22 Giugno 2021

Merita indubbiamente forte interesse la decisione n. 127/2021 della Consulta, depositata il 21 giugno. L'attenzione che suscita la pronuncia non riguarda, come accade normalmente, la questione trattata e/o la sua risoluzione, quanto piuttosto la peculiarità e straordinarietà procedurale che l'accompagna...

Merita indubbiamente forte interesse la decisione n. 127/2021 della Consulta, depositata il 21 giugno. L'attenzione che suscita la pronuncia non riguarda, come accade normalmente, la questione trattata e/o la sua risoluzione, quanto piuttosto la peculiarità e straordinarietà procedurale che l'accompagna, tanto che con essa si ordina la trasmissione degli atti del giudizio al Procuratore generale presso la Corte di cassazione per gli eventuali provvedimenti di competenza.

Si tratta di un'indicazione inconsueta nell'ambito delle decisioni costituzionali

Nel caso di specie il giudice delle leggi è stato chiamato a valutare la legittimità costituzionale degli artt. 438, comma 6, e 458, comma 2,c.p.p., in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., «nella parte in cui non prevedono che, nel caso in cui il Gip rigetti la richiesta di giudizio abbreviato condizionato, l'imputato possa tempestivamente, nella fase dedicata alle questioni preliminari, riproporre la richiesta di rito alternativo al Giudice del dibattimento, e che questo possa sindacare la decisione del Gip ed ammettere il rito chiesto dall'imputato». La mancata previsione si risolverebbe - a detta del giudice remittente - in un vulnus al diritto di difesa, di cui la richiesta di giudizio abbreviato condizionato sarebbe una delle possibilità di esercizio, e nella violazione dei «criteri di economicità processuale propri del rito alternativo e peraltro coerenti col principio di cui all'art. 111 Cost.». Nel caso di specie il Collegio rimettente ha, infatti, rigettato la domanda a mente dell'art. 438, comma 6, c.p.p., come modificato dalla l. n. 33/2019 (Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo) e dall'art. 458, comma 2, c.p.p., in quanto implicitamente richiamato, che non contemplerebbe più la possibilità di riproposizione dell'istanza di giudizio abbreviato condizionato al giudice del dibattimento (Corte Cost., n. 169/2003).

L'abnormità dell'attività e l'ordine di trasmissione degli atti al Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione. La questione è stata dichiara inammissibile dai giudici delle leggi in quanto l'imputato che si sia visto rigettare la richiesta di giudizio abbreviato condizionato - in sede di udienza preliminare, ovvero dopo la notifica del decreto di giudizio immediato - può riproporre tale richiesta al giudice del dibattimento prima della dichiarazione di apertura del dibattimento medesimo, in forza della sentenza n. 169/2003 che, al contrario di quanto ha -in un primo momento ritenuto il giudice remittente- per la Corte, continua a spiegare i propri effetti anche dopo le modifiche apportate agli artt. 438, comma 6, e 458, comma 2, c.p.p. rispettivamente, dalla l. n. 33/2019 e dalla l. n. 103/2017.

Ma al di là di tale aspetto, quello che più attrae della vicenda in questione è il fatto che, nelle more della decisione, con nota del 15 febbraio 2021, pervenuta il successivo 26 febbraio, il Presidente della sezione procedente del Tribunale di Lecce ha comunicato alla Corte- «affinché assuma le determinazioni del caso, anche in punto di rilevanza della sollevata questione» - di avere disposto la prosecuzione della trattazione del processo, fissando udienza il 24 marzo 2021, «[a]ttesa l'esigenza di anticipare la trattazione» del giudizio a quo, «anche in considerazione dello stato cautelare cui è attualmente sottoposto l'imputato», e «[c]onsiderato che la sollevata questione di legittimità costituzionale può ritenersi superata dalla già intervenuta pronuncia sulla medesima questione [...] con sentenza Corte Cost. n. 169/2003, sulla cui portata non ha inciso la novella relativa all'art. 438 c.p.p. recata dalla l. n. 33/2019, inerente il diverso fenomeno dell'inammissibilità della richiesta, non in rilievo nel caso di specie». Ebbene, se la questione non coinvolge tanto il tema cautelare, che parrebbe avulso dalla questione de qua, va censurata l'attività in cui il remittente anticipa, in maniera impropria, quanto sosterrà, poi, la Consulta, dando luogo ad un'attività del tutto abnorme e l'invito a tener conto di quanto disposto. Peraltro, lo stesso giudice in data 27 maggio 2021 ha inviato alla Consulta una seconda nota, il successivo 7 giugno, nella quale comunica di avere pronunciato il 28 aprile 2021, in esito a giudizio abbreviato, sentenza di condanna dell'imputato alla pena di tre anni e quattro mesi di reclusione, allegando la sentenza stessa. Ora, com'è intuibile, una tale condotta giudiziaria è del tutto abnorme ed avulsa da quella che è la metodologia che un giudice remittente deve seguire. Risulta, infatti, atipico il provvedimento con il quale è stata disposta la prosecuzione del giudizio a quo, nonostante la pendenza del giudizio incidentale di costituzionalità che, come ha evidenziato il giudice costituzionale «non elide la perdurante rilevanza delle questioni prospettate dal Collegio rimettente», posto che l'art. 18 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte Costituzionale assegna al giudizio incidentale di costituzionalità piena autonomia. Esso, infatti, non risente delle vicende di fatto successive all'ordinanza di rimessione. D'altro canto, la rilevanza delle questioni rispetto alla decisione del processo a quo deve essere vagliata ex ante, con riferimento al momento della prospettazione delle questioni stesse (Corte Cost., n. 84/2021), e permane anche nell'ipotesi patologica in cui il giudice procedente - revocando l'ordinanza di sospensione del processo - abbia successivamente ritenuto di poter decidere a prescindere dalla decisione della Corte. Il vizio che affligge la revoca dell'ordinanza di sospensione del processo è -indica la Consulta- lucidamente tratteggiato dall'art. 23, comma 2, l. n. 87/1953 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) in cui si dispone che «l'autorità giurisdizionale, qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale o non ritenga che la questione sollevata sia manifestamente infondata, emette ordinanza con la quale, riferiti i termini ed i motivi della istanza con cui fu sollevata la questione, dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso»: tertium non datur, non è consentita ciò la ripresa del processo sospeso, attesa la pregiudizialità della questione sollevata.

Una volta investita la Corte, infatti, il giudice riconosce - com'è noto - non solo che il processo possa essere definito solo dopo la risoluzione della questione di legittimità costituzionale, ma anche come essa non sia manifestamente infondata. È questo un passaggio dirimente.

Ora nel caso di specie è accaduto che la questione è stata dichiarata inammissibile, ma considerato che il giudice territoriale ha, addirittura, statuito la condanna v'è da chiedersi quali conseguenze avrebbe determinato una differente statuizione costituzionale, qui non prevedibile.

Mal si comprende come possa aver il giudice remittente ritenuto di superarla riaprendo il processo e proseguendo in assenza della delibazione da parte del giudice costituzionale. Nessuna plausibile ragione potrebbe consentire una siffatta attività, che per ciò solo appare abnorme, tanto che la Consulta ha disposto la trasmissione degli atti al Procuratore generale presso la Corte di cassazione affinché -riteniamo- assuma i conseguenti provvedimenti disciplinari.

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