La deducibilità dei costi sostenuti all'interno di un Gruppo

Fabio Gallio
31 Maggio 2021

Per giustificare il sostenimento di un costo ai fini della deducibilità delle imposte dirette e della detraibilità ai fini dell'IVA, è necessario documentare la certezza, l'effettività, la congruità e l'inerenza, anche se l'importo viene determinato a forfait da società aderenti al consolidato di gruppo o alla liquidazione IVA.
Premessa

Con l'ordinanza del 10 maggio 2021, n. 12267, la Corte di Cassazione si è occupata di un avviso di accertamento con il quale l'Agenzia delle Entrate ha contestato la deducibilità ai fini IRES ed IRAP, e la detraibilità ai fini IVA, di alcuni costi sostenuti all'interno del Gruppo e relativi a contratti di utilizzazione dei diritti esclusivi di licenza (c.d. “royalties”).

In particolare, tali “royalties” venivano computate con criteri a forfait, in base ad una determinata percentuale del volume d'affari, e l'Agenzia delle Entrate ha ritenuto che tali costi fossero privi di riscontri documentali certi.

Pertanto, la carenza di ogni minima traccia documentale, esemplificativamente "studi, reports, relazioni, stime, valutazioni, corrispondenze", idonea a giustificare le spese, ha indotto l'Ufficio ad effettuare la contestazione.

I giudici di legittimità, accogliendo la tesi erariale, sanciscono che proprio la mancanza di documentazione escluderebbe la possibilità di accertare la certezza, l'effettività, la congruità e l'inerenza delle spese.

Infatti, per la deducibilità del costo e per la detrazione ai fini IVA, sarebbe stato necessario appurare la rispondenza dei contratti di “royalties” e dei costi ad essi correlati a criteri non meramente forfettari e "votati a mere logiche di ripartizione dei flussi finanziari interni" al gruppo di imprese.

Tale principio non verrebbero meno neppure nel caso in cui le due società interessate dal flusso finanziario contestato abbiano aderito al consolidato fiscale.

Secondo la tesi dei giudici di legittimità, il consolidato fiscale consisterebbe in una procedura che permette la liquidazione e il versamento del tributo da parte della società controllante, ma rispetto alla quale i soggetti del gruppo rimangono nettamente distinti e sottoposti agli altri obblighi tributari su di essi gravanti, senza divenire un unico soggetto d'imposta o sia configurabile alcuna cessione dei crediti d'imposta dalle controllate alla controllante. In tal senso, il reddito e i costi di ciascun soggetto dovrebbero essere considerati separatamente e distintamente ricostruiti, senza che un esborso in capo ad un ente possa essere isolatamente considerato in capo a un altro al fine di apprezzarne la neutralità fiscale in rapporto alla compagine complessiva.

In merito a tale ultima problematica, si ricorda che parte della giurisprudenza di merito (cfr. CTR Lombardia del 30 maggio 2018, n. 2486/15/18) ha sostenuto che i costi per servizi intercompany resi tra soggetti che hanno aderito al consolidato fiscale ex art. 117 del TUIR sono deducibili, in quanto il vantaggio per l'attività d'impresa prevale sulla diversa soggettività giuridica delle società alle quali il vantaggio è riferito, se le società partecipano a un gruppo che unitariamente considerato funziona come una sola impresa.

Infatti, come sostenuto dall'Agenzia delle Entrate il consolidato fiscale è un sistema di tassazione disegnato dal legislatore al fine di consentire la determinazione di un reddito imponibile unico e di abbattere l'IRES di gruppo anche attraverso l'utilizzo in compensazione ex art. 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997 dei crediti e delle eccedenze d'imposta trasferiti dalle società che vi aderiscono (così: Ag. Entrate, risposta ad interpello n. 133 del 2 marzo 2021).

Del resto, codesta contestazione eccepita dall'Amministrazione determinerebbe un'azione “in contrasto il divieto di doppia imposizione” da cui deriverebbe quindi un'indebita duplicazione di imposta.

