Concessione agevolata del credito in pandemia: le condotte penalmente rilevanti

Ciro Santoriello
16 Agosto 2021

Va escluso che, in presenza di un finanziamento erogato ai sensi della legge n. 40 del 2020 e assistito dalla garanzia di SACE S.p.A., l'omessa destinazione delle somme così ottenute alle finalità di interesse generale previste dall'art. 1 della legge citata possa configurare la condotta sanzionata dall'art. 316-bis c.p.
Massima

Va escluso che, in presenza di un finanziamento erogato ai sensi del Decreto Liquidità (d.l. n. 23/2020, conv. con mod. in legge n. 40 del 2020) e assistito dalla garanzia di SACE S.p.A., l'omessa destinazione delle somme così ottenute alle finalità di interesse generale previste dall'art. 1 della legge citata possa configurare la condotta sanzionata dall'art. 316-bis c.p., in quanto tale finanziamento erogato, sebbene connotato da onerosità attenuata e destinato alla realizzazione delle finalità di interesse pubblico, non viene erogato direttamente dallo Stato o da altro ente pubblico, bensì da un soggetto privato (nel caso concreto, un istituto bancario) e la partecipazione di un siffatto istituto all'operazione di sostegno alle imprese non è idonea, ad incidere sulla sua natura esclusivamente privatistica.

Fonte: ilsocietario.it

Il caso

In sede di merito era adottato un sequestro preventivo nei confronti di due indagati per la violazione delll'art. 316-bis c.p. avendo costoro, nella gestione di una società, dopo avere ottenuto l'erogazione di un finanziamento a titolo di prestito garantito dalla Stato, come previsto dal cd. Decreto Liquidità (d.l. 8 aprile 2020, n. 23, convertito dalla legge 5 giugno 2020, n. 40), impiegato tale somma per finalità diverse da quelle cui detto finanziamento era destinato per legge (ovvero mantenimento dei livelli occupazionali, evitare il fallimento o la crisi delle imprese a causa della contrazione del fatturato causata dall'emergenza sanitaria da Covid-19, copertura di spese strettamente funzionali a tali finalità), trasferendo parte della somma di euro 20.000,00 su loro conti correnti personali o di loro familiari.

Secondo il giudice delle indagini preliminari i presupposti legittimanti la misura andavano individuati nei movimenti bancari, registrati a distanza di pochi giorni dall'erogazione del finanziamento da parte dell'istituto bancario, che documentavano il trasferimento del denaro dal conto intestato alla società a quelli personali con la causale "prestito infruttifero a socio". La decisione è stata confermata in sede di riesame: il tribunale, infatti, sulla base dell'analisi della disciplina prevista agli artt. 1 e 1-bis, d.l. n. 23 del 2020, del contenuto e delle caratteristiche della garanzia rilasciata da SACE S.p.A., della natura di tale ente e delle modalità semplificate di erogazione del finanziamento, ha ritenuto che, sulla base di un'interpretazione estensiva dell'art. 316-bis c.p., fondata sulla "matrice pubblicistica" impressa all'operazione finanziaria dalla garanzia in esame, il finanziamento erogato da banche private con la garanzia "ad attenuata onerosità" di SACE S.p.A. debba essere ricompreso nella nozione di "sovvenzioni o finanziamenti destinati ad attività di pubblico interesse", rilevante per l'integrazione del reato.

In particolare, si è ritenuto che, sebbene SACE S.p.A. sia una società privata controllata indirettamente dallo Stato e, dunque, non qualificabile come ente pubblico, la garanzia da questa rilasciata per sollevare le imprese in crisi a seguito dell'epidemia da Covid-19 proviene indirettamente dallo Stato. L'art. 1, comma 5, d.l. n. 23 del 2020, prevede, infatti, che "sulle obbligazioni di SACE S.p.A. derivanti dalle garanzie disciplinate dai commi 1 e 1-bis, è accordata di diritto la garanzia dello Stato a prima richiesta e senza regresso", per cui la SACE S.p.A. "si muove come una banca di Stato che si impegna a garantire crediti attingendo alla garanzia che è finalmente concessa dallo Stato" cosicché le condotte illecite dei soggetti privati che hanno ricevuto il finanziamento ricadono a danno dello Stato.

