Revoca della patente di guida e giudicato penale: il velo che cade

17 Maggio 2021

È costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 3 Cost., l'art. 30, comma 4, l. n. 87/1953 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), in quanto interpretato nel senso che la disposizione non si applica in relazione alla sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida, disposta con sentenza irrevocabile ai sensi dell'art. 222, comma 2, d.lgs. n. 285/1992 (Nuovo codice della strada)...
Massima

È costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 3 Cost., l'art. 30, comma 4, l.n. 87/1953 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), in quanto interpretato nel senso che la disposizione non si applica in relazione alla sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida, disposta con sentenza irrevocabile ai sensi dell'art. 222, comma 2, d.lgs. n. 285/1992 (Nuovo codice della strada).

Il caso

Con ordinanza del 4.02.2020, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 30, comma 4, l.n. 87/1953, in relazione agli artt. 3, 25, comma 2, 35, 41, 117 c. 1 – quest'ultimo in relazione agli artt. 6 e 7 CEDU – e 136 Cost., “nella parte in cui - nello stabilire che «quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali» - non estende tale disposizione anche alle «sanzioni amministrative che assumano natura sostanzialmente penale ai sensi della Convenzione EDU»”.

In particolare, secondo il rimettente la disposizione censurata violerebbe l'art. 136 Cost., secondo cui la norma dichiarata costituzionalmente illegittima “cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”: il perdurare degli effetti della sanzione amministrativa, applicata con sentenza passata in giudicato ma dichiarata successivamente illegittima, si porrebbe in contrasto con tale principio, non potendosi considerare il rapporto esaurito fin tanto che la sanzione è in corso di esecuzione.

Secondo il rimettente, inoltre, sarebbe leso, altresì, l'art. 3 Cost., per contrasto con il principio di eguaglianza, poiché, mentre per la sanzione penale la norma censurata consente di eliminare, per quanto possibile, qualsiasi discriminazione tra i soggetti condannati in via definitiva prima della sentenza della Corte costituzionale e quelli il cui comportamento sia ancora sub judice, altrettanto non avverrebbe per la sanzione amministrativa. Secondo il rimettente, l'impossibilità di rimuovere la sanzione amministrativa colpita dalla declaratoria di illegittimità costituzionale comporterebbe un'indebita limitazione di diritti di rango costituzionale del condannato, quali la libertà d'iniziativa economica (art. 41 Cost.) e il diritto al lavoro (art. 35 Cost.). Il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, osserva il giudice a quo, non può costituire un valido limite all'operatività della declaratoria di illegittimità costituzionale, non potendo l'esigenza di certezza dei rapporti giuridici prevalere sulla tutela dei diritti costituzionali della persona.

Ancora, nell'ordinanza viene ipotizzato anche il contrasto con l'art. 117, comma 1, Cost., in relazione agli artt. 6 e 7 CEDU: l'esecuzione di una sanzione dichiarata costituzionalmente illegittima, difatti, si porrebbe in contrasto con il principio di legalità penale sancito dalle norme convenzionali, da ritenersi applicabile anche alle sanzioni amministrative aventi natura sostanzialmente penale secondo i criteri elaborati dalla Corte EDU. Parallelamente, la norma censurata si porrebbe in contrasto, da ultimo, con l'art. 25, comma 2, Cost., “in quanto l'impossibilità di rimodulare la sanzione amministrativa "sostanzialmente penale", inflitta sulla base di una norma espunta dall'ordinamento perché incostituzionale, vulnererebbe il principio di legalità dei reati e delle pene”.

La Corte costituzionale, accogliendo la questione sollevata dal rimettente, sotto il profilo della lesione del principio di uguaglianza, ha quindi dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 30, comma 4, l. n. 87/1953, “in quanto interpretato nel senso che la disposizione non si applica in relazione alla sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida, disposta con sentenza irrevocabile ai sensi dell'art. 222, comma 2, d.lgs. n. 285/1992 (Nuovo codice della strada)”.

