Tabulati telefonici: ulteriori ricadute della sentenza della CGUE del 2 marzo 2021 sul piano della utilizzabilità degli esiti di prova

Lina Cusano
25 Maggio 2021

In attesa di chiare indicazioni del legislatore italiano o della stessa CGUE, il Giudice per le Indagini preliminari presso il Tribunale di Bari, con decreto emesso in data 1 maggio 2021, ha ritenuto la diretta applicabilità della sentenza del 2 marzo 2021, H.K., C-746/18, pronunciata dalla Grande Sezione della Corte di Giustizia UE in tema di tabulati telefonici e ne ha tratto rilevanti conclusioni in termini di inutilizzabilità dei tabulati acquisiti in assenza del decreto autorizzativo del giudice, con effetti riverberantisi sulle intercettazioni attivate sulla scorta dei relativi dati di traffico...
Premessa

Il Giudice per le Indagini preliminari presso il Tribunale di Bari, con decreto emesso in data 1 maggio 2021, ha ritenuto la diretta applicabilità della sentenza del 2 marzo 2021, H.K., C-746/18 pronunciata dalla Grande Sezione della Corte di Giustizia UE in tema di tabulati telefonici, traendone conclusioni in termini di inutilizzabilità degli esiti di prova, con un provvedimento che - per gli effetti che ne conseguono sulle intercettazioni richieste sulla scorta di dati di traffico acquisiti in assenza del decreto autorizzativo del giudice - apre a considerazioni di ulteriori criticità.

A distanza di poco più di due mesi dalla sentenza della CGUE, si conferma, quindi, come sia nevralgica la risposta al quesito circa la sua immediata effettività nell'ordinamento nazionale. L'esame approfondito del percorso motivazionale del provvedimento del GIP di Bari e le considerazioni in merito alle sue statuizioni devono necessariamente essere precedute da una seppur veloce illustrazionedel quadro di insieme nel quale il provvedimento va a collocarsi.

Ebbene, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea, con sentenzadel 2 marzo 2021, resa in tema di data retention nella causa C-746/18, (muovendo da una questione pregiudiziale interpretativa sollevata dall'Autorità giurisdizionale dell'Estonia) ha elaborato tre importanti princìpi con riferimento all'art. 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58, del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche, letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11 nonché dell'articolo 52, paragrafo 1, della Carta di Nizza. Principi che è opportuno, seppur sinteticamente, rammentare.

Nel dettaglio, la Corte ha, in primo luogo, evidenziato, al par. 35, come "Soltanto gli obiettivi della lotta contro le forme gravi di criminalità o della prevenzione di gravi minacce per la sicurezza pubblica [siano] atti a giustificare l'accesso delle autorità pubbliche ad un insieme di dati relativi al traffico o di dati relativi all'ubicazione, suscettibili di fornire informazioni sulle comunicazioni effettuate da un utente di un mezzo di comunicazione elettronica o sull'ubicazione delle apparecchiature terminali utilizzate da quest'ultimo e tali da permettere di trarre precise conclusioni sulla vita privata delle persone interessate (v., in tal senso, sentenza del 2 ottobre 2018, Ministerio Fiscal, C-207/16,EU:C:2018:788, punto 54), senza che altri fattori attinenti alla proporzionalità di una domanda di accesso, come la durata del periodo per il quale viene richiesto l'accesso a tali dati, possano avere come effetto che l'obiettivo di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento di reati in generale sia idoneo a giustificare tale accesso”.

In secondo luogo, al par. 51, si è ritenuto “essenziale che l'accesso delle autorità nazionali competenti ai dati conservati sia subordinato ad un controllo preventivo effettuato o da un giudice o da un'entità amministrativa indipendente, e che la decisione di tale giudice o di tale entità intervenga a seguito di una richiesta motivata delle autorità suddette presentata, in particolare, nell'ambito di procedure di prevenzione o di accertamento di reati ovvero nel contesto di azioni penali esercitate".

In terzo luogo, nei parr. 54, 55 e 56, la Corte ha statuito come "ilrequisito di indipendenza che l'autorità incaricata di esercitare il controllo preventivo deve soddisfare impon[ga] che tale autorità abbia la qualità di terzo rispetto a quella che chiede l'accesso ai dati, di modo che la prima sia in grado di esercitare tale controllo in modo obiettivo e imparziale al riparo da qualsiasi influenza esterna. In particolare, in ambito penale, il requisito di indipendenza implica che l'autorità incaricata di tale controllo preventivo, da un lato, non sia coinvolta nella conduzione dell'indagine penale di cui trattasi e, dall'altro, abbia una posizione di neutralità nei confronti delle parti del procedimento penale. Ciò non si verifica nel caso di un Pubblico Ministero che dirige il procedimento di indagine ed esercita, se del caso, l'azione penale. Infatti, il Pubblico Ministero non ha il compito di dirimere in piena indipendenza una controversia, bensì quello di sottoporla, se del caso, al giudice competente, in quanto parte nel processo che esercita l'azione penale. La circostanza che il Pubblico Ministero sia tenuto, conformemente alle norme che disciplinano le sue competenze e il suo status, a verificare gli elementi a carico e quelli a discarico, a garantire la legittimità del procedimento istruttorio e ad agire unicamente in base alla legge ed al suo convincimento non può essere sufficiente per conferirgli lo status di terzo rispetto agli interessi in gioco".

Ordunque, la sentenza della Grande Camera si inserisce, in realtà, in un filone decisionale con il quale da tempo i Giudici di Lussemburgo vanno ribadendo con fermezza principi rigorosi in tema di data retention. Nondimeno, la pronuncia in esame è stata definita, a ragion veduta, dirompente ed esplosiva essendo la medesima intervenuta non solo ad affrontare il piano delle riserve di legge e di giurisdizione previste per l'acquisizione dei dati, ma anche ad analizzare il ruolo del Pubblico Ministero.

