L’effettivo perseguimento della verità biologica tra ordine pubblico processuale e tutela dei diritti umani

30 Giugno 2021

La Suprema Corte, ha cassato senza rinvio l'ordinanza della Corte di Appello di Napoli negando esecutività alla sentenza straniera, avente ad oggetto un riconoscimento di paternità, e, all'obbligo di corresponsione di una somma mensile a titolo di alimenti.
Massima

In relazione all'esecuzione in Italia di una sentenza di accertamento della paternità, viola l'ordine pubblico processuale italiano la decisione del giudice straniero da cui emerga l'illogicità nel procedimento formativo di una prova di particolare valore dimostrativo, avendo il giudice straniero disposto d'ufficio e poi revocato immotivatamente, pur in presenza di dichiarata disponibilità da parte del presunto padre, l'esame del DNA.

Il caso

La Suprema Corte, prima sezione civile, ha cassato senza rinvio l'ordinanza della Corte di Appello di Napoli del 7 dicembre 2018 negando esecutività alla sentenza del 26 giugno 2007 del Tribunale di Tarnow (Polonia), avente ad oggetto un riconoscimento di paternità rispetto ad un ragazzo nato (nel 1988) e residente in Polonia ed all'obbligo di corresponsione di una somma mensile a titolo di alimenti.

La questione

La Corte di Appello di Napoli, ammettendo l'esecutività del provvedimento straniero, ha ritenuto che nella fattispecie l'ordine pubblico internazionale non poteva essere violato per la sola circostanza che il Tribunale polacco ha deciso la causa sulla paternità biologica senza effettuare il test del DNA. Difatti i principi che governano la materia si basano sul libero convincimento del giudice che non è obbligato ad assumere prove predefinite.

Contro questa ordinanza è stato proposto ricorso dal presunto padre, poiché, tra i motivi, il giudice italiano dell'exequatur non avrebbe considerato che la decisione del Tribunale polacco ha apprezzato esclusivamente le dichiarazioni della madre e soprattutto ha negato al ricorrente il diritto alla prova, ovvero gli esami del DNA, prima richiesti e poi disattesi.

Le soluzioni giuridiche

Non riconoscendo esecutività alla sentenza straniera, la Corte di Cassazione si è mossa nel quadro del rispetto delle garanzie fondamentali, necessarie perché una decisione possa circolare nello spazio europeo. In tali garanzie figura il rispetto dell'ordine pubblico processuale comprendente i diritti essenziali della difesa nell'intero processo.

In particolare, nel mancato espletamento dell'esame del DNA, non può ravvisarsi una violazione dell'ordine pubblico sostanziale, poiché pur trattandosi, secondo costante giurisprudenza della Suprema Corte, di esame di elevato valore probatorio, esso ricade nel principio del libero convincimento del giudice ex art. 116 c.p.c.

Il mancato espletamento del test rientra piuttosto nel quadro della violazione dell'ordine pubblico processuale, poiché, a seguito della richiesta di rogatoria formulata dal giudice polacco, la prova aveva fatto ingresso nel processo e pareva in corso di espletamento.

Dunque, secondo la Corte di Cassazione, alla luce del rispetto delle garanzie fondamentali e dell'ordine pubblico processuale, la revoca della prova, che, come noto, può essere disposta prima dell'inizio del suo espletamento, non appare giustificata né attraverso comunicazioni inviate al ricorrente né soprattutto attraverso la motivazione della decisione straniera.

Osservazioni

Come è noto, il meccanismo del riconoscimento reciproco delle decisioni garantisce nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile che una fattispecie decisa in un ordinamento circoli in un altro ordinamento. In particolare, la sentenza della Corte di Cassazione si inquadra nel tema bilanciamento tra esigenze di cooperazione internazionale e tutela dei diritti umani.

Come è noto, l'ordine pubblico è definibile come il complesso dei principi fondamentali di un ordinamento, i quali possono essere principi etici, sociali, economici e politici, caratterizzabili come tali in quanto connotano un determinato ordinamento dandone una fisionomia non modificabile. Essi si desumono, in base ad un'interpretazione sistematica, dall'ordinamento nel suo complesso.

L'ordine pubblico è costituito dunque esclusivamente da principi e non da norme determinate. Non ogni mera diversità delle norme imperative col diritto straniero incontrerà il limite dell'ordine pubblico in quanto verrebbe meno la ragion d'essere del diritto internazionale privato che è basato sull'accettazione nell'ordinamento interno del pluralismo giuridico e nell'introduzione di valori anche propri di un altro ordinamento.

Tuttavia la concezione che l'ordine pubblico abbia carattere nazionale, va temperata con la considerazione che negli ordinamenti interni vigono convenzioni internazionali che sono espressione di un consenso fra gli Stati rispetto a determinati valori, contenuti ad esempio nelle convenzioni che trattano dei diritti umani, ed i principi di cui sono espressione queste convenzioni, oltre ad essere condivisi da diversi Stati, finiscono praticamente con il rientrare nell'ordine pubblico di uno specifico Stato. Per cui nonostante l'ordine pubblico sia un istituto di carattere nazionale, esso è composto da principi di origine puramente interna che si ricostruiscono considerando l'insieme delle norme interne e da principi di origine internazionale che derivano da convenzioni internazionali e che possono quindi essere comuni ad ordinamenti di altri Stati. È, infatti, ormai da tempo riconosciuto in dottrina che l'ordine pubblico comprende, oltre ai principi interni del foro, anche quelli accolti nell'ordinamento internazionale, inclusi i principi sulla protezione dei diritti dell'uomo sanciti dalla CEDU. Inoltre, come ha ormai chiaramente affermato la Corte di giustizia, rilevano anche i principi generali propri dell'ordinamento UE.