La questione

È possibile per il giudice dell'esecuzione revocare, ai sensi dell'art. 30, comma 4, l. n. 87/1953, l'applicazione della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida disposta, ai sensi dell'art. 222 d.lgs. n. 285/1992, in una sentenza passata in giudicato precedentemente alla declaratoria di illegittimità costituzionale della predetta norma ad opera della sentenza Corte Cost., n. 88/2019?

Le soluzioni giuridiche

La questione sottoposta all'attenzione della Corte costituzionale appare una inevitabile conseguenza di quanto dalla stessa stabilito nella precedente sentenza n. 88/2019, con la quale aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 222, comma 2, quarto periodo, d.lgs. n. 285/1992, nella parte in cui non prevedeva che, in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti per i reati di cui agli artt. 589-bis e 590-bis c.p., il giudice non potesse disporre la sospensione della patente di guida, in alternativa alla revoca della stessa, qualora non fossero state integrate le circostanze aggravanti previste dai commi secondo e terzo dei predetti articoli. Ad avviso della Corte, infatti, l'automatismo sanzionatorio previsto dall'art. 222 d.lgs. 281/1992 può applicarsi solo per le ipotesi più gravi di omicidio e lesioni personali stradali, ossia quelle connesse alla conduzione di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica grave o sotto l'effetto di sostanze stupefacenti. Viceversa, nelle ipotesi meno gravi descritte dalle due norme, la revoca automatica della patente, secondo la Corte, è irragionevole, in quanto non consente una graduazione della risposta sanzionatoria rispetto alle peculiarità del caso concreto.

Orbene, dichiarata l'illegittimità costituzionale di tale norma, ci si è conseguentemente chiesti quale dovesse essere la sorte delle revoche già disposte con sentenze passate in giudicato per i reati di omicidio e lesioni personali stradali non aggravati.

Come noto, la Corte di Cassazione, analizzando gli effetti in executivis delle declaratorie di incostituzionalità che colpiscono norme relative al trattamento sanzionatorio, ha affermato che in tali ipotesi deve applicarsi l'art. 30, comma 4, l. n. 87/1953, il quale dispone che “quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali”. La Corte ha invece escluso che in tali ipotesi sia applicabile l'art. 673 c.p.p., il quale, diversamente dalla suddetta disposizione, si limita a prevedere la revoca della sentenza di condanna nel caso in cui sopraggiunga una declaratoria di illegittimità costituzionale della sola fattispecie incriminatrice, e non anche della norma contenente la sanzione penale (cfr. Cass. pen., Sez.Un., 24 ottobre 2013-7 maggio 2014, n. 18821). Difatti, come precisato dalla Consulta nella pronuncia in esame, per effetto di una terna di pronunce delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (cfr. Cass. pen., Sez.Un., 24 ottobre 2013-7 maggio 2014, n. 18821; Cass. pen., Sez. Un. 29 maggio 2014-14 ottobre 2014, n. 42858; Cass. pen., Sez.Un.26 febbraio 2015-15 settembre 2015, n. 37107), è venuta a consolidarsi un'interpretazione ampia dell'art. 30, comma 4,l.n. 87/1953, che ne riconosce l'applicabilità “non solo alla pronuncia che rimuova, in tutto o in parte, la norma incriminatrice, producendo un'abolitio criminis, ma anche a quella che si limiti ad incidere (in senso mitigativo) sul trattamento sanzionatorio (ad esempio, eliminando una circostanza aggravante o rimodulando la cornice edittale)”. Secondo tale impostazione, dunque, nell'ipotesi di dichiarazione di illegittimità costituzionale di una sanzione penale, il condannato in via definitiva può ottenere la sostituzione della pena inflittagli con quella conforme a Costituzione tramite lo strumento dell'incidente di esecuzione.

