Sulla certificazione della data della procura speciale dei ricorsi in tema di protezione internazionale

Ilaria Capossela
14 Giugno 2021

La nota esamina la recentissima decisione delle Sezioni Unite le quali si sono pronunciate, a seguito di diverse ordinanze di rimessione, sul problema dell'ammissibilità, nella materia della protezione internazionale, dei ricorsi per cassazione non muniti di procura speciale successivi all'emanazione del decreto impugnato in sede di legittimità.
Massime

1) L'art. 35-bis, comma 13, d.lgs. 25/2008, per il quale «La procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita, a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato; a tal fine il difensore certifica la data di rilascio in suo favore della procura medesima» richiede, quale elemento di specialità rispetto alle ordinarie ipotesi di rilascio della procura ex artt. 83 e 365 c.p.c., la posteriorità della data rispetto alla comunicazione del provvedimento impugnato, prevedendo una peculiare ipotesi di «inammissibilità del ricorso», per mancata certificazione della data di rilascio della procura in suo favore da parte del difensore.

2) La procura speciale del ricorso per cassazione per le materie regolate dall'art. 35-bis, comma 13, d.lgs. 25/2008 e dalle disposizioni di legge successive che ad esse rimandano deve indicare in modo esplicito la data successiva alla comunicazione del provvedimento impugnato e richiede che il difensore certifichi, anche con un'unica sottoscrizione, sia la data della procura successiva alla comunicazione, sia l'autenticità della firma del conferente.

3) Il contributo unificato di cui all'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 115/2002, in caso di declaratoria d'inammissibilità del ricorso per cassazione conseguente alla mancata indicazione, all'interno della procura speciale, della data o della certificazione del difensore della sua posteriorità rispetto alla comunicazione del provvedimento impugnato, va posto a carico della parte ricorrente e non del difensore, risultando la procura nulla e non inesistente.

Il caso

La prima Sezione della Suprema Corte ha devoluto alle Sezioni Unite l'interpretazione dell'art. 35-bis, comma 13, d.lgs. 25/2008, (inserito dall'art. 6, comma 1, lett. g, d.l. 13/2017, convertito, con mod., in l. 46/2017, ed applicabile ex art. 21, comma 1, stesso d.l., ai procedimenti giudiziari sorti dopo il centottantesimo giorno dalla data di entrata in vigore del decreto) laddove prevede che la procura speciale, nel ricorso per cassazione in materia di protezione internazionale e rifugiato politico, va conferita, a pena di inammissibilità, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato.

Trattando la causa insieme ad ulteriori procedimenti aventi ad oggetto la stessa questione, le SS.UU. hanno dichiarato il ricorso inammissibile. Ciò in quanto, nel caso di specie, la procura speciale - rilasciata al difensore in calce al ricorso, pur indicando il provvedimento impugnato (decreto di rigetto del Tribunale di Salerno) e la data del deposito (16 aprile 2019), nonché la data della medesima procura (successiva a quella del suddetto deposito perché risalente al 21 maggio 2019) - difettava della certificazione che il conferimento fosse avvenuto dopo la comunicazione del decreto.

La questione

Le ordinanze interlocutorie della prima (nn. 5213/21 e 5214/21) e seconda sezione della Cassazione (nn. 28208/2020, 28209/2020, 29250/2020, 29251/2020) hanno sollecitato un intervento delle Sezioni Unite su due questioni tra loro direttamente collegate.

La questione iniziale, sollevata dalla seconda Sezione, attiene alla mancata certificazione della data di rilascio della procura da parte del difensore prevista dal d.lgs. 25/2008, art. 35-bis, comma 13, e alle concrete modalità con le quali dovrebbe svolgersi la funzione certificatoria introdotta dal legislatore del 2017 e, in particolare, se la stessa debba essere autonoma rispetto all'autentica della firma della parte che la suddetta procura conferisce.

L'altra questione, sollevata dalla prima Sezione, demanda al più autorevole Collegio della Suprema Corte un'interpretazione conforme ai parametri costituzionali e dell'Unione europea della norma in esame, avuto riguardo alle concrete modalità di certificazione da parte del difensore.

Ancora una volta, dunque, alle Sezioni Unite è stata demandata la soluzione della questione della procura speciale e dei relativi requisiti di ritualità, richiesti a pena d'inammissibilità del ricorso in Cassazione.

