Procedimento di sfratto e mediazione: una decisione del tribunale di Gorizia che non può essere condivisa

12 Luglio 2021

L'ordinanza 3 giugno 2021 del Tribunale di Gorizia interviene in un procedimento di sfratto disponendo che il giudizio prosegua previa conversione del rito e svolgimento della procedura di mediazione ex d.lgs. n. 28/2010. Proprio a proposito della mediazione, il provvedimento detta una serie di disposizioni che appaiono dirette a conferire al relativo procedimento modalità di svolgimento e contenuti lontani da quanto prevedono le norme in materia di mediazione: nel commento, vengono esaminate le questioni affrontate dall'ordinanza e valutate criticamente alcune delle soluzioni che il Tribunale ha ritenuto di adottare.
Massima

Nell'ipotesi di mediazione obbligatoria, il mediatore è tenuto a: 1) verbalizzare i motivi eventualmente addotti dalle parti assenti per giustificare la propria mancata comparizione personale; 2) informare le parti sulle conseguenze che, ai sensi dell'art. 8, comma 4-bis, d.lgs. n. 28/2010, possono derivare dal rifiuto ingiustificato di dare seguito al procedimento di mediazione dopo il primo incontro informativo; 3) verbalizzare il contenuto delle dichiarazioni rese dalle parti, anche su sollecitazione del mediatore stesso, in merito alle ragioni del predetto eventuale rifiuto, a meno che non vi sia il consenso della parte dichiarante e la ragione del rifiuto concerna proprio il merito della lite; 4) in caso di effettivo svolgimento della mediazione che non si concluda con il raggiungimento di un accordo amichevole, formulare una proposta di conciliazione, anche in assenza di una richiesta delle parti e, in caso contrario, illustrare le ragioni che lo hanno eventualmente indotto a ritenere inopportuno formulare una proposta conciliativa.

Il caso

L'ordinanza 3 giugno 2021 del Tribunale di Gorizia interviene in un procedimento di sfratto per morosità in relazione al quale, dopo la notifica dell'atto di intimazione ma prima dell'udienza fissata per la comparizione delle parti, si era avuto il rilascio spontaneo dell'immobile da parte del conduttore.

Il locatore - a seguito del rilascio dell'immobile - aveva chiesto, non potendo essere definito il procedimento con il provvedimento di convalida dello sfratto, che il giudizio proseguisse per la pronuncia di sentenza che dichiarasse risolto il contratto di locazione per inadempimento del conduttore e condannasse il conduttore al pagamento dei canoni insoluti e delle spese.

Il provvedimento che si commenta - nel disporre la prosecuzione del giudizio e la conversione del rito - assegna alle parti il termine per la promozione della procedura di mediazione ex d.lgs. 28/2010 e detta - come ora vedremo - una serie di disposizioni circa lo svolgimento di tale procedura.

L'ordinanza del Tribunale dedica grande attenzione alla procedura di mediazione dettando numerose disposizioni volte a regolare lo svolgimento di tale procedura. Ed è proprio a proposito di queste disposizioni che devono formularsi alcune osservazioni critiche.

Ciò che deve notarsi è che il Tribunale imposta la figura della mediazione obbligatoria quale strumento rigido, volto, se non proprio a costringere, a spingere fortemente le parti a raggiungere una soluzione conciliativa che eviti la prosecuzione del giudizio ed a tal fine preannunzia effetti pregiudizievoli e punitivi per la parte che non sia collaborativa ed aperta nei confronti della possibilità del raggiungimento di una soluzione conciliativa.

Il provvedimento - appunto - appare incentrato sull'espressa ed insistita previsione del fatto che del comportamento che terranno nel corso del procedimento di mediazione le parti dovranno rendere conto nel giudizio il cui svolgimento avrà corso ove la mediazione non si concluda con la conciliazione: in questo senso l'ordinanza che si annota attribuisce alla mediazione i caratteri propri di uno strumento rigido da utilizzarsi attraverso l'imposizione al mediatore ed alle parti di compiti ed obblighi di cui le parti dovranno poi rendere conto nel giudizio. Compiti ed obblighi che però - se analizzati correttamente - non sembrano corrispondere alle finalità che il d.lgs. n. 28/2010 assegna alla mediazione.