La Consulta ha però evidenziato che nel caso sottoposto alla sua attenzione viene in rilievo un ulteriore e distinto problema: quello dell'estensione dell'art. 30, comma 4, l. n. 87/1953 non già ad una sanzione penale bensì ad una sanzione amministrativa, quale quella della revoca della patente di guida.

Per rispondere a tale quesito, la Corte ha innanzitutto evidenziato come la recente giurisprudenza di legittimità, proprio nell'ambito di pronunce aventi ad oggetto identica questione, avesse già implicitamente riconosciuto l'applicabilità dell'art. 30, comma 4, citato anche alle ipotesi di sanzioni amministrative “sostanzialmente penali” (cfr. Cass. pen., sez. I, 14 novembre 2019-17 gennaio 2020, n. 1804; Cass. pen., sez. f., 20 agosto 2020 – 24 agosto 2020, n. 24023; Cass. pen., sez. I, 3 marzo 2020-10 giugno 2020, n. 17834; Cass. pen., sez.I, 20 febbraio-9 giugno 2020, n. 17508; Cass. pen., sez. I, 20 febbraio 2020-9 giugno 2020, n. 17506; Cass. pen., sez. I, 26 febbraio 2020-30 aprile 2020, n. 13451). La Corte di Cassazione, invero, nell'esprimersi in merito alla legittimazione del giudice dell'esecuzione a modificare la sentenza irrevocabile di condanna relativa alla revoca della patente, ha affermato in diverse pronunce che la questione si sarebbe dovuta risolvere verificando se tale sanzione potesse considerarsi un “effetto penale” della sentenza di condanna. In altre parole, cioè, secondo i Giudici di legittimità la norma che consente la revisione del giudicato di condanna a pena divenuta costituzionalmente illegittima avrebbe potuto estendersi alle sanzioni formalmente amministrative ma “sostanzialmente” penali in ossequio ai principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte EDU con la nota sentenza Engel e altri c. Paesi Bassi dell'8 giugno 1976, mentre non avrebbe potuto trovato applicazione nei confronti delle sanzioni amministrative accessorie prive di tale sostanza penalistica secondo i parametri diagnostici elaborati dai Giudici di Strasburgo.

A ben vedere, dunque, la problematica assume così contorni più chiari: solo se la revoca della patente di guida prevista dall'art. 222d.lgs. n. 285/1992 può essere qualificata come sanzione (formalmente amministrativa ma) sostanzialmente penale, allora le sentenze divenute irrevocabili precedentemente alla pronuncia n. 88/2019 della Corte costituzionale sarebbero modificabili dal giudice dell'esecuzione, sostituendo la revoca della patente con la sospensione della stessa.

Appare a questo punto opportuno ricordare che, secondo i criteri Engel elaborati dalla Corte di Strasburgo, sono da qualificarsi come sanzioni formalmente amministrative ma sostanzialmente penali tutte quelle sanzioni che, a prescindere dalla qualificazione interna, sono rivolte alla generalità dei consociati, perseguono uno scopo non meramente risarcitorio, ma repressivo e preventivo, e hanno una connotazione marcatamente afflittiva, caratterizzandosi per un elevato grado di severità.

Orbene, come già avevamo rilevato (Trinci, La conversione della revoca della patente di guida in sospensione della stessa dopo la sentenza della Consulta n. 88 del 2019, in Il Penalista, 4 marzo 2020), applicando tali criteri alle sanzioni della revoca e della sospensione della patente di guida, appare difficile negare che esse abbiano effettivamente una funzione preventiva, in quanto, impedendo la conduzione di veicoli per un lasso di tempo tendenzialmente variabile, hanno lo scopo di impedire la reiterazione di condotte illecite analoghe a quelle oggetto di condanna e di tutelare un interesse pubblico – la sicurezza degli utenti della strada – che può concorrere con quello oggetto della sanzione penale. Evidente è anche l'elevato grado di afflittività di tali sanzioni, in quanto, impedendo la circolazione stradale, incidono su libertà costituzionalmente garantite e possono avere gravi ripercussioni sulla vita lavorativa e di relazione di una persona.

