Tra discrezionalità tecnica della commissione valutatrice e verifica del rispetto della disciplina del procedimento di abilitazione scientifica nazionale

05 Maggio 2021

La Commissione per il conseguimento dell'abilitazione scientifica nazionale deve valutare la fondatezza dei singoli contributi, anche se tesi a rielaborare l'attività medico-scientifica o riguardano questioni, apparentemente, non attinenti al settore disciplinare a cui il candidato partecipa. La valutazione non può essere limitata solo a dati numerici puramente quantitativi, ma deve esporre una considerazione critica sulla qualità del contributo scientifico, soprattutto qualora riguardi argomenti che interferiscono con altri settori disciplinari o revisioni critiche ovvero rielaborative della scienza medica che, per sua natura, è una scienza evolutiva e dunque soggetta a molteplici e multidisciplinari attività di ricerca medico-scientifica.
Premessa normativa: l'abilitazione scientifica nazionale

Con l'articolo 16 della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Successivamente modificata con legge n. 114/2014Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario”), per la partecipazione ai concorsi per la qualifica di professore di I o II fascia banditi dalle singole università è stato previsto, quale requisito necessario, il possesso dell'Abilitazione Scientifica Nazionale - ASN.

L'abilitazione scientifica nazionale è una procedura di valutazione, non comparativa, gestita direttamente dal Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca - MIUR attraverso delle Commissioni nazionali costituite per i singoli settori concorsuali scientifico-disciplinari definiti dal d. m. 4 ottobre 2000. Il predetto decreto riproduce integralmente l'elenco dei settori scientifico-disciplinari, le relative declaratorie, le affinità e le corrispondenze tra i vecchi e i nuovi settori al fine di renderli omogenei.

Con successivo decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 30 ottobre 2015, n. 855, recante "Rideterminazione dei macrosettori e dei settori concorsuali" sono stati rideterminati ed aggiornati i macro-settori concorsuali e i settori concorsuali. Il predetto decreto si compone di due allegati: nell'allegato A vengono riportati i macro-settori e i settori concorsuali nonché le corrispondenze tra i settori concorsuali e i settori scientifico-disciplinari mentre nel successivo allegato B sono definite le declaratorie dei settori concorsuali (già composti dal d.m. 29 luglio 2011 n. 336).

L'abilitazione scientifica nazionale costituisce il titolo necessario per partecipare:

i) ai concorsi indetti dagli atenei con procedura aperta (ex art. 18, l. 240/2010);

ii) ai concorsi riservati a coloro che già sono in servizio presso l'ateneo (ex art. 24, comma 6, l. n. 240/2010);

iii) alle procedure di assunzione per coloro che, essendo inquadrati come ricercatori di tipo b) (cd. tenure–track), possono, al termine del triennio, essere assunti come professori di II fascia (ex art. 24, comma 5, l. n. 240/2010).

Le Commissioni sono composte da cinque professori ordinari, sorteggiati dal Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca nell'ambito di apposite liste formate dall'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario – ANVUR, i cui parametri di selezione sono definiti dal decreto ministeriale n. 120 del 7 giugno 2016 e successive modifiche.

Il caso specifico

Con decreto direttoriale n. 2175 del 9 agosto 2018 veniva indetta, ai sensi dell'art. 3 del dPR n. 95 del 2016, la procedura per il conseguimento dell'abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore di prima e seconda fascia, per ciascun settore concorsuale secondo quanto definito dal d.m. n. 855/2015.

Nel caso di specie, l'abilitazione scientifica nazionale atteneva alle funzioni di professore di seconda fascia nel settore concorsuale 06/E1 “Chirurgia Cardio Toraco Vascolare”.

Con decreto direttoriale n. 2882 del 29 ottobre 2018 veniva nominata la Commissione nazionale per la valutazione dei candidati all'abilitazione scientifica nazionale. In data 16 novembre 2018 si insediava la Commissione la quale, oltre a definire i termini e modalità organizzative dei propri lavori, stabiliva preliminarmente i criteri di valutazione dei candidati.

A tal proposito, la Commissione precisava i criteri sulla base dei quali la stessa avrebbe effettuato le proprie valutazioni ai fini dell'emissione del “motivato giudizio” attributivo dell'Abilitazione “espresso sulla base dei criteri, parametri e indicatori differenziati per funzioni e settore concorsuale definiti dagli articoli 3, 4, 5 e 6 del d.m. n. 120/2016” giudizio che si sarebbe altresì fondato sulla “valutazione dei titoli posseduti e delle pubblicazioni scientifiche...”. In particolare, veniva precisato che la valutazione delle pubblicazioni scientifiche e dei titoli era volta ad accertare per le funzioni di professore di seconda fascia, “la maturità scientifica” del candidato, mentre, per quanto riguarda le funzioni di professore di prima fascia, la “piena maturità scientifica” dello stesso.