Esaminiamo il testo del provvedimento.

L'ordinanza interviene - come detto - in un procedimento di sfratto per morosità del quale deve disporsi la prosecuzione con conversione del rito. Lo sottolinea il provvedimento che nota che “le parti hanno dato atto della riconsegna dell'immobile locato al locatore” e che “il giudizio deve proseguire per la fase di merito nelle forme del rito speciale predisposto per la materia delle locazioni”.

Ciò detto, l'ordinanza osserva che la controversia “rientra in ragione dell'oggetto (locazione) tra quelle per le quali è previsto a pena di improcedibilità l'esperimento del procedimento di mediazione o degli analoghi procedimenti di cui all'art. 5 … (procedimento non rimesso alla disponibilità delle parti ma imposto come obbligatorio dal legislatore)”.

Il provvedimento in commento afferma poi che “la formulazione di una proposta di conciliazione da parte del mediatore - tutte le volte in cui le parti non abbiano raggiunto un accordo amichevole ed anche in assenza di una richiesta congiunta delle stesse - costituisce un passaggio fondamentale della procedura di mediazione”, aspetto che dovrebbe ritenersi - viene sottolineato - «vieppiù valorizzato dalle disposizioni del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, il quale - modificando l'art. 2, l. 24 marzo 2001, n. 89, in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo - ha introdotto il comma 2 quinquies, a norma del quale “non è riconosciuto alcun indennizzo: […] c) nel caso di cui all'art. 13, comma 1, primo periodo, d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28”, con ciò confermando la tendenza del legislatore ad introdurre nell'ordinamento meccanismi dissuasivi di comportamenti processuali ostinatamente protesi alla coltivazione della soluzione giudiziale della controversia, la cui individuazione - però - presuppone necessariamente la previa formulazione (o, comunque, la libera formulabilità) di una proposta conciliativa da parte del mediatore ed il suo raffronto ex post con il provvedimento giudiziale di definizione della lite».

Il provvedimento in esame afferma, poi, come non soltanto “la mancata partecipazione personale delle parti senza giustificato motivo agli incontri di mediazione” ma anche “il rifiuto di dare seguito al procedimento di mediazione dopo il primo incontro informativo, se non supportato da un giustificato motivo” costituiscano il “presupposto per l'irrogazione - anche nel corso del giudizio - della sanzione pecuniaria prevista dall'art. 8, comma 4-bis, d.lgs. n. 28/2010, oltre che fattore da cui desumere argomenti di prova, ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.c.”.

A questo punto il Tribunale segnala come - secondo la sua opinione - “rientrino tra i compiti del mediatore anche quelli di: 1) informare le parti sulle conseguenze che, ai sensi dell'art. 8, comma 4-bis, d.lgs. n. 28/2010, possono derivare dal rifiuto ingiustificato di dare seguito al procedimento di mediazione dopo il primo incontro informativo; 2) stimolare le parti ad esplicitare le ragioni del predetto eventuale rifiuto; 3) verbalizzare il contenuto delle dichiarazioni rese in tal senso dalle parti, ad eccezione del caso in cui non vi sia il consenso della parte dichiarante e del caso in cui la ragione del rifiuto riguardi proprio il merito della lite”.

Alle considerazioni svolte, il Tribunale aggiunge l'ulteriore rilievo circa “l'opportunità che, in caso di effettivo svolgimento della mediazione che non si concluda con il raggiungimento di un accordo amichevole, il mediatore provveda comunque alla formulazione di una proposta di conciliazione, anche in assenza di una concorde richiesta delle parti” e che “in caso negativo, indichi le ragioni per le quali non ha ritenuto opportuno formulare alcuna proposta”.

Questa la motivazione del provvedimento. Sulla scorta degli elementi così individuati il Tribunale detta la parte dispositiva del suo provvedimento.

