Limiti alla trasformazione del tetto comune in terrazza esclusiva da parte del proprietario dell'unità immobiliare sottostante

24 Maggio 2021

Il Supremo Collegio si è occupato di una fattispecie abbastanza frequente nella realtà condominiale, riguardante l'iniziativa, da parte del proprietario dell'unità immobiliare sottostante al tetto comune del fabbricato, volta a trasformare tale tetto in terrazza esclusiva, al fine di aggiungere uno spazio all'aperto al suo appartamento ed aumentare la luminosità della stanza situata nel sottotetto; anche se i principi espressi vanno “calati” alla fattispecie concreta sottoposta all'esame dei giudici di legittimità - il che ha, talvolta, dato luogo a verdetti contrastanti sulla liceità della stessa iniziativa - la pronuncia in commento contiene, comunque, opportune precisazioni sia con riferimento al rifacimento dell'edificio in caso di perimento parziale, sia in ordine alla corretta perimetrazione dell'ordine giudiziale di ripristino dello stato dei luoghi.
Massima

Il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune dell'edificio, può trasformarlo in terrazza di proprio uso esclusivo, sempre che un tale intervento dia luogo a modifiche non significative della consistenza del bene in rapporto alla sua estensione e sia attuato con tecniche costruttive tali da non affievolire la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente, quali la coibentazione termica e la protezione del piano di calpestio di una terrazza mediante idonei materiali.

Il caso

A conclusione del giudizio di primo grado - per quel che qui interessa - il Tribunale aveva accolto la domanda proposta dal Condominio, condannando i condomini convenuti, proprietari delle aree sottotetto poste all'ultimo piano del fabbricato, trasformate in mansarde con modifica dell'originaria sagoma del tetto condominiale, a ricostruire per intero le falde del medesimo tetto, anche in corrispondenza dei tre terrazzi realizzati, nonché a sostituire le tegole utilizzate, rigettando la domanda riconvenzionale, spiegata dei convenuti, diretta al rimborso delle spese sostenute per il consolidamento e la ricopertura del tetto de quo.

La Corte d'Appello, rigettando l'appello dei condomini: a) innanzitutto, aveva ritenuto, data per incontestata la circostanza che il tetto dell'edificio fosse interamente a falde, che, a seguito dell'intervento ricostruttivo del tetto crollato, i suddetti condomini avessero lasciato scoperte alcune zone dello stesso per annetterne l'utilizzo a vantaggio dei loro sottotetti, così modificando la conformazione della copertura e provocando una “innovazione del tetto”; c) inoltre, aveva ravvisato l'obbligo degli appellanti di “rifare il tetto in corrispondenza dei tre terrazzini”, spiegando, altrimenti, che, seppur i condomini non erano obbligati a rifare il tetto a loro cura e spese, avrebbero, però, dovuto munirsi dell'autorizzazione assembleare per trasformare lo stesso nei tre terrazzini, riconducendo “la sagoma del tetto alla sua originaria conformazione”; c) infine, aveva considerato antiestetica, aderendo alle conclusioni del CTU, l'apposizione di “tegole marsigliesi”, pregiudizievoli per il decoro architettonico dell'edificio, ordinando la sostituzione con tegole del tipo “piani e contropiani”.

La questione

Le questioni da risolvere erano, in realtà, più di una.

Innanzitutto, si trattava di verificare se fosse stato violato il disposto dell'art. 1102 c.c., atteso che - ad avviso dei condomini soccombenti - prima ancora dell'esecuzione delle opere de quibus, il tetto dell'edificio condominiale era andato totalmente distrutto, il che avrebbe indotto a negare l'operatività della suddetta norma: avendo i ricorrenti proceduto a loro cura e spese alla parziale ricostruzione del tetto precedentemente crollato, essi non potevano intendersi obbligati a ricostruirlo per l'intero.

Si evidenziava, poi, che il Condominio aveva originariamente domandato la condanna dei convenuti al “ripristino del preesistente stato dei luoghi”, mentre i giudici di merito avevano pronunciato una condanna al “rifacimento del tetto anche in corrispondenza dei tre terrazzini”, nonché alla “ricostruzione per intero delle falde del tetto”.

Si rilevava, infine, la nullità della sentenza impugnata, nella parte in cui, per un verso, si era argomentato che la mancanza di autorizzazione assembleare avrebbe comportato l'obbligo di ricostruire per intero l'originario tetto già crollato, e, per altro verso, aveva affermato che la parziale ricostruzione del tetto avrebbe consentito ai ricorrenti di appropriarsi di beni condominiali, alterando la destinazione delle medesime parti comuni.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto tali doglianze parzialmente fondate.