Dunque, l'ordine pubblico può riguardare anche il rispetto dei principi fondamentali dell'equo processo, come espressi dalla Corte EDU. Così l'ordine pubblico processuale diviene uno strumento indiretto di verifica ulteriore degli obblighi imposti dalla CEDU e di effettività dei principi sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea con riferimento al giusto processo. Attraverso l'ordine pubblico è possibile controllare indirettamente il rispetto da parte degli Stati UE degli obblighi derivanti dall'art. 6 della CEDU ed evitare condanne all'Italia da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo.

Ne deriva, ed il caso in commento ne è un esempio evidente, che le esigenze di cooperazione giudiziaria si coordinano perfettamente con quelle di tutela dei diritti umani tutelate dalla CEDU. Sicché, se la Suprema Corte avesse recepito l'interpretazione accolta dalla Corte di Appello di Napoli, l'Italia avrebbe rischiato una condanna ex art. 6 CEDU.

Una responsabilità degli Stati ai sensi dell'art. 6 CEDU può difatti configurarsi nel caso di riconoscimento nel proprio territorio degli effetti di una decisione straniera in contrasto con i principi dell'equo processo. L'illecito imputabile allo Stato in questo caso è la violazione di un obbligo a contenuto negativo essendosi posto lo stesso Stato nella condizione di concorrere nella violazione di norme convenzionali: violazioni avvenute in Polonia ma i cui effetti si riverberano e si completano in Italia con il riconoscimento di quella sentenza.

È bene tuttavia ricordare che secondo la Corte di giustizia UE il ricorso all'ordine pubblico processuale deve essere ammesso in casi eccezionali in cui le garanzie previste dall'ordinamento dello Stato d'origine e dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo non siano bastate a proteggere il convenuto da una violazione manifesta del suo diritto a difendersi come definito dalla CEDU (Corte di giustizia, 28 marzo 2000, C-7/98, Dieter Krombach c. André Bamberski). In particolare, i diritti della difesa possono soggiacere a restrizioni, a condizione che queste rispondano effettivamente ad obiettivi di interesse generale e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato ed inaccettabile tale da minare la sostanza stessa dei diritti garantiti (Corte di giustizia, 15 giugno 2006, causa C‑28/05, Dokter e a.).

Anche la Corte EDU ha chiarito che le limitazioni all'equo processo sono legate al tipo di procedura e allo specifico sistema normativo (Corte EDU, 13 luglio 1995, 18139/91, Tolstoy Miloslavsky c. Regno Unito) poiché , sia che si tratti di ordine pubblico processuale sia che si tratti di ordine pubblico sostanziale, il meccanismo deve rimanere eccezionale, spettando al giudice nazionale garantire con la stessa efficacia la tutela dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico nazionale e di quelli conferiti dal diritto dell'Unione.

Una diversa interpretazione porterebbe, da un lato, a contestare la reciproca fiducia nella giustizia in seno all'Unione su cui è basato il sistema di riconoscimento e di esecuzione previsto dai regolamenti UE e, dall'altro, a compromettere l'efficacia e la rapidità del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni giudiziarie. D'altro canto, vietando la revisione nel merito della decisione emessa in un altro Stato membro, i regolamenti europei richiamati nella fattispecie in commento, impediscono che il giudice dello Stato richiesto neghi il riconoscimento o l'esecuzione di tale decisione per il solo motivo che esiste una divergenza tra la norma giuridica applicata dal giudice dello Stato di origine e quella che avrebbe applicato il giudice dello Stato richiesto se fosse stato investito della controversia. Il giudice dello Stato richiesto non può controllare l'esattezza delle valutazioni di diritto o di fatto operate dal giudice dello Stato d'origine (Corte di giustizia, 28 marzo 2000, C-7/98, Dieter Krombach c. André Bamberski, punto 36; 28 aprile 2009, C-420/07, Apostolides, punto 58; 23 ottobre 2014, C‑302/13, flyLAL‑Lithuanian Airlines, punto 48).

La sentenza della Suprema Corte applica mirabilmente i principi citati, enunciati a più riprese in occasione dell'interpretazione dei motivi di non riconoscimento contenuti nei vari regolamenti in tema di libera circolazione delle decisioni giudiziarie, occupandosi di bilanciare correttamente il diritto alla difesa del presunto padre con l'esigenza, rimarcata dal legislatore dell'Unione, di evitare le difficoltà in ordine al riconoscimento.

Riferimenti

F. Salerno, Il diritto processuale civile internazionale comunitario e le garanzie processuali fondamentali, in P. Picone (a cura di), Diritto internazionale privato e diritto comunitario, Padova, 2004, p. 99.

J.J. Fawcett, The Impact of Article 6 of the ECHR on Private International Law, in International and Comparative Law Quarterly, 2007, p. 1 ss.

S. Marino, Il limite dell'ordine pubblico processuale alla circolazione delle decisioni giurisdizionali nella recente prospettiva delle Corti europee, Il diritto dell'Unione europea, 2017,p. 105 ss.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.