Sottrazione della casa familiare ad opera di un genitore: tutela della prole e conseguenze rispetto al regime di affidamento

Paola Maccarone
27 Maggio 2021

La sentenza in commento esamina le tematiche connesse alle sorti dell'abitazione familiare in caso di separazione e che necessariamente impongono di affrontare, sia il problema della trascrizione del provvedimento di assegnazione e della sua opponibilità rispetto ai terzi, sia il tema delle conseguenze che derivano, rispetto ai figli, dall'eventuale sottrazione della casa da parte di uno dei coniugi e questo, tanto in termini di affidamento che di mantenimento.
Massima

Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, nell'ambito di un procedimento giudiziale di separazione personale, ha disposto l'affidamento esclusivo della figlia minore alla madre ed ha posto a carico del marito, oltre ad un assegno di importo elevato per l'ordinario mantenimento dei figli, anche un assegno a favore della moglie in considerazione,“...tra l'altro, della necessità di reperire un nuovo alloggio...”e questo perché il padre, mostrandosi del tutto incurante degli stessi interessi della propria prole, qualche giorno prima dell'avvio della causa aveva segretamente venduto la casa familiare e trascritto il relativo atto, al fine di vanificare l'inevitabile provvedimento di assegnazione, grazie alla sua inopponibilità ai terzi acquirenti di buona fede.

Il caso

Entrambi i coniugi, sposati da più di 20 anni, avevano chiesto l'addebito reciproco della separazione; la moglie perché il marito, uomo estremamente geloso, avrebbe sempre tenuto comportamenti ostruzionistici nei suoi confronti, il marito in quanto la moglie, assidua frequentatrice di palestre e “indossatrice di pantaloncini aderentissimi e trasparenti” (sic!) si sarebbe resa colpevole del cosiddetto “adulterio apparente”.

Di qui la richiesta dell'uomo di ottenere l'affido esclusivo dei figli, ovvero l'affido condiviso con collocazione prevalente presso di lui, l'assegnazione della casa familiare e la previsione, a carico della moglie, di un assegno di mantenimento a favore dei figli.

All'udienza presidenziale, fallito il tentativo di conciliazione, il Presidente (i) affidava i figli ad entrambi i genitori con collocazione prevalente presso la madre, stabilendo il diritto di visita del padre (ii) assegnava l'abitazione familiare alla moglie (iii) poneva a carico del marito l'obbligo di versare a quest'ultima casalinga senza alcuna fonte di reddito, la somma di € 400,00, oltre al 50% delle spese straordinarie, a titolo di concorso nel mantenimento ordinario dei figli (iv) poneva a carico dell'uomo l'obbligo di corrispondere alla donna un assegno di mantenimento nella misura di € 200,00 mensili.

Tenendo conto, da un lato, della “singolarità” delle reciproche pretese di addebito e, dall'altro lato, della “antinomia” esistente quanto alle richieste circa l'affidamento dei figli - il padre che accusa la madre di impedirgli di vedere la figlia minorenne e la moglie che accusa il marito di opprimere la bambina per ottenere notizie circa la sua vita privata -, il Tribunale disponeva una CTU psicologica, dalla quale emergevano due personalità atte ad enfatizzare "...le malefatte reciproche in una modalità infantile ed egocentrica, dimenticando quali sono le priorità...".

Di qui il consiglio dato ad entrambi dal Consulente di seguire un percorso di psicoterapia, individuale e relazionale per il padre e familiare con i figli per la madre, non essendo stato ravvisato alcun ostacolo alla previsione di un affidamento condiviso dei figli.

Il Tribunale, però, è andato di contrario avviso, soprattutto quanto alla posizione della figlia - il figlio, nelle more, era divenuto maggiorenne - poiché il padre "...in maniera intenzionale e preordinata (aveva) privato la moglie e, per quanto qui maggiormente interessa, i figli della casa familiare procedendo all'alienazione dell'immobile pochi giorni prima della causa...".

Nel corso del giudizio si era infatti scoperto che il marito, con atto trascritto pochi giorni prima dell'udienza presidenziale, aveva alienato la casa familiare acquistata in regime di comunione legale ed aveva taciuto tale circostanza al Presidente che, pertanto, non solo aveva assegnato alla moglie un'abitazione che non era più nella disponibilità delle parti, ma non aveva nemmeno tenuto conto di un fatto storico tanto rilevante ai fini della quantificazione dell'assegno di mantenimento.

