I genitori si accordano per l'affidamento esclusivo, ma il Tribunale dice no

Caterina Mangano
27 Aprile 2021

La scelta del regime di affidamento dei figli non è rimessa alla libera disponibilità dei genitori: il giudice deve farsi carico delle ragioni della prole minorenne e valutare se l'attività negoziale dei genitori sia rispondente a tale superiore interesse.
Massima

Gli accordi assunti dai genitori in tema di affidamento monogenitoriale della prole devono essere valutati dal giudice con riguardo al prevalente interesse del minore, vertendosi in materia di diritti indisponibili, con la conseguenza che possono essere disattesi qualora non supportati da idonea motivazione in ordine alle ragioni giustificatrici della deroga al regime dell'affido condiviso.

Il caso

Nell'ambito di un giudizio di separazione personale, le parti, dopo l'adozione dei provvedimenti provvisori, raggiungevano un accordo anche sull'affidamento esclusivo della figlia a favore della madre, in procinto di trasferirsi in Romania, in quanto la distanza tra i luoghi di residenza dei genitori avrebbe reso difficile l'effettiva condivisione dell'affido.

Il Tribunale, sottoposto a disamina il contenuto dell'accordo, non lo recepiva, evidenziando che i genitori non avevano esplicitato ragioni che legittimassero una deroga al regime dell'affido condiviso in quanto pregiudizievole alla minore, tanto più che la dedotta distanza tra i luoghi di residenza dei genitori non valeva di per sé a giustificare l'affidamento esclusivo.

Veniva condiviso il consolidato orientamento della Suprema Corte secondo cui la deroga alla regola dell'affidamento condiviso è ammessa solo nei casi in cui la sua applicazione risulti “pregiudizievole per l'interesse del minore” cui consegue che la pronuncia di affidamento esclusivo dovrà essere sorretta da idonea motivazione in ordine non più solo alla idoneità del genitore affidatario ma anche all'incapacità genitoriale dell'altro.

La questione

Quid iuris nell'ipotesi in cui, definendo gli aspetti personali dei rapporti familiari, i genitori in crisi si accordino per derogare alla regola dell'affidamento condiviso dei figli?

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere giunge alla conclusione secondo cui l'accordo espresso dai genitori in punto di affidamento vada sottoposto a disamina da parte del giudice della famiglia, il cui sindacato è volto a valutare se la soluzione prescelta sia idonea a realizzare il prevalente interesse del minore.

Le intese dei genitori non sono state recepite, in quanto la scelta dell'affidamento monogenitoriale non era sostenuta da alcuna specifica giustificazione che consentisse di ritenerla più confacente all'interesse della minore rispetto alla regola dell'affido condiviso, della quale – per contro – si presume la rispondenza alle ragioni dei figli in quanto rispettosa del loro diritto alla c.d. bigenitorialità.

La pronuncia in commento dà applicazione all'orientamento giurisprudenziale prevalente secondo cui il criterio fondamentale al quale devono ispirarsi i provvedimenti del giudice della famiglia è rappresentato dall'esclusivo interesse morale e materiale dei figli (previsto in passato dall'art. 155 c.c. e ora dall'art. 337-ter c.c.) con la conseguenza che egli non è vincolato alle richieste avanzate e agli accordi intercorsi tra le parti e può pronunciarsi anche ultra petitum ovvero disattendere i patti sottoscritti dai genitori, trattandosi di diritti indisponibili del minore.

Avviso diverso esprimono quelle pronunce secondo cui non sia possibile sostituire un regolamento pattizio valido con uno giudiziale di diverso tenore solo perché ritenuto dal giudice più adeguato a tutelare l'interesse dei figli: piuttosto le ipotesi in cui la volontà del giudice può sovrapporsi a quella delle parti sono definite “estreme” e sono limitate ai casi in cui si attuino macroscopiche violazioni di diritti indisponibili.

Viene così valorizzata la lettera dell'art. 337-ter c.c. per cui il giudice «prende atto, se non contrari all'interesse dei figli, degli accordi intervenuti fra i genitori», norma che va letta sganciandola dal successivo art. 337-quater c.c. secondo cui deve valutarsi se il mancato affidamento all'altro sia contrario all'interesse del minore.