Con riferimento al primo profilo, a venire in rilievo è un'attività di indagine delicatissima essendo l'acquisizione dei tabulati da sempre cruciale in un gran numero di procedimenti. Invero, l'esame dei dati di un tabulato telefonico si presenta molte volte come essenziale: sia nel caso in cui esso si ponga come prodromico all'avvio di intercettazioni di conversazioni su utenze così individuate come utili alle indagini; sia nel caso in cui esso tabulato, con la correlata individuazione temporale-spaziale costituisca forte riscontro - talvolta esclusivo e sufficiente – dell'ipotesi accusatoria.

In relazione al secondo profilo, la Corte eurounitaria si è soffermata su ruolo e figura dell'organo dell'accusa estone con considerazioni che, pur non riguardando direttamente lo Stato italiano, hanno suscitato ed alimentato discussioni vivaci circa la natura del corrispondente organo giudiziario nell'ordinamento processuale italiano.

In particolare, i Giudici di Lussemburgo, in relazione alla figura del Pubblico Ministero estone, ne hanno delineato la posizione di “parte” muovendo dalla sua funzione rappresentativa della pubblica accusa nel processo: le ulteriori considerazioni sul suo essere “indipendente”, sottoposto solo alla legge e tenuto a raccogliere e valutare anche gli elementi a discarico non sono state ritenute idonee a condurre a diversa conclusione circa la sua “non terzietà”.

È evidente come, prima facie, gli assunti della Corte di Giustizia sul rappresentante dell'accusa estone, in tali stringati termini, appaiano attagliarsi anche al Pubblico Ministero italiano. Apparenza, questa, destinata ad entrare in conflitto con quella granitica giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione volta a far rientrare quest'ultimo nel genus della “autorità giudiziaria”.

Ecco, quindi, l'instabile terreno sul quale oggi gli operatori del diritto sono chiamati a muoversi.

Le contrapposte posizioni ermeneutiche

Proprio in ragione di ciò che si è sin qui detto, molto è stato scritto - sia nei tanti contributi dottrinari sia nei provvedimenti giurisdizionali - sul contenuto e sulle questioni poste dalla sentenza della Corte di Giustizia del 2 marzo 2021, delineandosi con chiarezza la divisione esistente tra le letture ermeneutiche operate.

La rilevanza che occupa nell'ambito delle investigazioni l'acquisizione di dati relativi al traffico telefonico/informatico e dei dati relativi all'ubicazione ha determinato la necessità per i giudici italiani di doversi esprimere immediatamente in merito, vuoi in fase di indagini, in occasione di richieste di acquisizione di tabulati avanzate dal Pubblico Ministero, vuoi in dibattimento, a seguito di eccezioni difensive di inutilizzabilità dei tabulati portati dal P.M. a sostegno dell'accusa.

Ad oggi, il legislatore italiano ha regolato l'acquisizione dei tabulati nel corpo del d.lgs. n. 196/2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali), con la previsione di cui all'art. 132; articolo che ha avuto una vita alquanto travagliata, densa di modifiche ed integrazioni. Esso, infatti, nel suo testo originario, si limitava a disciplinare le tempistiche di conservazione, da parte del gestore del servizio di telefonia, dei dati relativi al traffico telefonico, nulla disponendo in merito all'acquisizione, per fini di indagine, degli stessi, che veniva disposta dal P.M. applicando l'art. 256 c.p.p.

Solo pochi mesi dopo la sua entrata in vigore, l'art. 132 veniva integralmente sostituito con dl. n. 354/2003, prevedendosi che i dati relativi al traffico telefonico fossero acquisiti “con decreto motivato del giudice, su istanza del Pubblico Ministero o del difensore dell'imputato e della persona sottoposta alle indagini, della persona offesa e delle altre parti private”. Appare qui interessante ricordare come la norma, nella nuova formulazione, determinò il sollevarsi di varie questioni di legittimità costituzionale con riferimento alla parte in cui prevedeva che il Pubblico Ministero, per poter ottenere i dati di un tabulato telefonico dovesse fare richiesta di acquisizione al giudice; una tale disciplina si riteneva fosse in contrasto con gli artt. 3, 97 e 111 Cost. A ciò si aggiunsero ulteriori perplessità derivanti dalla mancanza all'interno dell'art. 132 di una qualsiasi specificazione circa i criteri che avrebbero dovuto orientare il giudice nel deliberare sulla richiesta avanzata dall'organo dell'accusa mancanza che si sarebbe tradotta in carenza di elementi utili per una congrua motivazione del provvedimento e ciò in contrasto con l'art.15, comma 2, Cost. Sulle questioni, tutte riunite, intervenne la Corte Costituzionale con un'unica pronuncia, la n. 372/2006. Di fatto, però, la Consulta non si pronunciò nel merito, disponendo la restituzione degli atti ai giudici a quibus perché fosse nuovamente esaminata la rilevanza delle questioni sollevate, atteso che, nel frattempo, il dl. n. 144/2005 aveva nuovamente modificato l'art. 132 disponendo che i dati relativi al traffico telefonico potessero essere acquisiti presso il fornitore direttamente dal Pubblico Ministero con decreto motivato.

Ancora, negli anni a seguire, si sono succeduti numerosi ulteriori interventi di modifica, riguardanti i tempi e le finalità della conservazione dei dati.

Ed è questa norma, nella sua attuale formulazione, che viene messa in discussione in ragione del possibile contrasto tra la disciplina da essa dettata e le interpretazioni proposte dalla Corte di Giustizia con la sentenza del 2 marzo 2021.

In proposito, facendo riferimento anche solo ai provvedimenti ad oggi conosciuti, è già di tutta evidenza la contrapposizione delle impostazioni ermeneutiche adottate, fondate o sulla diretta ed immediata applicazione erga omnes del dictum della sentenza dei Giudici eurounitari (con correlata non applicazione dell'art. 132) o, di contro, sulla impossibilità di trasporre nell'ordinamento italiano i principi della sentenza della CGUE, con conseguente permanere di una piena operatività dell'art. 132.

(Segue). Nella linea della non diretta applicabilità

In data 22 aprile 2021, innanzi ilTribunale di Milano, nel corso di dibattimento a carico di imputato di rapina aggravata, la difesa - richiamata la pronuncia della CGUE - si opponeva alla richiesta dell'Ufficio di Procura di produzione in giudizio dei tabulati telefonici acquisiti dal P.M. nel corso delle indagini, prospettando la disapplicazione nell'ordinamento interno della citata norma di cui all'art. 132.