Ricorrendo in Cassazione, le difese hanno riproposto le censure avanzate innanzi al riesame, sostenendo che il finanziamento non era stato erogato dallo Stato, ma da una banca ed anzi il meccanismo previsto dal dl. n. 23 del 2020, connotato da una garanzia pubblica sul finanziamento erogato dalla banca o da altro intermediario finanziario, è stato così congegnato proprio per evitare che fosse lo Stato a sostenere il peso economico degli interventi in sostegno delle imprese colpite dalla crisi economica. Tale garanzia pubblica, la cui operatività è condizionata all'inadempimento del privato all'obbligo di restituire il finanziamento, comportando l'erogazione del relativo importo dal garante pubblico al finanziatore privato, è difficilmente riconducibile alla nozione di "elargizione" o di "contributo" erogato dallo Stato, rilevante ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 316-bis c.p..

Veniva dedotta inoltre la violazione dell'art. 316-bis c.p. in quanto, trattandosi di un reato omissivo, la cui consumazione è legata allo spirare del termine utile per destinare le somme erogate alle finalità per cui sono state erogate, nel caso di specie, il reato non si è consumato, essendo previsto il termine di sei anni per la restituzione delle somme. Si rileva, inoltre, la mancanza dei due profili in cui si sostanzierebbe la condotta di malversazione: la distrazione delle somme dalle finalità per cui sono state erogate e la mancata restituzione della somma ricevuta (smentita dalla circostanza che la società beneficiata stava pagando gli interessi sul finanziamento, come previsto dal contratto bancario).

La questione

II tema principale della vicenda in parola attiene alla configurabilità del reato di cui all'art. 316-bis c.p. in caso di mancata destinazione delle somme ottenute attraverso un mutuo erogato da un Istituto di credito, con la garanzia di SACE S.p.a., alle finalità espressamente previste dall'art. 1 d.l. 8 aprile 2020, n. 23, convertito con modificazioni dalla legge 5 giugno 2020, n. 40.

La legge n. 40 del 2020 si inserisce nel quadro delle misure adottate per far fronte all'emergenza causata dalla pandemia da COVID-19, volendosi assicurare la necessaria liquidità alle imprese, con sede in Italia, colpite dall'epidemia, diverse dalle banche e da altri soggetti autorizzati all'esercizio del credito, facilitando l'accesso a finanziamenti, di durata non superiore a sei anni, connotati da uno scopo legale, assistiti da una garanzia a prima richiesta, esplicita e irrevocabile, rilasciata dalla Sezione speciale per l'Assicurazione del Credito all'Esportazione, società controllata da Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. in favore degli istituti finanziatori, ovvero, banche, istituzioni finanziarie nazionali e internazionali e gli altri soggetti abilitati all'esercizio del credito in Italia (art. 1, comma 1).

La legge prevede che

1) il finanziamento coperto dalla garanzia debba essere destinato per legge a sostenere costi del personale, canoni di locazione o di affitto di ramo d'azienda, investimenti o capitale circolante impiegati in stabilimenti produttivi e attività imprenditoriali che siano localizzati in Italia, e che le medesime imprese si impegnano a non delocalizzare (art. 1, comma 1, lett. n);

2) che sia destinato, in misura non superiore al venti per cento dell'importo erogato, al pagamento di rate di finanziamenti, scadute o in scadenza nel periodo emergenziale per le quali il rimborso sia reso oggettivamente impossibile a causa dell'epidemia da COVID-19 o delle misure dirette alla prevenzione e al contenimento della stessa (art. 1, comma 1, lett. n-bis);

3) l'impegno dell'impresa beneficiaria della garanzia a non approvare la distribuzione di dividendi o il riacquisto di azioni nel corso dell'anno 2020.

