Possibili due difensori per l'ente accusato

Ciro Santoriello
15 Giugno 2021

L'effetto estensivo a favore dell'ente con riferimento al ricorso per cassazione proposto dall'imputato del reato da cui discende la responsabilità amministrativa dell'ente non si produce se il ricorso dell'imputato viene rigettato o dichiarato inammissibile. In applicazione dell'art. 35 d.lgs. n. 231/2001, inoltre, devono estendersi all'ente le disposizioni processuali relative all'imputato, per cui anche nel processo nei confronti degli enti collettivi opera l'art. 96 c.p.p. che attribuisce all'imputato il diritto di nominare non più di due difensori di fiducia...
Massima

L'effetto estensivo a favore dell'ente con riferimento al ricorso per cassazione proposto dall'imputato del reato da cui discende la responsabilità amministrativa dell'ente non si produce se il ricorso dell'imputato viene rigettato o dichiarato inammissibile. Inoltre, in applicazione dell'art. 35 d.lgs. n. 231/2001, devono estendersi all'ente le disposizioni processuali relative all'imputato, per cui anche nel processo nei confronti degli enti collettivi opera l'art. 96 c.p.p. che attribuisce all'imputato il diritto di nominare non più di due difensori di fiducia.

Il caso

Nell'ambito di un complesso procedimento venivano condannate – dopo una decisione di appello di assoluzione annullata con rinvio dalla Cassazione - due società in relazione ai reati di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche ex artt. 110, 81, 640-bisc.p. commessi da suoi dirigenti e richiamati dall'art. 24 d.lgs.n. 231/2001.

In sede di Cassazione, le difese sollevavano in primo luogo due questioni di carattere processuale. Da un lato, considerato che alcuni degli imputati, pur essendo il reato stato dichiarato prescritto, avevano presentato ricorso con riguardo alla sussistenza degli elementi fondanti il riconoscimento della sua responsabilità civile derivante dal medesimo reato presupposto della responsabilità dell'Ente, si chiedeva che in virtù della previsione di cui all'art. 72 d.lgs. n. 231/2001, stante la loro intima connessione, il giudice del rinvio fosse tenuto ad occuparsi del profilo oggettivo della sussistenza del reato sia ai fini della responsabilità civile dell'imputata e sia ai fini della responsabilità amministrativa dell'ente, con l'ulteriore conseguenza che sebbene avesse rinunciato ai motivi di appello sulla responsabilità, detto ente fosse comunque legittimato a svolgere ogni utile difesa sul punto investito dal motivo non personale dedotto dall'imputata, in dipendenza dell'effetto estensivo dell'impugnazione limitatamente al motivo non personale.

Dall'altro, veniva contestata l'omessa notifica ad uno dei due difensore di fiducia di uno degli enti coinvolti dell'avviso ex art. 548, comma 2, c.p.p. del deposito della sentenza della Corte di appello. Il deposito è intervenuto in data successiva al termine di novanta giorni indicato ex art. 544 c.p.p. nel dispositivo della sentenza, con l'effetto che si imponeva l'avviso di deposito ad entrambi i difensori; pertanto, in forza del principio di autonomia delle impugnazioni spettanti al difensore ed all'imputato, il gravame proposto da uno dei difensori non consuma il diritto di autonoma impugnazione spettante al codifensore. Si tratterebbe, secondo la difesa, di una questione che investe la correttezza del rapporto processuale per l'udienza fissata in sede di legittimità, sulla base dell'analogo principio affermato per la citazione in appello, secondo cui deve ritenersi nullo il decreto di citazione in appello se non preceduto dal menzionato avviso di deposito, non essendo decorsi i termini per impugnare, perché ciò comprometterebbe l'esercizio del diritto di impugnazione spettante all'imputato, con argomento quindi valido per il diritto di impugnazione spettante al codifensore: tale profilo era stato esaminato dalla Corte d'appello, secondo cui però l'art. 39 d.lgs. n. 231/2001 non attribuirebbe all'ente, diversamente dall'imputato, ma analogamente alla parte civile, la facoltà di nominare due difensori.

Si lamentava, inoltre, l'intervenuta prescrizione dell'illecito amministrativo, non potendo aver rilievo ai fini della interruzione del termine di prescrizione la prima richiesta di rinvio a giudizio essendo stata dichiarata nulla all'udienza del 8 luglio 2011 perché non preceduta dall'avviso ex art. 415-bis c.p.p.

