato il rilievo dei protocolli, finalizzati a fornire al datore di lavoro le linee guida da seguire per garantire la salute e sicurezza dei propri dipendenti e al contempo orientarne i comportamenti nell'ottica di limitare le fonti di responsabilità, innegabilmente il Covid-19 determina, da quest'ultimo punto di vista, un evidente aumento del rischio per datori di lavoro e imprese.

Se, infatti, effettivamente il contagio sul luogo di lavoro è legislativamente equiparato ad un comune infortunio sul lavoro, è gioco forza ritenere che dello stesso potranno risponderne penalmente sia il datore di lavoro che l'ente ai sensi del d.lgs. n. 231/2001.

In questa prospettiva, allora, il nuovo virus apre innegabilmente nuove sfide sotto il profilo della compliance al d.lgs. n. 231/2001 e sul ruolo che dovrà assumere l'Organismo di Vigilanza nell'ottica di tenere indenne l'ente da eventuali responsabilità per omicidio o lesioni colpose causate da violazioni della normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

I profili di responsabilità penale individuale del datore di lavoro

Alla luce di quanto precede, dopo alcuni tentennamenti iniziali, è ormai pacifico che ogni datore di lavoro sia tenuto ad aggiornare il documento di valutazione dei rischi (c.d. “DVR”) - ai sensi degli artt. 17, 28 e 29 d.lgs. n. 81/2008 -, con specifico riferimento alla valutazione dell'impatto che il rischio da Covid-19 possa avere sulla salute e sulla sicurezza dei propri lavoratori, e mettere in atto almeno le prescrizioni operative contenute nei protocolli condivisi applicabili.

Nell'assolvere tale indelegabile dovere, non rileva il tipo di tecnica redazionale adottata dal datore di lavoro. Pertanto, egli potrà elaborare il c.d. “protocollo aziendale Covid-19” sia predisporre un addendum al DVR ovvero una mera integrazione di quest'ultimo. Fondamentale sarà, invece, la sostanza, ovvero l'effettività valutazione del rischio di contagio nel singolo sito produttivo.

Un analogo obbligo di aggiornamento riguarda anche il documento di valutazione del rischio interferenziale (c.d. “DUVRI”) ai sensi dell'art. 26 d.lgs. n. 81/2008, laddove la presenza di persone appartenenti a diverse organizzazioni nello stesso contesto possa incrementare la possibilità di contatti rischiosi.

A fronte delle suesposte premesse, ove, invece, il datore di lavoro non effettuasse la valutazione del nuovo rischio e non rispettasse le misure anti-contagio e le regole complementari di diligenza allo stesso imposte, in astratto, si potrebbero profilare diverse ricadute sul versante sanzionatorio, sia nei confronti dei responsabili individuali che degli enti collettivi.

Stante la posizione di garanzia rivestita dal datore di lavoro ai sensi dell'art. 2087 c.c. e del d.lgs. n. 81/2008, è a tal riguardo indispensabile fare riferimento ai criteri di imputazione dei reati colposi di matrice penalistica.

Di conseguenza, l'accertamento della responsabilità colposa in capo allo stesso richiederà innanzitutto la prova rigorosa di una condotta (omissiva) colposa e l'accertamento del nesso di causalità tra condotta ed evento.

A tal riguardo, l'art. 40 c.p. stabilisce, infatti, che “non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”.

Ma ciò non basta. Si dovrà, altresì, verificare il duplice nesso di imputazione normativa del risultato lesivo consistente, da un lato, nel ricomprendere il rischio del verificarsi dell'evento nella sfera di protezione della norma cautelare e, dall'altro, nell'efficacia impeditiva del comportamento alternativo lecito, qualora il datore di lavoro avesse osservato le norme cautelari imposte dal legislatore.

Nel caso di specie, dunque, si dovrà preliminarmente provare che il contagio sia effettivamente avvenuto sul luogo di lavoro - ovvero che la vittima abbia contratto l'infezione nello spazio in cui il datore di lavoro esercita la sua posizione di garanzia -, escludendo l'incidenza di possibili decorsi causali alternativi, consistenti in altre e differenti occasioni di contagio (c.d. “causalità reale”).

Successivamente si dovrà provare che il datore di lavoro non si sia conformato alle prescrizioni cautelari contenute nei protocolli condivisi e nelle altre norme antinfortunistiche e che, ove l'avesse fatto, ciò avrebbe impedito il contagio (c.d. “causalità ipotetica”).

Tuttavia, stante la natura ubiquitaria del virus e considerati i numerosi altri luoghi che il lavoratore potrebbe frequentare o i contatti interpersonali che potrebbe avere al di fuori della sfera lavorativa - dai quali potrebbe discendere un ulteriore occasione di contagio -, la prova della causalità risulta tutt'altro che semplice.