Viene così disposto il mutamento del rito ai sensi dell'art. 667 c.p.c. e fissata l'udienza ex art. 420 c.p.c. (con assegnazione all'intimante ed all'intimato dei termini per l'integrazione dei rispettivi atti introduttivi) e viene assegnato alle parti il termine di 15 giorni per introdurre il procedimento di mediazione.

A quelle ora indicate il provvedimento in esame aggiunge peraltro ulteriori disposizioni. Viene invitato il mediatore a:

1) “verbalizzare i motivi eventualmente addotti dalle parti assenti per giustificare la propria mancata comparizione personale”;

2) “informare le parti sulle conseguenze che, ai sensi dell'art. 8, comma 4-bis, d.lgs. n. 28/2010, possono derivare dal rifiuto ingiustificato di dare seguito al procedimento di mediazione dopo il primo incontro informativo”;

3) “verbalizzare il contenuto delle dichiarazioni rese dalle parti, anche su sollecitazione del mediatore stesso, in merito alle ragioni del predetto eventuale rifiuto, salvo il caso in cui non vi sia il consenso della parte dichiarante ed il caso in cui la ragione del rifiuto concerna proprio il merito della lite” (eventualità - queste ultime due - di cui si precisa che “è opportuno, comunque, dare atto a verbale”);

4) “dare lettura della presente ordinanza alle parti presenti al primo incontro di mediazione”;

5) “in caso di effettivo svolgimento della mediazione che non si concluda con il raggiungimento di un accordo amichevole” a formulare “una proposta di conciliazione, anche in assenza di una concorde richiesta delle parti ed, in caso contrario, ad illustrare puntualmente le ragioni che lo hanno eventualmente indotto a ritenere non opportuno formulare una proposta conciliativa”.

Queste sono, dunque, la motivazione e la parte dispositiva dell'ordinanza.

La questione

La prima impressione che si ricava dalla lettura dell'ordinanza è quella di un provvedimento diretto ad imporre - peraltro, con toni quasi di intimidazione - allo svolgimento del procedimento di mediazione modalità tali da spingere le parti a definire la controversia in sede di mediazione.

Il provvedimento finisce, però, così per conferire alla mediazione un contenuto lontano da ciò che prevedono le norme in materia e comunque distante dai risultati cui la giurisprudenza è pervenuta nei tempi più recenti in sede di lettura e di applicazione delle norme in tema di mediazione.

Le soluzioni giuridiche

Il primo rilievo riguarda l'affermazione contenuta nell'ordinanza secondo cui non solo “la mancata partecipazione personale delle parti senza giustificato motivo agli incontri di mediazione” ma anche “il rifiuto di dare seguito al procedimento di mediazione dopo il primo incontro informativo, se non supportato da un giustificato motivo” costituirebbe il “presupposto per l'irrogazione - anche nel corso del giudizio - della sanzione pecuniaria prevista dall'art. 8, comma 4-bis, d.lgs. n. 28/2010, oltre che fattore da cui desumere argomenti di prova, ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.c.”.

L'affermazione - che è contenuta nella motivazione del provvedimento e poi ribadita nella parte dispositiva dello stesso laddove si invita il mediatore a rappresentare alle parti le “conseguenze che, ai sensi dell'art. 8, comma 4-bis, d.lgs. n. 28/2010, possono derivare dal rifiuto ingiustificato di dare seguito al procedimento di mediazione dopo il primo incontro informativo” - è frutto di una lettura delle norme in tema di mediazione che non pare condivisibile.

È bensì vero che l'art. 8, d.lgs. n. 28/2010 prevede che “dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione” devono derivare per la parte che non partecipi alla procedura di mediazione le conseguenze negative menzionate dall'ordinanza, ma l'ipotesi considerata dalla norma deve ritenersi che concerna solo l'ipotesi della mancata presenza della parte al primo incontro di mediazione: ciò che la norma considera è appunto il caso in cui una parte non si presenti al primo incontro senza addurre alcun motivo che giustifichi la sua assenza. Non sembra invece che nel caso in cui emerga - in esito al primo incontro cui la parte partecipi - che le parti (o anche una parte soltanto) non intendano proseguire la mediazione si concreti l'ipotesi della “mancata partecipazione” al procedimento di mediazione cui fa riferimento la norma.