In senso opposto, però, si è posta la giurisprudenza di legittimità, che ha escluso la natura sostanzialmente penale della revoca della patente di guida affermando che, nonostante la “ineliminabile componente afflittiva correlata all'effetto inibitorio allo svolgimento di una attività”, l'etichetta di “sanzione penale” non potrebbe essere apposta alla sanzione in esame in ragione della “prevalente finalità preventiva” e della “temporaneità del divieto di conseguire nuovo titolo. In particolare, si è evidenziato come la stessa Corte costituzionale, nella citata sentenza del 2019, avesse sempre definito la revoca quale “sanzione amministrativa accessoria”, per cui non vi sarebbe stata “alcuna 'attrazione' in ambito penale del tema della revoca della patente di guida - in detta decisione - quanto l'applicazione di un canone di ragionevolezza (art. 3 Cost.), con attribuzione al giudice della cognizione di una facoltà di scelta (tra sospensione e revoca) nelle ipotesi non aggravate” (Cfr. Cass. pen., sez. I, 14 novembre 2019-17 gennaio 2020, n. 1804). Inoltre, la stessa Corte ha affermato che la revoca della patente non è stata concepita dal legislatore quale misura punitiva nei confronti del soggetto condannato, bensì quale misura inibitoria “correlata all'avvenuta manifestazione di pericolosità del soggetto autore dell'illecito penale dunque essenzialmente quale misura di prevenzione, atteso che la inibizione alla guida assicura la collettività dalla possibile reiterazione del comportamento pericoloso, con estraneità funzionale agli aspetti meramente afflittivi della pena”. La funzione preventiva della revoca sarebbe poi confermata dalla temporaneità dell'inibizione imposta dal legislatore, considerato che, nell'ipotesi ordinaria, dopo cinque anni è possibile ottenere la nuova patente di guida, ai sensi dell'art. 222, comma 3-ter, d.lgs. n. 285/1992 (Cfr. Cass. pen., sez. I, 14 novembre 2019-17 gennaio 2020, n. 1804; Cass. pen., sez. f., 20 agosto 2020-24 agosto 2020, n. 24023; Cass. pen., sez. I, 26 febbraio 2020-30 aprile 2020, n. 13451).

Così definito l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, il giudice a quo, ritenendo evidentemente di non poter operare un'interpretazione costituzionalmente orientata di una disposizione che il diritto vivente legge in senso contrario, ha ritenuto opportuno sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 30, comma 4, l. n. 87/1953, poiché, non potendosi applicare ad una sanzione amministrativa dichiarata incostituzionale, la predetta norma si porrebbe in contrasto con i principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale di cui agli artt. 3, 25, comma 2, 35, 41, 117, comma 1 – quest'ultimo in relazione agli artt. 6 e 7 CEDU – e 136 Cost.

La Corte costituzionale ha tuttavia affrontato il quesito posto dal giudice a quo sotto una diversa angolazione, nel senso che non ha ritenuto necessario verificare la legittimità costituzionale dell'esclusione delle sanzioni amministrative dall'ambito di applicabilità dell'art. 30, comma 4,l.n. 87/1953, ritenendo piuttosto di doversi soffermare sulla natura della revoca della patente, la quale, se qualificabile come “pena sostanziale”, rientrerebbe certamente nell'ambito di applicazione dell'art. 30, comma 4, l. n. 87/1953.

