Irregolarità urbanistiche tra profili di giurisdizione, diritti di veduta e distanze legali

Adriana Nicoletti
03 Giugno 2021

La decisione in commento, oltre a ribadire il principio, più che consolidato, che disciplina il rapporto tra giurisdizione amministrativa ed ordinaria nelle controversie aventi ad oggetto gli abusi e le irregolarità di carattere urbanistico/edilizio, ha affrontato ulteriori questioni di indubbio interesse nei rapporti di vicinato e che, concernendo non solo la materia delle distanze legali, hanno meritato un approfondimento anche alla luce della giurisprudenza più rilevante della Cassazione.
Massima

Non appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario l'accertamento astratto della rispondenza dei fabbricati alle norme urbanistiche, né la loro liceità sotto qualsivoglia profilo amministrativo, di talchè tali eccezioni e rilievi possono avere rilievo nel processo civile unicamente, laddove costituiscano presupposto e fondamento della lesione di un diritto soggettivo delle parti, così come, a contrario, il provvedimento amministrativo che legittimi sotto tale profilo il manufatto è, comunque, inidoneo a pregiudicare la posizione del singolo che ritenga leso un proprio diritto soggettivo dalla condotta del vicino.

Il caso

Dalla motivazione della sentenza in esame che, per effetto dell'art. 132, comma 1, n. 4), c.p.c., non ha riportato lo svolgimento del processo, i fatti di causa sono stati inevitabilmente desunti dalle conclusioni delle parti e dalla motivazione del provvedimento.

Attore e convenuta chiedevano che il Tribunale di Massa, accertate le reciproche violazioni consistenti nella realizzazione sui rispettivi fabbricati di opere abusive, condannasse l'una o l'altra alla demolizione di quanto eseguito, nonché al risarcimento dei danni presenti e futuri.

L'attore concludeva lamentando che parte avversa stava realizzando ed aveva effettuato sul fabbricato di sua proprietà opere illegittime ed in difformità dal titolo autorizzativo, con violazione della normativa vigente, codicistica ed urbanistica in materia di distanze legali. Lo stesso, quindi, chiedeva che venisse pronunciata una sentenza di accertamento e di condanna della convenuta alla demolizione degli interventi irregolari ed al ripristino dello stato dei luoghi, secondo le indicazioni del Tribunale, oltre al risarcimento dei danni. La convenuta resisteva chiedendo, tra l'altro ed in via riconvenzionale, che venisse accertato il carattere abusivo delle opere eseguite dall'attore, anche questein violazione delle distanze di vicinato,con conseguente sua condanna alla demolizione oltre al risarcimento dei danni.

Dalla motivazione si ricava che, per l'attore, le domande avevano ad oggetto la illegittima veduta che la convenuta avrebbe esercitato dalla propria terrazza; il posizionamento di un canale di gronda e delle tegole di copertura del tetto oltre la linea di confine tra i due fabbricati nonché la necessità di accertare la conformità di alcune luci aperte dalla convenuta. Mentre la domanda di quest'ultima, sempre come da motivazione, aveva per oggetto un manufatto ad uso deposito che l'attore aveva posizionato sul proprio fondo e [n.d.r. presumibilmente] a ridosso del muro posto a confine della terrazza di proprietà della stessa convenuta.

Esperita la consulenza tecnica d'ufficio ed istruito il giudizio, il Tribunale dichiarava il proprio difetto di giurisdizione sulle domande volte al mero accertamento della illegittimità urbanistica delle opere edilizie o della loro corrispondenza ai titoli autorizzativi. Nel merito il giudicante accoglieva parzialmente la domanda attrice e condannava la convenuta a ridurre le luci riportandole in un ambito di legittimità, mentre la domanda veniva accolta integralmente per quanto concerneva la richiesta di riportare il canale di gronda e gli sbalzi delle lastre di copertura nei confini del proprio fondo.