Infine, si denuncia il contrasto con le disposizioni costituzionali della disciplina della fusione contenuta nell'art. 29 d.lgs n. 231/2001, nella misura in cui la stessa prevederebbe una ipotesi di responsabilità oggettiva della società risultante dall'operazione straordinaria, come dimostrato dalla circostanza che la Corte di appello aveva addebitato all'ente incorporante una mancanza di diligenza nell'effettuare le doverose indagini sulla società incorporata attraverso una due diligence che è stata invece affidata ad una società di revisione, e che non ha investito la verifica dell'esistenza del modello di organizzazione, il tutto diversamente da quanto previsto dall'art. 33 d.lgs. n. 231/2011, che prevede il subentro nella responsabilità amministrativa dell'ente cessionario solo a determinate condizioni come obbligato solidale e previa escussione del cedente e con limitazione alle sole sanzioni che risultino dai libri contabili obbligatori. Con riferimento a questo aspetto, peraltro, le difese lamentavano che le decisioni di condanna avevano confuso la c.d. colpa di organizzazione con una sorta di colpa da "incorporazione", relativa alle modalità con cui è stata operata la fusione, quindi in una fase successiva e slegata dal reato posto a base della responsabilità, stante la natura sostanzialmente penale della responsabilità amministrativa degli enti e l'assenza di nesso di causalità rispetto ad una ipotetica colpa successiva al fatto da cui discende.

La questione

Quanto alla disciplina delle impugnazioni nell'ambito del processo avverso gli enti collettivi, la stessa è contenuta negli artt. 71, 72 e 73, oltre che, giusto quanto dispone il più volte citato art. 34 c.p.p. – alle cui disposizioni deve farsi riferimento per quanto attiene all'individuazione del giudice competente, la definizione delle modalità di presentazione ed il contenuto dell'atto di impugnazione ecc. In caso all'ente sia stata comminata una sanzione pecuniaria ovvero la pena della pubblicazione della sentenza e della confisca, la società può proporre impugnazione nei casi e nei modi consentiti all'imputato del reato da cui discenda l'illecito amministrativo contestato

Tale disposizione – che si applica tanto in caso di procedimento cumulativo verso l'ente e verso il singolo imputato che nell'ipotesi di trattazione della sola responsabilità della società - viene valutata criticamente da quanti sostengono che in tal modo i poteri di impugnazione dell'ente potrebbero essere condizionati da scelte processuali di soggetti diversi (in senso critico, poiché in tal modo i poteri di impugnazione dell'ente potrebbero essere condizionati da scelte processuali di soggetti diversi GENNAI – TRAVERSI, La responsabilità degli enti, Milano 2000, 306, che evidenziano come laddove l'imputato scegliendo, ad esempio, il rito abbreviato potrebbe restringere considerevolmente le possibilità di impugnazione della società. Si veda anche TRAVERSI, Commento all'art. 72, in AA.VV., a cura di LEVIS – PERINI, La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, Bologna 2014, 1291. Non aderiscono a questa prospettazione in quanto l'art. 71 d.lgs. n. 231/2001 opera solo con riferimento a sentenze pronunciate nei confronti dell'ente in esito al giudizio ordinario mentre in caso di ricorso a riti speciali la disciplina per l'impugnazione della decisione è quella contenuta nel codice di procedura penale agli artt. 443 e 448 c.p.p., con la conseguenza che “l'eventuale diverso mezzo di impugnazione ammesso per l'imputato che sia stato giudicato con il rito ordinario non produce effetto sul differente regime connesso ai riti alternativi”, BASSI – D'ARCANGELO, Il sistema della responsabilità da reato dell'enti, Milano 2020, 740. Nello stesso senso, GALLUCCI, Le impugnazioni, in Aa.Vv., Responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, a cura di GARUTI, Padova, 2002 609; SPANGHER, Le impugnazioni, in Aa.Vv., Responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, a cura di GARUTI, Padova, 2002, 377; VARRASO, Il procedimento per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, Milano 2012, 416; BELLUTA, Le impugnazioni, in AA.VV., La responsabilità amministrativa degli enti, Milano 2002, 381). Laddove invece vi sia condanna a pena interdittiva, all'ente è sempre concesso di proporre appello anche se questo non è ammesso per l'imputato del reato dal quale dipende l'illecito amministrativo, venendo in tal caso meno il principio generale dello stretto collegamento tra imputato ed ente richiamato dal legislatore al fine di evitare difformi soluzioni giudiziarie: la ragione di tale particolare previsione va rinvenuta nell'intento di apprestare maggiori garanzie a favore della persona giuridica in presenza di provvedimenti giudiziari che irrogano sanzioni gravi e rilevanti (GALLUCCI, Le impugnazioni, cit., 607). Nel caso, infine, di applicazione di sole sanzioni pecuniarie non risulta riconosciuta all'ente la facoltà di proporre appello – analogamente a quanto previsto per la posizione dell'imputato -, ma la decisione, ai sensi dell'art. 568, comma 2, c.p.p., può essere comunque oggetto di ricorso per cassazione.