Ciò deve ritenersi innanzitutto alla luce della considerazione che - come riconosciuto dalla giurisprudenza - il primo incontro non è un momento “esterno” alla procedura di mediazione ma è invece parte integrante di questa (Cons. Stato, sez. IV, 17 novembre 2015, n. 5230): la partecipazione al primo incontro è già partecipazione al procedimento di mediazione sicché una volta che questa si sia avuta non potrà affermarsi che la parte non abbia partecipato alla mediazione.

Conforta questa considerazione l'affermazione - da tempo formulata dalla giurisprudenza - che perché sia soddisfatta la condizione di procedibilità della domanda è sufficiente che abbia svolgimento il primo incontro non essendo invece necessario che la mediazione debba proseguire: si ritiene infatti che “la condizione di procedibilità può ritenersi realizzata al termine del primo incontro davanti al mediatore, qualora una o entrambe le parti, richieste dal mediatore dopo essere state adeguatamente informate sulla mediazione, comunichino la proprie indisponibilità di procedere oltre” (così Cass. civ., sez. III, 27 marzo 2019, n. 8473). Nello stesso senso, si è sottolineato che, secondo quanto dispone l'art. 5, comma 2-bis, d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, “quando l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo" (Cass. civ., sez. III, 8 giugno 2020, n. 10846).

D'altra parte, va ricordato che si è ritenuto che “la condotta della parte che non si reca al primo incontro di mediazione e si limita a rappresentare per iscritto all'organismo di mediazione la decisione di non partecipare allo stesso, eventualmente anche illustrandone le ragioni, va interpretata alla stregua di un'assenza ingiustificata della parte invitata, che la espone al rischio di subire le conseguenze sanzionatorie sia sul piano processuale che su quello pecuniario, previste dall'art. 8, comma 4-bis, d.lgs. 28/2010” (Trib. Vasto 6 dicembre 2016): pare evidente che non possa considerarsi equipollente ad una tale mancata partecipazione alla mediazione l'ipotesi della presenza all'incontro della parte ancorché questa - alla luce di quanto fosse emerso nell'incontro medesimo - dichiarasse di non ritenere di proseguire la mediazione.

L'ordinanza in esame - nel disporre la prosecuzione del procedimento con conversione del rito - fissa alle parti il termine per la promozione della procedura di mediazione.

Pare opportuno segnalare, però, che - ancorché il provvedimento genericamente faccia menzione di entrambe le parti - deve ritenersi che ad essere onerato della promozione della procedura di mediazione sia in realtà il locatore che ha promosso il procedimento di sfratto.

Ciò corrisponde a quanto è stato chiarito in più occasioni dalla giurisprudenza.

Si è al proposito notato come, nel giudizio conseguente all'opposizione alla convalida dello sfratto per morosità, la mancata attivazione della procedura di mediazione obbligatoria prevista dal d.lgs. 28/2010 implica l'improcedibilità delle domande avanzate con l'atto di intimazione (Trib. Busto Arsizio 20 marzo 2018).

Quanto detto trova conferma nella stessa impostazione della vicenda processuale che viene in campo. Dal fatto che il giudice, nel caso di procedimento di sfratto, quando dispone il mutamento del rito ex art. 667 c.p.c., fissi nuova udienza cui rinvia con invito alle parti alla mediazione obbligatoria e dal fatto che alla successiva udienza, nel caso di mancato avvio della procedura di mediazione, il giudice dichiari l'improcedibilità della domanda condannando alle spese l'intimante inerte (Trib. Roma - Sez. dist. Ostia - 26 marzo 2012) si ricava infatti inequivocabilmente che il soggetto gravato dell'onere di promozione della procedura di mediazione è il locatore intimante.