Le soluzioni giuridiche

Preliminarmente va spesa qualche breve parola su questo delicatissimo tema perché si registrano diverse interpretazioni che hanno dato vita nella giurisprudenza di legittimità ad un mosaico tanto composito quanto fluido.

Se, in linea generale, sulle regole che governano la procura nel giudizio in cassazione, la Suprema Corte ha spesso avallato soluzioni decisamente formalistiche, quasi in via di autotutela, anche per fronteggiare l'aumento incontrollato dei ruoli giudiziari; non sono mancate occasioni in cui sono state favorite prospettazioni meno rigorose, alimentando però incertezze ed ambiguità e, soprattutto, il proliferare delle eccezioni in materia di invalidità della procura (non a caso, da tempo, la dottrina ha auspicato l'abolizione della necessità della procura speciale nel giudizio di legittimità: v. per tutti, M. Acone, La procura speciale tra tiepidezza del legislatore e i contrasti della corte, in Corriere giur. 1997, 1165 e spec. 1169). La decisione delle Sezioni Unite consente, dunque, di esaminare alcuni aspetti della spinosa questione in materia di protezione internazionale e di vagliarne le ricadute pratiche, anche nel tentativo di ridurre le incertezze sulle fattispecie che determinano la declaratoria di inammissibilità del ricorso in cassazione e, quindi, l'inevitabile passaggio in giudicato della sentenza impugnata

Quanto alle soluzioni giuridiche alla base del contrasto va segnalato come una prima tesi abbia fornito una chiave di lettura costituzionalmente orientata dell'art. 35-bis, comma 13, d.lgs. 25/2008, volta ad impedire che la mancanza della certificazione della data riferibile al difensore potesse incidere in concreto il diritto del richiedente a ricorrere in Cassazione. In particolare, valorizzando i principi della strumentalità delle forme degli atti processuali per la realizzazione di un certo risultato, è stato affermato che l'eventuale inosservanza della prescrizione formale risulterebbe irrilevante se l'atto viziato ha egualmente raggiunto lo scopo cui è destinato. Invero, lo scopo della disposizione in esame - la necessità che il conferimento della procura sia successivo alla comunicazione del provvedimento impugnato - sarebbe raggiunto in presenza di elementi testuali inequivoci in ordine alla dimostrazione della posteriorità della procura rispetto al provvedimento del giudice di merito e, in tal caso, la mancanza di certificazione costituirebbe una mera irregolarità. Per questa tesi, particolarmente garantista, il ricorso risulterebbe, dunque, ammissibile tutte le volte in cui, all'interno della procura, sussista un esplicito riferimento al provvedimento impugnato ed alla data della sua comunicazione: tanto basterebbe a dimostrare che la posteriorità della procura rispetto alla comunicazione del decreto (ex multis Cass. civ.,, sez. un., 25 marzo 2019, n. 8312; Cass. civ., 10 luglio 2019, n. 18535; Cass. civ., 22 giugno 2020, n. 12171; Cass. civ., 2 marzo 2021, n. 5674).

Al fine di salvaguardare la ratio della disposizione ed il suo scopo primario, un diverso orientamento ha privilegiato un'interpretazione improntata al rispetto del canone di effettività. Così è stato ritenuto sufficiente che la data risultante dalla procura sia certificata dal difensore senza l'uso di formule sacramentali, potendosi desumere anche dalla autentica della firma che segue l'indicazione della data. Il difensore, apponendo la firma in calce alla procura, avrebbe dunque assolto integralmente la funzione pubblicistica allo stesso demandata (ex multis Cass. civ., sez. un., 28 novembre 2005, n. 25032; Cass. civ., sez. un., 11 luglio 2011, n. 15144; Cass. civ., sez. un., 24 settembre 2018, n. 22438).

Gran parte delle ordinanze interlocutorie delle sezioni remittenti hanno invece preferito un terzo orientamento in forza del quale, conformemente ai principi costituzionali e comunitari ed al dato letterale della norma, l'elemento qualificante ed indefettibile dell'innovazione legislativa consiste nella data successiva alla comunicazione del provvedimento sfavorevole e nella sua specifica certificazione ad opera del difensore, al punto che l'assenza di una data posteriore certificata dal difensore determina l'inammissibilità del ricorso (prima Sezione nn. 5213/21 e 5214/21 e seconda Sezione nn. 28208/2020, 28209/2020, 29250/2020, 29251/2020; Cass. civ., sez. un., 30 marzo 2021, n. 8776).