La sentenza in commento ha giustamente evidenziato come la decisione assunta dal padre avesse ulteriormente peggiorato le relazioni con i figli, profondamente colpiti e delusi dal fatto di avere perso la propria casa e di essere stati così privati delle abitudini e delle sicurezze legate all'ambiente familiare.

Se da un lato il figlio maggiorenne aveva addirittura manifestato l'intenzione di voler interrompere ogni rapporto con il genitore, dall'altro lato la figlia minore aveva iniziato a nutrire nei suoi confronti un crescente malessere, indubbiamente acuito dall'atteggiamento continuamente denigratorio del padre nei riguardi della madre, che, peraltro, non aveva mai ostacolato il rapporto genitoriale, nonostante la presenza “poco adeguata” della compagna del marito.

In questo stato di cose, ovvero a fronte del fatto che il padre, con la vendita della casa familiare, aveva dimostrato di non avere per nulla a cuore i bisogni della figlia, il Tribunale ha disposto l'affido esclusivo alla madre al fine di assicurare la miglior tutela possibile degli interessi della minore, senza ampliare il diritto di visita del padre, fino a che l'uomo non avesse dimostrato di aver modificato il proprio atteggiamento ed i propri comportamenti nei confronti della figlia stessa.

A tal fine, ed in conformità di quanto suggerito dal proprio Consulente, il Tribunale ha imposto ad entrambi i genitori di intraprendere un percorso di psicoterapia al fine di consolidare le rispettive competenze genitoriali, soprattutto quanto alla necessità per il padre di mutare radicalmente la propria relazione nei confronti della figlia, cercando di avere “...una maggiore attenzione verso la bambina che non costituisce l'oggetto di un diritto, ma è un soggetto portatore di diritti di natura prevalente sugli altri...”.

Infine, avendo rilevato l'impossibilità di assegnare alla moglie la casa familiare venduta prima dell'inizio della causa di separazione con la conseguente inopponibilità del provvedimento di assegnazione al terzo acquirente di buona fede, il Tribunale, nella quantificazione dell'assegno di mantenimento, ha dovuto tenere necessariamente in considerazione il fatto che, mentre da un lato la madre ed i figli avrebbero dovuto reperire un'altra abitazione a seguito della perdita del godimento della casa familiare, dall'altro lato il marito si era scuramente arricchito grazie alla compravendita posta unilateralmente in essere.

Sulla base di queste inoppugnabili considerazioni e specialmente della palese disparità delle condizioni economiche esistenti tra i coniugi, il Tribunale ha posto a carico del padre, a titolo di concorso nel mantenimento dei figli, un assegno mensile di € 700,00 - di cui € 300,00 per il maggiorenne ed € 400,00 per la minorenne - oltre al pagamento del 50% delle spese straordinarie, nonché un assegno mensile di € 200,00 quale contributo al mantenimento per la moglie, il tutto con l'ordine di pagamento diretto ex art. 156 c.c.

Inoltre, a fronte del totale disinteresse mostrato dal padre nei confronti del diritto dei figli a conservare il proprio habitat familiare, ha disposto l'affidamento esclusivo della figlia alla madre, apparendo questa la soluzione più confacente all'interesse della minore.

La Questione

L'interessante sentenza in esame pone all'interprete molteplici questioni, non ultima quella del cosiddetto “adulterio apparente”, sulle quali varrebbe la pena di indagare più approfonditamente, al fine di comprendere appieno le ragioni logico-giuridiche delle decisioni adottate nella specie dal Tribunale sammaritano.

In questo contesto, vogliamo invece limitare l'indagine alla disamina delle tematiche connesse con le sorti dell'abitazione familiare in caso di separazione e che necessariamente impongono di affrontare, sia il problema della trascrizione del provvedimento di assegnazione e della sua opponibilità rispetto ai terzi, sia il tema delle conseguenze che derivano, rispetto ai figli, dall'eventuale sottrazione della casa da parte di uno dei coniugi e questo, tanto in termini di affidamento che di mantenimento.

