Il reato di abuso d'ufficio in relazione al rilascio di autorizzazioni volte all'esportazione di armamenti verso Paesi coinvolti nel conflitto in Yemen

Lorenzo Cattelan
11 Giugno 2021

Il divieto di esportazione di armamenti contenuto nella l. n. 185/1990 è una “precisa regola di condotta” rilevante ai fini dell'integrazione del reato di abuso d'ufficio descritto dall'art. 323 c.p...
Massima

Il divieto di esportazione di armamenti contenuto nella l. n. 185/1990 è una “precisa regola di condotta” rilevante ai fini dell'integrazione del reato di abuso d'ufficio descritto dall'art. 323 c.p.

Il caso

L'ordinanza in commento trae origine da una denuncia presentata nell'aprile 2018 riguardante la regolarità delle procedure relative al rilascio, in favore della società RWM Italia (specializzata nella produzione di armi), delle autorizzazioni per l'esportazione di armamenti.

In particolare, l'esposto è stato sporto congiuntamente dai legali rappresentati dell'European Center for Constitutional and Human Rights (ECCHR), dell'O.N.G. yemenita Mwatana Organization for Human Rights, nonché dell'Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e le Politiche di Sicurezza e di Difesa.

L'episodio rappresentato all'Autorità riguarda l'attacco aereo condotto nella notte tra il 7 e l'8 ottobre 2016 contro il villaggio yemenita Deir Al-Hajari, nel corso del quale venne colpita la casa di una famiglia, i cui componenti – due adulti e quattro bambini – rimasero uccisi, mentre un'altra persona subì gravi ferite. Gli accertamenti svelarono che l'abitazione si trovava a notevole distanza dal più vicino obiettivo militare e che l'anello di sospensione della bomba fu fabbricato ed esportato dallo stabilimento sardo della RWM Italia s.p.a., società autorizzata ad esportare armamenti verso l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, Paesi alla guida della Coalizione intervenuta nel conflitto in Yemen a supporto delle forze governative nel contrasto ai ribelli sciiti Houthi.

Dal punto di vista storico, è noto che il conflitto in Yemen stia causando la più grave crisi umanitaria in corso, che conta quasi ventimila morti, quattro milioni di sfollati interni e oltre venti milioni di persone bisognose di assistenza umanitaria (pari al 66% della popolazione totale) [cfr. Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, Yemen Humanitarian Needs Overview 2021, febbraio 2021.].

Secondo quanto riportato nella denuncia, le autorizzazioni rilasciate da UAMA in favore della RWM Italia S.p.A. sarebbero illegittime in quanto contrastanti con la normativa che vieta il rilascio di licenze in materia di armi nelle ipotesi in cui sia evidente il rischio di un loro utilizzo in occasione di gravi violazioni del diritto internazionale umanitario(il riferimento corre alla legge 185/1990, alla Posizione Comune 2008/944 PESC del Consiglio dell'Unione Europea e al Trattato internazionale sul commercio delle armi adottato dall'ONU nel 2013).

L'illegittimo rilascio delle autorizzazioni alle esportazioni ed il conseguente vantaggio ingiusto ricavato dalla RWM Italia S.p.a. sarebbe, così, alla base della prospettazione del reato di abuso di ufficio in capo ai funzionari di UAMA e agli amministratori della società sarda.

Gli accusati, inoltre, secondo quanto riportato nella denuncia, avrebbero contribuito “a titolo di dolo eventuale, o quantomeno di colpa cosciente”, a determinare la morte della famiglia yemenita eil ferimento di un'altra persona. Episodi, questi, non qualificabili come “danni collaterali”, in ragione della lontananza dell'abitazione dai più vicini obiettivi militari. In questo senso depone l'utilizzo, nel corso dell'attacco, di una bomba della serie MK80, dotata di sistemi ad elevata precisione e con un margine di errore di circa un metro.

Terminata l'acquisizione istruttoria (acquisizione dei documenti relativi al rilascio delle autorizzazioni concesse da UAMA a RWM Italia s.p.a. tra il febbraio 2015 e il novembre 2018), il P.M. ha avanzato richiesta di archiviazione.