Il collegio milanese riteneva l'eccezione difensiva destituita di fondamento, osservando come i rilevanti connotati differenziali del Pubblico Ministero estone rispetto al Pubblico Ministero italiano, nonché le costanti pronunce in subiecta materia della Corte di Cassazione non consentissero di ravvisare alcun fondato profilo di censura all'art. 132 Codice Privacy per contrarietà all'art.15, par. 1 della direttiva 2002/58/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 luglio 2002, come modificata dalla direttiva 2009/136/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2009, letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11, nonché dell'art. 52, par. 1, della Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea.

In ogni caso, aggiungeva il Tribunale, ove anche si fosse inteso accedere alla opposta tesi, illegittima sarebbe stata l'applicazione retroattiva di un eventuale nuovo e diverso filone ermeneutico, atteso che, secondo il principio mutuato dall'art. 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, così come conformemente interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU, “non è consentita l'applicazione retroattiva dell'interpretazione giurisprudenziale di una norma penale, allorquando il risultato interpretativo non era ragionevolmente prevedibile nel momento in cui la violazione è stata commessa”.

Conseguentemente, il Tribunale di Milano disponeva l'acquisizione dei tabulati, non ritenendo che potessero essere “validamente e fondatamente trasposte, rispetto all'ordinamento italiano, le censure mosse dalla Corte di Giustizia alla disciplina estone in tema di c.d. data retention e acquisizione di tabulati telefonici per finalità di giustizia”.

In data 23 aprile 2021, il GIP presso il Tribunale di Roma - Ufficio 10, dichiarava non luogo a provvedere sulla richiesta del Pubblico Ministero di autorizzazione all'acquisizione di dati relativi al traffico telefonico, ritenendo che la sentenza CGUE del 2 marzo 2021 – in assenza di un intervento del legislatore che specifichi quale sia l'autorità in concreto demandata ad effettuare il controllo sull'acquisizione, postulato come necessario dai Giudici eurounitari – “non appare di diretta applicabilità nel nostro ordinamento, non potendo il giudice autoattribuirsi una competenza non prevista dalla legge nazionale, né stabilire la procedura da eseguire per esercitare detto controllo ( termini entro cui provvedere, reati per i quali è consentito l'accesso ai dati, ecc.)”.

La decisione del GIP si fondava, principalmente, sulla considerazione che ai principi espressi nelle sentenze della CGUE va attribuito, secondo la giurisprudenza di legittimità, “il valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione” (Cass. civ., 17 maggio 2019, n.13425) e, conseguentemente, “l'efficacia immediata e diretta delle interpretazioni da dette sentenze effettuate è possibile solo laddove, per effetto di tali interpretazioni, non residuino negli istituti giuridici regolati, concreti problemi applicativi e profili di discrezionalità che richiedano necessariamente l'intervento del legislatore nazionale e ciò tanto più laddove si tratti di interpretazione di norme contenute in direttive”.

Si riteneva, pertanto, di continuare ad applicare l'art. 132 d.lgs. n. 196/2003.

In data 2 maggio 2021, anche il GIP presso il Tribunale di Roma - Ufficio 30, con motivazione in linea con il provvedimento testè esaminato, dichiarava non luogo a provvedere sulla richiesta del Pubblico Ministero di autorizzazione all'acquisizione di dati relativi al traffico telefonico, aggiungendo che, “per accogliere la richiesta del P.M., questo Ufficio, e non la legge, dovrebbe in ordine logico, arbitrariamente statuire: a) che per effetto della sentenza CGUE 2.3.2021 citata l'autorizzazione debba venire da una Autorità giurisdizionale e non da una Autorità Amministrativa indipendente ( da un “Garante”); b) che quell'Autorità giurisdizionale è il GIP (dovendosi poi stabilire se lo debba essere solo in quanto “giudice che procede” nel senso di cui all'art. 279 c.p.p. o se lo debba essere per tutto il procedimento penale; c) quali siano i procedimenti che rientrano nella classe procedure aventi per scopo la lotta contro le forme gravi di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica andando a formare con criteri del tutto discrezionali- che potrebbero variare da sede a sede come è fisiologico che accada nella giurisdizione - il catalogo dei reati in relazione ai quali l'autorizzazione può essere concessa, magari con creativi rimandi (alternativi?, congiunti?) a quelli di cui agli artt. 266, 407 comma 2 lettera a), 51 commi 3-bis, 3-ter e 3-quater c.p.p.”.

Si concludeva, quindi, nel senso della perdurante operatività dell'art. 132 d.lgs. n. 196/2003.

(Segue). Nella linea della immediata applicabilità

In data 25 aprile 2021, il GIP presso il Tribunale di Roma - Ufficio 18, ricevuta dal Pubblico Ministero richiesta di ottenere l'autorizzazione a disporre l'acquisizione dei dati relativi a traffico telefonico, decideva nel senso di non applicare la norma interna (art.132 D.lgs. 196/2003) e, “ritenuta la sussistenza dei presupposti delineati dalla normativa dell'Unione Europea”, autorizzava l'acquisizione richiesta.

Nella motivazione del provvedimento, il GIP sottolineava come la Corte di Giustizia, nella sentenza 2 marzo 2021, avesse “assegnato un valore dirimente, nella individuazione dell'autorità giudiziaria competente, al requisito di terzietà: l'angolo visuale innovativo della citata pronuncia non è quello dell'indipendenza del Pubblico Ministero né quello di imparzialità (dovendo anzi ribadirsi, in forza della disciplina vigente del codice di rito italiano, il carattere del Pubblico Ministero quale parte imparziale che svolge altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta ad indagini) bensì quello di terzietà che, per definizione, non può che attribuirsi al Giudice”.