La Commissione, inoltre, stabiliva che, per entrambe le fasce di docenza universitaria, le pubblicazioni scientifiche presentate dai candidati sarebbero state valutate sulla base dei requisiti stabiliti dall'art. 4 del d.m. n. 120/2016, senza integrare o specificare i criteri di valutazione delineati dalla norma sopracitata, acquisendo così supinamente i requisiti dalla legge. In questo modo, la Commissione ha tralasciato di specificare, dettagliare ed integrare i criteri previsti dal predetto decreto per accertare, in concreto, l'idoneità scientifica dei candidati.

Il concorrente presentava la propria domanda, compilata online, per il riconoscimento dell'abilitazione scientifica come professore universitario di seconda fascia.

La Commissione, ritenendo che, le pubblicazioni presentate non rispondevano al profilo ‘qualitativo' per il riconoscimento della maturità scientifica, in data 27 agosto 2019, comunicava all'interessato il giudizio di non idoneità per l'abilitazione scientifica nazionale richiesta.

Pertanto, previo accesso agli atti ex art. 22 della l. n. 240/1990, l'interessato ricorreva avanti il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, avverso il giudizio negativo espresso dalla Commissione contro il Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca e nei confronti della Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, per l'annullamento del giudizio collegiale espresso dalla Commissione competente di non abilitazione a Professore di II fascia nell'ambito del concorso di cui al bando indetto con decreto direttoriale n. 2175 del 9 agosto 2018.

Il ricorrente impugnava il giudizio negativo reso dalla Commissione all'esito delle procedure di valutazione per il conferimento dell'abilitazione scientifica nazionale all'esercizio delle funzioni di professore di seconda fascia nel settore concorsuale 06/E1- Chirurgia Cardio-Toraco-Vascolare, contestando il potere della Commissione di specificare o di integrare, in fase di esclusione, i criteri di valutazione delineati dagli artt. 4 e 6 del d.m. n. 120 del 2016, così come richiamati al momento dell'insediamento, offrendo in questo modo una giustificazione a posteriori dei presupposti costituenti la ragione degli elementi che hanno determinato il giudizio finale.

Costituisce presupposto di legittimità amministrativa, consolidato dalla costante giurisprudenza di legittimità, che i criteri di determinazione della valutazione del candidato, come per ogni attività amministrativa in cui esiste un interesse legittimo o anche solo pretensivo, devono essere definite, per settore concorsuale, ex ante e non ex post nella fase di motivazione del giudizio di non idoneità.

Secondo la Commissione esaminatrice, il candidato non avrebbe soddisfatto i criteri previsti dal bando di concorso e dalle norme sopra richiamate in quanto la sua attività editoriale non aveva ricevuto un adeguato “impact factor” nell'ambito della comunità scientifica. In particolare, secondo la Commissione, i lavori scientifici, presentati per la valutazione, non risultano essere pubblicati su riviste di riferimento ancorché la stessa ometteva, nella predeterminazione dei requisiti valutabili, di predefinire l'eventuale valutazione del fattore interdisciplinare della materia per settore scientifico disciplinare di riferimento (cd. SSD), così come definiti dall'articolo 15 della l. n. 240 del 2010 e dal d.m. 4 ottobre 2000 e successivamente rideterminati dal d.m. 18 marzo 2015 e dal d.m. 3 ottobre 2015.

La Commissione, nel negare il giudizio di “maturità scientifica” del candidato, motivava il carente apporto individuale con riferimento alla posizione come primo o ultimo nominativo tra gli autori, nonché la qualità delle pubblicazioni presentate per la valutazione che sostanzialmente riguardavano rewiew scientifici e un case report.

Anche riguardo quest'ultimo profilo, la Commissione esaminatrice, all'unanimità, valutava le pubblicazioni del candidato prive di originalità ed inidonee a contribuire, in modo significativo, al progresso dei temi di ricerca affrontati in quanto: <<[non] ritenute di qualità elevata in relazione al settore concorsuale>>. Secondo la Commissione giudicatrice, inoltre, tra le opere presentate <<non erano presenti pubblicazioni tali da dimostrare una posizione riconosciuta nel panorama nazionale ed internazionale della ricerca, non possieda quindi la piena maturità scientifica richiesta per le funzioni di Professore di II Fascia>>.

Il settore concorsuale di riferimento presenta un'ampia declaratoria delle discipline i cui confini non sono chiaramente definibili in modo netto e, soprattutto presentano rapporti di interdisciplinarietà con altri settori scientifici disciplinari.

La sussistenza della predetta contiguità e interdisplinarietà avrebbe dovuto suggerire alla Commissione, anche ai sensi dell'art. 4, lettera a) del d.m. n. 120/2016, di definire, nel primo verbale, esplicandolo, il “peso” da assegnare alle pubblicazioni e ai titoli, delimitando l'ampiezza dell'oggetto di valutazione in modo da escludere eventuali comunanze con altri settori scientifici rispetto alla declaratoria del settore disciplinare di riferimento e alla affinità con altre discipline mediche. La carenza di una ponderazione “a monte” tra titoli e pubblicazioni non può incidere, ex post, in modo negativo sul giudizio finale del candidato, qualora non siano state sufficientemente delineate e delimitate dalla Commissione ex ante, anche con riferimento alla tipologia bibliografica.