In primo luogo, il pubblico ministero ha rilevato – in assenza di significativi mutamenti circostanziali – un'analogia tra i fatti oggetto di denuncia e quelli posti alla base della decisione di archiviazione del procedimento n. 39189/2017 (avente ad oggetto gli stessi provvedimenti autorizzativi contestati). Secondariamente, si è evidenziato come i diversi soggetti coinvolti nell'emanazione dei pareri necessari al rilascio dei provvedimenti non abbiano manifestato alcuna preoccupazione in ordine ad un eventuale accordo illecito volto a far conseguire un indebito vantaggio alla società. In questi termini, il P.M. ha ravvisato la prevalenza dell'interesse pubblico all'aumento dei tassi di occupazione nel comparto degli armamenti rispetto ai rischi ad essi connessi. Per queste ragioni, secondo l'organo titolare della publica accusa, sarebbe insussistente l'elemento soggettivo del reato di cui al 323 c.p. in capo ai funzionari UAMA e agli amministratori della RWM Italia S.p.A., con irrilevanza di ogni ulteriore valutazione sotto il profilo oggettivo.

Sulla base di tali premesse, i denuncianti hanno presentato opposizione alla richiesta di archiviazione, esponendo che l'anello di sospensione prodotto dalla società italiana faceva parte di un lotto spedito in Arbia Saudita tra l'aprile e il novembre 2015, ossia in un periodo nel quale era già scoppiatoil conflitto in Yemen. Tale circostanza costituisce elemento di differenziazione rispetto all'archiviato procedimento n. 39189/2017, in relazione al quale vennero in discussione licenze concesse prima dell'avvio dello scontro. Infine, si è sottolineato come, tra il marzo 2015 e il dicembre 2018, sono state rilasciate alla RWM Italia S.p.A. ben quattordici licenze, in spregio del diritto internazionale umanitario e delle dichiarazioni di condanna provenienti dagli organismi delle Nazioni Unite e dal Parlamento Europeo.

La questione

Le questioni giuridiche che attengono al caso di specie riguardano, per quel che interessa in questa sede:

- la competenza in materia di crimini internazionali in capo alla Corte penale internazionale;

- l'eventuale rilevanza penale della fattispecie di rilascio di licenze di esportazione di armi alla luce del riformato reato di abuso di ufficio.

Le soluzioni giuridiche

Con l'ordinanza in commento il G.i.p. del Tribunale di Roma ha respinto la richiesta di archiviazione del Pubblico Ministero, al quale ha ordinato ai sensi degli artt. 415 e 409, comma 4, c.p.p. lo svolgimento di indagini suppletive della durata di sei mesi, previa iscrizione nel registro ex art. 335 c.p.p. dei direttori generali pro tempore di UAMA e degli amministratori delegati pro tempore della RMW Italia S.p.A.

Le motivazioni del Giudicante muovono in primo luogo dall'approfondimento del profilo soggettivo del reato di abuso d'ufficio (art. 323 c.p.), inteso quale intenzione di favorire il privato con un profitto contra ius. Nel caso in esame, infatti, non è dato rinvenire il carattere vincolante dei pareri rilasciati dai diversi funzionari, con responsabilità finale di UAMA, in ordine all'adozione del provvedimento conclusivo di autorizzazione.

In relazione, poi, alla rilevata sussistenza – da parte del P.M. – di un superiore interesse collettivo all'aumento dei posti di lavoro nel comparto degli armamenti, l'ordinanza in commento sostiene che un simile interesse non può certo giustificare una violazione degli obblighi, interni ed internazionali, che vietano l'esportazione di armamenti verso paesi responsabili di gravi violazioni del diritto internazionale umanitario. In questo senso si sostiene che “il pur doveroso, imprescindibile impegno dello Stato per salvaguardare i livelli occupazionali non può, nemmeno in astratto, giustificare una consapevole, deliberata violazione di norme che vietino l'esportazione di armi verso Paesi responsabili di gravi crimini di guerra e contro popolazioni civili (ben potendo e dovendo lo Stato da un lato salvaguardare i livelli occupazionali e dall'altro rispettare gli obblighi derivanti da norme interne ed internazionali)”.