Infatti, a seguito di una ripresa del costo, ritenuto indeducibile, ci verificherebbe un'ulteriore tassazione corrispondente al ricavo del medesimo importo.

Alcune recenti pronunce della giurisprudenza

E' necessario fin da subito ricordare che anche recentemente i giudici di legittimità hanno deciso delle cause che avevano come oggetto la ripartizione dei costi intra-gruppo.

Con l'ordinanza del 22 marzo 2021, n. 8001, infatti, la Corte di Cassazione si è occupata dei criteri necessari affinchè i costi riaddebitati dalla casa madre , in forza di un contratto di “cost sharing agreements” (di seguito anche CSA), possono considerarsi deducibili.

Tali principi sono coerenti con quanto sancito dalla stessa Suprema Corte con l'ordinanza del 30 giugno 2020, n.13085.

In particolare, i giudici di legittimità sostengono che ai fini della deducibilità di tali costi, non è sufficiente allegare il "cost sharing agreement", le relative fatture e documenti che dimostrano che la spesa è stata contabilizzata, ma il contribuente deve provare coerenza e utilità economica del costo.

Tale conclusione si basa sul principio secondo cui, qualora la società capofila di un gruppo d'imprese, al fine di coordinare le scelte operative delle aziende formalmente autonome e di ridurre i costi di gestione attraverso economie di scala, fornisca servizi e curi direttamente le attività di interesse comune alle società del gruppo ripartendone i costi fra le affiliate, l'onere della prova in ordine all'esistenza ed all'inerenza dei costi sopportati incombe sulla società che affermi di aver ricevuto il servizio e, affinché il corrispettivo riconosciuto alla capogruppo sia deducibile ai fini delle imposte dirette e l'IVA contestualmente assolta sia detraibile, occorre che la controllata tragga dal servizio remunerato un'effettiva utilità e che quest'ultima sia obiettivamente determinabile e adeguatamente documentata (Cass. Civ., n. 31405/2018).

In quest'ottica, è possibile affermare che spetta al contribuente, secondo i criteri generali, fornire tutti gli elementi atti a supportare la deducibilità dei costi sostenuti per ottenere i servizi prestati dalla controllante, tra i quali l'effettiva utilità dei costi stessi per la controllata, anche se a quei costi non corrispondano direttamente ricavi in senso stretto (Cass. Civ., n. 31405/2018).

Inoltre, come sostenuto da altra giurisprudenza di legittimità, è necessario prestare attenzione all'anti-economicità dell'operazione, in quanto la cessione di beni ad un prezzo diverso dal “valore normale”, fra imprese dello stesso gruppo, anche se tutte residenti nel territorio dello Stato (si ricorda che l'art. 5 comma 2 d.lgs. n. 147/2015 ha escluso l'applicabilità dell'art. 110 comma 7 TUIR alle operazioni fra imprese residenti in Italia), può rappresentare, in linea generale, indice di una condotta antieconomica, tale da giustificare un accertamento analitico-induttivo, ex art. 39 comma 1 lett. d) del d.P.R. n. 600/1973.

Naturalmente una tale valutazione, tuttavia, deve essere effettuata, tenendo in considerazione, la “logica del gruppo”, valorizzando il possibile contemperamento dell'interesse collettivo rispetto a quello delle singole società (Cass. Civ., n. 8176/2021).

La ripartizione dei costi all'interno dei gruppi societari

E' necessario preliminarmente ricordare che l'erogazione di servizi in forma accentrata all'interno di gruppi, formalizzati attraverso accordi di CSA, vengono generalmente stipulati con la finalità di realizzare efficienze o eliminare diseconomie che una struttura uni-societaria difficilmente consentirebbe di perseguire: tra gli obiettivi, che più frequentemente sottendono l'implementazione di CSA, in un'ottica globale “di gruppo”, ricorrono quello di evitare la duplicazione di funzioni, l'ottimizzazione dello sfruttamento delle risorse del gruppo, la realizzazione di economie di scala nell'anticipazione delle risorse finanziarie necessarie per lo svolgimento dell'attività, l'unicità di gestione, nonché, per l'effetto, una riduzione dei costi.