I quesiti che sorgono spontaneamente e cui cercheremo di dare una risposta, sono i seguenti: (i) quale è l'interesse primario che sottostà all'assegnazione della casa familiare? (ii) esiste una correlazione economica tra l'assegnazione della casa familiare e la quantificazione dell'assegno di mantenimento a favore dei figli e del coniuge affidatario? (iii) quali sono gli effetti della sottrazione della disponibilità della casa coniugale, quanto all'affido dei figli minori? (iv) la trascrizione del provvedimento di assegnazione per come strutturata è idonea a tutelare gli interessi del coniuge affidatario e dei figli affidati?

Le soluzioni giuridiche

Sotto il primo profilo di indagine bisogna riconoscere che, nella fase patologica di un matrimonio, una delle problematiche più difficili da affrontare perché inscindibilmente connessa con la tutela dei figli, è quella legata all'assegnazione della casa coniugale.

Sin dall'ormai lontano 1982, le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, avendo statuito che l'assegnazione della casa coniugale “... deve ritenersi dettata nell'esclusivo interesse della prole minorenne ...” per impedire che i figli soffrano anche a causa “... dell'allontanamento dall'ambiente in cui vivono ...”, hanno fissato il principio cardine secondo cui, nell'emettere il provvedimento di assegnazione, il Giudice deve porre in primo piano l'interesse dei figli nati e cresciuti in quell'abitazione, poiché solo così si può pensare di tutelare la loro serenità e stabilità mentale, già stravolta e compromessa dalla separazione dei genitori. (Cass. civ., sez un., n. 2494/1982 , conf. tra le altre Cass. civ. nn. 7832/1987, 6550/1987, 6424/1987, 4089/1987 e 3571/1987).

Successivamente, ovvero in un momento storico in cui era forte l'esigenza sociale di tutelare le donne che, essendo prevalentemente addette alla gestione della famiglia ed alla crescita dei figli, in ambito matrimoniale erano prive di fonti di reddito proprie e dipendevano in tutto e per tutto dal marito, è andato profilandosi in giurisprudenza un orientamento secondo il quale si sarebbe dovuto prestare maggiore attenzione alla necessità di tutelare gli interessi del soggetto economicamente più debole.

In questo senso, partendo dall'interpretazione letterale dell'art. 6 della l. 898/1970, per come riformato dalla l. 74/1987, secondo il quale “... in ogni caso ai fini dell'assegnazione il giudice dovrà valutare le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e favorire il coniuge più debole ...”, si è affermato che, nella regolamentazione dei rapporti patrimoniali fra coniugi separati, si dovesse considerare la possibilità di assegnazione della casa coniugale anche al coniuge non affidatario dei figli come estrinsecazione pratica dell'obbligo di mantenimento (Cass. civ. n. 878/1987; n. 634/1987; Cass. Civ. n. 1198/1984 e n. 5632/1990).

Per ricomporre il contrasto giurisprudenziale creatosi con l'orientamento, testé citato e certamente minoritario, che riteneva di poter utilizzare l'assegnazione della casa coniugale, non solo come un provvedimento idoneo a tutelare la prole minorenne o non autosufficiente, ma anche come uno strumento utile per regolare i rapporti patrimoniali ed economici tra i coniugi, la Corte di cassazione a Sezioni Unite ha enunciato il principio di diritto secondo cui l'art. 6 per come risultante dalla novella del 1987, “… non attribuisce al giudice il potere di disporre l'assegnazione a favore del coniuge che non vanti alcun diritto - reale o personale - sull'immobile e che non sia affidatario della prole minorenne o convivente con i figli maggiorenni non ancora provvisti, senza loro colpa, di sufficienti redditi ...” (Cass. civ., sez. un., n. 11297/1995).

Successivamente, la Suprema Corte (nonostante qualche opinione contraria come Cass. civ., n. 6106/1997) è arrivata a sacrificare le esigenze di vita del coniuge non affidatario della prole, non solo quando questi svolgeva un'attività lavorativa o imprenditoriale all'interno dell'abitazione famigliare (Cass. civ., n. 26586/2009), ma anche nel caso in cui i costi di gestione a carico del coniuge proprietario esclusivo e non assegnatario dell' abitazione avrebbero reso economicamente più conveniente la vendita dell'immobile stesso (Cass. civ., nn. 26586/2009 e 23591/2010).