L'oggetto delle censure

Il ricorrente denunciava avanti al Tar del Lazio l'erroneità, la contraddittorietà e l'arbitrarietà della valutazione della Commissione rispetto i criteri definiti dal bando di concorso, ripercorrendo la ratio della norma in una interpretazione teleologicamente orientata e rispettosa dei principi generali definiti dal d.m. n. 120/2016 e dal l. n. 241/1990 e della giurisprudenza formatasi in merito.

Secondo il ricorrente l'art. 6 del d.m. 120/2016 nel prevedere che: “1. La Commissione attribuisce l'abilitazione esclusivamente ai candidati che soddisfano entrambe le seguenti condizioni:

a) ottengono una valutazione positiva del titolo di cui al numero 1 dell'allegato A (impatto della produzione scientifica) e sono in possesso di almeno tre titoli tra quelli scelti dalla Commissione, secondo quanto previsto al comma 2 dell'articolo 5;

b) presentano, ai sensi dell'articolo 7, pubblicazioni valutate in base ai criteri di cui all'articolo 4 e giudicate complessivamente di qualità «elevata» secondo la definizione di cui all'allegato B. (Si intende per pubblicazione di qualità elevata una pubblicazione che, per il livello di originalità e rigore metodologico e per il contributo che fornisce al progresso della ricerca, abbia conseguito o é presumibile che consegua un impatto significativo nella comunità scientifica di riferimento a livello anche internazionale)”, ha voluto indicare che, per conseguire l'abilitazione scientifica, è necessario che al candidato sia riconosciuto il possesso dei tre requisiti “autonomi”: i) l'impatto della produzione scientifica; ii) il possesso dei titoli scelti dalla Commissione; iii) l'elevata qualità delle pubblicazioni scientifiche.

Per stabilire quando una pubblicazione scientifica possa ritenersi di “qualità elevata soccorre l'art. 4 del d.m. n. 120/2016 il quale prevede che: “1. La Commissione valuta le pubblicazioni scientifiche presentate dai candidati ai sensi dell'articolo 7, secondo i seguenti criteri: a) la coerenza con le tematiche del settore concorsuale o con tematiche interdisciplinari ad esso pertinenti; b) l'apporto individuale nei lavori in collaborazione; c) la qualità' della produzione scientifica, valutata all'interno del panorama nazionale e internazionale della ricerca, sulla base dell'originalità, del rigore metodologico e del carattere innovativo; d) la collocazione editoriale dei prodotti scientifici presso editori, collane o riviste di rilievo nazionale o internazionale che utilizzino procedure trasparenti di valutazione della qualità del prodotto da pubblicare; e) il numero e il tipo delle pubblicazioni presentate nonché la continuità della produzione scientifica sotto il profilo temporale; f) la rilevanza delle pubblicazioni all'interno del settore concorsuale, tenuto conto delle specifiche caratteristiche dello stesso e dei settori scientifico-disciplinari ricompresi”.

Solo qualora concorrono tutti i criteri sopra descritti può riconoscersi la “qualità scientifica” delle pubblicazioni. Conseguentemente, in mancanza di predeterminazioni integrative della norma, la Commissione deve conformarsi al mero riconoscimento dell'esistenza dei criteri definiti per l'ottenimento della abilitazione scientifica nazionale.

I principi di diritto definiti dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

In relazione al criterio di cui alla lett. d) dell'art. 4 del d.m. 7 giugno 2016 n. 120, relativo alla collocazione editoriale dei prodotti scientifici presso editori, collane o riviste di rilievo nazionale o internazionale, la Commissione aveva tenuto in considerazione solo il criterio definito dall'impact factor delle riviste. La Commissione nel prendere atto che le pubblicazioni prodotte dal ricorrente fossero coerenti con le tematiche del settore concorsuale (nella specie chirurgia cardio-toraco-vascolare), stigmatizza la mancata pubblicazione delle stesse su riviste coerenti con il predetto settore aventi un “impact factor” maggiore a 2, ancorché anche tale criterio non era stato contemplato tra i criteri di valutazione fissati dal bando o nel verbale di insediamento della Commissione.

Detto criterio, secondo il Giudice amministrativo, presenta una scarsa affidabilità, essendo il meno significativo tra i criteri di riferimento, non attenendo alla “qualità oggettiva” dei prodotti scientifici in sé considerati, né al “contributo individuale” dello studioso.

Peraltro, afferma la sentenza emessa dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Terza Bis, 15 gennaio 2021, n. 569, udienza 12 gennaio 2021, il giudizio della Commissione si arresta di fronte al mero dato quantitativo e non qualitativo, come invece avrebbe dovuto essere.

I giudici del Tar Lazio, negando una rilevanza preminente dell'impact factor, affermano che la normativa che regola l'abilitazione scientifica nazionale non prevede alcuna valutazione preventiva della collocazione editoriale dei prodotti scientifici, basata sull'indice sintetico che misura il numero medio di citazioni ricevute in un particolare periodo di tempo., peraltro nemmeno preso in considerazione dalla Commissione nella sua ampia discrezionalità al momento della predeterminazione dei requisiti valutativi.

