03 Giugno 2021

La prima sezione civile della Suprema Corte ribadisce che l'attuale versione della disciplina primaria e secondaria regolativa della materia, al pari della precedente, prescrive all'art. 39, c. 2, l. fall., che la liquidazione del compenso è fatta dopo l'approvazione del rendiconto e, se del caso, dopo l'esecuzione del concordato, mentre, qualora il curatore cessi prima dalle funzioni, il compenso è liquidato al termine della procedura, secondo l'art. 2 D.M. 30/2012, applicabile ratione temporis.

Il decisum pone al centro dell'attenzione il tema della liquidazione del compenso spettante ai curatori fallimentari. I Giudici della Prima sezione civile della S. Corte, con l'ordinanza n. 15168/21 depositata il 31 maggio 2021, ribadiscono che l'attuale versione della disciplina primaria e secondaria regolativa della materia, al pari della precedente, prescrive all'art. 39, comma 2, l. fall. (nel testo conseguente al d. lgs. n. 5 del 2006), che la liquidazione del compenso è fatta dopo l'approvazione del rendiconto e, se del caso, dopo l'esecuzione del concordato, mentre, qualora il curatore cessi prima dalle funzioni , il compenso è liquidato al termine della procedura, secondo l'art. 2, D.M. 25 gennaio 2012, n. 30, applicabile ratione temporis.

Pertanto, il compenso spettante al curatore del fallimento chiusosi con un concordato va liquidato dopo l'esecuzione di quest'ultimo. Il citato compenso è unico e corrisponde anche all'attività svolta dopo l'omologazione (avuto riguardo al compito del curatore di sorvegliare l'adempimento del concordato, unitamente al giudice delegato e al comitato dei creditori, ai sensi dell'art. 136 l. fall.).

Nel caso di specie era stato impugnato il decreto del Tribunale di Milano concernente la liquidazione del compenso finale al curatore. Il giudice milanese, dopo aver premesso che il fallimento si era chiuso con concordato omologato ed il rendiconto era stato approvato, ha ritenuto, tra le altre cose, che la liquidazione del predetto compenso dovesse essere parametrata, ai sensi dell'art. 2, comma 2, d.m. n. 30/2012, in proporzione all'opera prestata, ma in misura non eccedente le percentuali calcolate sull'attivo, riferito a quanto attribuito ai creditori, nonché sul passivo accertato.

Il ricorrente ha proposto ricorso basato su quattro distinti motivi, deducendo, con il primo, l'erroneità del decreto percè, in violazione dell'art. 39 l. fall., il Tribunale ha proceduto alla liquidazione del compenso al curatore prima della completa esecuzione del concordato fallimentare, dunque senza apprezzamento diretto di tutte le attività post omologazione e, nella specie, afferenti al completamento esecutivo degli obblighi di trasferimento, pagamento e svincolo nel frattempo assolti dal proponente assuntore, non appartenendo al Tribunale alcuna discrezionalità anticipatoria.

La Suprema Corte ha accolto tale censura, affermando che proprio la commisurazione - innanzitutto qualitativa - dell'operato del curatore non può prescindere da una valutazione sull' effettività della sua opera rispetto ai risultati apprezzabili – e non solo pronosticabili – della liquidazione, osservando che, nella motivazione del Tribunale, non vi era traccia di un preteso contenuto originario dell'impegno assunto dal terzo; il decreto, infatti, accanto all'enunciazione dei parametri normativi cui ha inteso ancorare il quantum della liquidazione, si è espresso con esclusivo riguardo alle clausole condizionanti il merito della condotta del curatore ex art. 1, comma 1, d.m. 30/2012.

L'art. 39, l. fall. riserva in effetti la liquidazione del compenso del curatore al momento terminale della procedura, e cioè al rendiconto approvato ovvero alla esecuzione del concordato; in ogni caso di successione tra curatori, il compenso per quello cessato anticipatamente è rinviato, ai sensi degli artt. 39, comma 3, l. fall. e 2, comma 1, d.m. 30/2012, al «termine della procedura».

Se è vero che la portata satisfattiva del concordato ben può estendersi sia ai pagamenti, che alle dationes in solutum, il rispettivo valore non può prescindere dall'apprezzamento che in concreto le corrispondenti utilità hanno rinvenuto nell'organizzazione concordataria e nei suoi effetti esdebitatori occorre non dimeno tener conto delle peculiarità del caso concreto.

Nel caso di chiusura del fallimento con concordato, posto che la liquidazione è essenzialmente, o almeno in parte, opera di un terzo (cioè di un soggetto diverso dal curatore) ovvero superata dai pagamenti o comunque dal trattamento riservato ai creditori proprio dal proponente il concordato, vi è un tetto alla stessa discrezionalità liquidatoria: il calcolo sull'attivo va effettuato in base all'effettiva utilità conseguita dai creditori. Il parametro della liquidazione cambia nel caso di attribuzione diretta dei beni e non di pagamento in denaro, stante, nel primo caso, una relativa emancipazione dall'organizzazione concordataria fondata su precise misure di soddisfacimento rispetto all'entità di ciascun credito, cui corrispondono, di regola, falcidie e conseguenti contesti di voto, non potendosi che imporre invece, ove siano scambiati beni contro crediti, la valutazione di ciò che viene effettivamente attribuito al creditore, alla stregua dell'utilità corrisposta, possibile in qualsiasi forma ex art. 124 l. fall.

Infine, quanto al montante dei compensi rispetto al passivo, non vanno inclusi i crediti in corso di verifica. Difatti, l'art. 2, comma 2, d.m. 30/2012, nel disciplinare il computo in base al passivo fallimentare per liquidare il compenso al curatore, inequivocabilmente ha riguardo al passivo accertato, nozione già testualmente compatibile solo con una statuizione giudiziale di pieno riscontro del credito.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it

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