Ora è chiaro che, in un simile e consolidato orientamento giurisprudenziale, l'interesse primario che sottostà all'assegnazione della casa familiare può e deve essere individuato nella sana e regolare crescita della prole, non potendo l'istituto dell'assegnazione della casa familiare essere utilizzato come misura economica alternativa o integrativa nei confronti del coniuge economicamente più debole.

Tuttavia, venendo ora a trattare del secondo tema d'indagine, ossia della correlazione economica tra l'assegnazione della casa familiare e la quantificazione dell'assegno di mantenimento a favore dei figli e del coniuge affidatario, se da un lato è vero che, in assenza, di figli minorenni o non autosufficienti, il Tribunale investito dalla separazione non potrebbe assegnare la casa coniugale, ancorché di proprietà comune ovvero di uno solo dei coniugi, dovendo trovare applicazione nella specie soltanto la normativa ordinaria in materia di proprietà e possesso (Cass. civ. 18440/2013), dall'altro lato è altrettanto vero che l'art. 155-quater c.c. trasfuso poi nell'art. 337-sexies c.c., impone al giudice di tenere in considerazione il provvedimento di assegnazione nella determinazione economica del quantum eventualmente dovuto a titolo di mantenimento, così come il titolo di proprietà in capo ad uno dei due coniugi, piuttosto che ad entrambi.

Da questa norma si evince chiaramente come, nella quantificazione dell'importo del contributo eventualmente dovuto dal coniuge proprietario o comproprietario dell'immobile in favore dell'altro coniuge e dei figli, si debba tenere in considerazione anche il sacrificio economico sofferto dal coniuge non assegnatario a causa dell'impossibilità di utilizzare l'immobile per tutta la durata dell'assegnazione e della necessità di dover reperire un altra casa in cui vivere, sostenendo tutte le spese relative (Cass. civ., n. 266/2000).

Questo principio, però, è per così dire bilaterale, nel senso che vale a disciplinare anche il caso in cui sia stato il genitore affidatario ad essere spogliato dal diritto di poter godere della casa familiare; in questo senso la Cassazione ha invero statuito che, a seguito della revoca e/o della privazione del diritto di abitazione nella casa coniugale, è necessario che il Giudice “... valuti, una volta in tal modo modificato l'equilibrio originariamente stabilito fra le parti e venuta meno una delle poste attive in favore di un coniuge, se sia ancora congrua la misura dell'assegno di mantenimento originariamente disposto...” (Cass. civ., n. 28001/2013; n. 9079/2011).

A conclusione della disamina del secondo tema d'indagine, si può così affermare che, tra l'assegnazione della casa e la quantificazione dell'assegno mantenimento, esiste una chiara correlazione, sia in senso positivo che in senso negativo, come dianzi prospettato.

A questo punto, è inevitabile chiedersi quali possano essere gli effetti della sottrazione della disponibilità della casa coniugale, quanto all'affido dei figli minori.

La problematica connessa con il nostro terzo tema d'indagine è stata affrontata dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che, dopo aver disposto nella fase Presidenziale l'assegnazione della casa coniugale alla moglie collocataria dei figli ed aver quantificato l'assegno di mantenimento posto a carico del marito in funzione di detta assegnazione, ha dovuto constatare che, del tutto segretamente, il marito stesso aveva venduto a terzi la casa familiare da lui acquistata in regime di comunione legale e trascritto il relativo atto pochi giorni prima dell'inizio della causa di separazione.

Poiché dall'istruttoria esperita non era emersa l'esistenza di alcun pregresso rapporto tra il venditore e l'acquirente, talché questi doveva essere considerato alla stregua di un terzo di buona fede e che, d'altra parte, nell'originario atto di acquisto dell'appartamento in questione non era stata inserita la clausola relativa alla destinazione della casa alle esigenze della famiglia dell'acquirente, il Tribunale non ha potuto fare altro che prendere atto dell'inopponibilità al terzo acquirente del provvedimento di assegnazione della casa familiare e rivedere il provvedimento presidenziale, sia in merito alla quantificazione dell'assegno di mantenimento per i figli e la madre, che in merito all'affidamento della minore.