La stessa Amministrazione finanziaria (Circolare del 22 settembre 1980 del 22 settembre 1980, paragrafo 6) si è occupata di tale tipologia di contratti ed ha constatato che, solitamente, il corrispettivo, o meglio, la quota di partecipazione di ciascuna consociata, è predeterminata in base a formule fisse basate sul rapporto tra il fatturato dell'entità beneficiaria e il fatturato globale del gruppo al quale appartiene o su altri parametri (capitale impiegato, numero dei dipendenti, capacità di produzione, ecc.)

In merito alla ripartizione degli oneri, effettuata secondo i criteri di ciascuna impresa, l'Amministrazione dovrà limitarsi a verificarne l'adeguatezza.

Inoltre, è stato affermato che le quote di contribuzione a tali accordi devono considerarsi relative alla acquisizione dei beni e dei servizi dai quali traggono origine i ricavi della società medesima e, come tali, deducibili in sede di determinazione del reddito d'impresa.

Relativamente alla suddivisione di costi, in una nota ministeriale è stato specificato che è corretto il comportamento della parte contribuente che aveva deciso di imputare tutti i costi specifici al soggetto interessato, mentre quelli comuni venivano ripartiti in misura proporzionale ai ricavi realizzati (Nota Ministeriale 9/2555 del 31 gennaio 1981).

Anche le linee OCSE sui prezzi di trasferimento, si occupano di tale tipologia di contratti. In particolare, viene sostenuto che per poter applicare il principio di libera concorrenza ad un accordo di ripartizione dei costi è necessario stabilire che per tutte le parti dell'accordo si prevedano delle utilità ed è opportuno che venga definito un criterio oggettivo per ripartire il contributo di ciascun partecipante (Versione del 2017, paragrafi 8.13. e 8.19).

La portata degli accordi è solitamente molto estesa e ricomprende:

a) utilizzazione (diritto di licenza) relativa a brevetti, marchi ed altri diritti relativi a beni immateriali e disponibili all'interno del gruppo;

b) utilizzazione dei risultati della ricerca e degli sviluppi operati all'interno del gruppo;

c) assistenza tecnica;

d) assistenza amministrativa e contabile;

e) assistenza di marketing.

Le principali problematiche tributarie

Una delle problematiche che spesso emergono durante le verifiche è quello della deduzione di tali costi.

Infatti, ai fini del riconoscimento della loro deducibilità da parte della società consociata, è richiesto al contribuente di dimostrare la riferibilità e l'utilità che tali servizi ed i relativi costi hanno in relazione all'attività esercitata dalla singola consociata.

Qualora ciò non avvenga, i verificatori sono soliti riprendere a tassazione questi costi, sostenendo, o la mancanza di congruità del costo, intesa come spia della mancanza di inerenza, o la duplicazione di codeste spese rispetto a quelle già sostenute dalla singola società per un servizio simile.

La Corte di Cassazione ha sostenuto che una ripartizione proporzionale, sulla base del fatturato mensile di ciascuna società controllata, dei costi di regia, che comprendano, oltre al corrispettivo per i servizi resi ad ogni singola società del Gruppo, anche una partecipazione pro quota ai costi sostenuti dalla controllante per svolgere l'attività di regia del Gruppo stesso, considerato il beneficio diretto che dai costi sostenuti dalla capogruppo le società controllate traggono, dovrebbe considerarsi sufficiente per dimostrare l'utilità (Cass. Civ., n. 23164/2017).

In tale caso, il contribuente aveva prodotto dei documenti idonei a dimostrare la stretta inerenza tra l'attività svolta dalla controllante ed i ricavi realizzati dalla società verificata.

