Concorso nel reato tributario del consulente fiscale

Francesco Rubino
17 Maggio 2021

In tema di concorso del consulente fiscale con il titolare della società nella commissione di reati tributari, la Corte di Cassazione ha chiarito che è necessario un contributo del professionista concreto, consapevole, seriale e ripetitivo e che lo stesso abbia coscientemente ispirato la frode, anche se di questa ne abbia beneficiato il solo cliente...
Massima

In tema di concorso del consulente fiscale con il titolare della società nella commissione di reati tributari, la Corte di Cassazione ha chiarito che è necessario un contributo del professionista concreto, consapevole, seriale e ripetitivo e che lo stesso abbia coscientemente ispirato la frode, anche se di questa ne abbia beneficiato il solo cliente.

Inoltre, la Corte di Cassazione ha chiarito che “il contributo causale del concorrente può manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa non solo in caso di concorso morale ma anche in caso di concorso materiale, fermo restando l'obbligo del giudice di merito di dimostrare l'esistenza di una reale partecipazione e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dai concorrenti”.

Il caso

Il Tribunale di Roma, in funzione di giudice del riesame, confermava il decreto di sequestro preventivo emesso dal G.I.P. del medesimo Tribunale finalizzato alla confisca per equivalente ex art. 12-bis d.lgs. n. 74/2000 di denaro e beni immobili emesso nell'ambito di un procedimento penale e disposto nei confronti, tra gli altri, del consulente fiscale di due società in concorso con il titolare delle stesse.

I reati tributari contestati erano l'omessa presentazione della dichiarazione annuale IVA (art. 5 d.lgs. n. 74/2000), la distruzione ovvero occultamento delle scritture contabili e degli altri documenti di cui é obbligatoria la conservazione in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi e del volume di affari (art. 10 d.lgs. n. 74/2000), l'utilizzo di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti (art. 2 D.lgs. n. 74 del 2000), l'emissione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti (art. 8 d.lgs. n. 74/2000).

Il decreto di sequestro preventivo eseguito concerneva beni degli indagati per un importo complessivo di € 750.626,69 e, nello specifico, nei confronti del consulente fiscale si trattava di somme di denaro consistenti in saldi attivi di conti correnti detenuti presso diverse banche e quote di immobili dalla stessa posseduti.

Con sentenza n. 36461/2019, la Terza Sezione della Corte di Cassazione annullava l'ordinanza con rinvio al Tribunale del riesame di Roma per nuovo esame e con ordinanza del 20.09.2019, il Tribunale del riesame, in sede di giudizio di rinvio, confermava il provvedimento impugnato.

La questione

La questione giuridica sottesa al caso di specie riguarda la possibilità di contestare i reati tributari commessi da un imprenditore anche al consulente fiscale.

In particolare, al fine di affrontare il tema dell'imputabilità al professionista di reati commessi dall'operatore economico in concorso con lo stesso, occorre analizzare compiutamente la posizione del consulente fiscale in modo da individuare se sussistono elementi chiari e univoci circa una partecipazione attiva dello stesso al reato.

Ed invero, il consulente fiscale ricorreva in Cassazione impugnando la pronuncia emessa dal Tribunale del riesame in sede di giudizio di rinvio attraverso due motivi di impugnazione.

Da un lato si deduceva che il Tribunale del riesame aveva eluso le questioni diritto decise con la pronunzia rescindente, non illustrando il ruolo svolto dal consulente nella realizzazione dei reati tributari e non rispettando il principio di diritto secondo cui, per la configurabilità del concorso ex art. 110 c.p. del consulente fiscale, occorre un contributo concreto, seriale e ripetitivo e che il professionista sia stato il consapevole e cosciente ispiratore della frode, anche se di questa ne abbia beneficiato il solo cliente.

In particolare, si lamentava che il Tribunale del riesame non aveva indicato il reale comportamento concorrente del consulente in relazione ai reati contestati.

Dall'altro precisava ulteriormente che il Tribunale del riesame non avrebbe dovuto esaminare la sola astratta configurabilità dei reati, bensì tutte le risultanze processuali influenti sulla configurabilità del fumus commissi delicti.