Il d.m. del 28 luglio 2009, definendo l'impact factor un parametro “addizionale” per la valutazione dei titoli presentati nei concorsi, limitatamente ai settori scientifico-disciplinari in cui ne è riconosciuto l'uso a livello internazionale, lo “istituzionalizza”, ma non lo erge a “valore assoluto” su cui parametrare la “qualità scientifica” della pubblicazione. Al contrario, dalle citate norme, il criterio qualitativo della scientificità -in mancanza di integrazione- può essere assunto aliunde, ivi compresa la collocazione editoriale dei prodotti scientifici oggetto di valutazione.

Nel caso di specie, secondo il Giudice amministrativo, la Commissione ha omesso ogni valutazione sul punto, attestandosi solo sul dato numerico che, all'uopo, appare essere inconferente.

Con riferimento ai lavori scientifici pubblicati su “riviste non di riferimento” del settore concorsuale, il Tar Lazio ha ricordato che il criterio di cui alla lett. d) del citato art. 4 del d.m. n. 120/2016 non contiene un rigido richiamo all'attinenza con il settore concorsuale, salvo una più ristretta specificazione della Commissione che ha omesso di esplicitare. Nel campo delle scienze mediche, caratterizzato dalla interconnessione tra settori disciplinari, per la valutazione scientifica delle pubblicazioni occorre avere riguardo anche alle “tematiche interdisciplinari” ad esso pertinenti e alla rilevanza delle pubblicazioni, secondo quanto previsto dalla lett. a) e dalla lett. f) dell'art. 4 del d.m. n. 120/16. L'omessa valutazione delle singole pubblicazioni rispetto ai criteri anzidetti disattende l'obbligo valutativo che è proprio della Commissione esaminatrice.

Anche con riferimento al criterio di cui alla lett. b) dell'art. 4 del d.m. 120/2016, riguardante il contributo individuale del candidato nei lavori in collaborazione, la Commissione esaminatrice aveva valutato, l'apporto dell'interessato unicamente sulla base delle posizioni come primo/ultimo autore senza, tuttavia, giustificare la concretezza e la tangibilità della scelta adottata circa il criterio relativo al “conteggio delle posizioni”.

La sentenza in commento, di conseguenza, censura il comportamento della Commissione che, in sede di valutazione, ha tenuto conto della rilevanza della sola posizione del candidato tra gli autori per trarre apoditticamente il maggiore o minore apporto scientifico individuale al contributo di ogni singolo autore.

La lettera b) del citato art. 4, d.m. 120/2016, pur riconoscendo il potere alla Commissione di specificare o di integrare eventualmente i criteri di valutazione in senso più restrittivo, impone che gli stessi siano preventivamente definiti e resi noti ai candidati, nonché circoscritti in termini “oggettivi” e rispondenti alle disposizioni regolamentari, affinché la discrezionalità dell'organo valutativo non si caratterizzi come indeterminabile.

La decisione in commento, pur riconoscendo l'ampia discrezionalità tecnica della Commissione valutatrice, ricorda il limite di sindacato con riferimento al cosiddetto “merito scientifico” il quale si sostanzia di “ogni aspetto della valutazione che sia direttamente riconducibile alle competenze tecnico-scientifiche della Commissione in relazione al settore concorsuale di riferimento”.

In questo modo, la competenza riservata dalla legge all'organo tecnico e il sindacato del giudice, con riferimento al giudizio di non abilitazione, trova “un punto d'equilibrio” offerto dalla stessa normativa la quale bilancia, con funzione di garanzia, il potere discrezionale tecnico della Commissione circa la verifica del c.d. “merito scientifico” con la possibilità di verificare, ex post, la conformità di quel giudizio rispetto le prescrizioni di legge che regolano sia quel settore sia, più in generale, il procedimento amministrativo.

Proprio in conseguenza del predefinito “punto di equilibrio”, i Giudici della Sez. terza bis del Tar Lazio hanno stabilito che il giudizio negativo impugnato risulta essere illegittimo per la riscontrata violazione delle norme che disciplinano l'abilitazione scientifica nazionale (l. n. 241/1990, l. n. 240/2010, d.m. n. 120/2016).

I limiti della discrezionalità tecnica

La “discrezionalità tecnica” consiste nel potere riconosciuto alla pubblica amministrazione di esaminare fatti o di situazioni rilevanti per l'esercizio del potere pubblico facendo ricorso a cognizioni tecniche o scientifiche di carattere specialistico.

Nell'esercizio della discrezionalità tecnica, quindi, l'Amministrazione compie una valutazione di fatti considerando gli elementi scientifici e tecnici predefiniti, senza ricorrere ad una comparazione tra l'interesse pubblico primario e gli interessi secondari per individuare la soluzione concreta da adottare ai fini del perseguimento del pubblico interesse, come invece avviene nell'ambito della discrezionalità amministrativa c.d. “pura”.

