Diniego di autotutela e autotutela parziale

Domenico Chindemi
23 Giugno 2021

Vengono affrontate le controverse questioni della impugnabilità del diniego di autotutela e dell' autotutela parziale, i relativi limiti, evidenziandosi il contrasto di giurisprudenza sul punto.
Impugnabilità dell'annullamento in sede di autotutela

La giurisprudenza e la dottrina si sono posti il problema della ammissibilità della impugnazione del diniego dinanzi al giudice tributario.

Il d.l. n. 564/1994, come convertito dalla l. n. 656/1994, art. 2-quater prevede il potere di annullamento d'ufficio o di revoca degli atti illegittimi o infondati, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità degli atti. L'unico limite a tale potere è contenuto nell'art. 2, comma 2, del D.M. n. 37/1997, ove si esclude l'annullamento d'ufficio dell'atto per motivi sui quali sia già intervenuta una sentenza passata in giudicato favorevole all'Amministrazione finanziaria.

Gli atti sui quali gli uffici possono esercitare il potere di autotutela sono, in linea di massima, quelli espressamente elencati dall'articolo 19, c. 1, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, cioè gli atti accertativi, quelli esecutivi, i dinieghi o i mancati rimborsi contro i quali sarebbe stato ammissibile il ricorso del contribuente in Commissione Tributaria. Altresì, per quel che concerne le ipotesi in cui è possibile attivare l'autotutela, bisogna riferirsi a quanto espresso dall'articolo 2, c. 1 del D.M. 11 febbraio 1997, n. 37:

  • errore di persona;
  • evidente errore logico o di calcolo;
  • errore sul presupposto dell'imposta;
  • doppia imposizione;
  • mancata considerazione di pagamenti d'imposta, regolarmente eseguiti;
  • mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini di decadenza;
  • sussistenza di requisiti per usufruire di deduzioni o regimi agevolativi, precedentemente negati;
  • errore materiale del contribuente facilmente riconoscibile dall'amministrazione.

L'Ente impositore resta libero di rivalutare la validità del provvedimento impositivo quando vengono rilevati nuovi vizi o ragioni diverse o sopravvenute.

Un primo indirizzo della giurisprudenza di legittimità (Cass. SS.UU. 2870/2009; Cass. n. 7511/2016) riteneva che il diniego di autotutela non era impugnabile in quanto espressione di un potere discrezionale, non passibile di sindacato giurisdizionale ed anche perché avrebbe consentito di valutare la legittimità di una imposizione tributaria ormai divenuta definitiva. Successivamente, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto, invece, ammissibile l'impugnazione del diniego di autotutela (Cass. n. 18992/2019, Cass. n. 23805/2019), atteso che l'Amministrazione finanziaria non è obbligata a pronunciarsi, ma in caso di mancata risposta si verrebbe a creare un vuoto di tutela poiché il contribuente sarebbe privo di strumenti per far valere le proprie pretese e la lesione dei suoi interessi, in particolare ove si consideri che la situazione illegittima a monte è frutto di un errore della P.A.

Inoltre, a favore di detta tesi è stato sostenuto il principio di leale collaborazione che disciplina i rapporti tra Fisco e contribuente, come recita l'art. 10 dello Statuto dei contribuenti. Diversamente argomentando si consoliderebbe una situazione di contrasto con la legge, poiché la pretesa tributaria, sospetta di essere illegittima o infondata, risulterebbe irremovibile a seguito del decorso dei termini per impugnare, e passibile di correzione solo in autotutela per mano dell'Amministrazione libera, però, di rifugiarsi nell'inerzia.

Va precisato che, l'indirizzo che sostiene l'ammissibilità dell'impugnazione del diniego di autotutela ritiene anche che il contribuente può impugnare il diniego espresso o tacito di autotutela, quindi il silenzio-rifiuto.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 181/2017, ha affermato che “l'autotutela tributaria – che non si discosta, in questo essenziale aspetto, dall'autotutela nel diritto amministrativo generale, costituisce un potere esercitabile d'ufficio da parte delle Agenzie fiscali sulla base di valutazioni largamente discrezionali, e non uno strumento di protezione del contribuente”.

Si è quindi affermato che: “Non è consentito al contribuente proporre ripetute istanze di autotutela avverso accertamenti tributari divenuti definitivi, e decidere quale impugnare dinanzi al giudice, potendo essere proposto ricorso soltanto avverso il diniego espresso o tacito, a seguito della formazione del silenzio – rifiuto, relativo alla prima istanza proposta, e soltanto invocando ragioni di interesse generale all'annullamento dell'accertamento definitivo, che si assume siano state trascurate dall'Amministrazione finanziaria” (Cass. n. 20200/2020; in senso conforme, Cass. n. 6030/2020; Cass. n. 4989/2020, Cass. n. 7616/2018).

Quindi, il contribuente può presentare un'istanza di autotutela relativa all'atto definitivo, ma non coperto da giudicato, purchè essa sia sempre sorretta da un interesse pubblico di rilievo generale, tale da giustificare l'intervento su relazioni giuridiche ormai stabilizzate, ancorchè basate su provvedimenti illegittimi (Cass. n. 24033/2019) e, in caso di rifiuto, espresso o tacito dell'Amministrazione finanziaria, può proporre impugnazione. Sulla necessità che non sia intervenuto il giudicato si veda Cass. n. 7033/2018.

Dunque, secondo l'indirizzo attualmente condiviso dalla giurisprudenza di legittimità, il ricorso avverso il diniego di autotutela è certamente ammissibile, anche se il sindacato può esercitarsi, nelle forme ammesse sugli atti discrezionali, soltanto sulla legittimità del rifiuto e non sulla fondatezza della pretesa tributaria (Cass. n. 18992/2019, Cass. n. 23805/2019).