In particolare, i giudici di merito non avevano individuato, secondo la difesa, gli elementi dimostrativi in concreto di un contributo concorsuale consapevole del ricorrente, configurando apoditticamente la sua responsabilità solo in base allo svolgimento delle attività fiscali per le due predette società.

Le soluzioni giuridiche

La decisione dei giudici di legittimità - che hanno dichiarato il ricorso infondato - chiarisce innanzitutto i limiti dell'impugnabilità in Cassazione delle ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo precisando che lo stesso è ammesso solo per violazione di legge, dovendosi ricomprendere in tale nozione sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento, o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice.

Quanto, invece, alla delimitazione dell'onere motivazionale del giudice in materia di provvedimenti cautelari reali, si è chiarito che il giudice deve esplicitare, anche eventualmenteper relationem, le ragioni per le quali ritiene di poter attribuire, al compendio indiziario, un significato coerente alla integrazione dei presupposti normativi per l'adozione della misura cautelare.

Tale precisazione si è resa necessaria atteso che la terza sezione della Corte di cassazione nel 2019 aveva annullato la precedente ordinanza con rinvio al Tribunale del riesame di Roma per nuovo esame, avendo riscontrato una carenza argomentativa relativamente all'ascrivibilità all'indagata dei reati tributari e che l'imputata contestava anche in tale sede la carenza argomentativa già emersa in precedenza.

Spettava quindi alla Corte di Cassazione chiarire se il Tribunale del riesame, in sede di giudizio di rinvio - confermando nuovamente il decreto di sequestro preventivo emesso dal G.I.P. - aveva esplicitato le ragioni per le quali riteneva di dover attribuire, al compendio indiziario, un significato coerente con i presupposti normativi richiesti per l'applicazione del sequestro preventivo.

In particolare, tra gli elementi utilizzati dal Tribunale del riesame per fondare tale convincimento vi era il fatto che il consulente, in base alle ricostruzioni fornite dai dipendenti, aveva di fatto svolto il ruolo di consulente fiscale e contabile. I dipendenti ricordavano di averlo visto presso gli uffici della società e di avergli consegnato svariate volte i documenti della società su incarico del titolare della stessa. Inoltre alcuni dipendenti lo indicavano come destinatario delle fatture della società.

Nel ritenere che nella decisione impugnata non vi era alcuna carenza argomentativa, la Corte di Cassazione ha ritenuto esauriente e dettagliata l'illustrazione delle ragioni per cui il consulente fiscale è stato ritenuto responsabile (seppure in sede cautelare) in concorso con il titolare dell'impresa per i reati tributari contestati.

Si è chiarito che il contributo causale del concorrente può manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa, non solo in caso di concorso morale ma anche in caso di concorso materiale e che “nel rispetto del suesposto principio, il giudice del gravame ha chiarito gli elementi documentali e testimoniali, sulla base dei quali ha ritenuto la M. a conoscenza della situazione patrimoniale delle predette società, dei collegamenti tra le stesse, del nominativo dell'effettivo titolare, del nominativo del prestanome e dei nominativi dei dipendenti, ha descritto la tipologia dei contributi apportati alla realizzazione degli illeciti tributari, tra i quali le operazioni fiscali da lei eseguite, il suo pieno coinvolgimento nella vita di tutte le società collegate al F., la sua posizione di soggetto di riferimento per lavoratori e terzi, le attività materiali di consegna e di ricezione di documentazioni rilevanti per le società”.

Osservazioni

Tale pronuncia, in modo assolutamente conforme a quanto precedentemente statuito dalla giurisprudenza di legittimità nell'ambito di vicende che interessavano consulenti fiscali, chiarisce il perimetro entro cui è possibile ipotizzare un concorso del professionista limitando la possibilità di muovere allo stesso contestazioni penali.

La pronuncia in esame restringe correttamente la portata della responsabilità ai soli casi di contributo concreto, consapevole, seriale e ripetitivo del professionista e richiede al giudice di motivare compiutamente e tramite elementi di fatto le ragioni per cui ritiene integrato tale coinvolgimento, escludendo il ricorso a motivazioni solo astratte o apparenti.

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