Ai sensi dell'art. 72, le impugnazioni formulate dall'imputato e dall'ente si estendono reciprocamente anche alla parte non proponente, fatta eccezione per quelle fondate su motivi esclusivamente personali – si pensi, ad esempio, all'ammontare della pena, al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche nei confronti dell'imputato o all'impugnazione dell'ente in cui ci si dolga dell'erronea imputazione del reato, ecc. Affinché operi l'effetto estensivo è comunque necessario che l'altra parte non abbia presentato impugnazione o che la stessa non sia stata dichiarata inammissibile; parimenti non si produrrà alcun effetto estensivo nel caso in cui sia stata proposta impugnazione e questa sia stata decisa nel merito con passaggio in giudicato della pronuncia.

La volontà del legislatore di evitare ogni possibile situazione di conflitto tra giudicati trova espressa codificazione nella previsione dell'art. 73, il quale, richiamando l'art. 630 c.p.p., prevede la possibilità che venga richiesta la revisione del processo allorché "fatti stabiliti a fondamento della sentenza e del decreto penale di condanna non possano conciliarsi con quelli stabiliti in altra sentenza penale di condanna" (nonostante la norma parli di “sentenza” si ritiene che l'istituto della revisione possa operare anche in caso di pronuncia del decreto penale di condanna: GALLUCCI, Le impugnazioni, cit., 621; BELLUTA, Le impugnazioni cit., 385. Nel senso che, in sede di processo verso gli enti, l'impugnazione straordinaria sembra essere finalizzata esclusivamente alla risoluzione dei contrasti prodotti dalla coesistenza di sentenze pronunciate nei confronti di soggetti diversi e non solo del medesimo soggetto, diversamente nel codice di procedura penale, GAITO, La procedura per accertare la responsabilità degli enti, in AA.VV., Manuale di procedura penale, Bologna 2008, 674).

Quanto alla difesa dell'ente, si ricorda che la costituzione della società deve avvenire secondo le modalità indicate nell'art. 39, il quale prevede che la persona giuridica interviene in giudizio con il proprio rappresentante legale quale risulta dalla legge o dallo statuto societario: in caso di mancata costituzione, ne viene invece dichiarata la contumacia conformemente ai principi generali del processo penale. Va precisato che la disciplina in discorso – ed in particolare la normativa in tema di dichiarazione o elezione di domicilio - opera solo laddove la persona giuridica intenda costituirsi nel procedimento; allorquando invece l'ente non proceda alla costituzione saranno applicabili – secondo il dettato degli artt. 34 e 35 d.lgs. n. 231/2001 – le ordinarie norme processuali del codice di rito, e l'elezione o dichiarazione di domicilio andrà effettuata nelle forme di cui all'art. 162 c.p.p..