Ulteriore elemento a sostegno dell'astratta configurabilità dell'elemento soggettivo del reato di abuso d'ufficio deriverebbe dalla considerazione per cui il contratto di vendita con la Royal Saudi Air Force avrebbe permesso all'azienda produttrice di raddoppiare il proprio fatturato, come rilevato dalla stessa UAMA.

A quest'ultimo proposito, ci sia consentito un inciso. Risale al 2016 la più ingente fornitura per il munizionamento pesante dal dopoguerra: è di quell'anno infatti l'autorizzazione dell'Italia alla RWM Italia S.p.A. riguardante l'esportazione di armi verso l'Arabia Saudita per un valore di 411 milioni di euro (corrispondenti alla produzione di circa ventimila bombe). Come se ciò non bastasse, tale dato è accompagnato dalla costante crescita della spesa annuale per la difesa, passata nella l. n. 178/2020 (che è l'ultima legge di bilancio) da 22.940 a 24.580 milioni di euro.

Riprendendo l'analisi delle argomentazioni dell'ordinanza in commento, il G.i.p. di Roma fornisce un quadro normativo interno e sovranazionale, volto a ricostruire il fondamento del divieto di esportazione di armamenti verso Paesi coinvolti in gravi violazioni del diritto umanitario. Il primo richiamo corre alla legge “sul controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento” (l. n. 185/1990), che vieta la vendita di armi a Paesi che si pongano in contrasto con l'art. 11 Cost. e che siano responsabili di gravi violazioni di convenzioni internazionali umanitarie, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell'Unione Europea e del Consiglio d'Europa.

Ancora, assume rilievo la Posizione Comune del Consiglio dell'Unione Europea n. 944 PESC del 2008, che vieta la concessione di licenze di esportazione nelle ipotesi in cui sussista il rischio manifesto dell'utilizzo delle armi per commettere gravi violazioni del diritto internazionale umanitario. Anche il Parlamento Europeo ha ripetutamente censurato la vendita di armi verso i paesi della Coalizione coinvolta nel conflitto in Yemen ed ha invitato l'Alto Rappresentante per gli Affari Esteri ad avviare una iniziativa per l'imposizione di un embargo sulle armi da parte dell'Unione Europea all'Arabia Saudita. Si osserva, peraltro, che almeno tre risoluzioni del medesimo Parlamento Europeo [nn. 2015/2760(R8P), 2016/2515(RSP), 2017/2849(RSP)] avevano espresso “seria preoccupazione” per la situazione del conflitto in Yemen. In particolare, si è sottolineato il numero elevato di vittime, anche civili, causate dalla Coalizione guidata dall'Arabia Saudita, mediante il ricorso a munizioni e obiettivi vietati dal diritto internazionale umanitario. Le risoluzioni in parola, quindi, avevano reiterato l'esigenza di imporre un embargo europeo sulla vendita di attrezzature e tecnologie militari all'Arabia Saudita, in ottemperanza alla citata Posizione Comune n. 2008/944/PESC.

Più recentemente, il Trattato internazionale sul commercio di armi ratificato dall'Italia il 2 giugno 2014, vieta la concessione di autorizzazioni al trasferimento di armi laddove lo Stato sia a conoscenza del loro possibile utilizzo per la commissione di crimini di genocidio, crimini contro l'umanità, crimini di guerra, e in particolare attacchi contro i civili.

Ecco, dunque, che il divieto di esportazione di armamenti imposto dalla l. n. 185/1990 si configura qualeprecisa regola di condotta” alla stregua di quanto introdotto dalla l. n. 120/2020 (di conversione del dl. n. 76/2020, c.d. “Decreto Semplificazioni”) in relazione al reato di abuso d'ufficio.

Per queste ragioni, dal momento che nel caso di specie la configurabilità dell'art. 323 c.p. è subordinata all'accertamento del carattere illegittimo degli atti di concessione delle autorizzazioni, con ingiusto vantaggio patrimoniale per la RWM Italia S.p.A. ed ingiusto dannoper le vittime dell'attacco aereo, la pronuncia in commento ha ritenuto necessario completare le acquisizioni documentali al fine di accertare il numero di autorizzazioni rilasciate da UAMA alla RWM Italia S.p.A. a partire dal 2015, quando la situazione del conflitto in Yemen doveva ritenersi internazionalmente conosciuta, ovvero di verificare se vi siano state decisioni di rigetto della loro concessione.