Il provvedimento in commento fa riferimento anche alla necessità della presenza personale delle parti alla mediazione.

Effettivamente va sottolineato che la presenza personale delle parti costituisce elemento di garanzia dell'efficacia dell'incontro. La necessità della presenza delle parti di persona è stata sottolineata recentemente anche dalla Corte di Cassazione che ha affermato che “nel procedimento di mediazione obbligatoria disciplinato dal d.lgs. n. 28/2010 e successive modifiche è necessaria la comparizione personale delle parti davanti al mediatore, assistite dal difensore” (Cass. civ., sez. III, 27 marzo 2019, n. 8473).

Principio che, peraltro, la giurisprudenza di merito aveva sempre affermato: “sia per la mediazione obbligatoria da svolgersi prima del giudizio sia per la mediazione demandata dal giudice è necessario, ai fini del rispetto della condizione di procedibilità della domanda, che le parti compaiano personalmente”, e ciò dal momento che “la mediazione può dar luogo a un negozio o ad una transazione” (così Trib. Vasto 9 marzo 2015).

Anche nel caso in cui la controparte ritenga erronea la tesi della parte che l'ha convocata in mediazione - e pertanto inutile la sua partecipazione all'esperimento della mediazione - non è perciò dispensata dal comparirvi (Trib.Lamezia Terme 17 luglio 2020).

Si è posto il problema della possibilità per la parte di essere rappresentata - nell'incontro di mediazione - da un procuratore. Con riguardo a questa ipotesi è stato affermato che, “nella comparizione obbligatoria davanti al mediatore, la parte può anche farsi sostituire da un proprio rappresentante sostanziale, eventualmente nella persona dello stesso difensore che l'assiste nel procedimento di mediazione, purché dotato di apposita procura sostanziale” (Cass. civ., sez. III, 27 marzo 2019, n. 8473): infatti, la parte che per sua scelta o per impossibilità non possa partecipare personalmente a un incontro di mediazione può farsi sostituire da una persona a sua scelta e quindi anche, ma non solo, dal suo difensore (Trib. Lamezia Terme 17 luglio 2020). A tal fine, è necessario però che la parte delegata abbia contezza dei fatti e la piena capacità di disporre del diritto controverso.

Peraltro, nel delegare un terzo alla partecipazione all'attività di mediazione, la parte deve conferirgli tale potere mediante una procura avente lo specifico oggetto della partecipazione alla mediazione con il conferimento del potere di disporre dei diritti sostanziali che ne sono oggetto. In ogni caso si richiede che sia presente un rappresentante a conoscenza dei fatti e fornito dei poteri per la soluzione della controversia.

L'ordinanza in commento fa menzione della necessità della verbalizzazione di una serie di aspetti e di vicende che emergano nel corso del procedimento di mediazione e ritiene che il mediatore abbia al riguardo un preciso obbligo di verbalizzazione.

Osservazioni

Secondo l'ordinanza che si annota:

  • innanzitutto, dovrebbe essere dato atto nel verbale della riunione dell'assenza di alcuna delle parti e delle ragioni eventualmente poste dalla parte assente a giustificazione della propria assenza;
  • in secondo luogo, dovrebbero essere verbalizzate - nel caso in cui una parte non intendesse dare seguito, dopo il primo incontro, alla mediazione - le ragioni che fossero prospettate dalla parte a giustificazione di tale presa di posizione;
  • in terzo luogo, dovrebbero essere oggetto di verbalizzazione le ragioni per cui il mediatore ritenesse di non formulare una proposta di conciliazione.