Con riferimento al punto 3) si prevede che le richieste di finanziamenti debbano essere integrate da una dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, ai sensi dell'articolo 47 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, con la quale il titolare o il legale rappresentante dell'impresa richiedente, sotto la propria responsabilità, dichiara, tra l'altro, che il finanziamento coperto dalla garanzia è richiesto per sostenere costi del personale, investimenti o capitale circolante impiegati in stabilimenti produttivi e attività imprenditoriali che sono localizzati in Italia (art. 1-bis).

La garanzia rilasciata da SACE S.p.A. copre l'importo del finanziamento concesso nei limiti delle quote percentuali determinate per legge in base al numero dei dipendenti e/o al valore del fatturato ed in ogni caso non è gratuita: è previsto, infatti, il pagamento da parte delle imprese di commissioni annuali il cui importo viene determinato in base all'importo garantito ed alle dimensioni dell'impresa. Le commissioni devono essere limitate al recupero dei costi e il costo dei finanziamenti coperti dalla garanzia deve essere inferiore al costo che sarebbe stato richiesto dal soggetto o dai soggetti eroganti per operazioni con le medesime caratteristiche ma prive della garanzia, come documentato e attestato dal rappresentante legale dei suddetti soggetti eroganti. Gli impegni assicurativi assunti da SACE S.p.A. sono, a loro volta, garantite per legge dallo Stato, con garanzia a prima richiesta e senza regresso, esplicita, incondizionata ed irrevocabile, estesa al rimborso del capitale, al pagamento degli interessi e di ogni altro onere accessorio, al netto delle commissioni ricevute per le medesime garanzie; si prevede, inoltre, il concorso paritetico e proporzionale tra garante e garantito nelle perdite per mancato rimborso del finanziamento.

Le soluzioni giuridiche

Il ricorso è stato dichiarato fondato, con conseguente annullamento del sequestro preventivo.

Le conclusioni assunte dalla Cassazione si fondano sulla insussistenza, per ragioni di carattere giuridico, della fattispecie di malversazione ai danni dello Stato, ricordando in primo luogo che tale fattispecie di reato è posta a tutela della corretta gestione e utilizzazione delle risorse pubbliche destinate a fini di incentivazione economica (Cass., sez. VI, 23 maggio 2018, n. 42924). Da ciò deriva che presupposto di tale illecito è necessariamente l'erogazione da parte dello Stato, o di altro ente pubblico, in favore di un soggetto estraneo alla Pubblica Amministrazione, di un contributo, una sovvenzione o un finanziamento destinati alla realizzazione di opere o allo svolgimento di attività di pubblico interesse (per contributi e sovvenzioni si intendono le attribuzioni pecuniarie a fondo perduto, di carattere gestorio, mentre nella categoria dei finanziamenti rientrano gli atti negoziali che si caratterizzano per l'esistenza di un'onerosità attenuata rispetto a quella derivante dall'applicazione delle ordinarie regole di mercato; quanto all'interesse pubblico dell'opera o dell'attività lo stesso non è connesso alla natura oggettiva dell'una o dell'altra, ma alla provenienza pubblica del finanziamento gratuito o agevolato e al vincolo di destinazione dello stesso, quale espressione delle scelte di politica economica e sociale dello Stato o di altro ente pubblico: Cass., sez. VI, 13 dicembre 2011, n. 23778). Quanto alla condotta materiale, la stessa si riferisce, non alla fase di erogazione della prestazione pubblica, bensì a quella successiva e consiste nell'elusione del vincolo di destinazione che connota tale prestazione attraverso la distrazione, anche in parte, della somma ottenuta dalla predetta finalità di interesse generale.