Osservava, dunque, il GIP che la chiarezza delle indicazioni della Corte rende la sentenza direttamente applicabile” e dalle sue “inequivoche statuizioni” discende il “sopravvenuto contrasto tra l'art. 132, comma 3,d.lgs. n. 196/2003 e la normativa dell'Unione Europea, così come interpretata dal Giudice europeo, nella parte in cui attribuisce la competenza ad emettere il decreto motivato di acquisizione al Pubblico Ministero anziché al Giudice”.

La conseguenza del conflitto, si concludeva, non può che essere la non applicazione della norma interna, per diretta applicazione della prevalente normativa sovranazionale, così come interpretata dalla Corte di Giustizia.

In tale direzione ermeneutica, il GIP non riconosceva valore alle contrarie argomentazioni che confutano la diretta applicabilità della sentenza della Corte di Giustizia a causa della vaghezza della descrizione dei reati in presenza dei quali possa disporsi l'acquisizione dei dati relativi al traffico telefonico. Riteneva il GIP, in proposito, che la mancanza di un catalogo dei reati particolarmente gravi fosse da sostituire, in sostanza, con il giudizio circa il rispetto del principio di proporzionalità tra la gravità dell'intromissione nella sfera privata e la gravità del reato oggetto di indagini, verifica da farsi - a cura del giudice adito - non in astratto, bensì in concreto.

Peraltro, si aggiungeva, “la categoria delle forme gravi di criminalità e la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica, indicata dalla Corte di Giustizia quale indispensabile condizione per rendere proporzionata (giustificata) l'acquisizione dei dati, è facilmente individuabile con il rinvio integrale ai reati previsti nel catalogo dettato dagli artt. 266 e 266-bis c.p.p.”.

Per vero, a sostegno della diretta ed immediata applicabilità, con effetti erga omnes, della sentenza della Corte di Giustizia, il GIP cita due sentenze della Consulta, la n. 113/1985 e la n. 168/1991, sulla cui lettura si tornerà in seguito.

La questione di pregiudizialità sollevata dal Tribunale di Rieti

Nel quadro di contrapposte interpretazioni, così delineato, particolare interesse suscita la scelta procedurale operata dal Tribunale di Rieti con ordinanza del 4 maggio 2021.

Nel corso di dibattimento a carico di imputati detenuti, alla prima udienza utile successivamente alla sentenza della CGUE, le difese avevano eccepito l'inutilizzabilità processuale dei tabulati telefonici delle utenze in uso a due degli imputati, richiedendo la immediata applicazione della detta sentenza nell'ordinamento interno; in via subordinata, avevano sollevato questione di costituzionalità ex artt. 3, 111 e 117 Cost. per contrasto della disciplina nazionale in tale materia con la normativa ed i principi eurounitari fissati nella medesima sentenza.

Pronunciandosi su tali eccezioni, i giudici, dopo ampia ricostruzione delle disposizioni nazionali e dell'Unione Europea, nonché della giurisprudenza interna in materia, espongono i plurimi profili di criticità applicativa tali per cui i principi elaborati dalla CGUE, nella sentenza del 2 marzo 2021, si ritiene non possano costituire presupposto per una diretta disapplicazione della normativa nazionale in ipotesi contrastante, ma debba essere sollecitato un espresso chiarimento da parte del Giudice Europeo in punto di efficacia della predetta sentenza interpretativa.

Pertanto, pur consapevole della eccezionalità del percorso, il Tribunale di Rieti sottopone alla Corte di Giustizia dell'Unione europea le seguenti questioni pregiudiziali:

1) “Se l'articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58, letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11 nonché dell'art. 52, paragrafo 1, della Carta di Nizza, in forza anche dei principi stabiliti dalla stessa CGUE nella sentenza 2 marzo 2021, nella causa C-746/18, debba essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale, prevista dall'art. 132, comma 3, d.lgs. n. 196/2003, la quale renda il Pubblico Ministero, organo dotato di piene e totali garanzie di indipendenza e autonomia come previsto dalle norme del Titolo IV della Costituzione italiana, competente a disporre, mediante decreto motivato, l'acquisizione dei dati relativi al traffico e dei dati relativi all'ubicazione ai fini di una istruttoria penale”.

2) “Nel caso in cui alla prima domanda sia data risposta negativa, se sia possibile fornire ulteriori chiarimenti interpretativi riguardanti una eventuale applicazione irretroattiva dei princìpi stabiliti nella sentenza del 2 marzo 2021, causa C-746/18, tenuto conto delle preminenti esigenze di certezza del diritto nell'ambito della prevenzione, accertamento e contrasto di gravi forme di criminalità o minacce alla sicurezza”

3) “Se l'articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58, letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11 nonché dell'art. 52, paragrafo 1, della Carta di Nizza, in forza anche dei principi stabiliti dalla stessa CGUE nella sentenza 2 marzo 2021, nella causa C-746/18, debba essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale, prevista dall'art. 132, comma 3 del decreto legislativo n.196/2003, letto alla luce dell'art.267, comma 2, c.p.p., la quale consenta al Pubblico Ministero, in casi di urgenza, l'immediata acquisizione dei dati del traffico telefonico con successivo vaglio e controllo del Giudice procedente”.

L'esame delle questioni poste al Giudice di Lussemburgo dal Tribunale di Rieti potrebbe avere tempi più ristretti dell'ordinario, essendo stata attivata la procedura accelerata prevista ex art. 105 del regolamento di Procedura della CGUE trattandosi di processo a carico di imputato detenuto, sospeso fino alla detta pronuncia.

La risposta della Corte di Giustizia, nell'offrire l'espresso chiarimento che i giudici di Rieti sollecitano, risulterà essenziale per orientare l'interpretazione del dictum della sentenza del 2 marzo 2021, potendo offrire anche spunti per l'intervento del legislatore italiano, ove all'esito della nuova interpretazione europea, se ne ravvisasse ancora la necessità.

Il provvedimento del GIP di Bari

Venendo ora al provvedimento in commento, emesso dal GIP presso il Tribunale di Bari in data 1° maggio 2021, esso aderisce alla linea della diretta applicabilità nell'ordinamento interno della sentenza della CGUE del 2 marzo 2021, con la particolarità – in ragione della specifica questione sottoposta al giudice – di spingere più in alto l'asticella delle criticità correlate alla corrispondente, immediata non applicazione dell'art. 132 del Codice Privacy.

