Cognome dei figli: La Corte costituzionale si autoinveste della questione

Alberto Figone
31 Maggio 2021

Va sollevata, disponendone la trattazione innanzi alla stessa Corte costituzionale, questione di legittimità costituzionale dell'art. 262, primo comma, del codice civile, nella parte in cui, in mancanza di diverso accordo dei genitori, impone l'acquisizione alla nascita del cognome paterno, anziché dei cognomi di entrambi i genitori, in riferimento agli artt. 2, 3 e 117, primo comma, della Costituzione.
Massima

Va sollevata, disponendone la trattazione innanzi alla stessa Corte costituzionale, questione di legittimità costituzionale dell'art. 262, primo comma, del codice civile, nella parte in cui, in mancanza di diverso accordo dei genitori, impone l'acquisizione alla nascita del cognome paterno, anziché dei cognomi di entrambi i genitori, in riferimento agli artt. 2, 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la l. 848/1955.

Il caso

Il Tribunale ordinario di Bolzano ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 262, primo comma c.c. che, nel disciplinare il cognome del figlio nato fuori dal matrimonio, prevede che, ove il riconoscimento sia stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori, il figlio assuma il cognome del padre; la norma non consente infatti ai genitori, nemmeno di comune accordo, di trasmettere al figlio, al momento della nascita, il solo cognome materno.

La questione

La Corte costituzionale, per parte sua, prospetta la non manifesta infondatezza della questione pregiudiziale, desumibile dal contrasto della vigente disciplina, impositiva di un solo cognome e ricognitiva di un solo ramo genitoriale, con la necessità, costituzionalmente imposta dagli artt. 2 e 3 Cost., di garantire l'effettiva parità dei genitori, la pienezza dell'identità personale del figlio e di salvaguardare l'unità della famiglia.

Le soluzioni giuridiche

L'attribuzione del cognome paterno, in caso di filiazione nata all'interno del matrimonio, non è disciplinata da una norma specifica, ma è il frutto di una previsione generale, desumibile da diverse norme dell'ordinamento, per quanto oggetto di parziale rivisitazione da parte dello stesso legislatore, nonchè dalla consuetudine. L'art. 237 c.c., nel testo antecedente la riforma della filiazione, prevedeva infatti, tra i fatti costitutivi del possesso di stato di figlio legittimo, l'aver sempre portato il cognome di colui che si riteneva padre. Con l'unificazione dello stato di figlio, l'attuale testo della norma, come novellato con d.P.R. 154/2013, ha espunto qualsiasi riferimento al dato formale del cognome, attribuendo rilevanza agli altri elementi del tractatus e della fama; in oggi il possesso di (qualunque) status filiationis è desumibile dalla duplice circostanza che il genitore abbia trattato la persona come figlio, facendosi carico della sua crescita, e che il figlio sia stato considerato come tale nella famiglia e nei rapporti sociali. A sua volta, l'art. 299 c.c. dispone che, in caso di adozione di una persona maggiorenne da parte di coppia coniugata, l'adottato assuma il cognome del marito. La norma è stata peraltro dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede che, in caso di accordo, sia attribuito all'adottato anche il cognome materno (Corte cost., 21 dicembre 2016, n. 286); ciò peraltro non vanifica la regola contenuta del precetto normativo, pur sempre segno di una concezione patriarcale della famiglia.

Per quanto attiene invece la filiazione fuori del matrimonio, l'art. 262 c.c., oggetto della questione di costituzionalità sollevata dal Tribunale di Bolzano, pur dopo la riforma della filiazione, prevede che il figlio assuma il cognome del padre, ove il riconoscimento sia effettuato da entrambi i genitori, sì da equiparare, sotto l'aspetto formale, la posizione dei figli a prescindere dal loro status. Pure questa norma è stata dichiarata parzialmente incostituzionale dalla sopra richiamata pronuncia della Consulta; sta di fatto che la regola ivi contemplata continua ad essere operativa in difetto di accordo.