Sotto il primo profilo, partendo dall'ovvia constatazione che, mentre da un lato il marito aveva sicuramente incrementato il proprio patrimonio grazie alla vendita effettuata unilateralmente, dall'altro lato la moglie sarebbe stata costretta a reperire una nuova abitazione, il Giudice ha sensibilmente incrementato l'ammontare degli assegni posti a carico del marito in sede di udienza presidenziale, e questo sia per quanto riguarda i figli che la moglie.

Sotto il secondo profilo il Tribunale, in considerazione della gravità del fatto posto in essere dal padre senza tenere in alcun conto l'impatto psicologico-comportamentale che la privazione della casa familiare avrebbe avuto sulla prole, è andato di contrario avviso rispetto all'orientamento possibilista espresso dal proprio Consulente Tecnico quanto all'affidamento condiviso tra i genitori ed ha disposto l'affido esclusivo della minore alla madre.

Secondo il Collegio, invero, la condotta posta in essere dal padre con la vendita della casa familiare “... non solo è sintomatica di una profonda noncuranza degli interessi e dei diritti della bambina, ma è anche fonte di sicuro pregiudizio attesa l'estrema importanza della conservazione dell'habitat familiare. Di conseguenza, va disposto l'affido esclusivo della madre, soluzione maggiormente rispondente all'interesse della minore ...”.

Decisione di grande momento, questa, alla luce del disposto dell'art. 337-quater c.c. introdotto dal d.lgs. 154/2013, che riprendendo sostanzialmente il dettato dei primi due commi dell'abrogato art. 155-bis c.c., conferma il diritto della prole alla bi-genitorialità e confina l'affido esclusivo a uno dei due genitori nel ristretto ambito delle ipotesi, del tutto eccezionali, in cui l'affido condiviso risulti concretamente contrario all'interesse del minore.

Trattandosi di una pesante deroga al principio generale della bi-genitorialità, è ovvio che, per motivare adeguatamente la propria decisione, il Giudice dovrà valutare preventivamente l'esistenza nella specie di un reale pregiudizio che contrasti con il perseguimento del superiore interesse del minore, ma è altrettanto evidente che la norma in esame consente di escludere il genitore immeritevole dall'affidamento, senza richiedere una sua responsabilità specifica o legata ad inadempimenti precisi rispetto ai doveri familiari a cui sarebbe tenuto (Cass. civ., n. 24526/2010 e Cass. civ., n. 27/2017).

A questo proposito in giurisprudenza si è ritenuto di poter derogare alla regola generale a fronte (i) del completo disinteresse di un genitore rispetto alla vita di un figlio (tra le altre Trib. Vicenza 11 novembre 2019 n. 2328 Trib. Pistoia 2 luglio 2020 n. 501) (ii) della violazione dell'obbligo di mantenimento e di visita (Cass. civ. 26587/2009) (iii) di comportamenti esageratamente conflittuali tra i genitori (Cass. civ., n. 5604/2020).

Da ciò deriva che l'eventuale provvedimento assunto dal Giudice dovrà contenere una valutazione sia in senso positivo sull'idoneità educativa di un genitore, che in senso negativo rispetto alle mancanze dell'altro (Cass. civ. , n. 2824/2019) e ciò sempre al fine di ridurre al massimo i danni derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare e assicurare il miglior sviluppo della personalità del minore.

Orbene, nel caso di specie il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, dopo aver attentamente analizzato la condotta del padre in relazione ai limiti comportamentali già stigmatizzati dal CTU e che, sminuendo di per se stessi la persona, ne minavano le capacità genitoriali e relazionali con la figlia, ha attribuito particolare rilevanza alla preordinata vendita della casa familiare, palesemente strumentale al fine di porre nel nulla il provvedimento di assegnazione al coniuge affidatario, giungendo così alla conclusione di ritenere l'affido condiviso controproducente per il minore e di dover quindi affidare la figlia minore in via esclusiva alla madre.

Da quanto sin qui esposto e sostenuto è però emerso che l'assegnazione della casa coniugale non pone solo problemi educativi e sentimentali in seno alla famiglia, ma comporta anche la disamina di problematiche legate, da un lato, alla tutela degli interessi economici del genitore affidatario e della prole e, dall'altro lato, al rispetto dei diritti degli eventuali terzi acquirenti dell'immobile o dei creditori del proprietario del bene stesso.