La diversità concettuale di fondo tra la “discrezionalità amministrativa” e la “discrezionalità tecnica” si basa sul fatto che:

a) la discrezionalità amministrativa è esistente sia al momento del giudizio (ove vengono acquisiti gli elementi oggetto di valutazione), sia al momento della scelta operata in concreto dall'amministrazione (ove si realizza la contrapposizione tra vari interessi per poi comporsi nell'esercizio del potere amministrativo esercitato in concreto);

b) la discrezionalità tecnica, diversamente, opera solo con riguardo l'analisi di fatti e di elementi concernenti il proprio giudizio, ma non per interessi legittimi.

Più specificatamente, la discrezionalità tecnica è attribuita ad un determinato soggetto pubblico in base ad una legge che definisce, normalmente, i presupposti di fatto per l'esercizio del potere (il cosiddetto “an“), nonché le modalità di valutazione discrezionale (cd. “quomodo”).

In questo caso si parlerà di discrezionalità tecnica vincolata.

Nel caso in cui la legge, attributiva del potere amministrativo, sia volutamente indeterminata e non sufficientemente dettagliata, come nell'ipotesi prevista dal caso di specie, la discrezionalità è necessariamente più ampia in quanto il legislatore ha voluto attribuire all'organo amministrativo la possibilità di “completare” gli elementi valutativi, ritenuti necessari per il corretto esercizio del potere amministrativo.

L'omessa integrazione dei predetti elementi integrativi, ai fini della valutazione di cui alla lettera b) del citato art. 4, d.m. n. 120/2016, sufficientemente delineati in modo da circoscrivere la discrezionalità dell'organo valutativo, espone la Commissione valutatrice ad una maggior rigore nella motivazione del provvedimento finale avente ad oggetto il giudizio di non idoneità all'ottenimento dell'abilitazione scientifica nazionale (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 7 maggio 2007, n. 1971 il quale ha ribadito la necessità di una correlazione tra provvedimento adottato e art. 3 della legge n. 241 del 1990. Tale correlazione devesi ritenere rafforzata proprio nel caso l'azione amministrativa si manifesti in valutazioni caratterizzate da elementi di discrezionalità. La motivazione costituisce l'esternazione dei motivi del provvedimento in cui traspare la concreta realtà, delineata dalla norma, rispetto a quella emersa e valutata nel procedimento valutativo. Con la motivazione del provvedimento finale, l'amministrazione rende “trasparente” la ragione degli elementi che hanno determinato il giudizio finale. Il che, evidentemente, non esclude la possibilità che il giudice amministrativo valuti, ex post, la congruità dei motivi addotti a sostegno della decisione. Proprio per tale ragione, la motivazione è normalmente suddivisa in due parti: la prima racchiude l'esposizione delle circostanze di fatto e di diritto che costituiscono i presupposti del provvedimento; la seconda l'indicazione del percorso logico-giuridico che ha presieduto e condotto per l'adozione di un determinato procedimento).

Per consentire la verifica dell'operato della Commissione, l'eventuale integrazione non è libera ma deve essere adeguatamente circoscritta in termini “effettivi”, in modo da evitare un potere discrezionale ab libitum.

In tali ipotesi, la discrezionalità tecnica della Commissione esaminatrice, correttamente esercitata, non afferendo al merito dell'azione amministrativa non è sindacabile dal giudice amministrativo: “I giudizi espressi dalla Commissione esaminatrice di un concorso di professore universitario, pur se espressione dell'esercizio della c.d. discrezionalità tecnica, sono sindacabili non solo mediante un mero controllo formale ed estrinseco dell'iter logico seguito dalla Commissione, ma anche [tramite] la verifica diretta dell'attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico e a procedimento applicativo. Tuttavia, ciò è ammissibile se risultino elementi idonei ad evidenziarne uno sviamento logico o un errore di fatto o, ancora, una contraddittorietà subito rilevabile”.

Il d.lgs. n. 104/2010 “Codice del processo amministrativo”, peraltro, nel riformare interamente la giustizia amministrativa, ha riconosciuto al giudice amministrativo un sindacato “forte” sino a sostituirsi alla stessa pubblica amministrazione, nell'esercizio dei suoi poteri amministrativi, nell'ipotesi in cui la valutazione tecnica non necessiti ulteriori adempimenti istruttori ovvero di adeguata valutazione “tecnica” ai sensi dell'art. 31, comma 3, del d.lgs. n. 104/2010.

Tale sindacato non si attaglia alle procedure di abilitazione per l'accesso alle funzioni di professore di prima e di seconda fascia, non potendo il giudice amministrativo, in ogni caso, esercitare un “sindacato sostitutivo” circa la valutazione tecnica del candidato.

Il giusto equilibrio tra potere discrezionale e sindacato giurisdizionale

E' proprio questo il senso del richiamato “punto di equilibrio” tra l'ampia discrezionalità tecnica della Commissione valutatrice e la verifica del rispetto della disciplina del procedimento di abilitazione scientifica nazionale riservata al giudice amministrativo.

Il sindacato del giudice amministrativo sull'esercizio della propria attività valutativa da parte della Commissione non può sostituirsi a quello della pubblica amministrazione, in quanto la valutazione scientifica da parte della Commissione è insita nell'ampia discrezionalità tecnica riconosciuta, dalla legge, a tale organo.