Osservazioni

Com'è noto, la commissione di crimini internazionali in Yemen è attualmente al vaglio preliminare della Corte penale internazionale ai sensi dell'art. 15 del relativo Statuto. In particolare, dal rapporto pubblicato dall'Ufficio del Procuratore della Corte in data 14 dicembre 2020 è possibile rinvenire le denunce relative alle presunte responsabilità di funzionari statali e dirigenti di aziende produttrici (francesi, inglesi, italiane, spagnole e tedesche) per i crimini commessi in Yemen.

La decisione del G.i.p. di Roma è particolarmente rilevante sotto due aspetti. In primis, come si è già osservato (cfr. CRIPPA), nell'ipotesi in cui si arrivasse al rinvio a giudizio degli indagati, il procedimento rappresenterebbe la “prima occasione per l'ordinamento italiano di accertare la responsabilità penale di soggetti direttamente interessati nell'esportazione di armamenti e tecnologie militari verso paesi coinvolti in conflitti armati e potenzialmente responsabili di crimini di guerra e di gravi violazioni del diritto internazionale umanitario”. Se ciò è vero, occorre evidenziare tuttavia che l'accertamento delle responsabilità penali per crimini di guerra è precluso ai giudici interni a causa della mancata adozione di una normativa interna di attuazione dello Statuto Corte penale internazionale. Per tali ragioni occorrerà prestare particolare attenzione all'opportunità di una eventuale dichiarazione di responsabilità penale dei vertici delle aziende produttrici di armi e dei funzionari statali che, con colpa, hanno assicurato la fornitura di armamenti nonostante la conoscenza del rischio di un loro utilizzo in un conflitto armato di proporzioni drammatiche, mediante il ricorso ad altre fattispecie di reato.

In seconda battuta, merita di essere segnalata la configurazione del reato di abuso d'ufficio,recentemente riformulato dalla l. n. 120/2020, di conversione del cd.Decreto Semplificazioni.

Attualmente, l'art. 323 c.p. punisce la condotta di chi, intenzionalmente, procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto attraverso la violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto, o negli altri casi prescritti. Rispetto alla previgente formulazione del 1997, la condotta attualmente punita dall'art. 323 c.p. consiste quindi nel compimento di un'azione, inerente alla funzione o al servizio svolto, posta in essere in violazione di precisi doveri stabiliti da leggi o regolamenti; oltre che nell'inosservanza di obblighi di astensione tipizzati dalla stessa fattispecie penale o da altre fonti normative (UBIALI). Gli eventi alternativi presi in considerazione dalla norma, che devono essere voluti nelle forme del dolo intenzionale, sono rappresentati dall'ingiusto vantaggio patrimoniale (che il pubblico funzionario arreca a sé o ad altri) ovvero dal danno ingiusto genericamente provocato.

La principale novità della nuova formulazione è rappresentata dalla sostituzione della violazione “di norme di legge e di regolamento” con la violazione “di specifiche regoledi condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”. D'altra parte, invece, la seconda parte della fattispecie è rimasta invariata, configurandosi allorquando il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio – che agiscano nello svolgimento delle loro funzioni o del servizio – omettano di astenersi in presenza di un conflitto di interessi. Come osservato dalla giurisprudenza «si pretende oggi che la condotta produttiva di responsabilità penale del pubblico funzionario sia connotata, nel concreto svolgimento delle funzioni o del servizio, dalla violazione di regole cogenti per l'azione amministrativa, che per un verso siano fissate dalla legge (non rilevano dunque i regolamenti, né eventuali fonti subprimarie o secondarie) e per altro verso siano specificamente disegnate in termini completi e puntuali. Di qui il lineare corollario della limitazione di responsabilità penale del pubblico funzionario, qualora le regole comportamentali gli consentano di agire in un contesto di discrezionalità amministrativa, anche tecnica: intesa, questa, nel suo nucleo essenziale come autonoma scelta di merito - effettuata all'esito di una ponderazione comparativa tra gli interessi pubblici e quelli privati - dell'interesse primario pubblico da perseguire in concreto» (Cass. pen., sez. VI, 9 dicembre 2020, n. 442).