Le Sezioni Unite hanno avallato quest'ultima tesi ed enfatizzato la novità introdotta del comma 13 dell'art. 35-bis d.lgs. 25/2008, rispetto alla disciplina processuale ordinaria ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 3 e art. 125, comma 3, c.p.c. Segnatamente, il rilascio della procura speciale deve essere successivo alla comunicazione del decreto sfavorevole; ciò al precipuo fine di evitare eventuali prassi di rilascio della procura in un momento anteriore a quello della comunicazione del decreto oggetto di impugnazione e di contenere il numero dei processi pendenti dinanzi la Suprema Corte. Si comprende, così, agevolmente perché per le Sezioni Unite è indispensabile che nella procura speciale in questione il difensore certifichi espressamente, anche solo con una sola sottoscrizione, sia la data della procura successiva alla comunicazione, sia l'autenticità della firma del ricorrente. In difetto, di uno dei due elementi il ricorso è inevitabilmente destinato ad una sicura pronuncia d'inammissibilità.

Osservazioni

Per approdare a tale risultato ermeneutico le Sezioni Unite muovono dalla conformità della tesi più rigorosa - di cui si è detto poc'anzi - ai principi comunitari (a); a quelli portati dalla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (b); ed, infine, a quelli costituzionali (c).

Quanto al piano comunitario (a): in difetto di una disciplina della fase delle impugnazioni della decisione del giudice di primo grado in materia di protezione internazionale, le Sezioni unite hanno innanzitutto verificato se il risultato raggiunto fosse più sfavorevole rispetto a ricorsi analoghi di diritto interno (si tratta del c.d. principio di equivalenza); in secondo luogo hanno vagliato se la rigorosa soluzione sostenuta non rendesse ai ricorrenti impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti riconosciuti dall'ordinamento giuridico dell'Unione (principio di effettività), rispetto alla disciplina processuale ordinaria. Ebbene per le Sezioni Unite, la circostanza che per la protezione internazionale operi un meccanismo di accesso alla Cassazione diverso da quello ordinariamente previsto dal c.p.c. per materie non regolate dal diritto UE, non determina ex se alcuna violazione del principio di equivalenza, poiché non vi è alcuna materia regolata dal diritto interno omogenea a quella della protezione internazionale e dell'asilo. Né il principio di effettività può ritenersi violato dall'introduzione di modalità speciali di accesso alla Corte di Cassazione, avuto riguardo alla specificità della disposizione che opera in ultima istanza, ed al fatto che l'art. 47 della Carta (dei diritti fondamenti dell'Unione Europea) impone soltanto che il richiedente protezione internazionale, a cui è stata rigettata la domanda, possa tutelare i propri diritti in maniera effettiva dinanzi a un organo giurisdizionale.

Quanto al piano convenzionale (b), la compatibilità del comma 13 dell'art. 35-bis, d.lgs. 25/2008, va valutata in riferimento alla garanzia di cui all'art.6 CEDU, nella parte in cui riconosce il diritto all'accesso alla giustizia. La Corte EDU, (31 marzo 2021 nel caso Oorzhak c. Russia; 4830/2018), ha ribadito la lesione del diritto di accesso ad un tribunale quando le formalità da rispettare per la proposizione della domanda sono inutili rispetto alla certezza del diritto ed alla buona amministrazione della giustizia, impedendo alla parte l'accesso al giudizio. La Suprema Corte, misurandosi con le garanzie espresse dall'art. 6 CEDU, ha in più occasioni ritenuto legittime le condizioni del ricorso ove perseguano gli scopi summenzionati e garantiscano, rispetto ad essi, un rapporto di proporzionalità con i mezzi impiegati (Cass. civ., sez. un., 11 luglio 2011, n. 15144; Cass. civ., sez. un., 24 settembre 2018, n. 22438; Cass. civ., sez. un., 25 marzo 2019, n. 8312). In sintesi: è legittima una peculiare formalità se prescritta dalla legge e se prevista ex ante in maniera chiara ed univoca (Cass. civ., sez. un., 7 novembre 2017, n. 26338; Cass. civ., 28 giugno 2018, n. 17036; Cass. civ., 30 settembre 2019, n. 24224).