Tutele che, come vedremo affrontando il quarto tema d'indagine, il nostro ordinamento ha sin qui ritenuto di poter garantire attraverso la trascrizione del provvedimento giudiziale di assegnazione della casa coniugale.

A questo proposito giova ricordare che fu grazie alla l. 74/1987 di riforma della normativa sul divorzio, che venne introdotta la possibilità di trascrivere i provvedimenti di assegnazione della casa coniugale e che, al fine di poter rendere certamente opponibili detti provvedimenti, venne fatto esplicito riferimento alla disciplina dettata in tema di locazioni dall'art. 1599 c.c.; va ricordato anche che, successivamente, fu grazie all'intervento della Corte Costituzionale che l'applicazione della norma sulla trascrizione venne estesa alla separazione coniugale (Corte. cost., n. 454/1989, Cass. civ., n. 5902/1995) e poi, con successive pronunce, anche al caso di assegnazione con figli naturali (Corte cost., n. 166/1998).

Il parallelo creato tra il godimento della casa coniugale e la locazione aveva però creato un contrasto tra chi sosteneva che, per essere opponibile, fosse necessario che il provvedimento venisse sempre trascritto (Cass. civ., n. 4529/1999), e chi no (Cass. civ., n. 10977/1996 e n. 7680/1997); contrasto risolto dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite che, dopo aver chiarito che il provvedimento di assegnazione, essendo stato assunto nell'ambito di un provvedimento giudiziale di divorzio o di separazione, era di per sé stesso munito di data certa, ha affermato che lo stesso era opponibile al terzo acquirente, anche se non trascritto, per i nove anni successivi dalla data di emissione e anche oltre detto termine, ma solo ove trascritto (Cass. civ., sez. un., n. 11096/2002 in senso conforme Cass. civ., n. 12705/2003; n. 5067/2003 e n. 12466/2012).

Successivamente, l'art. 155-quater c.c. introdotto dalla l. 54/2006 con riferimento sia alla separazione che al divorzio, fissava il diverso principio secondo cui l'assegnazione sarebbe stata trascrivibile e opponibile ai terzi ai sensi dell'art. 2643 c.c.; tale norma suscitava non poche critiche a causa del mancato richiamo all'art. 1599 c.c., per come operato dall'art. 6 comma vi) della legge sul divorzio e questo perché, in caso di conflitto tra il terzo acquirente dell'immobile ed i potenziali beneficiari del diritto di godimento dell'abitazione familiare, la soluzione del problema andava ricercata unicamente nell'anteriorità della trascrizione del provvedimento di assegnazione rispetto alla trascrizione della vendita del bene a terzi e non più rispetto alla data di emissione del medesimo provvedimento, anche per i nove anni successivi alla data della sua adozione (Cass. civ., n. 20144/2009).

In buona sostanza, a prescindere dal richiamo all'art. 2643 c.c., la tutela del genitore assegnatario e dei figli con lui conviventi, dipendeva in tutto e per tutto, e tutt'ora dipende, visto il tenore dell'art. 337-sexies c.c., dalla tempestività della trascrizione del provvedimento di assegnazione, che diviene così l'unico strumento atto a rendere opponibile ai terzi il godimento riconosciuto dal Tribunale.

Ciò che è lampante è che entrambe le novelle del 2006 e del 2013 sembrano aver definitivamente sconfessato la possibilità di invocare il regime speciale dell'art. 1599 c.c., e questo benché una parte della dottrina abbia cercato di inquadrare l'assegnazione, ai soli fini circolatori, alla locazione ai sensi dell'art. 2643 n. 14 c.c., letto in combinato disposto con il n. 8, il quale rimanda, appunto, all'art. 1599 c.c. (Frezza G. “Mantenimento diretto e affidamento condiviso” Milano, 2008 p. 164).