Nel caso in esame, il Pubblico Ministero di Bari nel corso di indagini per fatti gravi aveva, in epoca successiva alla sentenza del 2 marzo 2021, acquisito tabulati telefonici dal cui esame era emersa una utenza ritenuta utile per le investigazioni e sulla stessa aveva attivato operazioni di intercettazione in via di urgenza; successivamente, nei termini, aveva provveduto a depositare nella cancelleria del GIP richiesta di convalida e di autorizzazione alla intercettazione della detta utenza.

Il GIP si pone il “problema di disporre l'intercettazione su un numero telefonico, la cui valenza probatoria è stata determinata dall'acquisizione dei dati di traffico conservati presso il gestore dei servizi telefonici, in assenza di decreto autorizzativo del giudice. In altri termini occorre stabilire se l'acquisizione dei c.d. tabulati del traffico telefonico disposta dal P.M. e non dal Giudice possa dare luogo all'applicazione dell'art. 271 c.p.p.”.

Sul punto la risposta del GIP èaffermativa, “sulla scorta della sentenza adottata dalla corte di Giustizia UE nella sentenza del 2 marzo 2021”.

A sostegno della sua scelta ermeneutica, il GIP ripercorre le posizioni assunte, nelle sue precedenti pronunce, dalla CGUE in materia di disciplina acquisitiva dei tabulati, fino alla sentenza resa nella causa C-746/18, della quale esamina l'iter argomentativo, con particolar riferimento al secondo principio affermato dalla Corte eurounitaria, che viene definita “ancora più tranchant, perché nega al Pubblico Ministero la competenza, ai fini di un'indagine penale, ad autorizzare l'accesso di un'autorità pubblica sia ai dati di traffico, sia ai dati sulla posizione”.

In merito, il GIP non si esime dal richiamare l'indirizzo costante della Corte di Cassazione, la quale, sino all'ultima sentenza in ordine di tempo (Cass. pen., Sez. III, 23 agosto 2019, n. 36380), ha sempre escluso che il cosiddetto Codice della Privacy ponga profili di frizione con il diritto eurounitario, in base alla considerazione che la figura del Pubblico Ministero, per come disciplinata nell'ordinamento italiano, rappresenta un organo sufficientemente indipendente da soddisfare la normativa europea. Ma, sul punto, il GIP di Bari ritiene che “se la scelta dell'individuazione dell'Autorità giudiziaria ricadesse sul Pubblico Ministero, ci troveremmo indubbiamente dinanzi ad una situazione affatto preoccupante se si considera che l'organo della pubblica accusa, cui è certamente devoluto l'obbligo (se non di prevenire quanto meno) di perseguire e reprimere i reati, verrebbe in maniera del tutto arbitraria ad accentrare in sé anche il potere di valutare se le esigenze investigative possano comportare, caso per caso, una violazione della libertà e della segretezza delle comunicazioni. E nell'attuale sistema processuale, si può immaginare quale tipo di tutela della libertà e della segretezza delle comunicazioni possa garantire il Pubblico Ministero, vincolato, com'è all'esercizio obbligatorio dell'azione penale. In tale situazione, ad usare una espressione eufemistica, ci troveremmo dinanzi ad un organo non completamente sereno per valutare le esigenze e l'interesse relativi alla segretezza delle conversazioni dell'indagato o dell'imputato”.

In prosieguo, il GIP, giungendo al nodo cruciale della questione, non dimostra di avere incertezza alcuna in merito alla diretta applicazione della pronuncia della Corte di Giustizia del 2 marzo 2021, “tenuto conto della circostanza che la Corte Costituzionale, nell'applicare il diritto dell'Unione così come interpretato dalla Corte di Giustizia, si è espressa in termini di <<efficacia diretta>> o di <<immediata operatività>> delle sentenze della Corte del Lussemburgo (CorteCost. n. 284/2007 ove si afferma che le statuizioni della Corte di giustizia delle Comunità europee hanno, al pari delle norme dell'Unione direttamente applicabili cui ineriscono, operatività immediata negli ordinamenti interni; Corte Cost. n. 227/2010 ribadisce che: le sentenze della Corte di giustizia vincolano il giudice nazionale all'interpretazione da essa fornita, sia in sede di rinvio pregiudiziale, che in sede di procedura di infrazione)”.

Certamente non può che condividersi, sotto il profilo metodologico, il riferimento alle indicazioni rivenienti dalle pronunce della Consulta, dovendo le decisioni della Corte Costituzionale essere ineludibile riferimento per gli organi giurisdizionali comuni. Anche il GIP presso il Tribunale di Roma - Ufficio 18, aveva richiamato, a sostegno della ritenuta diretta ed immediata applicabilità con effetti erga omnes della sentenza della Corte di Giustizia, due decisioni della Consulta, la n. 113/1985 e la n. 168/1991.

Meno condividibili, tuttavia, sono le considerazioni che, nei provvedimenti esaminati, si è ritenuto di trarre dalla lettura delle sentenze richiamate, meritando, queste ultime, una lettura allargata al contesto complessivo.

Il rapporto del diritto interno con il diritto sovranazionale nelle decisioni della Corte Costituzionale

E dunque, per orientarsi nella ricerca della soluzione della non facile problematica in esame, occorre trovare soccorso nella giurisprudenza della Corte Costituzionale progressivamente formatasi in ordine ai rapporti intercorrenti tra l'ordinamento interno e l'ordinamento europeo. La sentenza da cui muovere è la n. 170 del 1984. È in tale pronuncia, infatti, che la Consulta, anche rimeditando il suo precedente orientamento sulla relazione (e, se del caso, sul contrasto) tra le norme europee e quelle nazionali, si è soffermata a disegnare con nettezza le coordinate più generali in cui occorre andare a collocare ogni singola specifica questione. E così è stato enunciato il principio fondamentale secondo cui, in armonia con la dottrina della pluralità degli ordinamenti giuridici, i due ordinamenti, europeo ed interno, sono “distinti ed al tempo stesso coordinati” e le norme europee vengono in forza dell'art.11 Cost. a ricevere “diretta applicazione” in quest'ultimo pur rimanendo estranee al sistema delle fonti statali. Ma, proseguendo, la Consulta precisa che tale sistema “opera però, nei confronti della fonte statuale, solo se e fino a quando il potere trasferito alla Comunità si estrinseca con una normazione compiuta e immediatamente applicabile dal giudice interno. Fuori dall'ambito materiale, e dai limiti temporali, in cui vige la disciplina comunitaria così configurata, la regola nazionale serba intatto il proprio valore e spiega la sua efficacia; e d'altronde, é appena il caso di aggiungere, essa soggiace al regime previsto per l'atto del legislatore ordinario, ivi incluso il controllo di costituzionalità”.