Osservazioni

La problematica relativa all'attribuzione del cognome dei figli ha dato luogo nel tempo a più interventi da parte della Corte costituzionale. Una prima ordinanza aveva a ritenere inammissibile, la questione di legittimità, per dedotto contrasto con gli artt. 2,3 e 29 Cost., delle disposizioni dell'allora vigente ordinamento dello stato civile del 1939, che non consentivano a due coniugi di attribuire al figlio anche il cognome materno; ciò nel presupposto che si sarebbe trattato di «una questione di politica e di tecnica legislativa di competenza esclusiva del conditor iuris» (Corte cost., 11 febbraio 1988, n. 176, in Dir. Fam, 1988, 670, con nota di DALL'ONGARO). Successivamente, la Consulta ebbe a ribadire le stesse conclusioni, in una analoga fattispecie nella quale si dubitava della costituzionalità anche di diverse norme del codice civile; in quell'occasione la Corte tornava ad evidenziare come si ponesse «un problema di scelta del sistema più opportuno e delle relative modalità tecniche, la cui decisione compete esclusivamente al legislatore» (Corte cost., 19 maggio 1988, n. 586, in Giust. Civ., 1988, I, 1649). Dopo l'entrata in vigore del nuovo regolamento sullo stato civile ex d.P.R. 396/2000, identica censura di legittimità (in una fattispecie in cui una coppia di coniugi intendeva attribuire al figlio il solo cognome della moglie) venne ritenuta ancora inammissibile. La pronuncia aveva ad osservare che: «tenuto conto del vuoto di regole che determinerebbe una caducazione della disciplina denunciata, non è ipotizzabile, come adombrato nella ordinanza di rimessione, nemmeno una pronuncia che, accogliendo la questione di costituzionalità, demandi ad un futuro intervento del legislatore la successiva regolamentazione organica della materia». (Corte cost., 16 febbraio 2006, n. 61, in Foro it., 2006, 6, 1, 1673). Si è poi arrivati alla ben nota decisione del 2016, con cui la Corte ha ritenuto non potersi più attendere un intervento del legislatore, troppo a lungo inerte in una materia così importante, che coinvolge primari diritti della persona. E'stato infatti dichiarato illegittimo l'intero sistema normativo che non consentiva ai genitori, ove di comune accordo, di attribuire al figlio anche il cognome materno; in nome del principio dello stato unico della filiazione di cui all'art. 315 c.c., la regola è stata estesa ad ogni tipo di filiazione (nata all'interno, ovvero al di fuori del matrimonio, ma anche adottiva) (Corte cost., 21 dicembre 2016, n. 286, in IlFamiliarista, con nota di R. RUSSO). A conclusione di un percorso argomentativo ampio ed articolato, la Consulta aveva a precisare: «Va, infine, rilevato che, in assenza dell'accordo dei genitori, residua la generale previsione dell'attribuzione del cognome paterno, in attesa di un indifferibile intervento legislativo, destinato a disciplinare organicamente la materia, secondo criteri finalmente consoni al principio di parità».

La Corte costituzionale, con la pronuncia or ora richiamata, aveva espressamente a sollecitare un intervento ormai «indifferibile» di un legislatore perennemente sordo ai solleciti da tempo espressi, assumendo così un ruolo propulsivo nell'adeguamento della normativa ai precetti espressi dalla Carta fondamentale e dalla Convenzione europea sui diritti dell'uomo. Analogo formale sollecito è stato del resto rivolto in due successive recenti pronunce (entrambe del 9 marzo 2021, nn. 32 e 33, in IlFamiliarista), in funzione di una disciplina dello stato giuridico dei figli, nati da procreazione medicalmente assistita, all'interno di coppie dello stesso sesso, anche con ricorso alla surrogazione di maternità, effettuata all'estero, tale da tutelare il minore e nel contempo il genitore intenzionale. Ma ancor prima, la Consulta, dopo un congruo rinvio perché fosse proprio il legislatore ad intervenire (Corte cost., 16 novembre 2018, n. 207, in IlFamiliarista, con nota di MASONI), ha dichiarato la parziale illegittimità dell'art. 580 c.p., quanto all'aiuto o istigazione al suicidio (Corte cost., 22 novembre 2019, n. 242, in IlFamiliarista, con nota di MASONI). Anche in questa occasione, tuttavia, la Corte ha ribadito «con vigore l'auspicio che la materia formi oggetto di sollecita e compiuta disciplina da parte del legislatore».

In questo quadro istituzionale, che vede la Corte costituzionale esercitare funzioni che in precedenza non aveva ritenuto di utilizzare, ben si giustifica la pronuncia in commento. Investita di una questione di legittimità dell'art. 262 c.c., in una fattispecie di una coppia di genitori non uniti in matrimonio, che, d'accordo, volevano attribuire al loro figlio il solo cognome materno, la Consulta si è autoinvestita di una questione pregiudiziale più ampia, proprio in considerazione della perdurante inerzia del legislatore nella complessiva materia. Certamente condivisibile è l'affermazione per cui il consenso dei genitori, nell'attribuzione del cognome del figlio, non è sufficiente per garantire un'effettiva parità di genere e, dunque, quell'uguaglianza in senso sostanziale, che lo Stato deve realizzare a norma dell'art. 2 Cost. Il principio generale che, in difetto di accordo oppure in caso di accordo non ritualmente espresso, attribuisce al nato il cognome del padre, rappresenta un retaggio di un'ormai superata concezione verticistica della famiglia, con a capo la figura del marito e padre. Il cognome non rappresenta più oggi un simbolo formale di coesione della famiglia, costituendo invece l'oggetto di un vero e proprio diritto della personalità di chi lo porta, siccome rappresentativo dell'identità. In questo contesto, l'attribuzione del cognome materno, solo in presenza di accordo tra i genitori, si risolve in un pregiudizio per il minore e perpetua una discriminazione tra i genitori stessi in funzione del genere, tanto più inaccettabile oggi che la genitorialità è accessibile anche alle coppie dello stesso sesso. Sarà quantomai interessante vedere cosa deciderà la Corte costituzionale, essendo difficile ipotizzare un preventivo intervento del legislatore, che sappia disciplinare la realtà delle nuove formazioni familiari.

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