Ad oggi, quindi, e fino a quando il legislatore non interverrà prevedendo un'adeguata forma di tutela per scoraggiare o vanificare gli intenti di chi compie manovre al limite del lecito al fine di sottrarre l'abitazione familiare alle esigenze della prole, soprattutto nell'imminenza dell'inizio del giudizio di separazione, casi come quello sottoposto al giudizio del Tribunale sammaritano potranno sempre verificarsi, essendo di fatto impossibile pensare di poter trascrivere il provvedimento di assegnazione prima dell'atto posto in essere per … vanificare gli effetti dell'assegnazione stessa!

Osservazioni

In conclusione, ci siano permesse un paio di considerazioni intorno al tema centrale dell'impossibilità per il genitore collocatario della prole minorenne o non autosufficiente, di conseguire l'assegnazione della casa familiare a dispetto dei “magheggi” posti in essere dal coniuge proprietario dell'immobile per sottrarsi all'adempimento dell'onere postogli a carico dal Tribunale.

Bisogna innanzitutto riconoscere che, in un contesto fattuale e normativo come quello sopra illustrato, i giudici del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nulla di diverso potevano fare rispetto a quello che hanno fatto, visto che il padre aveva “furbescamente” sottaciuto l'avvenuta trascrizione dell'atto di vendita della casa familiare prima dell'avvio del procedimento giudiziale, rendendo così inopponibile al terzo acquirente l'eventuale successivo provvedimento di assegnazione.

Assolutamente condivisibili paiono poi le motivazioni addotte a sostegno della decisione di affidare in via esclusiva la figlia alla madre, almeno fino a quando il padre non cambierà atteggiamento rispetto ai suoi doveri genitoriali, dato che i giudicanti hanno attentamente analizzato ogni singolo aspetto di tale delicata vicenda, nel pieno rispetto di quelli che sono i principi e le indicazioni dettate dalla giurisprudenza maggioritaria per l'assunzione di simili provvedimenti: in senso positivo, hanno riconosciuto alla madre, pur con le sue difficoltà, il pregio di aver avuto un influsso positivo sulla bambina e di non aver mai ostacolato i rapporti della stessa con il padre, in senso negativo hanno specificamente individuato tutte le carenze e le omissioni poste in essere dal padre, culminate con la sottrazione ai figli della casa familiare e che hanno contribuito ad aumentare le insicurezze della minore in un momento già di per sé estremamente delicato.

È chiaro che l'effetto “sanzionatorio” insito nella privazione del diritto alla bi-genitorialità potrebbe costituire un valido deterrente per chi si apprestasse a compiere simili azioni in danno dei propri figli, ma è altrettanto evidente come una simile soluzione non sia di per sé sufficiente a sopperire ai guasti causati dalla sottrazione dell'abitazione familiare da parte di uno dei genitori.

Guasti che potranno essere riparati solo allorquando il legislatore e/o la Consulta non decideranno di intervenire colmando quella che può essere considerata alla stregua di una vera e propria lacuna normativa, dato che, nel nostro ordinamento, non esiste una tutela effettiva per casi di spoglio simili a quello sopra esaminato e descritto.

Che il problema rivesta una notevole rilevanza pratica, prima ancora che scientifica, lo conferma il fatto che, che sin dagli anni ‘90, parte della dottrina, condivisa da chi scrive, ha iniziato a chiedersi se non fosse il caso di prevedere la trascrivibilità della domanda giudiziale volta all'assegnazione della casa familiare nelle more dello svolgimento del procedimento di separazione o di divorzio, così da poter tutelare gli interessi della parte ricorrente con il c.d. effetto prenotativo.

In giurisprudenza si trovano sia pronunce favorevoli a questa soluzione, a condizione però che l'immobile adibito a casa coniugale sia un bene di proprietà di un coniuge o comune (Trib. Venezia, 20 luglio 1993; Trib. Milano, 26 aprile 1997; Trib. Reggio Emilia, 13 aprile 2006), che contrarie (Trib. Venezia, 27 febbraio 2008; Trib. Salerno, 8 maggio 2007; Trib. Pisa, 27 febbraio 2008). Le prime sentenze tendono ad evitare possibili elusioni e strumentalizzazioni da parte dei genitori delle norme sull'assegnazione, posto che il fine delle stesse è la tutela della prole, mentre le seconde muovono dalla considerazione, condivisa dalla Corte di Cassazione (Cass. civ., n. 10434/1993 e n. 17391/2004), secondo cui, in punto di trascrizione delle domande giudiziali, vige il principio di tassatività, con conseguente impossibilità di trascrivere domande diverse da quelle indicate negli artt. 2652 e 2653 c.c.