La questione

Tre, in breve, le questioni trattate nella sentenza: il rapporto tra giurisdizione amministrativa ed ordinaria nel caso in cui, in un giudizio incardinato dinanzi al giudice civile, la domanda sia volta ad accertare l'illegittimità amministrativa di alcune opere o la divergenza fra queste ed i provvedimenti amministrativi dalla quale, tuttavia, non sia stata sollevata esplicitamente la lesione di un diritto soggettivo, nonché i problemi della legittimità del diritto di veduta e del rispetto delle distanze legali tra le costruzioni.

Le soluzioni giuridiche

A fronte della coesistenza di problematiche di natura amministrativa e civilistica, il Tribunale, preliminarmente, ha chiarito che non appartiene alla giurisdizione ordinaria il compito di accertare, in astratto, la rispondenza dei fabbricati alle norme urbanistiche, né la loro liceità sotto qualsivoglia profilo amministrativo e, coerentemente, ha declinato la propria giurisdizione, ritenendo ammissibili unicamente le doglianze in ordine alla lamentata violazione di distanze o, comunque, connesse ad una condotta delle parti che viola i parametri che attengono alla sfera soggettiva di ciascuna delle parti in causa, in quanto titolari di reciproci diritti dominicali.

Le due domande, concernenti l'illegittimità della veduta esercitata dalla convenuta dalla propria terrazza e quella riconvenzionale di questa, avente ad oggetto l'illegittimità del manufatto posto al confine del muro di sua proprietà, sono state rigettate sostanzialmente per essere stato accertato, per via documentale, che entrambe le strutture si trovavano in loco da tempo immemore e senza contestazioni ed eccezioni reciproche avanzate dalle parti. Il giudice, invece, ha accolto la domanda dell'attore relativa all'invasione parziale della sua proprietà provocata dal pluviale e dalla falda del tetto della convenuta, così come fondata è risultata quella concernente l'altezza delle luci di questa, non corrispondendo ai parametri di cui all'art. 901 c.c.

Osservazioni

La sentenza appare meritevole di attenzione poiché, da un lato, ha correttamente trattato il punto dell'interferenza tra giustizia amministrativa ed ordinaria e, dall'altro e nel merito, ha fornito degli spunti per esaminare alcune questioni in relazione alla problematica concernente la lesione dei diritti individuali in conseguenza della violazione del diritto di veduta e delle distanze legali tra le costruzioni.

Il principio enunciato nella massima qui riportata è stato più volte espresso in altrettante decisioni alle quali il magistrato apuano si è conformato, richiamando - tra tutte - l'affermazione secondo la quale ai fini del riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo rileva non tanto la prospettazione compiuta dalle parti, quanto il petitum sostanziale, che va identificato soprattutto in funzione della causa petendi, ossia dell'intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio (Cass. civ., sez. un., 11 ottobre 2011, n. 20902; Cass. civ., sez. un., 25 giugno 2010 n. 15323).

Ugualmente ineccepibile, al fine di declinare la giurisdizione ordinaria, l'argomentazione del Tribunale secondo la quale le domande di ambo le parti erano volte ad un mero accertamento dell'illegittimità delle rispettive opere, asseritamente difformi dal titolo autorizzativo, ma senza che da tale abuso fosse stata prospettata una lesione dei reciproci diritti. In effetti - come ancora si legge in sentenza - le parti avevano preteso di investire il giudice civile di una valutazione spettante unicamente al giudice amministrativo, in quanto attinente ad interessi legittimi. Il tutto senza contare che, quanto meno per il manufatto eretto dall'attore, già pendeva un giudizio amministrativo dal cui esito positivo (abbattimento della struttura) la convenuta avrebbe raggiunto il suo scopo.

Del resto, se andiamo a vedere è più che frequente che anche in ambito condominiale situazioni di questo genere siano all'ordine del giorno. Infatti, molto spesso, a fronte di precise contestazioni sulla irregolarità edilizia dell'intervento realizzato da un condomino, questi ne oppone la validità amministrativa. In questo caso è stato affermato (Cass. civ., sez. II, 6 ottobre 2014, n. 20985) che è irrilevante che l'autorità amministrativa abbia autorizzato l'opera, in quanto il rapporto tra la pubblica autorità ed il condomino esecutore dell'opera non può incidere negativamente sulle posizioni soggettive degli altri condomini.

