Redazione scientifica
11 Maggio 2021

L'errore revocatorio non può riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche e deve avere i caratteri dell'assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti e i documenti di causa.

Il Tribunale di Varese ha rigettato l'opposizione allo stato passivo del fallimento proposta – tra gli altri – da Z.D. che aveva avanzato domanda di accertamento dell'illegittimità del licenziamento collettivo a lui intimato.

Avverso tale pronuncia propose ricorso per Cassazione il soccombente Z., unitamente ad altri lavoratori, ma il ricorso veniva dichiarato inammissibile dalla Corte.

Il solo soccombente Z. ha proposto ricorso per revocazione di tale sentenza, denunciando «erronea presupposizione di un fatto obiettivamente inesistente» e cioè che «in data 19 agosto 2016 non ha avuto luogo alcuna notifica comunicazione a mezzo deposito dei decreti di rigetto del Tribunale di Varese». Si eccepisce la svista percettiva del Collegio che non si sarebbe avveduto che la comunicazione del decreto impugnato «non aveva avuto luogo a mezzo deposito in data 19 agosto 2016, ma a mezzo PEC in data 22/23 agosto 2016» con conseguente piena tempestività del ricorso per Cassazione.

La Corte rigetta il ricorso. Invero, l'ipotesi di revocazione di cui all'art. 395 c.p.c., n. 4, sussiste «se la sentenza è l'effetto di un errore di fatto» il quale deve avere i caratteri dell'assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti e i documenti della causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche. In particolare, secondo il consolidato orientamento della Corte (Cass. civ., n. 22569/2013; Cass. civ., n. 4605/2013; Cass. civ., n.16003/2011) fuoriesce dal travisamento rilevante ogni errore che attinga l'interpretazione del quadro processuale che esso denunziava, in coerenza con una scelta che deve lasciar fermo il valore costituzionale della insindacabilità delle valutazioni di fatto e di diritto della Corte di legittimità. Ne deriva l'impossibilità di ritenere sussumibile il caso di specie nell'ipotesi di revocazione, atteso che la decisione appare radicata tutta sul rilievo che «la comunicazione dell'avvenuto deposito del decreto» incontestabilmente pubblicato il 19 agosto 2016, realizzata tramite PEC all'indirizzo del difensore e «conclusosi con messaggio di mancata comunicazione per risultare piena la predetta casella di posta elettronica» era «da considerare parimenti effettuata ed efficace». Trattasi, dunque, non di errore di fatto, ma di valutazione in diritto che non può essere certo sindacata in sede di revocazione.

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