Nel caso sottoposto alla sua attenzione, non sussisterebbe il delitto di cui all'art. 316-bis c.p. in quanto il finanziamento erogato ai sensi del citato d.l. n. 23/2020 non è idoneo ad integrare il presupposto sopra esaminato ai fini della sussunzione della successiva condotta di sviamento nell'ambito del reato di malversazione ai danni dello Stato. Infatti, tale finanziamento, sebbene connotato da onerosità attenuata e destinato alla realizzazione delle finalità di interesse pubblico, non viene erogato direttamente dallo Stato o da altro ente pubblico, bensì da un soggetto privato (nel caso concreto, un istituto bancario) e la partecipazione di un siffatto istituto all'operazione di sostegno alle imprese non è idonea, ad incidere sulla sua natura esclusivamente privatistica. Questa conclusione è conforme alla definizione di ente pubblico erogatore contenuta nell'art. 3, comma 1, lett. d), d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (c.d. codice degli appalti) secondo cui per «organismi di diritto pubblico» si intende qualsiasi organismo, anche in forma societaria, il cui elenco non tassativo è contenuto nell'allegato IV: 1) istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; 2) dotato di personalità giuridica; 3) la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d'amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico.

Va, inoltre, considerato che lo schema operativo delineato dalla legge n. 40 del 2020, che ha convertito il d.l. n. 23 citato, consente di individuare due rapporti giuridici: uno tra l'impresa ed il soggetto finanziatore, riconducibile ad un mutuo di scopo legale; ed uno, di carattere accessorio, avente ad oggetto la garanzia a prima richiesta rilasciata da SACE S.p.A. (a sua volta coperta da garanzia dello Stato) al soggetto finanziatore per il caso di mancata restituzione del finanziamento. Solo l'inadempimento di tale obbligazione restitutoria rende, dunque, operativa la garanzia pubblica, cosicché, in assenza di tale presupposto, ogni onere connesso all'erogazione del finanziamento rientra esclusivamente nel rapporto principale tra l'impresa ed il soggetto finanziatore; di contro, la condotta di sviamento delle somme erogate dalla finalità legale cui le stesse sono destinate, ove non accompagnata dall'inadempimento dell'obbligo di restituzione delle somme erogate, non può comportare l'attivazione della garanzia pubblica.

La Cassazione, tuttavia, precisa che la "distrazione" delle somme dalla finalità di interesse generale per cui sono state erogate rileva nell'ambito del rapporto principale di mutuo. Infatti, secondo la giurisprudenza civile il mutuo di scopo si caratterizza per il fatto che una somma di denaro od altre cose fungibili vengono consegnate al mutuatario esclusivamente per raggiungere una determinata finalità, prevista dalla legge o convenzionale: detto vincolo di destinazione delle somme mutuate, espressamente inserito nel sinallagma contrattuale, entra nella struttura del negozio connotandone il profilo causale e così ampliando lo stesso rispetto alla sua normale consistenza, tanto sotto un profilo strutturale, visto che il sovvenuto si obbliga non solo a restituire la somma mutuata e a corrispondere gli interessi, ma anche a realizzare lo scopo previsto con l'attuazione in concreto dell'attività programmata, quanto sotto un profilo funzionale, poiché nel sinallagma assume rilievo essenziale anche quest'ultima prestazione, in termini corrispettivi dell'ottenimento della somma erogata; la destinazione delle somme mutuate alla finalità programmata assurge, pertanto, a componente imprescindibile del regolamento di interessi concordato, incidendo sulla causa del contratto fino a coinvolgere direttamente l'interesse dell'istituto finanziatore, ed è perciò l'impegno del mutuatario a realizzare tale destinazione che assume rilevanza corrispettiva (Cass. civ., sez. I, 18 giugno 2018, n. 15929).

