Vincenzo Liguori
08 Giugno 2021

La terza sezione civile della Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria 25 novembre 2020 – 18 maggio 2021, n. 13556, rilevato il contrasto giurisprudenziale e dottrinale sulla natura del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ha devoluto alle Sezioni Unite la relativa questione in quanto particolarmente rilevante nei casi di errore sulla scelta del rito da seguire ai fini dell'applicabilità o meno della salvezza degli effetti sostanziali e processuali verificatisi prima del conseguente mutamento del rito ex art. 4 D. Lgs. n. 150/2011, applicabile espressamente alle nuove controversie.
L'ordinanza.

La terza sezione civile della Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria 25 novembre 2020 – 18 maggio 2021, n. 13556, rilevato il contrasto giurisprudenziale e dottrinale sulla natura del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ha devoluto alle Sezioni Unite la relativa questione in quanto particolarmente rilevante nei casi di errore sulla scelta del rito da seguire ai fini dell'applicabilità o meno della salvezza degli effetti sostanziali e processuali verificatisi prima del conseguente mutamento del rito ex art. 4, D. Lgs. n. 150/2011, applicabile espressamente alle nuove controversie.

La normativa

L'art. 4 D.Lgs. n. 150/2011, rubricato “mutamento del rito”, prevede che quando una controversia venga promossa in forma diversa da quella prevista dallo stesso D. Lgs. n. 150/2011 (rubricato “Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione”), il giudice, anche d'ufficio e non oltre la prima udienza, con ordinanza, dispone il mutamento del rito. In tale ipotesi, ai sensi del comma 5 del predetto art. 4, gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono secondo le norme del rito seguito prima del mutamento e restano ferme le decadenze e le preclusioni maturate secondo le norme del rito seguito prima del mutamento.

L'articolo in esame, pertanto, prevede che ogni qual volta una controversia assoggettata ad un rito regolato dallo stesso D.Lgs. n. 150/2011 sia introdotta con un diverso rito, il Giudice, anche d'ufficio ma non oltre la prima udienza, dispone il mutamento del rito, restando fermi gli effetti processuali e sostanziali della domanda che si sono già prodotti secondo le norme del rito erroneamente scelto nonché le preclusioni e le decadenze maturate in base allo stesso.

La questione controversa

Il Tribunale di Palermo, previo il mutamento del rito da ordinario a locatizio, ha dichiarato inammissibile un'opposizione a decreto ingiuntivo per il mancato pagamento dell'indennità di occupazione e degli oneri condominiali proposta dall'Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo con atto di citazione anziché con ricorso. Il Tribunale, in particolare, una volta rilevato che il giudizio era sottoposto al rito del lavoro ai sensi dell'art. 447- bis c.p.c. e dopo aver evidenziato che, qualora l'opposizione a decreto ingiuntivo venga proposta per errore con atto di citazione in luogo del ricorso, l'opposizione è tempestiva se l'atto è depositato in cancelleria nel termine di cui all'art. 641 c.p.c., ha accertato la tardività del deposito e, pertanto, l'inammissibilità dell'opposizione. Avverso tale sentenza ha proposto appello l'Azienda, denunciando la violazione da parte del Giudice di primo grado di quanto disposto dall'art. 4 D.Lgs. n. 150/2011. La Corte di Appello di Palermo, seppur abbia ritenuto fondata la censura, ha reputato che la fondatezza della questione di diritto sollevata con il gravame non giovasse alla parte appellante, limitatasi a chiedere genericamente la riforma della sentenza di primo grado senza prospettare alcuna questione di merito e senza, soprattutto, chiedere l'accoglimento dell'opposizione a decreto ingiuntivo proposta, così incorrendo nella decadenza prevista dall'art. 346 c.p.c. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Palermo l'Azienda ha proposto ricorso per Cassazione basato su tre motivi al quale ha resistito, con controricorso contenente ricorso incidentale condizionato articolato in tre motivi, la creditrice I.S. S.r.l. in liquidazione.