Si tratta di plurimi e distinti obblighi di verbalizzazione dei quali - o meglio: di una parte dei quali - non vi è però cenno nelle disposizioni dettate dal d.lgs. n. 28/2010. Si noti infatti che:

  • per quanto concerne la giustificazione dell'assenza della parte al primo incontro effettivamente la norma - nel momento in cui chiede che sia considerata ai fini dell'applicazione delle disposizioni sanzionatorie l'assenza ingiustificata - pare imporre che dell'eventuale giustificazione che fosse stata comunicata dalla parte assente debba essere dato atto nel verbale dell'incontro;
  • quanto, invece, alle ragioni in base alle quali la parte non intenda proseguire la mediazione dopo il primo incontro, nella norma non vi è alcuna menzione della necessità della menzione di queste: anzi, come già si è detto, dalle norme sembra che si ricavi che vi sia piena libertà per la parte di decidere se proseguire o non proseguire la mediazione e non emerge affatto che la parte sia tenuta a proseguire né che debba indicare le ragioni per cui non ritenesse di proseguire;
  • quanto, poi, all'ipotesi della formulazione di una proposta da parte del mediatore, va notato che è previsto che il mediatore sia tenuto a formulare una proposta di conciliazione solamente se entrambe le parti lo richiedano; nel caso in cui non vi sia una tale richiesta congiunta proveniente dalle parti il mediatore avrà soltanto la possibilità di formulare - se lo riterrà - una proposta ma egli non sarà affatto tenuto, nel caso in cui non formulerà la proposta, a spiegare le ragioni di questa sua scelta.

Buona parte delle disposizioni impartite alle parti ed al mediatore dall'ordinanza in esame quanto al contenuto del verbale dell'incontro di mediazione, dunque, pare non trovare la sua base nelle previsioni delle norme.

Vi è, peraltro, da osservare che quanto l'ordinanza in esame chiede che sia verbalizzato sembra contrastare con l'obbligo della riservatezza che concerne tutto lo svolgimento della mediazione. Da notare che quello della riservatezza è un aspetto fondamentale ed indispensabile per la buona riuscita della mediazione: solo se vi sia la certezza che ciò che venga detto in sede di trattativa non verrà verbalizzato - solo se dunque vi è la garanzia che ciò che viene detto in sede di mediazione non potrà avere effetti di nocumento per la parte in sede di giudizio - le parti avranno la possibilità di parlare in piena libertà e dunque di “aprirsi” in modo tale che l'incontro possa condurre - anche in virtù dell'opera del mediatore - a dei risultati.

Se viene meno la riservatezza il procedimento viene invece a perdere il suo significato e diviene una sorta di recita diretta a creare le condizioni perché nel giudizio sia valutata nel modo più conveniente la condotta della parte durante la procedura di mediazione. L'obiettivo non sarà più quello di un confronto aperto e libero diretto alla conciliazione ma diventerà invece quello della predisposizione del terreno più favorevole per il giudizio.

Vi è da aggiungere che, per la verità, nell'ordinanza in esame viene fatta menzione della necessità che per la verbalizzazione del “contenuto delle dichiarazioni rese in tal senso dalle parti” debba esservi “il consenso della parte dichiarante” e debba constare che “la ragione del rifiuto riguardi proprio il merito della lite”.

Si tratta di condizioni che, però, non appaiono chiare: in ogni caso, sembra che secondo il provvedimento in esame la parte che non intenda proseguire la mediazione debba spiegarne le ragioni o comunque debba spiegare le ragioni per cui chiede che non sia fatta menzione nel verbale delle ragioni del suo mancato consenso alla verbalizzazione. Tutti aspetti dei quali nelle norme non si rinviene traccia.

L'ordinanza in commento afferma che vi sarebbe l'obbligo del mediatore di formulare la proposta di conciliazione e che se il mediatore ritiene di non formulare tale proposta ne deve indicare le ragioni.

Nell'affermare l'esistenza di un tale obbligo il Tribunale di Gorizia sembra porsi sulla stessa strada che in precedenza era stata seguita da altro giudice di merito (Trib. Vasto 15 giugno 2017) che aveva affermato che la formulazione della proposta è un passaggio cruciale ed ineludibile del procedimento di mediazione la cui omissione preclude al giudice la possibilità di compiere le valutazioni previste dall'art. 13 del d.lgs. n. 28/2010: con la conseguenza che, qualora il mediatore, contravvenendo alle prescrizioni del giudice, abbia omesso di formulare la proposta, la procedura non potrà considerarsi ritualmente svolta, dovendo le parti - a pena di improcedibilità della domanda - riattivare il procedimento affinché il mediatore, senza oneri aggiuntivi per le parti, completi la sua attività con la formulazione di una proposta conciliativa, ai sensi dell'art. 11 del d.lgs. n. 28/2010, anche in assenza di una concorde richiesta delle parti.