Osservazioni

La rilevanza dell'autonomia privata nei rapporti familiari si è evoluta seguendo il processo di privatizzazione del diritto di famiglia e le acquisizioni sulla natura giuridica del matrimonio che – secondo le teorie pubblicistiche prevalenti in vigenza del codice del 1865 – era considerato un atto riconducibile all'esercizio del potere pubblico con la radicale esclusione di qualsivoglia possibilità di autoregolamentazione privata dei rapporti che ne scaturivano.

In vigenza del codice del 1942, a fronte dei profondi mutamenti sociali e culturali intervenuti, venne affermata la rilevanza di un interesse della famiglia distinto e sovraordinato rispetto all'interesse dei singoli componenti ma tale gerarchia assiologica venne posta in discussione dai principi costituzionali concernenti la persona e la famiglia, aprendo la strada a quegli interventi legislativi che legittimarono il negozio giuridico familiare quali la legge di riforma del 1975 che attribuì all'accordo tra i coniugi la funzione di strumento di definizione della crisi familiare introducendo la separazione consensuale (L. Galisai, Conclusioni comuni e autonomia privata nel procedimento ordinario di divorzio, in Corriere Giur., 2015, 6, 777). Di seguito, per la giurisprudenza di legittimità l'accordo tra i coniugi costituisce l'elemento che sostanzia la condizione di coniugi separati ed il regolamento dei loro rapporti, mentre il provvedimento di omologazione svolge la funzione di controllare la compatibilità della convenzione rispetto alle norme cogenti ed ai principi di ordine pubblico, nonché indagare la conformità delle condizioni relative all'affidamento ed al mantenimento dei minori al loro interesse, imprimendo efficacia giuridica all'accordo stesso (Cass. civ. n. 17607/2003 in motiv. ; Cass. civ. n. 3390/2001 in motiv.; Cass. civ. n. 9287/1997; Cass. civ. n. 2700/1995; Cass. civ. n. 8712/1990; Cass. civ. n. 1208/1985; Cass. civ. n. 14/1984.

In tale prospettiva, la Suprema Corte ha in più occasioni qualificato l'accordo di separazione come atto riconducibile alla categoria dei negozi o delle convenzioni di diritto familiare che rispecchia un iniziale “parallelismo di interessi e volontà (Cass. civ. n. 657/1994; Cass, civ. n. 2270/1993; nonché la più remota Cass. civ. n. 4277/1978).

Con specifico riferimento all'ipotesi in cui i coniugi-genitori si accordino per l'affidamento esclusivo del minore ad uno di essi, la giurisprudenza è in prevalenza concorde nel ritenere la possibilità di omologare tali patti pur prevedendo la verifica da parte dell'organo giudiziario della rispondenza della pattuizione all'interesse del minore e della sua idoneità a non escludere un rapporto equilibrato e costante con entrambi i genitori (Cass. civ. n. 25055/2017; Trib. Messina sez. I, 25 gennaio 2011)

Invero, poiché l'affido condiviso è un diritto del minore, l'accordo non può giungere a negargli il diritto alla c.d. bigenitorialità con la conseguenza che la richiesta congiunta di affidamento esclusivo a uno solo dei genitori deve essere adeguatamente motivata sul punto della congruità di tale scelta rispetto all'interesse del minore (Danovi, Affidamento familiare, interesse del minore e discrezionalità giudiziale in Famiglia e Diritto, 2019, 12, 1118).

In dottrina è stato efficacemente osservato che, nelle ipotesi in cui i genitori sottopongano congiuntamente un loro accordo concernente a prole all'autorità giudiziaria, quest'ultima «non si atteggi unicamente a spettatore, tenuto a prendere atto e ratificare l'accordo intercorso, ma abbia il potere-dovere di confrontarsi con le parti, indagare se le intese da queste raggiunte corrispondano effettivamente all'interesse del minore e, se del caso, rifiutare la loro ricezione od omologazione» (Irti, L'affidamento dei figli minori ad un solo genitore nell'applicazione giurisprudenziale, in Fam. Pers. Succ., 2008, 12) .