Parimenti interessante altra decisione di legittimità (Cass. civ., sez. II, 16 aprile 2018, n. 9268), secondo la quale la sanatoria edilizia di cui all'art. 31 della l. 28 febbraio 1985, n. 47, opera nei rapporti fra l'autore della costruzione e la P.A., perseguendo soltanto l'effetto di conservare l'opera costruita abusivamente e di sottrarre l'autore della relativa violazione alle sanzioni a questa conseguenti, ma non comporta la modifica della disciplina urbanistica, né di conseguenza fa venir meno la contrarietà della costruzione alle norme che regolano i rapporti fra privati in materia di distanze delle costruzioni contenute nel codice civile o di questo integrative.

Quanto all'esercizio di veduta dalla terrazza della convenuta nella proprietà dell'attore, aldilà o meno dell'abusività della struttura, si rileva che esso permanevaab origine (nella sentenza si fa riferimento addirittura al 1984), senza che il titolare di detta terrazza avesse mai realizzato gli interventi previsti per impedire la inspectio sul fondo del vicino e, apparentemente, senza che questi avesse mai sollevato rimostranze in questo senso. E già questo sarebbe stato un indizio della strumentalità della domanda.

Nella specie si parla di servitù di veduta continua, in quanto la stessa è caratterizzata proprio dalla particolarità del luogo, che consente al proprietario un permanente uso della terrazza cui consegue un affaccio continuo ed ininterrotto sul fondo servente fino a quando la struttura verrà meno. In questo ambito si delinea il problema della estinzione della servitù per prescrizione disciplinata dall'art. 1073, comma 2, c.c. che, nella seconda parte, si riferisce proprio alle servitù per il cui esercizio non è necessario il fatto dell'uomo e rispetto alle quali, considerata la loro peculiarietà, il termine ventennale della prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui sia stato compiuto un fatto impeditivo dell'esercizio (Cass. civ., sez. II, 26 febbraio 2016, n. 3857).

Anche per il manufatto realizzato dall'attore nel proprio fondo senza il rispetto delle distanze tra le costruzioni, il Tribunale ha rilevato come la costruzione fosse in loco da tempo immemore e come la circostanza non sia stata oggetto di contestazione da parte della convenuta. Per tale fattispecie va, peraltro, osservato che, secondo l'art. 873 c.c., le costruzioni sui fondi finitimi devono mantenere, se non sono unite o aderenti, una distanza non inferire a tre metri. Ferme restando le prescrizioni, in aumento, che siano stabilite dai regolamenti locali.

Per quanto concerne i termini per l'azione finalizzata ad esigere il rispetto delle distanze nelle costruzioni, la giurisprudenza ritiene che i poteri inerenti al diritto di proprietà non si estinguono per il trascorrere del tempo, tranne gli effetti dell'usucapione che può dare luogo all'acquisto del diritto a mantenere la costruzione a distanza inferiore a quella legale. Trattasi, infatti, di azione volta non ad accertare il diritto di proprietà dell'attore, bensì a respingere l'imposizione di limitazioni a carico della proprietà suscettibili di dar luogo a servitù (Cass. civ., sez. II, 23 gennaio 2012, n. 871).

Il Tribunale, inoltre, ha accolto parzialmente la domanda dell'attore avente ad oggetto l'apertura delle luci da parte della convenuta e non conformi, quanto alla loro altezza dal suolo, al dettato dell'art. 901 c.c., la cui ratio è quella di proteggere il fondo sul quale è esercitabile l'inspectio, che evidentemente diventa più agevole se i due fondi sono sullo stesso livello o, addirittura, se il fondo ove si trova la luce è ad un livello più basso rispetto a quella ove essa prospetta (Cass. civ., sez. III, 27 agosto 1999, n. 9012). Resta escluso, in questo caso, un acquisto per usucapione della servitù di luce irregolare trattandosi di servitù non apparente (Cass. civ., sez. II, 4 gennaio 2002, n. 71).