Perfettamente in linea con tale indirizzo, si pone la successiva sentenza costituzionale n. 168/1991, nella quale si è evidenziato come “l'ordinamento statale non si apr[a] incondizionatamente alla normazione comunitaria, giacché in ogni caso vige [per le norme europee, ma anche per regolamenti e direttive europee] il limite del rispetto dei principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale”.Nediscende che è proprio nel sistema delle fonti del medesimo ordinamento comunitario che vanno verificate le condizioni per l'immediata applicabilità nei singoli ordinamenti degli Stati membri, della normativa in esso prodotta”.Ed ancor più nello specifico, in merito a detta immediata applicabilità, nella stessa decisione la Corte Costituzionale ha precisato che “la diretta applicabilità, in tutto o in parte, delle prescrizioni delle direttive comunitarie non discende unicamente dalla qualificazione formale dell'atto fonte, ma richiede ulteriormente il riscontro di alcuni presupposti sostanziali: la prescrizione deve essere incondizionata (sì da non lasciare margine di discrezionalità agli Stati membri nella loro attuazione) e sufficientemente precisa (nel senso che la fattispecie astratta ivi prevista ed il contenuto del precetto ad essa applicabile devono essere determinati con compiutezza in tutti i loro elementi)”.

L'orientamento così delineato ha poi costantemente permeato tutte le sentenze della Consulta, comprese quelle citate dal GIP di Roma - Ufficio 18 e dal GIP di Bari.

La Corte, in definitiva, chiamata a definire il rapporto tra l'ordinamento nazionale e l'ordinamento comunitario - prima, europeo poi -, ne ha individuato il sicuro fondamentonell'art. 11 Cost., in forza del quale si “è demandato alle Comunità europee, oggi Unione europea, di esercitare in luogo degli Stati membri competenze normative in determinate materie, nei limiti del principio di attribuzione”.

Limiti, dunque, e controlimiti, secondo quel parametro creato dalla storica “sentenza Frontini” n. 183/1973, che furono poi sapientemente “agitati” dalla Corte Costituzionale nella importante ordinanza n. 14/2017, adottata in occasione della vicenda Taricco. Ordinanza che, per quanto qui di interesse, è tornata a fissare anche l'importante principio della sufficiente determinatezza della fattispecie: condizione che viene posta come requisito indefettibile - non solo alla luce degli ordinamenti interni ma - anche nella prospettiva delle tradizioni costituzionali degli stati membri di civil law, i quali non affidano al giudice il potere di creare il regime penale al posto della legge di origine parlamentare, poiché “al giudice non possono spettare scelte basate su discrezionali valutazioni di politica criminale”. “Nell'ordinamento italiano, come anche nell'ordinamento europeo, l'attività giurisdizionale è soggetta al governo della legge penale, mentre quest'ultima non può limitarsi ad assegnare obiettivi di scopo al giudice. Non si può escludere allora che la legge nazionale possa e debba essere disapplicata se ciò è prescritto in casi specifici dalla normativa europea. Non è invece possibile che ildiritto dell'Unione fissi un obiettivo di risultato al giudice penale e che, in difetto di una normativa che predefinisca analiticamente casi e condizioni, quest'ultimo sia tenuto a raggiungerlo con qualunque mezzo rinvenuto nell'ordinamento”.

Pertanto, sintetizzando il pensiero che la Consulta ha espresso nel tempo, l'applicabilità diretta può esservi solo qualora la prescrizione europea sia tale da non lasciare margini di discrezionalità al giudice comune nella sua attuazione e se la fattispecie astratta ivi prevista ed il contenuto del precetto ad essa applicabile siano determinati con compiutezza in tutti i loro elementi.

La ventilata assimilazione della disciplina acquisitiva dei tabulati alla disciplina delle intercettazioni

Se, dunque, i requisiti della precisione e della determinatezza sono necessari ed indefettibili per la diretta applicabilità nell'ordinamento italiano delle statuizioni della sentenza della Corte di Giustizia del 2 marzo 2021, la prova regina della loro non sussistenza nella vicenda in esame la fornisce proprio l'argomentazione del Gip di Bari e del Gip di Roma - Ufficio 18. Questi due provvedimenti, di fronte alla necessità di dare “contorni normativi” alla disciplina acquisitiva dei tabulati - che è stata appena resa “orfana” della cornice dell'art. 132 - risolvono la intervenuta carenza regolatoria con l‘assimilazione tout court alla disciplina delle intercettazioni, operazione che appare più di politica legislativa che di attività giurisdizionale. Sostanzialmente, l'assimilazione viene dai GIP, nelle loro motivazioni, considerata “naturale” in virtù della regola del “più che contiene il meno”, ma il ragionamento non convince, per due ordini di motivi.