Il sindacato sull'atto di diniego dell'Amministrazione di procedere ad annullamento del provvedimento impositivo può riguardare solo profili di illegittimità del rifiuto, in relazione a ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l'esercizio di tale potere, si basa su valutazioni ampiamente discrezionali e non costituisce uno strumento di tutela dei diritti individuali del contribuente come affermato dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 181/2017, cit. ( cfr Cass. n. 21146/2018; Cass. n. 23249/2020).

Impugnazione del diniego di autotutela parziale: contrasto

Con riferimento all'impugnabilità del provvedimento di autotutela parziale va segnalato un contrasto nella giurisprudenza di legittimità.

Un indirizzo sostenuto da Cass. n. 7511/2016 e confermato da Cass. n. 29595/2018 ha ritenuto che l'annullamento parziale adottato dall'Amministrazione in via di autotutela o, comunque il provvedimento di portata riduttiva rispetto alla pretesa contenuta in atti divenuti definitivi, non rientra nella previsione di cui all'art. 19 del d.lgs. n. 546/1992 e non è quindi impugnabile, non comportando alcuna effettiva innovazione lesiva degli interessi del contribuente rispetto al quadro a lui noto e consolidato per la mancata tempestiva impugnazione del precedente accertamento, laddove, invece, deve ritenersi ammissibile un'autonoma impugnabilità del nuovo atto se di portata ampliativa rispetto all'originaria pretesa.

Tuttavia, la soluzione prospettata dalla Corte, con le pronunce n. 7511/2016 e n. 29595/2018, è in contrasto con altro orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui è sempre consentito impugnare il diniego, espresso o tacito, dell'amministrazione finanziaria avverso l'esercizio del potere di autotutela, laddove il sindacato del giudice tributario sul provvedimento può essere esercitato nei limiti dell'accertamento della ricorrenza di ragioni di rilevante interesse generale dell'Amministrazione finanziaria alla rimozione dell'atto, originarie o sopravvenute, dovendosi comunque escludere che possa essere accolta l'impugnazione di un atto di diniego proposta dal contribuente il quale contesti vizi dell'atto impositivo, che avrebbe potuto far valere per tutelare i propri interessi, in sede di impugnazione, prima che divenisse definitivo (Cass. n. 7616/2018, Cass. n. 21146/2018; Cass. n. 5332/2018; Cass. n. 4937/2019, Cass. n. 4008/2021 v. anche Cass. n. 4937/2019; Cass. n. 23249/2020).

Secondo detto orientamento di legittimità, il ricorso deve essere proposto sulla illegittimità del rifiuto e non sulla fondatezza della pretesa tributaria (Cass. n. 23805/2019, Cass. n. 18992/2019), sicchè il sindacato del giudice tributario è limitato alla valutazione del corretto esercizio del potere discrezionale di autotutela, suscettibile di essere censurato quando sia esercitato in maniera arbitraria, tenendo conto che in sede di riesame il solo interesse da perseguire (interesse generale) è il solo ripristino della legalità.

Ne consegue che non vi sarebbe ragione di escludere l'impugnabilità dell'atto di annullamento parziale emesso dalla P.A. in sede di autotutela, laddove il contribuente lamenti l'illegittimità del parziale rifiuto e l'esercizio arbitrario del potere discrezionale di autotutela da parte dell'Ufficio.

Altro orientamento ritiene, invece, ammissibile solo l'impugnazione della revoca parziale sostitutiva (Cass. n.18625/2020, n. 9215/2021;n.18625/2020; n. 27543/2018; Cass. 11699/16, richiamante Cass. 22019/2014; Cass.937/2009).

In altre pronunce si esige espressamente ai fini della impugnabilità del provvedimento di autotutela parziale, un contenuto ampliativo dell'originale attività tributaria e non meramente sostitutivo (v. Cass. n. 9225/2021; Cass. n.13807 del 2020; Cass. n. 7751 del 2019; n. 27286/2019; Cass. n. 29595/2018; Cass. 7511/16; Cass. n. 25673/16). Sebbene le pronunce non abbiano chiarito la portata della revoca sostitutiva rispetto a quella innovativa, deve ritenersi, che in entrambe le ipotesi si tratti di revoca che comporta una modifica anche solo parziale dell'atto originario che non si concreta solo in una riduzione quantitativa della pretesa tributaria.

Si è al riguardo precisato che nel “provvedimento ampliativo” dell'Amministrazione finanziaria, non si fa riferimento all'esercizio di autotutela sostitutiva, atteso che “il rimedio dell'autotutela sostitutiva differisce dal potere di integrazione dell'atto impositivo”, in quanto quest'ultimo presuppone l'esistenza di un precedente valido atto di imposizione, mentre il primo richiede quale condizione necessaria la eliminazione dell'atto sostituito (anche implicita laddove l'atto riformato riproduca lo stesso contenuto dell'atto sostituito Cass. n. 1711/2007; Cass. n. 31467/2019).

Si distingue dunque l'atto che sia stato integramente annullato da quello in cui sia intervenuta una rettificazione in riduzione della pretesa erariale. Si è evidenziato, la riguardo, che «in tema di accertamento delle imposte, la modificazione in diminuzione dell'originario avviso non esprime una nuova pretesa tributaria, limitandosi a ridurre quella originaria, per cui non costituisce atto nuovo, ma solo revoca parziale per quello precedente».

La revoca parziale dell'accertamento tributario non determina affatto, nel caso in cui vi sia un giudizio impugnatorio dell'atto, la cessazione della materia del contendere, né travolge del tutto l'atto impugnato; pertanto, non trattandosi di un nuovo accertamento tributario, il provvedimento di rettifica non è autonomamente impugnabile.

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