In coerenza con l'incisivo intervento del giudice negli accordi tra coniugi concernenti la prole, deve dirsi acquisito il principio secondo cui i provvedimenti riguardanti i minori possano derogare alla domanda ed avere carattere officioso(Danovi, Declinazioni e mutazioni dei principi generali del processo per i figli (anche) maggiorenni, in Famiglia e Diritto, 2021, 3, 275; Serra, Diritto al mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti e poteri ufficiosi del giudiceinFamiglia e diritto, 2013, 2, 174; Danovi, Persistenza e variabilità dell'oggetto del processo di divorzio in Famiglia e diritto, 2021, 1, 83).

Nella prassi dei Tribunali, in sede di separazione consensuale, ai sensi dell'art. 158 comma 2 c.c., ove il giudice riscontri che le intese prospettate dai coniugi in ordine all'affidamento, siano in contrasto con l'interesse dei figli, li riconvoca prospettando loro le modificazioni da adottare e può rifiutare l'omologazione ove l'accordo resti ancorato a soluzioni ritenute in contrasto con il loro interesse.

Ove analoga contrarietà all'interesse dei figli emerga in sede di divorzio a domanda congiunta delle parti, ex art. 4 comma 16 l. 898/1970, verrà disposto il mutamento del rito in contenzioso e i provvedimenti concernenti la prole saranno assunti con ordinanza.

Nei procedimenti concernenti minori nati da genitori non coniugati, il Tribunale potrà prospettare a questi la soluzione ritenuta conforme alle ragioni dei figli, adottando d'ufficio, in caso di mancato adeguamento, i provvedimenti all'uopo idonei.

Appare evidente come – in tutti i contesti processuali in cui si collochi un accordo tra i genitori in punto di affidamento – divenga fondamentale valutare quale sia l'interesse del minore, concetto che, benché menzionato in diverse norme, è privo di definizione.

Si tratta di nozione connotata da relatività in quanto strettamente riferibile ai singoli contesti personali e familiari che vengono in rilievo (ciò sembra suggerire anche la formulazione originaria, the best interests of the child, mutuata dagli ordinamenti anglosassoni, opportunamente declinata al plurale): essa, oltre a costituire l'obiettivo da raggiungere, rappresenta anche “regola di giudizio e misura della giustizia del provvedimento” (Tommaseo, La partecipazione del minore ai procedimenti civili che coinvolgono i suoi interessi in Minori e Famiglia).

L'interesse del minore, dunque, va individuato previo esame concreto delle circostanze ambientali in cui egli vive, individuabili sulla base delle allegazioni delle parti o di indagini socio ambientali nonché delle specifiche vicende familiari dedotte in causa, in modo che la soluzione corrisponda, nel caso concreto, alle ragioni espresse dall'interessato del quale vanno valutate – anche grazie all'ascolto – le esigenze, le abitudini, le aspettative, la personalità (Scalisi, Il superiore interesse del minore ovvero il fatto come diritto in Riv. Dir. Civ., 2018, 2, 405).

Tali acquisizioni verranno correlate al carattere dei genitori, alla loro capacità genitoriale e alle conseguenze materiali e psicologiche di una possibile sporadicità dei rapporti con una delle due figure parentali.

La pronuncia annotata si pone in un solco ancorato, sul piano assiologico, alla tutela del minore e del suo preminente interesse a conseguire una disciplina dei rapporti con i genitori quanto più rispettosa delle proprie esigenze e tale da non sacrificarne le aspettative ed i bisogni nel vortice del fallimento delle relazioni familiari.

Riferimenti

Danovi F., Affidamento familiare, interesse del minore e discrezionalità giudiziale, in Famiglia e Diritto, 2019, 12, 1118.

Oberto G., La natura dell'accordo di separazione consensuale e le regole contrattuali ad esso applicabili, in Famiglia e Diritto, 1999, 6, 601.

Russo E., Affido condiviso e attività negoziale determinativa dei genitori, in Riv. Dir. Civ., 2009, 3, 20243.

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