Nell'ambito dei Gruppi multinazionali, è frequente che alcune attività, quali, quelle di ricerca e sviluppo, quelle di marketing e quelle di finanza ed amministrazione, vengano sostenute dalla capogruppo, ma anche nell'interesse di tutte le altre.

E' evidente che, nei casi di servizi di carattere generale, non sarebbe corretto ri-addebitare il costo specifico ad ogni singola società, dal momento che non è possibile individuare precisamente il grado di utilizzo di tali attività; pertanto, l'unico rimedio possibile è quello di ripartire tali costi su tutti i soggetti appartenenti al Gruppo, secondo un criterio oggettivo, quale può essere quello del rapporto dei fatturati (CTR Lombardia del 21 novembre 2011, n. 115).

Inoltre, non va dimenticato che spesso, nei Gruppi dove vengono sostenuti ingenti spese, ad esempio per ricerca e sviluppo, una singola società, se non partecipasse a tale ripartizione, non potrebbe permettersi di sostenere da sola le ingenti spese che le specifiche attività richiederebbero per restare competitiva sul mercato.

Come sostenuto da parte della giurisprudenza di merito (CTR Lombardia del 16 febbraio 2017, n. 604), sul piano fiscale, la produzione di costi intragruppo è ammessa quando il servizio fornito dalla casa madre e messo a diposizione delle consociate risponda a criteri di utilità effettiva per quest'ultime e sia ravvisabile un vantaggio reale economico, sempre che sia normale il valore di scambio dei servizi realizzato tra le varie consociate ai sensi della normativa sul “transfer pricing” ( art. 110 del TUIR).

Alcune considerazioni conclusive

Al fine di limitare possibili contestazioni, è opportuno redigere un accordo scritto (come sancito dalla Corte di Cassazione, con sentenza del 12 aprile 2017, n. 9466, il solo contratto non è sufficiente a dimostrare la deducibilità del costo) che rispetti determinate prescrizioni minime, non difformi da quelle proprie dei rapporti con soggetti indipendenti, identificando, in appositi prospetti, le risorse utilizzate per la fornitura del servizio infragruppo (ad esempio, i costi del singolo progetto) , evidenziazione il criterio utilizzato per giungere alla ripartizione del costo suddetto (ad esempio, sulla base del fatturato nei confronti di terzi previsto) e specificando gli elementi di utilità e/o necessità della fruizione di un determinato servizio da parte delle società del gruppo (ad esempio, indicando esattamente i servizi forniti dal Gruppo e quelli che, invece, la singola società deve provvedere in altro modo).

Inoltre, come suggerito da una sentenza, potrebbe essere utile che le spese siano oggetto di una analisi accurata da parte di un soggetto terzo, quale una società di revisione, e di valutazioni del responsabile del relativo centro di costo, il quale dovrebbe certificare la corretta percentuale del lavoro svolto da ciascun settore in favore delle controllate (Cass. Civ., n. 25566/2017).

Infine, relativamente all'IVA, la Corte di Cassazione ritiene che sia necessario provare, sia l'effettività dei costi "asseritamente" sostenuti, sia il loro collegamento diretto con l'attività imprenditoriale svolta in concreto (ad esempio, con riferimento al tipo di organizzazione aziendale ed alle esigenze produttive della società controllata) e con le successive operazioni commerciali poste in essere (con sentenza del 13 febbraio 2020, n. 3599).

Giova anche ricordare che la giurisprudenza unionale, in materia di detraibilità dell'IVA assolta sui costi generali, ha sottolineato la necessità del collegamento economico fra prestazioni a monte e a valle e, dunque, della prova che le spese di cui si tratta facciano parte degli elementi costitutivi del prezzo per la totalità dei prodotti o dei servizi del soggetto passivo (Corte di Giust. 29.10.2009 causa C-29/08, SKF, punto 57; Corte di Giust. 22.10.2015 causa C-126/14, Sveda).

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