In relazione alla violazione di precise regole di comportamento, un'opinione restrittiva avvallata da talune decisioni di merito ha sostenuto che il legislatore abbia preteso che sia la legge a contenere la regola di condotta specifica (NISCO; cfr. nel medesimo senso G.U.P. Pescara, sentenza 23 dicembre 2020). Diversamente, secondo un altro indirizzo più espansivo, sarebbe sufficiente che la regola di condotta specifica sia espressione di un potere autorizzato dalla legge (cfr. Cass. pen., sez. VI, 12 novembre 2020, n. 31873). In effetti, il testo della nuova fattispecie non impone che la regola di condotta sia prevista direttamente dalla (o ancor meglio contenuta nella) legge.

Ciò posto, la riforma del 2020 ha inteso restringere i confini applicativi della fattispecie di abuso d'ufficio, elevando – quantomeno nelle intenzioni del legislatore – la discrezionalità amministrativa ad elemento negativo del fatto (DONINI). Di qui, la discrezionalità segnerebbe il limite della condotta di abuso: laddove sussiste un margine valutativo di opportunità non è presente l'esercizio abusivo del potere.

Provando a sintetizzare le conclusioni dei più autorevoli contributi dottrinali, sembrerebbe che l'opera del legislatore del 2020 sia volta ad escludere dal fatto tipico le decisioni prese dal pubblico agente a fronte di alternative di pari dignità, tutelando la scelta discrezionalmente effettuata. Tuttavia, “tale iniziativa, finalizzata a limitare il sindacato del giudice penale sulle decisioni dell'amministrazione, pare determinare un esito esattamente opposto” (ALBERICO). Difatti, la Suprema Corte ha più di recente sostenuto che in caso di sviamento di potere continuerà a trovare applicazione l'art. 323 c.p. (Cass. pen., sez. VI, 9 dicembre 2020, n. 442). Più in particolare, il residuo di discrezionalità impedirebbe l'attivazione della risposta penale «sempreché l'esercizio del potere discrezionale non trasmodi tuttavia in una vera e propria distorsione funzionale dai fini pubblici – c.d. sviamento di potere o violazione dei limiti esterni della discrezionalità – laddove risultino perseguiti, nel concreto svolgimento delle funzioni o del servizio, interessi oggettivamente difformi e collidenti con quelli per i quali soltanto il potere discrezionale è attribuito».

Sulla base delle esposte considerazioni è possibile concludere che, nel caso posto all'attenzione del G.i.p. di Roma, pur alla luce delle diverse forme della discrezionalità amministrativa (tecnica, pura, vincolata, mista), il divieto di cui alla l. n. 185/1990 costituisca una specifica regola legale di condotta, dalla quale non residuano margini di valutazione di interessi contrapposti. In questi termini, nel procedimento in esame non si prospettano, pertanto, problemi di abolitio criminis.

Per tali motivi, dal momento che nel caso di specie la configurabilità dell'art. 323 c.p. è subordinata all'accertamento del carattere illegittimo degli atti di concessione delle autorizzazioni, con ingiusto vantaggio patrimoniale per la RWM Italia S.p.A. ed ingiusto dannoper le vittime dell'attacco aereo, la pronuncia in commento ha ritenuto necessario completare le acquisizioni documentali al fine di accertare il numero di autorizzazioni rilasciate da UAMA alla RWM Italia S.p.A. a partire dal 2015, quando la situazione del conflitto in Yemen doveva ritenersi internazionalmente conosciuta, ovvero di verificare se vi siano state decisioni di rigetto della loro concessione.

Guida all'approfondimento

A. ALBERICO, Le vecchie insidie del nuovo abuso d'ufficio,in Sistema penale, 1 aprile 2021;

M. CRIPPA, Licenze all'esportazione di armamenti verso l'Arabia Saudita: il G.i.p. di Roma ordina la prosecuzione delle indagini sulle responsabilità italiane per i bombardamenti in Yemen, in Sistema Penale, 6 maggio 2021;

M. DONINI, Reati contro la P.A. e riconoscibilità del precetto. L'imputazione del formante amministrativo e di quello giurisprudenziale, in Arch. pen., 2020, 2, p. 4.

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