Sul versante dell'applicabilità del disposto dell'art. 1128 c.c., si è osservato che, allorquando si sia verificato non il perimento dell'intero edificio condominiale, o di parte che rappresenti comunque i tre quarti del suo valore - casi nei quali vien meno lo stesso condominio e permane soltanto la comunione pro indiviso tra gli ex condomini sull'area di risulta - ma la distruzione di minor parte di esso (come si assume avvenuto nella specie, per effetto del crollo del tetto), ciascun condomino può esigere che le parti comuni crollate siano ricostruite, rivolgendosi all'assemblea perché provveda, con la maggioranza di cui all'art. 1136, comma 4, c.c., a deliberare la ricostruzione della parte comune, dettando altresì le modalità di esecuzione tecniche, statiche ed estetiche dell'intervento (Cass. civ., sez. II, 2 agosto 1968, n. 2767).

Nel medesimo caso in cui l'edificio condominiale sia perito per meno di tre quarti del suo valore, la mancanza della delibera assembleare di ricostruzione delle parti comuni prevista dal comma 2 dell'art 1128 c.c. (o, addirittura, l'esistenza di un'eventuale delibera contraria) non impedisce ai singoli condomini di ricostruire le loro unità immobiliari di proprietà esclusiva parzialmente perite e, conseguentemente, le parti comuni necessarie a ripristinare l'esistenza ed il godimento di esse - come qui si reputava avvenuto, appunto, per iniziativa dei condomini convenuti, in assenza di deliberazione dell'assemblea - non potendosi negare a chi aveva il diritto di mantenere la sua costruzione sul suolo (quale comproprietario dello stesso ex art 1117 c.c., oppure, in caso di diversa previsione del titolo, quale titolare di un diritto di superficie) il potere di riedificarla ai sensi dell'art 1102 c.c., salvi il rispetto delle caratteristiche statico-tecniche preesistenti, in maniera da non impedire agli altri condomini di usare parimenti delle parti comuni secondo il proprio persistente diritto di condominio, e il divieto di attuare innovazioni, per le quali è indispensabile la delibera assembleare ai sensi degli artt. 1120 e 1136 c.c. (Cass. civ., sez. II, 14 settembre 2012, n. 15482; Cass. civ. sez. II, 25 ottobre 1980, n. 5762; Cass. civ., sez. II, 14 giugno 1976, n. 2206).

Ne consegue - ad avviso degli ermellini - che, avendo i suddetti condomini, nell'eseguire la ristrutturazione dei sottotetti di loro proprietà individuale, ricostruito altresì parte del tetto condominiale andato distrutto, realizzando tre terrazzi in corrispondenza dei medesimi sottotetti, va riconosciuto il diritto dei restanti condomini di opporsi a quelle opere edilizie che, ripristinando con difformità o varianti le precedenti strutture edilizie, portino concreto pregiudizio alloro diritti di proprietà esclusiva o condominiale, nonché il diritto degli stessi ulteriori condomini a conservare la proprietà condominiale sulle parti ricostruite dai condomini autori dell'intervento edilizio in conformità alla situazione preesistente al parziale perimento dell'edificio.

In particolare, ove le opere realizzate dai ricorrenti abbiano annesso alla proprietà esclusiva porzione del tetto comune ricostruito, deve intendersi fondata la pretesa del condominio volta alla riduzione in pristino relativamente al bene comune illegittimamente occupato (Cass. civ., sez. 2, 5 marzo 1979, n. 1375; Cass. civ., sez. II, 21 ottobre 1974, n. 2988).

Osservazioni

La gravata sentenza non era, invece, immune da censure laddove aveva ricondotto l'intervento di parziale ricostruzione del tetto comune eseguito nella nozione di innovazione ex art. 1120 c.c., anziché in quello di modificazione ex art. 1102 c.c.

Si rammenta, in proposito, che le innovazioni di cui all'art. 1120 c.c. si distinguono dalle modificazioni disciplinate dall'art. 1102 c.c., sia dal punto di vista oggettivo, che da quello soggettivo: sotto il profilo oggettivo, le prime consistono in opere di trasformazione, che incidono sull'essenza della cosa comune, alterandone l'originaria funzione e destinazione, mentre le seconde si inquadrano nelle facoltà riconosciute al condomino, con i limiti indicati nello stesso art. 1102 c.c., per ottenere la migliore, più comoda e razionale utilizzazione della cosa; per quanto concerne, poi, l'aspetto soggettivo, nelle innovazioni rileva l'interesse collettivo di una maggioranza qualificata, espresso con una deliberazione dell'assemblea, elemento che invece difetta nelle modificazioni, che non si confrontano con un interesse generale, bensì con quello del singolo condomino, al cui perseguimento sono rivolte (v., ex multis, Cass. civ., sez. II, 4 settembre 2017, n. 20712).