Alla luce di tale percorso argomentativo le Sezioni unite hanno ritenuto che il comma 13 dell'art. 35-bis soddisfi i canoni di proporzionalità e persegua interessi centrali che lo Stato può valorizzare per comprimere l'accesso al giudice di ultima istanza, escludendo così che la soluzione sostenuta dalla decisione in commento risulti improntata a rigidi formalismi.

In ordine alla tenuta della disposizione di cui al comma 13 dell'art. 35-bis d.lgs. 5/2008 rispetto ai canoni di non discriminazione, ragionevolezza ed effettività, le Sezioni Unite ritengono che la disciplina sia giustificata dagli interessi in gioco e dalla peculiare posizione dello straniero richiedente protezione rispetto a quella del cittadino, escludendo l'irragionevolezza della disposizione che ne preveda un trattamento diversificato. Ancora, a giustificazione della rigorosa soluzione proposta, le Sezioni unite ritengono che sia comunque coerente con il principio di non discriminazione previsto dall'art. 14 CEDU, per cui la disparità di trattamento tra persone poste in situazioni analoghe è discriminatoria ove non sia giustificata oggettivamente, se non persegua uno scopo legittimo o se non vi sia un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito.

Quanto al principio di eguaglianza ex art. 3 Cost. (c) le SS.UU. ne hanno escluso la violazione poichè non è, infatti, la condizione di straniero del richiedente protezione internazionale ad integrare l'elemento giustificativo delle forme di accesso alla cassazione disciplinate in maniera restrittiva dal citato comma 13, quanto la specificità del ricorso per cassazione rispetto alle materie di cui al d.lgs. 25/2008. La discriminazione può sussistere in presenza di situazioni uguali trattate in modo diverso e non già quando, come nella specie, ci si trovi al cospetto di situazioni diseguali che trovano, all'interno di un quadro normativo adottato dal legislatore una diversa e peculiare regolamentazione.

Dall'amplissima motivazione delle Sezioni Unite emerge chiaramente che è proprio la diversità di posizione dei richiedenti protezione internazionale, derivante dalla precarietà della condizione (del ricorrente in sede di legittimità per i giudizi definiti in modo sfavorevole in primo grado), a consentire differenze di fatto dei requisiti processuali che condizionano il diritto di impugnazione tra soggetti uguali; differenze queste che il legislatore può legittimamente valorizzare avvalendosi della sua discrezionalità (Corte cost., n. 104/1969; Corte cost., nn. 177 e 244 del 1974; Corte cost., n. 490/1988; Corte cost., n. 62/ 1994; Corte cost., n. 245/2011; Corte cost., n. 186/2020).

Esclude, inoltre, la Cassazione, la sussistenza di una sproporzionata compressione del ridotto accesso al ricorso per cassazione, species del diritto di difesa ex art. 24 Cost che non è in linea generale incomprimibile e che va bilanciato prendendo in considerazione la sostenibilità socio-economica delle attività connesse alla presentazione del ricorso ove correlate al patrocinio a spese dello Stato, nonché l'esigenza di un efficace sistema di tutela giurisdizionale, improntato sulla ragionevole durata dei processi. Quasi a sugello della bontà della soluzione accolta, la Corte puntualizza come la ragionevole durata sia in effetti il canone che il legislatore ha preso in considerazione nell'adottare la disciplina in esame, eliminando il secondo grado di giudizio di merito. Resta, infine, da dire che per le Sezioni Unite la disciplina in esame risulta intrinsecamente ragionevole, perché considera una pluralità di interessi di rilevanza generale, che rendono giustificabile la compressione del diritto dell'accesso alla organo giudiziario di ultima istanza. Dunque, la norma non produce alcun pregiudizio significativo al richiedente protezione, offrendo uno strumento che in modo chiaro evita la pratica del rilascio di procure in bianco e che, nell'attribuire al difensore un ulteriore potere certificativo relativo alla data, non rappresenta nemmeno uno strumento particolarmente gravoso per il ricorrente.