Per risolvere tale questione, la Corte ha quindi richiamato la giurisprudenza della Corte EDU sulla natura penale di sanzioni quali il ritiro e la sospensione della patente o il divieto di condurre veicoli a motore disposte in conseguenza di violazioni delle normative sulla circolazione stradale. Dall'analisi delle pronunce della Corte di Strasburgo emerge un orientamento sostanzialmente univoco, alla luce del quale le misure in esame, a prescindere dalla loro configurazione nel diritto interno come misure amministrative finalizzate a preservare la sicurezza stradale, assumono connotazioni convenzionalmente penaliquando l'inibizione alla guida si protragga per un lasso di tempo significativo, tanto più, poi, ove la loro applicazione consegua a una condanna penale […]: venendo, in tal caso, le misure stesse ad assumere, per il loro grado di severità, un carattere punitivo e dissuasivo” (Cfr. Corte EDU, sent., 4 gennaio 2017, Rivard c. Svizzera; Corte EDU, sent., 17 febbraio 2015, Boman c. Finlandia; Corte EDU, sent., 13 dicembre 2005, Nilsson c. Svezia; Corte EDU, sent., 21 settembre 2006, Maszni c. Romania). La Corte di Strasburgo ha difatti qualificato come sanzione sostanzialmente penale anche il ritiro della patente per la durata di diciotto mesi (Corte EDU, 13 dicembre 2005, cit.), e persino la decurtazione dei punti della patente, poiché idonea in concreto a determinare la perdita della patente stessa. Secondo i Giudici sovranazionali, è “incontestabile che il diritto di condurre un veicolo a motore si rivela di grande utilità per la vita corrente e l'esercizio di una attività professionale”, di modo che “anche se la misura è considerata dal diritto interno comune come una misura amministrativa preventiva non appartenente alla materia penale, è giocoforza constatare il suo carattere punitivo e dissuasivo”(cfr. Corte EDU, sent., 5 ottobre 2017, Varadinov c. Bulgaria; Corte EDU, sent., 23 settembre 1998, Malige c. Francia; Corte EDU, sent., 6 ottobre 2011, Wagner c. Lussemburgo).

Spostando l'attenzione verso una prospettiva interna, la Corte ha evidenziato come le stesse Sezioni Unite – sotto la vigenza del precedente codice della strada che prevedeva una misura di identico contenuto ma senza definirla quale sanzione amministrativa – avessero qualificato la revoca e la sospensione della patente di guida quali “pene accessorie”, analoghe all'interdizione e alla sospensione dall'esercizio di una professione o di un'arte: ciò in quanto essa “comprimendo con inevitabile danno economico la libertà di circolazione - tanto sentita da questa società - e reprimendo nella maniera più acconcia lo scorretto esercizio di essa, [costituisce], in materia, mezzo di prevenzione speciale idoneo ed efficace, più della stessa pena principale, cui aggiunge forza intimidatrice” (cfr. Cass. pen., Sez. Un., 19 dicembre 1990-12 febbraio 1991, n. 2246).

Sulla base di tali considerazioni, la Corte ha quindi affermato che non èpossibile negare che la revoca della patente, disposta dal giudice penale con la sentenza di condanna o di patteggiamento della pena per i reati di cui agli artt. 589-bis e 590-bis c.p., abbia connotazioni sostanzialmente punitive “sia pur non disgiunte da finalità di tutela degli interessi coinvolti dalla circolazione dei veicoli a motore, secondo uno schema tipico delle misure sanzionatorie consistenti nell'interdizione di una determinata attività”. Difatti, la stessa ha evidenziato come il divieto di condurre veicoli a motore per cinque anni possa di fatto rappresentare “una sanzione, in concreto, più temibile della stessa pena principale di un anno e sei mesi di reclusione, condizionalmente sospesa, […] inflitta per il reato commesso”.