Le possibili ricadute in tema di responsabilità degli enti ex d. lgs. n. 231/2001 e il ruolo dell'organismo di vigilanza

Pur nella palesata difficoltà di dimostrare la responsabilità penale del datore di lavoro per lesioni o omicidio colposo derivante da Covid-19, come già accennato, nel caso in cui si ipotizzasse la commissione di tali reati in ambito aziendale, all'impresa potrebbe essere mossa una contestazione ai sensi dell'art. 25-septies d.lgs.n. 231/2001.

Com'è noto, ai fini della riconducibilità di uno dei reati presupposto previsti dal d.lgs. n. 231/2001 alla responsabilità c.d. amministrativa dell'ente, è necessario verificare la concorrente sussistenza di criteri di imputazione oggettivi e soggettivi.

Con riguardo ai criteri oggettivi, il d.lgs. n. 231/2001, stabilisce tre condizioni che permettono di ascrivere la responsabilità all'ente:

  1. la commissione del reato presupposto nel suo interesse o a suo vantaggio;
  2. la commissione del reato presupposto ad opera di una persona fisica qualificata dalla posizione ricoperta all'interno dell'organizzazione (apicale o sottoposto);
  3. la circostanza per la quale tale soggetto non debba aver agito nell'esclusivo interesse proprio o di un terzo.

È appena il caso di ribadire, peraltro che con riferimento a fattispecie colpose, quale quella in esame, l'interesse o il vantaggio dell'impresa potrebbe essere astrattamente individuato, ad esempio: nella prosecuzione dell'attività aziendale, qualora non ricompresa tra quelle indicate come essenziali nei provvedimenti governativi emergenziali; nel mantenimento dei livelli produttivi, conseguito trascurando le necessarie norme precauzionali; o, più semplicemente, nel risparmio dei costi derivante dall'omesso acquisto di dispositivi di protezione individuale, il cui approvvigionamento può essere particolarmente difficile e costoso.

Rispetto ai criteri soggettivi, invece, al fine di poter configurare la responsabilità dell'ente collettivo è necessario dimostrare la sussistenza della c.d. “colpa di organizzazione”, consistente nella mancata predisposizione da parte dell'ente delle misure idonee ad evitare la commissione dei fatti penalmente rilevanti che si sono verificati.

A fronte di ciò, solo l'adozione di un idoneo modello di organizzazione, gestione e controllo (o “modello organizzativo”), redatto in base ad una precisa analisi dei rischi-reato rilevanti per lo specifico ente, rappresenta l'unica via che consente all'ente medesimo di essere esonerato dalla responsabilità amministrativa nel caso in cui sia commesso un reato presupposto nel suo interesse o a suo vantaggio.

Da questo punto di vista, occorre chiedersi se la pandemia da Covid-19 imponga un adeguamento o comunque l'integrazione del modello organizzativo con riguardo alle prescrizioni volte alla prevenzione dei reati colposi derivanti dalla violazione delle norme in materia antinfortunistica, al pari di quanto previsto per il DVR e per il DUVRI.

La risposta a tale domanda, ad avviso di chi scrive, non può essere univoca ma necessita di essere valutata in base al contesto aziendale di riferimento e al tipo di modello organizzativo implementato dalla singola impresa, ove presente.

Posta, infatti, la necessità di predisporre ex novo il modello organizzativo ove non sia stato già adottato dall'ente, in generale la dottrina prevalente ritiene che in relazione alla prevenzione dei reati colposi, il modello organizzativo ex d.lgs. n. 231/2001 sia già stato ideato in coordinamento con la logica e la struttura fissate dall'art. 30 d.lgs. n. 81/2008, per cui sarà sufficiente procedere agli aggiornamenti e alle integrazioni previsti in materia di salute e sicurezza, senza dover necessariamente aggiornare il modello organizzativo.

Tale norma, infatti, già richiedeva ai modelli organizzativi di creare un sistema aziendale per l'adempimento degli obblighi giuridici inerenti il rispetto degli standard tecnico strutturali di legge relativi ad attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici, obbligo organizzativo che, se formalizzato in apposite procedure operative ex d.lgs. n. 231/2001, richiederebbe alle funzioni aziendali coinvolte di attuare un costante monitoraggio dei provvedimenti adottati dalle Autorità per prevenire le ipotesi di contagio, senza alcuna necessità di integrare il modello organizzativo.

Ciò che, invece, risulta realmente decisivo al fine di salvaguardare l'ente dal pericolo di una risalita di responsabilità, è rappresentato dall'attività dell'organismo di vigilanza (o “OdV”), elemento essenziale e imprescindibile ai fini dell'efficacia esimente del modello organizzativo.