I motivi di ricorso e del controricorso

L'Azienda, con il primo motivo del ricorso principale, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di Appello, pur ritenendo fondato il secondo motivo di gravame e, quindi, ritenendo applicabile alla fattispecie in esame la norma di cui all'art. 4 D.Lgs. n. 150/2011, ha ritenuto che l'appellante, essendosi limitata a chiedere genericamente la riforma della sentenza senza prospettare alcuna questione di merito e senza, soprattutto, chiedere l'accoglimento dell'opposizione a decreto ingiuntivo, è incorsa nella decadenza di cui all'art. 346 c.p.c. ed ha, di conseguenza, rigettato l'appello. La Suprema Corte ha ritenuto, in termini ipotetici, fondato il motivo di appello dell'appellante principale in quanto in tema di appello, la regola per cui le domande e le eccezioni non esaminate perché ritenute assorbite, pur non potendo costituire oggetto di motivo d'appello, devono comunque essere riproposte ai sensi dell'art. 346 c.p.c., non trova applicazione in caso di impugnazione della decisione che ha giudicato inammissibile l'atto introduttivo di primo grado, la quale costituisce comunque manifestazione di volontà di proseguire nel giudizio, con implicita riproposizione della domanda principale, specialmente quando tale volontà sia anche chiaramente espressa con l'esplicito rinvio, nelle conclusioni dei motivi di appello, all'atto introduttivo, non avendo altrimenti alcuna valida e concreta ragione la sola impugnativa della questione preliminare di rito (Cass., ord., 2 agosto 2017, n. 19216; Cass. 9 giugno 2010, n. 13855; Cass. 1° luglio 2004, n. 12092; v. anche Cass. 18 maggio 2017, n. 12468).

La Suprema Corte, pertanto, una volta accolto il primo motivo del ricorso principale è passata ad esaminare il primo motivo del ricorso incidentale condizionato e alla questione dell'applicabilità o meno della normativa di cui all'art. 4, comma 5, D. Lgs. n. 150/2011 all'opposizione a decreto ingiuntivo.

Gli orientamenti giurisprudenziali in merito alla qualificazione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.

La Suprema Corte, nel suo massimo consesso, ha affermato che l'opposizione a decreto ingiuntivo non introduce un giudizio autonomo e neppure un grado autonomo, ma costituisce solo una fase del giudizio già pendente a seguito del ricorso del creditore che si svolge secondo le norme del procedimento ordinario (Cass. S.U. 7 luglio 1993, n. 7448). L'atto di opposizione a decreto ingiuntivo, quindi, non potrebbe considerarsi atto con il quale viene promossa una controversia, bensì atto con cui si dà impulso alla seconda fase di un procedimento introdotto dalla parte opposta, convenuta in senso formale, dovendosi qualificare la fase di opposizione quale prosecuzione (Cass. 11 giugno 1993, n. 6531, Cass. 11 febbraio 1995, n. 1552) o continuazione orizzontale del processo monitorio (Cass. 30 marzo 1998, n. 3316) o, ancora, di ulteriore sviluppo (Cass. 26 marzo 1991, n. 3258, Cass. 6 giugno 2006, n.13252) del giudizio già pendente ed iniziato, con il ricorso, dal creditore.

La Suprema Corte, poi, sempre a Sezioni Unite, confermando quanto già rilevato con le sentenze n. 10984/1992 e 10985/1992, ha ribadito che nell'ipotesi di un decreto ingiuntivo emesso dal giudice di pace, in caso di proposizione di domanda riconvenzionale eccedente i limiti di valore della competenza del predetto giudice, la competenza per l'opposizione a decreto ingiuntivo, attribuita ex art. 645 c.p.c. all'ufficio che ha emesso il decreto, ha carattere funzionale ed inderogabile, stante l'assimilabilità del giudizio di opposizione a quello di impugnazione (Cass. S.U. 18 luglio 2001, n. 9769).

La Suprema Corte ha, altresì, precisato che l'innegabile profilo impugnatorio non fa assurgere l'opposizione al decreto ingiuntivo al rango di un processo di impugnazione in senso proprio, per cui l'opposizione non potrà considerarsi un giudizio d'appello, di competenza del collegio, ai sensi dell'art. 48, n. 1 dell'ordinamento giudiziario (R.D. 30 gennaio 1941, n. 12) ma andrà proposta davanti al giudice unico o monocratico.

Agli orientamenti che qualificano l'atto di opposizione a decreto ingiuntivo non come un atto introduttivo di un giudizio autonomo ma semplicemente di una fase, si contrappongono altri orientamenti che ravvisano nell'atto di opposizione un atto introduttivo di un autonomo giudizio o addirittura un'impugnazione di primo grado.

La terza Sezione civile della Suprema Corte, pertanto, ha ritenuto necessario rimeditare la questione sulla natura del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ai fini dell'applicabilità della norma di cui all'art. 4 D. Lgs. n. 150/2011, applicabile nelle sole ipotesi di una nuova controversia, anche in considerazione del principio del giusto processo di cui all'art. 111 Cost. il cui fine primario è la realizzazione del diritto delle parti ad ottenere risposta nel merito.

Per tali motivi, al fine della corretta qualificazione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la terza Sezione civile ha rimesso gli atti al Primo Presidente, affinché lo stesso valuti l'opportunità di assegnare la trattazione del ricorso alle Sezioni Unite sulla predetta questione.

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