Diversamente argomentando si riconoscerebbe al giudice amministrativo il diritto ad esercitare un “sindacato sostitutivo”, al di fuori dei tassativi casi sanciti dall'art. 134 c.p.a., fatto salvo il limite della illegittimità evidente della scelta tecnica operata.

Il consolidato orientamento giurisprudenziale, per dare il giusto equilibrio tra potere discrezionale e sindacato giurisdizionale, ha ribadito che per “sconfessare” il giudizio della Commissione giudicatrice non è bastevole evidenziarne il non condivisibile giudizio che si pone in contrasto con il senso e la portata della stessa discrezionalità, dovendosi, diversamente, accertare la palese inattendibilità o l'evidente insostenibilità del giudizio tecnico compiuto.

Nel merito, la giurisprudenza amministrativa ricorda, peraltro, i limiti, in generale del proprio accertamento, a prescindere l'oggetto della valutazione evidenziando che: <<In caso discrezionalità tecnica il sindacato del giudice amministrativo, essendo pur sempre un sindacato di legittimità e non di merito, è limitato al riscontro del vizio di illegittimità per violazione delle regole procedurali e di quello di eccesso di potere per manifesta illogicità, irrazionalità, irragionevolezza, arbitrarietà ovvero se fondato su di un altrettanto palese e manifesto travisamento dei fatti>>.

Il fulcro del punto di equilibrio è il riconoscimento della portata della discrezionalità amministrativa la quale implica una decisione che, invece, manca, almeno in parte, nella discrezionalità tecnica che costituisce, invece, un giudizio di accertamento e di valutazione di un fatto rispetto alla regola scientifica: “La discrezionalità tecnica si riferisce, infatti, al momento conoscitivo ed implica un giudizio e non una scelta, non manifestazione di volontà, che può tuttavia giungere in un momento successivo>>.

<<Diversamente dalla discrezionalità amministrativa nella quale si compongono valutazioni di opportunità nella scelta della misura amministrativa più idonea da soddisfare l'interesse pubblico privato, l'amministrazione, nel fare uso di discrezionalità tecnica, si limita a verificare la sussistenza di fatti applicando regole del risultato opinabile>>. In questo modo, << Va distinta la scelta di opportunità che connota la discrezionalità amministrativa dall'opinabilità di risultati propri del giudizio formulato nell'esercizio di discrezionalità tecnica. Nel primo caso la pubblica amministrazione è abilitata a scegliere tra più opzioni amministrative, quella più conveniente nella prospettiva del miglior soddisfacimento dell'interesse affidato alle sue cure; nel secondo caso, invece, l'amministrazione è chiamata a svolgere un giudizio tecnico riguardante il fatto. L'opinabilità attiene alla soggettività di tale giudizio e rinviene dalla natura non esatta delle regole applicate senza perciò solo implicare la titolarità di un potere di scelta>>.

Al di là dell'ormai rigido contrasto sul sindacato forte ovvero sul sindacato debole circa l'attività discrezionale della pubblica amministrazione, deve riconoscersi un punto di incontro tra esigenza di un controllo giurisdizionale che non si ingerisca nelle scelte discrezionali della pubblica autorità. Diversamente verrebbe meno la portata e il senso del riconoscimento della cura in concreto dell'interesse pubblico che necessariamente, in taluni casi, deve fare ricorso al criterio discrezionale.

In tal modo si assicura allo stesso tempo l'autonomia della pubblica amministrazione e la legalità sostanziale del suo agire, per la sua intrinseca coerenza anche e soprattutto in materie connotate da un elevato tecnicismo senza poter far luogo a un sindacato sostitutivo circa le valutazioni in presenza di interessi “la cui cura è dalla legge espressamente delegata ad un certo organo amministrativo, sicché ammettere che il giudice possa auto-attribuirseli rappresenterebbe quanto meno una violazione delle competenze, se non addirittura del principio di separazione tra i poteri dello Stato”.

La contrapposizione tra sindacato forte e sindacato debole è stata superata dalla giurisprudenza amministrativa secondo cui il controllo giurisdizionale deve essere sufficientemente capace di declinare il principio di effettività della tutela giurisdizionale nello specifico settore delle valutazioni tecniche, pur senza trasformare il controllo in un'indebita sovrapposizione del giudizio espresso dall'organo di verifica del corretto esercizio della legalità sostanziale a quello effettuato dal competente plesso amministrativo.

In dottrina Salvia, evidenzia che la giurisprudenza amministrativa riconosce sulla discrezionalità tecnica “un controllo limitato alla verifica della ‘ragionevolezza' e alla congruità della motivazione che avvicina senza dubbio il tipo di tutela ammissibile a quella propria degli atti amministrativi discrezionali” in modo tale che siano contemperate, in un “giusto equilibrio”, la libertà determinativa della pubblica amministrazione senza sottrarla al controllo giurisdizionale che ancorché limitato è in grado di assicurare il “punto di equilibrio” tra l'”ampia discrezionalità tecnica” della Commissione valutatrice e la verifica del “rispetto della disciplina del procedimento” di abilitazione scientifica nazionale.