Riconosciuta dunque la natura di sanzione sostanzialmente penale della revoca della patente, la Corte ha poi precisato che non è condivisibile l'argomento in base al quale non sarebbe comunque applicabile l'art. 30, comma 4, l. n. 87/1953 alle ipotesi di sentenze applicative di tale sanzione passate in giudicato, poiché tale norma ha come presupposto una sanzione ancora in corso di esecuzione. Secondo tale interpretazione, infatti, l'esecuzione della revoca della patente si risolverebbe e si esaurirebbe nel provvedimento prefettizio di rimozione del titolo abilitativo alla guida, mentre le disposizioni di cui all'art. 222, commi 3-bis e 3-ter, d.lgs. n. 285/1992, che stabiliscono i termini per il conseguimento di una nuova patente dopo la revoca, riguarderebbero la disciplina amministrativa di settore e, dunque, resterebbero estranee alla sfera della giurisdizione penale. Secondo la Corte, invece, questa componente inibitoria fa pienamente parte del contenuto della sanzione, rappresentandone un aspetto qualificante: difatti, se dopo la rimozione del titolo abilitativo alla guida il condannato potesse conseguirne uno nuovo subito dopo, la revoca non avrebbe alcuna utilità, anzi risulterebbe essere di fatto una sanzione più lieve della sospensione della patente (la quale non comporta la rimozione del titolo ma inibisce la guida per tutta la sua durata). Appare dunque evidente che la sanzione della revoca deve considerarsi in corso di esecuzione fin quando è pendente il termine per il conseguimento di un nuovo titolo abilitativo.

La Corte ha quindi dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 30, comma 4, l. n. 87/1953 ritenendolo in contrasto con l'art. 3 Cost., in quanto interpretato, come vuole la consolidata giurisprudenza di legittimità, nel senso di escluderne l'applicabilità in relazione alla sanzione della revoca della patente di guida, disposta con sentenza irrevocabile ai sensi dell'art. 222, comma 2, d.lgs. n. 285/1992. Si è, infatti, affermato che “non appare […] costituzionalmente tollerabile che taluno debba rimanere soggetto per cinque anni, anziché per un periodo di tempo nettamente minore, ad una sanzione inibitoria della guida di veicoli a motore - con tutte le limitazioni che ciò comporta nella vita contemporanea, compresa, nel caso di specie, l'impossibilità di svolgere la propria attività lavorativa - inflittagli sulla base di una norma che, all'indomani del passaggio in giudicato della sentenza di condanna, è stata riconosciuta contrastante con la Costituzione. Ciò, quando invece il condannato a una, anche modesta, pena pecuniaria potrebbe giovarsi, finché non è eseguita, della sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale che ne mitighi l'importo”.

Unico limite invalicabile rimane, dunque, quello costituito dai “rapporti esauriti”, cioè dalle ipotesi in cui la sanzione della revoca sia stata già integralmente eseguita. Come si è correttamente osservato, difatti, la certezza dei rapporti giuridici esauriti non è stata travolta dall'affermazione della garanzia della legalità costituzionale della pena (Scoletta, La revocabilità della sanzione amministrativa illegittima e il principio di legalità costituzionale della pena, in Sist. pen., 20 aprile 2021), e rimane, anche nel settore del diritto amministrativo punitivo, un limite invalicabile alla revisione del giudicato di condanna.

Osservazioni

La posizione della Corte costituzionale è senza dubbio condivisibile, soprattutto alla luce del quadro giurisprudenziale di riferimento. Occorre ricordare, difatti, che i criteri Engel sono stati elaborati dalla Corte di Strasburgo proprio per superare le classificazioni interne degli ordinamenti ed evitare una “truffa delle etichette” da parte dello Stato contraente, il quale potrebbe impedire l'applicazione delle garanzie convenzionali previste in materia penale attraverso la semplice qualificazione delle sanzioni come amministrative, come accaduto con la revoca della patente di guida. Come osservato anche dalla Corte, infatti, l'unico elemento di novità rispetto alla disciplina prevista dal previgente codice della strada è da individuarsi nella qualificazione legislativa della revoca come “sanzione amministrativa accessoria”. È quindi innegabile che il grado di afflittività della sanzione sia rimasto immutato rispetto al previgente testo normativo. Conseguentemente, può evidenziarsi come la giurisprudenza di legittimità, non riconoscendo la natura di sanzione sostanzialmente penale della revoca della patente e ponendosi in contraddizione con le posizioni espresse dalla stessa Corte sotto la vigenza del vecchio codice della strada, avesse di fatto mancato di svelare l'intento elusivo del legislatore, volto a sottrarre tale sanzione al complesso delle garanzie previste in materia penale.