In realtà, di tale obbligo non vi è menzione nella norma: questa dice solo che il mediatore può formulare una proposta, non dice affatto che egli è tenuto a farlo. Del resto, la valutazione circa l'eventuale opportunità di formulazione di una proposta sarà oggetto di considerazione e decisione da parte del mediatore sulla scorta di quanto egli avrà potuto ricavare dal comportamento delle parti.

Pare che prevedere la formulazione di una proposta di conciliazione quale oggetto di un obbligo significhi disattendere gli aspetti peculiari - ed i pregi - della mediazione.

È l'impostazione della mediazione quale obbligo di conciliare e la previsione che nel giudizio dovrà farsi il processo all'eventuale mancanza di volontà della parte a cercare la conciliazione che sembra tradire il significato e l'utilità della mediazione.

Del resto, è proprio su questo aspetto che si gioca la questione della costituzionalità della norma: è stato infatti sottolineato come proprio per le ragioni legate alla libertà della posizione delle parti rispetto alla mediazione deve ritenersi che la mediazione obbligatoria, ed in particolare quella ordinata dal giudice, non presenti manifesti e significativi profili di violazione dell'art. 24 Cost. ovvero di altri parametri di rango costituzionale (così Cons. Stato, sez. IV, 17 novembre 2015, n. 5230).

La questione si collega anche alle ragioni che avevano condotto i giudici della Consulta a dichiarare costituzionalmente illegittimo, per eccesso di delega, l'art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28/2010, che per le controversie ivi elencate stabiliva l'obbligatorietà del procedimento di mediazione finalizzata alla conciliazione, configurandone il previo esperimento condizione di procedibilità della relativa domanda giudiziale (Corte Cost. 6 dicembre 2012 n. 272).

Da notare, infine, che vi sono controversie per le quali la pronuncia del giudice si presenta necessaria: si noti infatti che proprio il caso della morosità del conduttore rende necessaria una sentenza perché il locatore possa non pagare le imposte sui canoni non percepiti. Sembra evidente che in questi casi debba escludersi che l'assenza di volontà di conciliazione possa essere valutata negativamente.

Riferimenti

Bove, Mediazione civile: una disciplina poco liberale che richiede una visione legata agli interessi, in Guida al diritto, 2010, fasc. 13, 11;

Giordano, Note intorno al rilievo d'ufficio nel decreto di fissazione dell'udienza del mancato esperimento della mediazione in materia locatizia, in Giur. merito, 2011, 1820;

Maniaci, Luci e ombre nei rapporti tra mediazione e processo civile, in Nuova giur. civ. comm., 2017, 134;

Marinaro, Mediazione civile, così i legali italiani scelgono la ripartenza, in Guida al diritto, 2016, fasc. 43, 22;

Masoni, Le controversie suscettibili di mediazione civile ai sensi del d.lg. n. 28 del 2010 (e quelle escluse), in Giur. merito, 2010, 2154;

Masoni, La mediazione nelle controversie lato sensu locatizi, in Giur. merito, 2011, 1762;

Nucera, Mediazione obbligatoria e controversie lato sensu locatizie. Dal Tribunale di Modena una pronuncia che offre interessanti spunti di riflessione, in Arch. loc. e cond., 2012, 79;

Russo, La reintroduzione della mediazione obbligatoria, in Giur. it., 2015, I, 485;

Scalettaris, Qualche riflessione in tema di mediazione conciliazione nelle controversie aventi ad oggetto il rilascio dell'immobile locato, in Arch. loc. e cond., 2011, 15.

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