Conclusioni: la decisione in commento e i principi di diritto affermati

La normativa che regola l'abilitazione scientifica nazionale (l. n. 240/2010, d.m. n. 120/2016) non prevede alcuna valutazione “preventiva” della collocazione editoriale dei prodotti scientifici basata sulla mera considerazione dell'impact factor che, pur essendo individuato come indice di riconoscimento scientifico dal d.m. del 28 luglio 2009, non costituisce un criterio assoluto per la valutazione della scientificità del contributo presentato dal candidato il quale, in virtù dei principi generali fissati dall'art. 97 della Costituzione, dalla l. n. 241/1990 e della giurisprudenza formatasi, deve essere misurato, nel merito, ai sensi dell'art. 3, d.m. n. 120/2016 (con riguardo all'effettiva, l'originalità, l'innovatività, l'importanza e la rilevanza scientifica in relazione al settore disciplinare di riferimento) (Spetta semmai alla Commissione specificare e giustificare ex ante le ragioni della scelta per quel dato settore scientifico disciplinare).

In questo modo, la formulazione letterale del criterio di cui alla lett. d) dell'art. 4, d.m. n. 120/2016 contrasta con una valutazione negativa del contributo individuale sulla qualificazione scientifica del candidato priva di una oggettiva e concreta valutazione nel merito. Per tali ragioni, stante la natura ampiamente discrezionale del giudizio della Commissione, specie per quanto concerne il “profilo qualitativo” delle pubblicazioni da esaminare sulla base dell'originalità, del rigore metodologico e del carattere innovativo delle stesse e la loro rilevanza all'interno del settore concorsuale, è necessario che l'eventuale giudizio negativo sia congruamente motivato, non potendo la Commissione esaminatrice limitarsi a richiamare tout court la non sussistenza del criterio previsto ex lege.

Per l'effetto, la valutazione del contributo individuale del candidato ai sensi dell'art. 4, lett. b), del d.m. n. 120/2016 non può essere effettuata unicamente sulla base del conteggio delle posizioni come primo/ultimo autore nei lavori in collaborazione, ancorché detto criterio sia convenzionalmente accolto nella comunità scientifica, per determinare il contributo individuale dei singoli autori, spettando alla Commissione il compito di individuare, sulla base dei criteri prefissati e successivamente dell'analisi del contenuto delle pubblicazioni, l'effettivo contributo individuale del candidato.

La necessità di una maggiore delineazione da parte della Commissione circa il predetto criterio, con riferimento alle opere collettanee, trova la sua ragione nell'art. 7 della legge 22 aprile 1941, n. 633, cosiddetta legge sul diritto d'autore, il quale dispone che: <<…. E' considerato autore delle elaborazioni l'elaboratore, nei limiti del suo lavoro>>. Qualora non venga specificato il singolo contributo, la partecipazione come autore in un'opera collettanea, sotto un profilo qualitativo, deve considerarsi egualitaria (Diversamente argomentando si potrebbe, persino, desumere che il criterio del conteggio delle posizioni, come primo/ultimo autore, usualmente utilizzato dalla comunità scientifica, potrebbe considerarsi un agevole escamotage per favorire nel mondo scientifico il “contributo” di uno specifico autore).

Allo stesso tempo, deve ritenersi impedito alla Commissione di formulare un giudizio negativo del candidato basandosi esclusivamente sul numero e sulla tipologia delle pubblicazioni presentate ai sensi della lett. e), art. 4 del d.m. n. 120/2016.

Siffatta valutazione costituisce un mero dato formale privo di concreta argomentazione critica.

Il Giudice amministrativo, sul punto afferma che anche le review e i case report possono avere una rilevanza scientifica considerevole in ordine al riesame di studi clinici, diagnostici e terapeutici. Come tali meritano di non essere esclusi a priori in quanto contribuiscono a delineare le buone pratiche mediche e le raccomandazioni internazionali che costituiscono per definizione massime norme di diligenza medica (Istituto Superiore di Sanità - Sistema Nazionale Linee Guida. Manuale metodologico. Come produrre, diffondere e aggiornare raccomandazioni per la pratica clinica. Roma, Maggio 2002; AGREE Collaboration. Development and validation of an international appraisal instrument for assessing the quality of clinical practice guidelines: the AGREE project. Qual Saf Health Care 2003;12:18-23; J. MAKARSKI, M.C. BROUWERS, AGREE Enterprise. The AGREE Enterprise: a decade of advancing clinical practice guidelines. Implement Sci 2014;9:103; B.M. KUEHN, IOM sets out “gold standard” practices for creating guidelines, systematic reviews. JAMA 2011;305:1846-8), ancorché in effetti i case report offrono un più ridotto apporto scientifico rispetto la reviewche, se rispettosa dei canoni metodologici per la verifica del risultato, ha una certa utilità e innovatività degna di valutazione. Nel caso di specie, la Commissione ometteva di specificare il minor impatto scientifico dei case report, quali aneddotici privi di rilievo scientifico, omettendo di individuare dalla necessaria casistica rispetto le review, più frequentemente accettate dalla comunità scientifica in quanto frutto di una revisione sistematica. Anche sotto questo profilo, la Commissione avrebbe dovuto esplicitare le modalità di valutazione dell'”originalità” e “innovatività” delle pubblicazioni che sarebbero state prese in considerazione offrendo una correlata “scala di valori” tra le pubblicazioni proposte.