Così riqualificata la revoca della patente di guida, ci si chiede allora quali saranno le ulteriori ricadute sul piano applicativo della pronuncia in esame.

Come osservato dai primi commentatori (Scoletta, La revocabilità, cit.), non è chiaro, ad esempio, se nelle ipotesi in cui la revoca della patente fosse stata applicata a seguito del solo procedimento amministrativo e non avesse ancora esaurito i propri effetti possa essere sostituita con la sospensione della stessa, considerato che in tal caso non si avrebbe alcuna “sentenza irrevocabile di condanna” ai sensi dell'art. 30, comma 4, l. n. 87/1953, né un controllo giurisdizionale sulla fase esecutiva della sanzione in cui sia possibile incardinare la richiesta di revoca.

Appare inoltre inevitabile chiedersi se le garanzie poste in materia penale dagli artt. 6 (giusto processo) e 7 (principio di legalità) CEDU dovranno applicarsi nell'ambito del procedimento amministrativo di applicazione della revoca della patente svolto dinnanzi all'autorità prefettizia. Il quesito si pone anche con riferimento ai casi di proscioglimento per estinzione del reato (ad esempio per maturazione del termine di prescrizione o per esito positivo della messa alla prova), al quale segue la trasmissione degli atti al prefetto ai fini dell'applicazione della revoca della patente (ad eccezione dell'ipotesi di estinzione del reato per morte del reo, che impedisce anche l'applicazione della sanzione amministrativa) ai sensi dell'art. 224, comma 3, d.lgs. n. 285/1992. In questi casi, infatti, mancando un accertamento in sede penale, ci si chiede se il prefetto dovrà necessariamente effettuare un accertamento dei presupposti di applicazione della sanzione conferme alle garanzie previste dall'ordinamento in materia penale.

Anche in sede penale occorre verificare la conformità convenzionale delle ipotesi di applicazione della sanzione amministrativa. La questione appare facilmente superabile nel caso in cui l'adozione del provvedimento amministrativo segua ad una pronuncia del giudice che contenga un accertamento effettivo della responsabilità penale del condannato, come avviene nelle ipotesi di sentenza di condanna emessa a seguito di giudizio dibattimentale o abbreviato. Il problema, invece, potrebbe porsi nelle ipotesi di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell'art. 444 c.p.p., che non richiede un effettivo accertamento della responsabilità del condannato ma solo un giudizio di esclusione delle ipotesi di immediato proscioglimento ex art. 129 c.p.p. Tuttavia, la questione non dovrebbe porsi, poiché se l'assenza di un pieno accertamento della responsabilità del reo non osta all'applicazione della sanzione penale principale, non si vede per quale motivo dovrebbe impedire l'applicazione di una sanzione accessoria (a meno di non voler porre in discussione la compatibilità convenzionale dell'istituto del patteggiamento). I dubbi, invece, permangono con riguardo ai casi di estinzione del reato (diversi dalla morte del reo) e al successivo procedimento attivato dinnanzi all'autorità prefettizia.

Questa brevissima rassegna di dubbi rende evidente come la sentenza in commento sia destinata ad aprire uno scenario in evoluzione che sarà necessariamente foriero di ulteriori dubbi interpretativi che presto si presenteranno all'attenzione della Suprema Corte e, forse, della stessa Corte costituzionale, se non anche della Corte EDU.

Guida all'approfondimento

BALZANI-TRINCI, Diritto penale della circolazione stradale, Milano, 2021, in corso di pubblicazione;

TRINCI, La conversione della revoca della patente di guida in sospensione della stessa dopo la sentenza della Consulta n. 88 del 2019, in Il Penalista, 4 marzo 2020;

TRINCI, Compendio di diritto penale. Parte generale, Roma, 2020.

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