Legittima la riduzione dell’assegno di mantenimento in caso di disoccupazione non incolpevole della moglie

Redazione Scientifica
23 Luglio 2021

In tema di separazione tra coniugi, il riconoscimento dell'assegno di mantenimento per mancanza di adeguati redditi propri previsto dall'art. 156 c.c., essendo espressione del dovere solidaristico di assistenza materiale, non può estendersi a ciò che l'istante sia in grado, secondo il canone dell'«ordinaria diligenza», di procurarsi da solo. Rimane perciò a carico del coniuge richiedente l'assegno di mantenimento, ove risulti accertata in fatto la sua possibilità di lavorare, l'onere di dimostrare di essersi inutilmente attivato e proposto sul mercato occupazionale per mettere a frutto le proprie attitudini professionali.

La Corte d'Appello di Roma riduceva l'assegno di mantenimento posto a carico del marito in considerazione dello stato di disoccupazione non incolpevole della moglie, non avendo quest'ultima provato di essersi attivata per la ricerca di un lavoro nonostante il titolo professionale di ortottista da lei posseduto.

La donna ricorre in Cassazione, lamentandosi, tra i vari motivi, del fatto che la Corte d'Appello avesse ridotto l'assegno di mantenimento in misura inidonea a garantire la conservazione non solo del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, ma anche di un minimo vitale, valorizzando a tal fine l'attitudine al lavoro della moglie in termini meramente ipotetici e senza riscontrare l'effettiva possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita.

Il ricorso è infondato. La Corte di Cassazione, infatti, afferma che in tema di separazione tra coniugi, il riconoscimento dell'assegno di mantenimento per mancanza di adeguati redditi propri previsto dall'art. 156 c.c., essendo espressione del dovere solidaristico di assistenza materiale, non può estendersi a ciò che l'istante sia in grado, secondo il canone dell'«ordinaria diligenza», di procurarsi da solo. L'attitudine al lavoro dei coniugi, quale potenziale capacità di guadagno, infatti, costituisce un elemento valutabile ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento da parte del giudice, che deve tenere conto non solo dei redditi in denaro, ma anche di ogni unità o capacità suscettibile di valutazione economica, a condizione che sussista un'effettiva possibilità di svolgimento di un'attività retribuita: ne consegue che «tale principio non può essere amplificato fino al punto di ritenere che una concreta attitudine al lavoro, capace di trovare un positivo riscontro sul mercato, possa rimanere non sfruttata a causa dell'inerzia dello stesso richiedente l'assegno, con il risultato di addossare l'onere del suo mantenimento sul coniuge separato e occupato» (Cass. civ., sez. I, sent., 16 maggio 2017, n. 12196). Rimane perciò a carico del coniuge richiedente l'assegno di mantenimento, ove risulti accertata in fatto la sua possibilità di lavorare, l'onere di dimostrare di essersi inutilmente attivato e proposto sul mercato occupazionale per mettere a frutto le proprie attitudini professionali.

Fonte: dirittoegiustizia.it

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