Da ultimo, alcune brevi osservazioni in merito allo sconfinamento, da parte della convenuta, concernente le tegole di copertura del tetto ed il canale di gronda. Nella fattispecie, non si può parlare di mancato rispetto delle distanze legali quanto piuttosto - come correttamente evidenziato dal giudicante - di indebita occupazione della colonna d'aria di appartenenza di parte attrice.

Sul punto, infatti, nella sentenza si trova affermato che l'illegittimità dell'intervento troverebbe fondamento nel fatto che lo stesso è “suscettibile di arrecare pregiudizio ai diritti di tale parte [n.d.r. dell'attore], anche solo ove la stessa intendesse realizzare costruzioni in aderenza (ove ammissibili) e rappresentando comunque - la sussistenza dei manufatti - una compressione, per quanto modesta, dei diritti domenicali» dell'attore stesso. Una compressione che non trova fondamento in alcun titolo o acquisto a titolo originario.

La linea scelta dal Tribunale, pertanto, è stata quella di conferire rilevanza all'aspetto potenziale del pregiudizio. A questo proposito la Corte Suprema (Cass. civ., sez. II, 28 febbraio 2018, n. 4664), decidendo analoga questione (nella specie si trattava, infatti, di un cornicione sporgente per circa 60 cm. sulla colonna aerea della proprietà confinante rispetto al quale i giudici di legittimità avevano confermato la decisione della Corte territoriale, che aveva escluso vi fosse un danno attuale del ricorrente), ha affermato che il proprietario non può opporsi, ai sensi dell'art. 840, comma 2, c.c., ad attività di terzi che si svolgano a profondità od altezza tali che egli non abbia interesse ad escluderle e, pertanto, ove ritenga di contestarle, è suo onere dimostrare che dette attività gli arrechino un pregiudizio, da intendere non in astratto, ma in concreto, avuto riguardo alle caratteristiche ed alla normale destinazione, eventualmente anche futura, del fondo. Mentre, la stessa Corte (Cass. civ., sez. II, 11 agosto 2011, n. 17207) e sempre con riferimento agli sporti, aveva assunto una decisione meno rigida, affermando che la sussistenza dell'interesse del proprietario del suolo ad escludere l'attività di terzi, che si svolga nello spazio sovrastante, ai sensi dell'art. 840, comma 2, c.c., va valutata con riferimento non soltanto all'attuale situazione e destinazione del suolo, ma anche alle sue possibili, future utilizzazioni, sia pure in concreto non individuate, purché compatibili con le caratteristiche e la normale destinazione del suolo medesimo, a nulla rilevando che questo sia attualmente soggetto a servitù incompatibili con l'utilizzazione edificatoria dello spazio ad esso sovrastante da parte del proprietario. Tali limitazioni, infatti, potendo venir meno nel tempo, non escludono che alla futura utilizzazione del suolo possa derivare pregiudizio dalla tolleranza di violazioni corrispondenti all'illegittimo esercizio di nuove servitù, le quali potrebbero costituirsi per usucapione, incidendo, quindi, in via autonoma sulle possibili future utilizzazioni del fondo.

Evidente, quindi, che il Tribunale di Massa si è uniformato a tale indirizzo.

Riferimenti
  • Acquaviva, Luci irregolari e distanze tra costruzioni, in Condominioweb.com, 23 settembre 2020;
  • Cavallaro, Riflessioni sulle giurisdizioni - Il riparto di giurisdizione e la tutela delle situazioni soggettive dopo il codice del processo amministrativo, Milano-Padova, 2018;
  • Grisanti, Ancora in tema di distanze tra fabbricati e nuovo edificio, in Lexambiente.it, 2017;
  • Gallucci, La tutela del diritto di veduta e delle distanze legali da parte del singolo condomino, in Condominioweb.com, 2 febbraio 2016;
  • Felcioloni, Diritto di veduta: esercizio e strumenti di tutela, in Ventiquattrore avvocato, 2013, fasc. 12, 25.

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