Al riguardo, i magistrati del Palazzaccio richiamano il più recente orientamento, in base al quale il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune dell'edificio, può trasformarlo in terrazza di proprio uso esclusivo, sempre che un tale intervento dia luogo a modifiche non significative della consistenza del bene, in rapporto alla sua estensione, e sia attuato con tecniche costruttive tali da non affievolire la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente, quali la coibentazione termica e la protezione del piano di calpestio di una terrazza mediante idonei materiali (Cass. civ., sez. VI/II, 21 febbraio 2018, n. 4256; Cass.civ., sez. VI/II, 25 gennaio 2018, n. 1850; Cass. civ., sez. VI/II, 4 febbraio 2013, n. 2500; Cass. civ., sez. II, 3 agosto 2012, n. 14107).

In quest'ottica, la Corte territoriale aveva accertato in fatto che l'intervento di ricostruzione del tetto crollato, eseguito dai condomini appellanti, aveva lasciato “scoperte” tre piccole zone dello stesso per annetterne l'utilizzo a vantaggio della mansarda-sottotetto di proprietà individuale, ma l'accertamento circa la significatività del taglio del tetto praticato per innestarvi terrazze di uso esclusivo e circa l'adeguatezza delle opere eseguite per salvaguardare la funzione di copertura e protezione dapprima svolta dal tetto è riservato al giudice di merito e, come tale, è censurabile in sede di legittimità - non per violazione dell'art.1102 c.c., ma - soltanto nei limiti di cui all'art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c.

Come ogni forma di uso particolare o più intenso del bene comune ai sensi dell'art. 1102 c.c., la legittimità della trasformazione di parte del tetto condominiale in terrazza postula, altresì, che non ne risulti arrecato pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio.

Nella specie - sempre per quanto accertato in fatto - si ha riguardo ad un intervento di trasformazione di parte del tetto comune, con realizzazione di “tre terrazzini a trincea”, che avevano annesso le rispettive zone del tetto alla mansarda-sottotetto di proprietà degli originari convenuti.

La illegittimità del mutamento dello stato dei luoghi è stata argomentata dal giudice distrettuale riguardo alla “modifica dell'originaria conformazione del bene, essendo la copertura non più interamente a falde ma in parte a falde e in parte piana, in corrispondenza dei tre terrazzini a tasca”, il che avrebbe “alterato la funzione di copertura dell'edificio".

Inoltre, lo stesso giudice del gravame aveva ravvisato una lesione del decoro architettonico, avendo i condomini utilizzato tegole “marsigliesi”, difformi da quelle del tipo “piani e contropiani” già presenti nel fabbricato e peraltro prescritte dalla Sopraintendenza.

Orbene - ad avviso del Supremo Collegio - l'acclarata inadeguatezza delle opere eseguite dai suddetti condomini al fine di salvaguardare la funzione di copertura e protezione, dapprima svolta dal tetto, ed il ravvisato pregiudizio arrecato al decoro architettonico dell'edificio condominiale convalidano la fondatezza della pretesa di natura reale del Condominio, basata sull'art. 1102 c.c., avente, tuttavia, per fine il mero ripristino della cosa comune illegittimamente alterata dai ricorrenti principali, ed in ciò sta la fondatezza delle prime tre censure.

Ne deriva che la conseguente condanna giudiziale deve consistere unicamente nell'eliminazione della situazione provocata dall'illecito utilizzo del bene condominiale e nella riproduzione della situazione dei luoghi modificata o alterata, oppure anche nell'esecuzione di un quid novi, ma solo qualora il rifacimento pure e semplice sia inidoneo a conseguire il ripristino dello status quo ante, avuto riguardo all'utilità recata dalla res prima della contestata modificazione (argomentando da Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 2020, n. 2002; Cass. civ., sez. II, 13 agosto 2018, n. 20726; Cass. civ., sez. II, 28 febbraio 2017, n. 5196; Cass.civ., sez. II, 5 agosto 2005, n. 16496; Cass. civ., sez. II, 13 novembre 1997, n. 11227).