Quest'ultima considerazione, ancorché pregnante, non pare certamente insuperabile, tanto che la giurisprudenza di merito ha più volte evidenziato la necessità di prevedere una trascrivibilità, facoltativa o per analogia, della domanda di assegnazione alla luce degli artt. 3, 24, 29, 30 e 31 della Costituzione, fornendo così un'interpretazione della norma costituzionalmente orientata, senza dover ricorrere ad un intervento della Corte costituzionale (Trib. Napoli, ord., 15 gennaio 2010), ma sino ad oggi i provvedimenti sono sempre stati negativi (Corte cost., ord., 27 aprile 2007, n. 142).

Ci si chiede allora: come mai in un ordinamento giuridico in cui è consentita a chiunque la facoltà di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti senza subire dei danni a causa della durata del processo, nulla viene fatto per tutelare l'interesse superiore ed esistenziale dei figli a rimanere nella propria abitazione? La possibilità, infatti, di trascrivere il ricorso per la separazione dei coniugi contenente una domanda di assegnazione della casa coniugale, tutelerebbe in modo concreto e pratico gli aventi diritto contro il rischio di perdere, nelle more del giudizio, il diritto di rimanere all'interno del proprio habitat domestico.

A ben vedere, infatti, nel contesto che ci occupa, prospettare la possibilità di esperire azioni risarcitorie a tutela dell'interesse della prole mal si concilia con il concetto di risarcimento per equivalente, visto che non tutto può essere semplicemente risolto con la dazione di una somma di denaro.

Al fine di cercare di risolvere un problema tutt'altro che marginale, dottrina e giurisprudenza, sono ricorse ad una serie di strumenti volti a tutelare il diritto di abitazione del genitore e della prole come, ad esempio, (i) la possibilità di sottoporre a sequestro conservativo i beni del coniuge tenuto al mantenimento (Trib. Napoli 17 luglio 1998); (ii) la previsione di rendere inefficace ex post la vendita dell'abitazione famigliare tramite l'esperimento dell'azione revocatoria ordinaria di cui all'art. 2901 c.c. tutte le volte in cui il trasferimento sia avvenuto prima dell'udienza presidenziale (Cass. civ., n. 11830/2007); (iii) la nullità della cessione della casa in quanto eseguita in frode alla legge ex art. 1344 c.c. per violazione degli artt. 143, 147 e 148 c.c., nonché all'art. 30 Cost.; (iv) l'esperimento dell'azione di simulazione ex art. 1414 ss c.c., posto che la relativa domanda è anche trascrivibile ai sensi dell'art. 2652 c.c.

In conclusione, anche dall'analisi dei possibili rimedi esperibili, risulta che nessuno strumento sia attualmente in grado di garantire l'infungibile interesse abitativo dei figli: a parere di chi scrive, infatti, una tutela può dirsi effettiva soltanto quando la stessa riesca a garantire il concreto godimento dell'immobile ove la famiglia si è sviluppata.

Orbene, mentre da un lato è chiaro che l'effetto prenotativo della trascrizione della domanda giudiziale di separazione o divorzio renderebbe di fatto inefficace, se non addirittura impossibile, l'eventuale tentativo di alienazione dell'immobile da parte del genitore proprietario in corso di causa, dall'altro lato è lapalissiana la considerazione che agli effetti di una vendita effettuata nell'immediatezza del deposito della domanda giudiziale, come avvenuto nel caso di specie, si potrebbe porre rimedio soltanto attraverso una sorta di azione revocatoria che possa portare alla declaratoria di inefficacia dell'atto posto in essere.

Fino a quando, quindi, non muterà l'attuale scenario normativo, si può solo sperare che l'eventualità di vedere compromesso il proprio diritto di visita e di affido dei figli, scoraggi i genitori proprietari e/o comproprietari dell'abitazione familiare dal porre in essere atti dolosi di sottrazione dell'abitazione nell'esclusivo e primario interesse della prole minorenne o non autosufficiente di conservare il proprio habitat domestico.

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