La scienza medica, infatti, non riguarda solo lo stato patologico in sé considerato, ma anche l'esistenza di comorbilità, comordilità, la sperimentazione tecnica nonché l'epidemiologia, l'eziologia e l'analitica clinica.

La Commissione, tuttavia, si limita a riportare un dato di fatto senza fornire una coerente argomentazione circa il merito delle singole pubblicazioni per valutarne la scientificità ovvero l'originalità, l'innovatività, l'importanza, la congruenza e la rilevanza scientifica dell'elaborato. La Commissione illustra in termini del tutto generali la differenza fra reviews, papers, letters e case reports senza alcun riferimento critico e contenutistico alle pubblicazioni del candidato. Nel merito, dunque, anche un contributo che rielabora i lavori altrui non esclude che lo stesso possa essere acquisito come risultato scientifico innovativo proprio in forza di tale attività rielaborativa, che non inficia il presupposto di originalità e rigore metodologico delle pubblicazioni scientifiche ma, semmai, sanziona il metodo di analisi utilizzato dal candidato, non preventivamente definito dalla Commissione in prima istanza. La moderna “medicina di precisione” non può essere confinata all'approfondimento della conoscenza scientifica “settoriale”, ma deve avere un approccio “multidisciplinare” integrato con le altre branche della medicina al fine di garantire l'obiettivo di cura personalizzata, l'esattezza della tecnica dell'atto medico e l'attenzione al paziente. La medicina moderna, quindi, deve tendere allo studio e alla rivalutazione del sapere scientifico anche con riferimento ai problemi e accorgimenti tecnici diagnostici, clinici e terapeutici, ai metodi applicativi (la copiosa giurisprudenza formatasi sull'art. 2236 c.c. afferma la responsabilità del medico ogni qualvolta non sia sufficientemente perito anche con riferimento a nuove tecniche, salvo che il caso non sia stato ancora sperimentato o adeguatamente studiato dalla scienza o perché non ancora dibattuto con riferimento ai metodi terapeutici da eseguire (tra le tante: cfr. Cass. civ. Sez. III Sent., 01/02/2011, n. 2334; Cassazione, Sez. III civile, Sent. 6 ottobre 1997, n. 9705), tra cui non possono escludersi reviews, papers, letters e case reports.), alla gestione organizzativa e, finanche, alla limitazione delle risorse.

Tantomeno, la valutazione del candidato all'abilitazione scientifica nazionale non può trarsi dalla “comparazione tra lavori” degli esaminandi posto che, la procedura di valutazione, per l'ottenimento dell'abilitazione scientifica nazionale, ex d.m. n. 120/2016, non ha carattere comparativo sicché tale profilo motivazionale, non può assumere una autonoma rilevanza, rispetto al giudizio finale, che riguarda il profilo qualitativo del “singolo”.

La sentenza in commento appare rilevante non solo per l'entità delle questioni affrontate:

i) la coerenza con le tematiche del settore concorsuale o con tematiche interdisciplinari ad esso pertinenti;

ii) l'apporto individuale nei lavori in collaborazione;

iii) la qualità della produzione scientifica, valutata all'interno del panorama nazionale e internazionale della ricerca, sulla base dell'originalità, del rigore metodologico e del carattere innovativo;

iv) la collocazione editoriale dei prodotti scientifici presso editori, collane o riviste di rilievo nazionale o internazionale che utilizzino procedure trasparenti di valutazione della qualità del prodotto da pubblicare;

v) il numero e il tipo delle pubblicazioni presentate nonché la continuità della produzione scientifica sotto il profilo temporale;

vi) la rilevanza delle pubblicazioni all'interno del settore concorsuale, tenuto conto delle specifiche caratteristiche dello stesso e dei settori scientifico-disciplinari ricompresi, ma, soprattutto, in quanto sottolinea, che la valutazione non può limitarsi al solo dato numerico e meramente quantitativo, ma deve esporre una considerazione critica di carattere qualitativo soprattutto quando i contributi oggetto di valutazione riguardano materie che interferiscono con altri settori interdisciplinari pertinenti a quello per cui si è candidati (cfr. TAR Lazio, sez. III, sentenza 5 gennaio 2018, n. 111) o riguardano revisioni critiche o rielaborative della scienza medica.

In merito il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione terza bis, con sentenza 9 novembre 2020, n. 12119 ha avuto modo di affermare che un processo a posteriori basato sull'uso di osservazioni o studi originali fatti da altri non può considerarsi semplicemente una parte o un completamento di una produzione scientifica. I lavori di revisione critica possono essere considerati idonei a raggiungere risultati innovativi ed originali con riguardo l'aspetto scientifico. A tal fine, osserva la citata giurisprudenza: “…è assolutista e meramente apodittica l'argomentazione secondo cui la rielaborazione di lavori altrui non comporta di per sé che non possano essere acquisiti in forza di tale attività rielaborativa risultati scientifici innovativi”.

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