Particolarmente discusse sono le conseguenze che si ritiene debbano derivare nel caso di mancata costituzione dell'ente, con particolare riferimento alle facoltà difensive che la persona giuridica può esercitare in caso di omessa osservanza delle formalità di cui all'art. 39 citato. In proposito, la Cassazione (Cass. pen., Sez. Un., 28 maggio 2015, n. 33041) ha affermato che l'ente può comunque di nominare comunque un difensore di fiducia anche in assenza di una sua formale costituzione nel procedimento - da intendersi tale espressione come facente riferimento non solo alla fase del giudizio ma anche alla fase delle indagini preliminari: da un lato, la stessa dichiarazione di costituzione dell'ente deve essere sottoscritta dal difensore ed è quindi un atto del difensore fiduciario e ciò inevitabilmente implica, che anche prima di tale costituzione, ben possa essere stata effettuata dal rappresentante legale dell'ente la nomina del difensore di fiducia, dall'altro, in relazione a particolari atti investigativi - si pensi ai cosiddetti atti a sorpresa -, occorra riconoscere prontamente alla persona giuridica la possibilità di esercitare le proprie facoltà difensive, secondo le modalità che la stessa ritenga più opportune, essendo lesivo dei diritti inviolabili di difesa propri dell'ente collettivo sottoposto a processo ritenere che al difensore di fiducia comunque nominato, sia pur senza previa costituzione ex art. 39 citato, non possa comunque far valere le ragioni della persona giuridica.

Questa conclusione incontra due limiti. A prescindere dal fatto che il difensore di fiducia dell'ente non costituitosi non può esercitare i cosiddetti diritti personalissimi - quale esempio la scelta di un rito alternativo o formulare istanze istruttorie al pubblico ministero -, vi è un'ipotesi in cui tale particolare nomina fiduciaria rimane sostanzialmente senza effetto. Secondo la Cassazione infatti nessuna facoltà difensionale può esercitare il difensore di fiducia dell'ente non costituitosi quando all'ente medesimo sia stata notificata l'informazione di garanzia e ciò in quanto tale atto dell'Autorità Giudiziaria indica alla persona giuridica quali siano gli oneri che deve assolvere per poter partecipare al procedimento. In secondo luogo, quando la nomina del difensore di fiducia proviene dal rappresentante legale della società, il quale sia a sua volta indagato o imputato per il medesimo reato presupposto da cui discende l'eventuale responsabilità dell'ente collettivo, allora l'inefficacia della nomina del difensore di fiducia non dipende dal fatto che l'ente, non essendosi costituito, non ha fatto ancora comparsa nel proscenio processuale, quanto dalla presunzione di incompatibilità che in questo caso sussiste fra l'ente collettivo ed il suo rappresentante legale, il quale essendo indagato o imputato per un illecito da cui deriva la responsabilità della persona giuridica presso cui egli stesso operava, si ritiene versare - con presunzione assoluta ed insuscettibile di prova in senso contrario - in una situazione di conflitto di interessi, che lo rende inidoneo ad esercitare qualsiasi facoltà difensiva per conto dell'ente. Ciò comporta quindi che, laddove il rappresentante legale indagato o imputato del reato presupposto abbia provveduto alla nomina del difensore di fiducia dell'ente, tale nomina è da ritenersi priva di qualsiasi efficacia ed eventuali istanze vanno qualificate come inammissibili.

Le soluzioni giuridiche

Per le ragioni che si diranno, nella decisione in commento sono esaminati solo i profili processuali dei gravami presentati.

In primo luogo la Cassazione affronta il tema della rilevanza dell'effetto estensivo dell'impugnazione, sostenendo che occorre differenziare le conseguenze favorevoli per l'ente o per l'imputato che derivano dall'accoglimento dei motivi di impugnazione non esclusivamente personali proposti dall'imputato o dall'ente in applicazione dell'art. 72 d.lgs. n. 231/2001, con il potere di autonoma impugnazione della decisione di rigetto che non accogliendo i motivi di impugnazione non solo non produce alcun effetto estensivo ma neppure determina una riammissione del potere di impugnare della parte rimasta inerte o la cui impugnazione sia stata dichiarata inammissibile per rinuncia.

Secondo giurisprudenza consolidata, infatti, pur se formatasi in relazione all'art. 587 c.p.p., di cui tuttavia l'art. 72 d.lgs. n. 231/2001 riproduce lo stesso schema in tema di effetto estensivo, colui che partecipi ad una fase di impugnazione nel giudizio solo in ragione dell'estensione in suo favore dell'impugnazione di altro coimputato può svolgere ogni difesa sul punto, nella fase di impugnazione in cui si deve decidere la fondatezza del motivo non personale, ma non è legittimato a proporre autonomamente impugnazione avverso la decisione che abbia respinto il motivo altrui, pur non esclusivamente personale (Cass. pen., sez. II, 10 gennaio 2006, n. 2349). In altri termini, l'estensione dell'impugnazione relativa a motivo non esclusivamente personale non costituisce una sorta di restituzione nel termine per riaprire autonomamente il giudizio sul punto della decisione cui si riferiva il motivo comune altrui.