Quanto al regime del c.d. doppio contributo, le Sezioni Unite hanno riscontrato l'esistenza di orientamenti diversi circa il soggetto al quale va imposto il pagamento previsto dall'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 115/2002. A fronte di un indirizzo che ha individuato nel ricorrente - conferente la procura speciale priva della data - il soggetto eventualmente tenuto al pagamento del doppio contributo (Cass. civ., 10 novembre 2017, n. 26661; Cass. civ., 28 giugno 2018, n. 17037; Cass. civ., 17 ottobre 2018, n. 26060; Cass.civ., 1 ottobre 2020, n. 20932; Cass. civ., sez. un., 20 febbraio 2020, n. 4315), un diverso filone riconosce, invece, la responsabilità per detto pagamento del difensore (Cass. civ., 21 settembre 2015, n. 18577; Cass. civ., 9 dicembre 2019, n. 32008; Cass. civ., 21 dicembre 2020, n. 29232; Cass. civ., 19 febbraio 2021, n. 4621; Cass. civ., 14 aprile 2021, n. 9802). Quanto alla condanna del difensore in proprio al pagamento delle spese di lite, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che, nel caso di azione o di impugnazione promossa dal difensore senza effettivo conferimento della procura (da parte del soggetto nel cui nome egli dichiari di agire nel giudizio, come per l'inesistenza della procura ad litem o falsa o rilasciata da soggetto diverso da quello dichiaratamente rappresentato), si tratta di un'attività processuale di cui il legale assume esclusivamente la responsabilità; pertanto è ammissibile la sua condanna alle spese del giudizio.

Diversamente, nel caso di invalidità o sopravvenuta inefficacia della procura ad litem, è inammissibile la condanna del difensore alle spese del giudizio: l'attività processuale risulta, infatti, provvisoriamente efficace e la procura, benché nulla o invalida, determina l'instaurazione di un rapporto processuale con la parte rappresentata, che diviene destinataria delle situazioni derivanti dal processo (Cass. civ., sez. un., 10 maggio 2006, n. 10706). Sulla scorta di tale ragionamento, la mancata certificazione della data nella procura speciale conferita per la proposizione del ricorso per cassazione in materia di protezione internazionale disciplinata dall'art. 35-bis, comma 13, d.lgs. 25/2008 non incide sul negozio di conferimento del mandato a resistere nel giudizio di legittimità, che risulta completo in ogni sua parte, indicando gli estremi dell'atto impugnato e la data di conferimento, semmai determinando l'inammissibilità del ricorso per assenza di un elemento che il legislatore ha ritenuto rilevante a fini della ammissibilità del ricorso per cassazione - la certificazione della data da parte del difensore. Pertanto, il versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato va posto a carico della parte ricorrente e non del difensore, risultando la procura affetta da nullità e non inesistente.

Riferimenti
  • M. Acone, La procura speciale tra tiepidezza del legislatore e i contrasti della corte, in Corriere giur. 1997, 1165 e spec. 1169 ss.;
  • G. Balena, Sulle conseguenze del difetto di procura "ad litem", Foro it. 1987, I, 562;
  • S. Caporusso, I vizi di capacità e di rappresentanza nel regime delle sanatoria processuali, Napoli, 2019, passim;
  • A. Carratta, Le più recenti riforme del processo civile, Torino, 2017, 119 ss.;
  • S. Chiarloni, Contrasti tra diritto alla difesa e obbligo di difesa: un paradosso del formalismo concettualista, in Riv. dir. proc., 1982, 662 ss.;
  • F. Cipriani, Sulla condanna del difensore alle spese, in Foro it., 2006, I, 3099 ss.;
  • Id., La procura su foglio autonomo tra la certificazione e gli spilli del difensore, in Foro it., 1995, I, 539,
  • F. Cordopatri, Ancora in tema di condanna del difensore alla rifusione delle spese di lite, in Giust. Civ., 2007, 1193
  • G. Deluca, La nomina del difensore nel processo civile,in Riv. dir. proc., 2006, 593 ss.;
  • A. Proto Pisani – G. Verde, L'infinita historia della procura speciale, in Foro it., 1995, I, 3443 ss.;
  • A.Ronco, Tre canoni ed un mistero per la fase introduttiva del giudizio di cassazione, in Giur. it., 1995, I, 1, 36.

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