In primo luogo, tale assimilazione contrasta con il dictum della Corte Costituzionale che, in più occasioni, a cominciare dalla importante sentenza n. 81/1993, ha disconosciuto ogni analogia tra la natura dell'attività intercettativa e quella dell'attività di acquisizione dei tabulati, ritenendo non fondata la questione di legittimità costituzionale che era stata sollevata con riferimento all'art. 266 c.p.p., nella parte in cui detta norma non estende le garanzie ivi previste per le intercettazioni anche all'acquisizione dei tabulati. In proposito, la Consulta, premesso che nella protezione accordata dall'art. 15 Cost. alla inviolabilità ed alla libertà di ogni forma di comunicazione rientra anche ogni informazione o notizia idonea ad identificare i dati esteriori della conversazione telefonica in quanto appartenenti anch'essi alla sfera privata attinente alla libertà e alla segretezza della comunicazione, ha individuato e delineato, per l'acquisizione dei tabulati, un modello di tutela attenuato. Ha affermato, infatti, la Corte Costituzionale: “come già ribadito da questa Corte, le informazioni o i dati comportanti intromissioni nella sfera privata attinenti al diritto inviolabile della libertà e della segretezza delle comunicazioni, possono essere acquisiti soltanto sulla base di un atto dell'autorità giudiziaria, sorretto da adeguata e specifica motivazione, diretta a dimostrare la sussistenza in concreto di esigenze istruttorie volte al fine, costituzionalmente protetto, della prevenzione e della repressione dei reati”. Si tratta di un quid minus di tutela, definita dalla Corte stessa come “il livello minimo di garanzie” diretto ad assicurare “tanto il rispetto di requisiti soggettivi di validità (atto dell'autorità giudiziaria, sia questa il Pubblico Ministero, il giudice per le indagini preliminari o il giudice del dibattimento) quanto il rispetto di requisiti oggettivi (sussistenza ed adeguatezza della motivazione in relazione ai fini probatori concretamente perseguiti)”.

In merito, la Corte ha delineato un sistema di garanzie - evocante la costruzione per sfere concentriche, elaborata dal diritto tedesco, se pur poi da quel diritto superata - che ben rappresenta il rapporto intercorrente tra attività di intercettazione ed attività di acquisizione dei tabulati in seno alla comune garanzia di cui all'art.15 Cost.: sfere concentriche nelle quali si collocano con diversa estensione le tutele dei diritti fondamentali, cosi ritenendo l'acquisizione dei tabulati - e quindi la conoscenza dei dati da essi forniti - come comportante una incisione sul diritto alla libertà e segretezza delle comunicazioni, inferiore rispetto a quella connessa alla intercettazione del contenuto della comunicazione.

Come diretto corollario di tale costruzione, pertanto, la Corte ha osservato che “non vi può essere dubbio che, conformemente a quanto afferma la giurisprudenza di merito, la particolare disciplina predisposta dagli artt. 266-271 c.p.p. sulle intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni telefoniche si applica soltanto a quelle tecniche che consentono di apprendere, nel momento stesso in cui viene espresso, il contenuto di una conversazione o di una comunicazione”. Ed ancora, si legge, che “la riferibilità delle disposizioni indicate esclusivamente all'intercettazione del contenuto di conversazioni telefoniche si deduce con estrema chiarezza dal complesso delle norme previste in quegli articoli, le quali descrivono operazioni e modalità di azioni in grado di assumere un qualche significato normativo soltanto ove siano poste in relazione con l'apprensione e l'acquisizione del contenuto di comunicazioni”. Sotto il profilo indicato, quindi, la Consulta ha affermato: “la richiesta del giudicea quo di una pronunzia additiva, volta ad estendere le garanzie previste dagli artt. 266-271c.p.p. per l'intercettazione del contenuto di conversazioni telefoniche a qualsiasi altra acquisizione a fini probatori di notizie riguardanti il fatto storico dell'avvenuta comunicazione, non può essere accolta”.

Di più, pur se la estrema chiarezza delle affermazioni della Consulta non meriterebbe aggiungere altro, occorre far cenno anche al secondo ordine di motivi, attinente alle problematiche che la strada dell'assimilazione - pur ove si ritenesse possibile percorrerla - presenterebbe, proprio in ragione della sopra rappresentata imprecisione ed indeterminatezza delle indicazioni della Corte di Giustizia. Si tratta, in estrema sintesi, delle criticità - già diffusamente prospettate da quei giudici nazionali che hanno ritenuto impraticabile la strada della diretta applicazione – derivanti dall'assenza di indicazioni precise in relazione:

- alla individuazione del Giudice da adire, se esso sia il GIP comunque e sempre, ovvero se occorra far riferimento al Giudice della fase;

- al superamento della previsione dell'art. 328 c.p.p., nella parte in cui prevede che il Pubblico Ministero avanzi richieste al GIP solo nei casi previsti dalla legge;

- alle specifiche modalità ed ai tempi che debbano regolare l'attività di richiesta ed acquisizione dei tabulati e ciò anche con riferimento alle difese, i cui diritti all'acquisizione sono attualmente previsti e disciplinati dall'art. 132, e che verrebbero meno insieme alla norma;

- al catalogo - che deve essere necessariamente preciso e totalmente condiviso - con cui riempire la generica nozione di gravi reati (in proposito rilevandosi come il mero richiamo ai reati di cui agli artt. 266 e 266-bis c.p.p., per i quali è consentita la intercettazione, porterebbe con sé anche reati pacificamente non gravi);

- alla previsione di un regime sanzionatorio.

Approfondendo tale ultimo punto, si tratta di altra criticità rilevantissima che investe il regime sanzionatorio da riservare all'acquisizione dei tabulati operata dal Pubblico Ministero ove lo si ritenga non autorizzato a ciò. Orbene, in merito, così è dato leggere nel provvedimento del GIP di Bari: “In conclusione l'estensione della disciplina legale in tema di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni telefoniche all'acquisizione dei dati di identificazione dei soggetti e delle connotazioni spazio-temporali della comunicazione nella giurisprudenza di legittimità comporta - in assenza del decreto dell'autorità giudiziaria intesa quale Tribunale – la radicale sanzione dell'inutilizzabilità degli esiti di prova, e, quindi, l'impossibilità di disporre l'intercettazione telefonica avente ad oggetto un numero telefonico individuato sulla scorta di tabulati telefonici acquisiti dal P.M., trattandosi di inutilizzabilità conseguente ad un divieto di acquisizione della prova, ovvero a violazione espressamente comminata dalla legge ex art. 271 c.p.p. Peraltro, nella categoria delle prove sanzionate, ex art. 191 c.p.p., dall'inutilizzabilità, rientrano non solo quelle oggettivamente vietate, ma anche le prove formate o acquisite in violazione dei diritti soggettivi tutelati dalla legge, e, a maggior ragione, trattandosi di libertà assolute indipendenti dal fenomeno normativo ordinario, direttamente dalla Costituzione”.