Lo scopo dell'istituto ex artt. 587 c.p.p. e 72 d.lgs. n. 231/2001 è quello di evitare giudicati contrastanti e disparità tra coimputati che si trovino nell'identica situazione quando almeno uno dei coimputati abbia ottenuto il riconoscimento di ragioni non esclusivamente personali, ma non quello di rimettere in termini per l'impugnazione il coimputato che non abbia impugnato la decisione per svolgere in piena, discrezionale e incondizionata autonomia quella difesa che non ha azionato o alla quale abbia rinunciato.

Alla luce di ciò l'impugnazione di uno degli enti convolti è stata dichiarata inammissibile. Questo soggetto, infatti, avrebbe potuto solo giovarsi di un eventuale accoglimento del motivo non personale proposto dall'imputato del reato da cui dipende la responsabilità amministrativa dell'ente; una volta che l'appello proposto da detto soggetto giuridico è stato oggetto di rinuncia con effetto abdicativo definitivo, tale parte processuale non può che soggiacere agli effetti della decisione del giudice di rinvio non avendo autonomo potere di proporre ricorso per cassazione, non potendosi dolere del mancato accoglimento dei motivi dedotti dall'imputata del reato da cui discende la responsabilità amministrativa. Nel caso di specie, peraltro, l'ente in parola aveva rinunciato a tutti i motivi di appello, con esclusione di quelli relativi alla determinazione del trattamento sanzionatorio che sono stati accolti; conseguentemente, dovendosi equiparare ex art. 35 d.lgs. 231/2001 la sua posizione a quella dell'imputato rinunciante, alcun potere di impugnazione autonomo può residuare da tale scelta processuale, e solo l'effetto estensivo dell'accoglimento dei motivi comuni dedotti dall'imputato avrebbe potuto portare giovamento all'ente ex art. 72 d.lgs. n. 231/2001 ove fosse venuto meno l'accertamento della sussistenza del reato.

La dichiarazione di inammissibilità, per le suddette ragioni dell'impugnazione avanzata da uno degli enti coinvolti, comporta l'impossibilità di procedere ad esame dei motivi attinenti alla questione della prescrizione della responsabilità amministrativa dell'ente ex art. 22 d.lgs. n. 231/2001 quanto con riguardo alla questione di legittimità costituzionale della disciplina della fusione.

Quanto alla questione riguardante l'omessa notifica all'altro difensore di fiducia nominato dall'ente, dell'avviso ex art. 548, comma 2, c.p.p. del deposito della sentenza della Corte di appello, la stessa viene ritenuta fondata, essendo invece errata l'interpretazione dell'art. 39 d.lgs. n. 231/2001 seguita dalla Corte di appello secondo cui l'ente non avrebbe, diversamente dall'imputato, ma analogamente alla parte civile, la facoltà di nominare due difensori di fiducia.

L'art. 39, infatti, disciplina solo le forme di costituzione e rappresentanza dell'ente ai fini della partecipazione al procedimento penale, secondo uno schema che ricalca quello della costituzione della parte civile regolato dall'art. 78 c.p.p.: è previsto il deposito nella cancelleria dell'autorità giudiziaria procedente di una dichiarazione contenente, a pena di inammissibilità, la denominazione dell'ente e le generalità del suo legale rappresentante, il nome ed il cognome del difensore, l'indicazione della procura, la sottoscrizione del difensore e la dichiarazione o l'elezione di domicilio, ma non vi è alcun richiamo alle disposizioni processuali che limitano la difesa delle parti private nel processo penale alla nomina di un solo difensore ex art. 100 c.p.p.. Pertanto, in applicazione dell'art. 35 citato devono estendersi all'ente le disposizioni processuali relative all'imputato, ed in particolare, per quello che qui rileva, l'art. 96 c.p.p. che attribuisce all'imputato il diritto di nominare non più di due difensori di fiducia.