Viceversa, la Corte d'Appello - confermando la statuizione del giudice di prime cure - aveva ordinato ai condomini di “rifare il tetto in corrispondenza dei tre terrazzini in modo da renderlo conforme alla sagoma originaria” e di sostituire le “tegole marsigliesi” con tegole del tipo “piani e contropiani”, così eccedendo rispetto al ricordato limite della condanna alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi abusivamente modificati.

Orbene, in disparte quest'ultima puntualizzazione in ordine alla corretta perimetrazione dell'ordine giudiziale, circa la questione di fondo sottesa alla presente fattispecie - ossia la legittimità dell'iniziativa del proprietario dell'ultimo piano (quindi, dell'abitazione direttamente al di sotto del tetto) volta a praticare un'apertura nel medesimo tetto e trasformare la superficie di copertura comune in una terrazza, ponendola ad esclusivo suo servizio ed utilità - non si registrano pronunce collimanti nella giurisprudenza, sia di legittimità che di merito.

Siamo in presenza della c.d. terrazza a tasca, che si ricava in un tetto a spiovente: in pratica, si tratta di una terrazza incassata nel tetto, delimitata da parapetto e spallette perimetrali, il cui interno non è visibile dal basso, mentre la relativa profondità dipenderà dalla pendenza della falda del tetto.

Per costruirla, è necessario rimuovere una parte della copertura, conservandone, verso l'esterno, una porzione sufficiente per il parapetto: in tal modo, da una parte, non viene eliminata la funzione di copertura del tetto, perché anche il pavimento di tale terrazza la esercita perfettamente a favore delle unità immobiliari sottostanti, e, dall'altra, si verifica, comunque, una “sottrazione” di parte della superficie del tetto.

Secondo un orientamento più rigido, la sostituzione ad opera del proprietario dell'ultimo piano di un edificio condominiale del tetto con una diversa copertura (terrazza) che, pur non eliminando l'assolvimento della funzione originariamente svolta dal tetto stesso, valga ad imprimere al nuovo manufatto, per le sue caratteristiche strutturali e per i suoi annessi, anche una destinazione ad uso esclusivo dell'autore dell'opera, costituisce alterazione della cosa comune e non può considerarsi insita nel più ampio diritto di sopraelevazione spettante al proprietario dell'ultimo piano (tra le pronunce di legittimità, si segnalano: Cass. civ., sez. II, 28 febbraio 2013, n. 5039; Cass. civ., sez. II, 5 giugno 2008, n. 14950; Cass. civ., sez. II, 12 marzo 2007, n. 5753; Cass. civ., sez. II, 16 novembre 2006, n. 24414; Cass. civ., sez. II, 19 gennaio 2006, n. 972; Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 2005, n. 1737; Cass. civ., sez. II, 9 maggio 1983, n. 3199; Cass. civ., sez. II, 13 luglio 1981, n. 4579; tra quelle di merito, v. Trib. Milano 27 febbraio 2015, n. 2687; Trib. Todi 22 aprile 2014, n. 771).

Invece, ad avviso di un orientamento più soft - cui ha dato giuridica continuità la sentenza in commento - il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune dell'edificio, può trasformarlo in terrazza di proprio uso esclusivo, a condizione che sia salvaguardata, mediante opere adeguate, la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente, restando così complessivamente mantenuta, per la non significativa portata della modifica, la destinazione principale del bene (Cass. n. 2500/2013, cit.; Cass. n. 14107/2012, cit.).

Riferimenti

Bordolli, La trasformazione di porzione del tetto in terrazza a livello, in Immob. & proprietà, 2019, 349;

De Tilla, La trasformazione di un tetto in terrazza esclusiva, in Arch. loc. e cond., 2013, 622;

Salciarini, Il cielo in una stanza: possibile realizzare una terrazza sul tetto, in Immob. & proprietà, 2012, 632;

Tiscornia, Tetto delle case in condominio: lastrico solare o terrazza a livello?, in Immob. & diritto, 2006, fasc. 1, 122;

Lenzi, Costruzione di una terrazza privata in luogo del tetto in edificio condominiale: legittimo esercizio del diritto di sopraelevazione?, in Arch. loc. e cond., 1990, 795

Celeste, Circa le modifiche di parti comuni ad opera di singolo condomino, in Foro it., 1998, I, 1897;

De Tilla, Disciplina giuridica ed uso comune ed esclusivo di terrazze, lastrici solari, tetti, coperture, ecc., in Giust. civ., 1991, I, 978;

Samperi, Trasformazione del tetto in terrazza: sopraelevazione o innovazione?, in Giust. civ., 1986, I, 2248.

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