La scelta del GIP di Bari non convince.

In primo luogo, essa pare confliggere con quanto nettamente affermato in proposito dalla Corte Costituzionale che – nella motivazione della sentenza n. 81/1993 sopra ricordata - ha esplicitamente escluso l'applicabilità delle previsioni – anche- dell'art. 271 c.p.p. al regime acquisitivo dei tabulati. In secondo luogo, non appare consentita la espansione di un regime di inutilizzabilità rigorosamente tassativo, quale è quello previsto dall'art. 271 c.p.p. Neppure sembra consentito farsi richiamo alla categoria di generale inutilizzabilità prevista dall'art.191 c.p.p. che si collega rigorosamente alle acquisizioni contra legem, laddove, nel caso che ci occupa, non si tratterebbe di prova acquisita in violazione di un divieto stabilito dalla legge ma, diversamente, di prova la cui acquisizione, ben consentita dalla legge, risulterebbe effettuata senza l'osservanza delle formalità prescritte. Tale concetto, più volte scrutinato dalla Corte di Cassazione, ha portato il supremo consesso nomofilattico ad affermare che “l'inutilizzabilità generalmente prevista dall'art. 191 c.p.p. è tassativamente ricollegata alla previsione e alla violazione di un esplicito divieto di legge, non anche a ogni difformità che si verifichi nel corso del procedimento di acquisizione” (Cass. pen., Sez. VI, 4 maggio 2006, n. 33435).

In conclusione

L'efficacia diretta delle pronunce rese in via pregiudiziale dalla Corte di Giustizia con riferimento alle interpretazioni di una direttiva europea (salvo i casi, eccezionali, delle cosiddette direttive dettagliate) è ravvisabile solo laddove, per effetto di tali interpretazioni, non residuino, negli istituti giuridici regolati, concreti problemi applicativi e profili di discrezionalità che richiedano necessariamente l'intervento del legislatore nazionale.

Orbene, se la risposta alle problematiche interpretative ed applicative sin qui esaminate (ed il ventaglio potrebbe essere ben più ampio) appare necessariamente demandata alle scelte ed alle valutazioni discrezionali - in una parola, alla creatività - del giudice che sia investito di volta in volta nelle varie sedi della richiesta di acquisizione dei tabulati, ne rimane in tal modo dimostrata la mancanza di un qualsivoglia requisito minimo di quella “certezza applicativa, delineata e postulata - non solo dalla richiamata ordinanza della Corte Costituzionale, resa nel caso Taricco, ma anche dalla stessa Corte di Giustizia - come essenziale ai fini della efficacia diretta.

Infatti, nella sentenza della CGUE del 2 marzo 2021, al par. 49, la Corte afferma che una normativa nazionale che disciplini l'accesso delle autorità competenti a dati relativi al traffico e a dati relativi all'ubicazione conservati, adottata ai sensi dell'articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58, non può limitarsi a esigere che l'accesso delle autorità ai dati risponda alla finalità perseguita da tale normativa, ma deve altresì prevedere le condizioni sostanziali e procedurali che disciplinano tale utilizzo”. Ribadendosi, al successivo par. 50, che “la normativa nazionale in questione deve fondarsi su criteri oggettivi per definire le circostanze e le condizioni in presenza delle quali deve essere concesso alle autorità nazionali competenti l'accesso ai dati in questione”. Indicazioni queste inequivoche del pensiero della Corte di Giustizia volto a demandare alle determinazioni del legislatore nazionale e non alla elaborazione del giudice nazionale, il concreto adeguamento della disciplina dell'acquisizione dei tabulati.

Concludendo, se indubbia è la necessità di un intervento - o chiarificatore da parte della Corte di Giustizia o normativo da parte del legislatore nazionale -, parimenti indubbia è la non ammissibilità, nell'attesa, di assimilazioni creative.

Allo stato, ove si dovesse ritenere sussistente un contrasto tra l'art. 132 d.lgs. n. 196/2003 e l'art. 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58 – non direttamente applicabile - per come, ad oggi, interpretato dalla Corte di Lussemburgo, il giudice nazionale comune, essendo privo, in tal caso, del potere di disapplicare la normativa interna contrastante, dovrebbe sottoporre la questione al Giudice delle Leggi: solo al Giudice delle Leggi, invero, è riservata la valutazione del se la terzietà della figura del Pubblico Ministero italiano sia elemento identificativo dell'ordinamento costituzionale, come tale non passibile di incisioni di sorta da parte della Corte di Giustizia.

Il riferimento ad un “intervento di difesa” da parte della Corte Costituzionale e, dunque, ai controlimiti è chiaro.

Guida all'approfondimento

L.FILIPPI, La grande Camera della Corte di giustizia U.E. boccia la disciplina italiana sui tabulati, CGUE, Sez. V, 17 dicembre 2020, n. 459, in www.penaledp.it;

A. MALACARNE, Ancora sulle ricadute interne della sentenza della Corte di Giustizia in materia di acquisizione di tabulati telefonici: il G.I.P. di Roma dichiara il “non luogo a provvedere” sulla richiesta del P.M., scheda 5 maggio 2021, in www.sistemapenale.it;

G. BATTARINO, CGUE e dati relativi al traffico telefonico e telematico. Uno schema di lettura, 21 aprile 2021, in www.questionegiustizia.it;

F. RESTA, Conservazione dei dati e diritto alla riservatezza, La Corte di Giustizia interviene sulla data retention. I riflessi sulla disciplina interna,6 marzo 2021, in www.giustiziainsieme.it;

R. E. KOSTORIS, La Corte Costituzionale e il caso Taricco, tra tutela dei ‘controlimiti' e scontro tra paradigmi, 23 marzo 2017, in www.penalecontemporaneo.it;

R. CALVANO, La Corte Costituzionale e i 'Controlimiti' 2.0. in Fonti del diritto N. 1/2016, www.federalismi.it.

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