Osservazioni

Il profilo esaminato nella prima massima era già stato oggetto di una recente decisione (Cass. pen., sez. IV, 29 marzo 2021, n. 11688), in cui si era affermato da un lato che nell'ambito del procedimento nei confronti delle persone giuridiche, l'art. 587, comma 1, c.p.p., che consente al coimputato non impugnante (o che abbia proposto impugnazione inammissibile) di partecipare al procedimento di impugnazione promosso da altro imputato, giovandosi della impugnazione di quest'ultimo, non attribuisce all'imputato non appellante un autonomo diritto a proporre ricorso per Cassazione, nell'ipotesi di mancato accoglimento dei motivi presentati dall'imputato ritualmente appellante e dall'altro che in caso di condanna dell'imputato nel giudizio di appello che non abbia visto anche l'ente farsi appellante, questo non può proporre ricorso per Cassazione, giacché l'art. 72 d.lgs. n. 231/2001 permette di estendere all'ente non impugnante gli effetti favorevoli conseguiti dall'impugnazione presentata dall'imputato, ma non gli riconosce un autonomo diritto al ricorso per Cassazione,con eversione della catena devolutiva.

Queste conclusioni si fondano su una valorizzazione della (sia pur parziale) autonomia della posizione processuale dell'ente rispetto a quella della persona fisica responsabile del reato presupposto, come già sostenuto (Cass. pen., sez. VI, 22 giugno 2017, n. 41768) allorquando la Cassazione, interrogandosi intorno alla identificabilità di un interesse ad impugnare dell'imputato nei confronti del quale è stato dichiarato non doversi procedere per estinzione di un reato presupposto della responsabilità dell'ente e nei confronti del quale non siano state emesse statuizioni civili, affermò che "la regola della prevalenza del rilievo della causa estintiva del reato su quello concernente un vizio di motivazione o una nullità, salvo che non risulti evidente la prova dell'innocenza dell'imputato, resta ferma nei confronti degli imputati persone fisiche anche per le ipotesi in cui i reati dichiarati estinti per prescrizione costituiscano il presupposto della responsabilità amministrativa di un ente a norma del d.lgs. n. 231/2001, almeno quando a carico di detti imputati non vi siano statuizioni civili". Nell'argomentare questa conclusione, si sostenne che "la disciplina in materia di impugnazioni di cui al d.lgs. n. 231/2001 non mira a creare assoluta identità di posizioni tra imputato persona fisica ed ente, bensì, come rileva la Relazione ministeriale, ad «evitare, fin dove possibile, l'insorgere di un possibile contrasto di giudicati tra l'accertamento penale e quello relativo all'illecito amministrativo dipendente dal medesimo reato», nonché a garantire alla persona giuridica «la più ampia possibilità di impugnare pronunce applicative delle sanzioni interdittive»”.

Infine, va considerato come questa impostazione sia conforme al principio di diritto affermato in tema di concordato in appello, secondo cui il giudice di secondo grado, nell'accogliere la richiesta di pena concordata, non deve motivare sul mancato proscioglimento dell'imputato per una delle cause previste dall'art. 129 c.p.p., in quanto, in ragione dell'effetto devolutivo proprio dell'impugnazione, una volta che l'imputato abbia rinunciato ai motivi di appello, la cognizione del giudice è limitata ai motivi non oggetto di rinuncia (Cass. pen., sez. IV, 14 settembre 2018, n. 52803).

Relativamente invece al profilo inerente la possibilità per l'ente di nominare due difensori, in effetti non è ravvisabile alcuna incompatibilità strutturale o funzionale fra questa facoltà con la disciplina che regola la rappresentanza e le formalità di costituzione dell'ente chiamato a rispondere per illecito amministrativo da reato, essendo la limitazione del numero di difensori una scelta libera del legislatore che non è imposta dalle peculiarità della natura di ente giuridico della parte processuale, come dimostra la irrilevanza a tale fine se la parte civile sia un ente giuridico o una persona fisica. In mancanza di una limitazione espressa dello stesso tenore di quella prevista per la difesa delle parti private nel processo penale dall'art. 100 c.p.p., non può che applicarsi la regola generale prevista dall'art. 35 d.lgs. n. 231/2001. che estende all'ente tutte le disposizioni processuali relative all'imputato, fatta eccezione per quelle che risultino inapplicabili per oggettiva e strutturale incompatibilità, in ragione della natura giuridica della soggettività dell'ente rispetto alla qualità di persona fisica dell'imputato.

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