Nella sistematica posta dal d.lgs. n. 231/2001, l'organismo di vigilanza è quell'entità - monocratica o plurisoggettiva - priva di poteri gestori ma dotata di requisiti di autonomia, indipendenza, professionalità e continuità di azione, alla quale viene attribuito il compito di vigilare:

  1. sull'osservanza delle prescrizioni del modello organizzativo da parte dei suoi destinatari (ad esempio, amministratori, dirigenti, dipendenti, consulenti e partner dell'ente);
  2. sull'efficacia e adeguatezza del modello organizzativo, in relazione alla struttura aziendale, al fine di prevenire la commissione dei reati presupposto;
  3. sull'opportunità di aggiornamento del modello organizzativo, qualora si riscontrino esigenze di adeguamento dello stesso, in relazione al mutamento del quadro normativo o delle condizioni aziendali.

Ebbene, con riguardo ai rischi legati alla diffusione del Covid-19, l'OdV dovrà porre in essere tutti i controlli necessari atti a verificare, in primo luogo, l'adozione dei protocolli anti-contagio e di adeguati presidi attuativi.

Egli dovrà, inoltre, vigilare anche sulle procedure aventi ad oggetto incombenze propedeutiche al corretto adempimento delle misure anti-contagio nei luoghi di lavoro, come quelle afferenti ai rapporti con i fornitori di materiale sanitario e dei servizi di pulizia e sanificazione, e con tutte le controparti contrattuali che possano fare ingresso in azienda innescando rischi interferenziali.

Sarà, infine, opportuno che l'OdV rafforzi i flussi informativi con il datore di lavoro e il RSPP e ne instauri di nuovi con cadenza periodica anche con la Covid Task Force istituita in base alle prescrizioni dei protocolli condivisi, in modo da essere sempre aggiornato sulle valutazioni fatte e le misure preventive adottate nell'impresa.

L'attività di vigilanza svolta dovrà, poi, essere documentata nei verbali e nelle relazioni semestrali/annuali redatti dall'OdV e portate a conoscenza dell'organo amministrativo dell'ente.

In conclusione

Le considerazioni sin qui svolte consentono di trarre alcune conclusioni.

La pandemia da Coronavirus ha posto le imprese italiane di fronte a gravi difficoltà economiche e organizzative e la copiosa produzione emergenziale ha certamente acuito le incertezze dei datori di lavoro sulle possibili responsabilità civili, amministrative e, soprattutto, penali derivanti dal contagio o dalla morte di un proprio dipendente.

Tuttavia, pur con le dovute prudenze dovute alla mancanza di pronunce giurisprudenziali in merito, i criteri di imputazione dei reati colposi, tipici della disciplina penalistica, parrebbero poter costituire un primo argine rispetto ad una indiscriminata estensione di responsabilità ex crimine per i datori di lavoro e le imprese.

D'altro canto, però, guardando all'attuale situazione sanitaria sotto il profilo della compliance e della corporate liability, questo momento storico dovrebbe sensibilizzare le imprese all'implementazione di modelli organizzativi, ove ne fossero prive, o alla verifica dell'effettiva tenuta dei modelli organizzativi già adottati, anche grazie alla concreta attività di vigilanza posta in essere dall'OdV.

Guida all'approfondimento

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Mongillo V., Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro in tempi di pandemia, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., n. 2/2020, pp. 16 e ss.;

Pozzi M./ Mari G., I “modelli 231” alla prova dell'emergenza Covid-19: nuovi rischi-reato e conseguenti strumenti di prevenzione e di protezione dell'ente collettivo dalla responsabilità ex crimine, Sist. pen., n. 6/2020, pp. 147 e ss.;

Natullo G./Realfonzo R./Rocca L. M./Santoriello C., Covid-19, infortuni sul lavoro e responsabilità delle imprese. Il ruolo degli Organismi di Vigilanza, in www.aodv231.it, 2020;

De Renzis V., Il datore di lavoro nella fase 2 del Covid 19. Responsabilità penale al tempo del coronavirus, in www.aodv231.it, 2020;

Foti A./Gallarati P./Guaineri R./Uras G., La responsabilità dell'ente in caso di violazioni correlate al Covid-19 e il ruolo dell'OdV. Presidi in tema antinfortunistici nella gestione dell'emergenza epidemiologica, in www.aodv231.it, 2020;Pontiggia C./Gribaldo P., Organismo di Vigilanza e Covid-19: il vademecum, in www.aodv231.it, 2020;

Grassi M., L'Organismo di Vigilanza alla prova del Coronavirus. Spunti operativi, in www.aodv231.it, 2020;

Federici F. M., L'organismo di vigilanza, non solo ai Tempi del Covid-19, in La resp. amm. delle soc. e degli enti, n. 2/2020, pp. 105 e ss.;

Jannuzzi E./Regi A., Covid-19: l'infortunio sul lavoro e i riflessi sulla responsabilità degli enti ex 231, in La resp. amm. delle soc. e degli enti, n. 3/2020, pp. 83 e ss.;

Putzu G., Il post lock-down: la ripresa. Le responsabilità penali ed ex d.lgs. 231/2001 derivanti dall'emergenza Covid-19 post lock-down, in La resp. amm. delle soc. e degli enti, n. 3/2020, pp. 133 e ss.

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