Dinanzi, dunque, ad una condotta di sostanziale inadempimento del mutuatario dell'obbligo di destinare le somme alle finalità di interesse generale espressamente previste dall'art. 1 della legge n. 40 del 2020, la tutela dell'istituto finanziario erogatore potrà essere assicurata in sede civile attraverso i rimedi che consentono la messa in mora del mutuatario ovvero la risoluzione del contratto di mutuo.

Nell'ultima parte della decisione, infine, la Suprema Corte si dedica a verificare la correttezza della tesi sostenuta dal Sostituto Procuratore Generale nella sua requisitoria, il quale – pur aderendo alle conclusioni della Cassazione con riferimento alla vicenda di specie – riteneva che sussistessero i delitti di malversazione ai danni dello Stato o il reato di truffa ai danni dell'ente pubblico ex art. 640-bis c.p. qualora, a seguito dell'inadempimento dell'obbligazione restitutoria da parte dell'impresa mutuataria, venisse escussa la garanzia emessa da SACE S.p.A. con conseguente attivazione della correlata garanzia a prima richiesta dello Stato: infatti, per effetto dell'escussione della garanzia pubblica, vi sarebbe una sorta di subentro dello Stato o di SACE S.p.A. nella posizione dell'istituto finanziario erogatore, quasi una sorta di cessione del contratto idonea a ricondurre l'erogazione del finanziamento direttamente allo Stato. Detto altrimenti, poste che la SACE S.p.A. svolge per conto del Ministero dell'economia e delle finanze le attività relative all'escussione della garanzia e al recupero dei crediti che può altresì delegare alle banche, alle istituzioni finanziarie nazionali e internazionali e agli altri soggetti abilitati all'esercizio del credito in Italia dovrebbe ritenersi che, in virtù dell'adempimento del debito del mutuatario si determini una surrogazione legale della predetta società nel diritto di credito del soggetto finanziatore.

La Cassazione, tuttavia, ritiene infondata anche questa conclusione in quanto, anche ipotizzando il verificarsi di una tale surrogazione legale, questa non comporterebbe una sostituzione di diritto del garante pubblico nella posizione contrattuale dell'istituto finanziario, ma solo nel suo diritto di credito – come ritenuto dalla dottrina secondo cui la surrogazione comporta il trasferimento del diritto di credito e dei diritti ad esso accessori, ma non dei diritti inerenti alla posizione contrattuale del creditore, cosicché il surrogato non subentra nel rapporto contrattuale tra creditore e debitore, né nelle azioni contrattuali. In sostanza, anche facendo riferimento alla fase patologica del rapporto contrattuale, difficilmente, salvo voler operare una non consentita analogia in malam partem, potrebbe ritenersi che, per effetto dell'avvenuta escussione della garanzia, lo Stato, tramite SACE S.p.A., subentri nella posizione dell'istituto finanziario, con conseguente riconduzione del finanziamento ad una diretta erogazione da parte dello Stato.

Osservazioni

La tesi avanzata dalla Cassazione con la decisione in epigrafe pare decisamente condivisibile, posto che con riferimento all'erogazioni previste dal d.l. n. 23 del 2020 è ravvisabile solo un finanziamento erogato da una banca privata, e non dallo Stato, assistito dalla garanzia "a prima richiesta, esplicita e irrevocabile" di SACE S.p.a., che, a sua volta, fruisce per la medesima obbligazione della garanzia dello Stato, "accordata di diritto, esplicita, irrevocabile".

Indubbiamente, l'art. 316-ter che l'art. 640-bis c.p. fa menzione di comportamenti – analoghi a quelli contestati nella vicenda in parola – connotati dalla finalità di ottenere indebitamente vantaggi economici mediante una menzognera rappresentazione della propria situazione economica (sul punto, PELISSERO, Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1991, 923; ROMANO, Abusi di finanziamenti comunitari ed indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato, in Dir. Pen. Proc., 2009, 269; SEMERARO, Osservazioni in tema di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, in Cass. Pen., 2001, 2568; VALENTI, Sovvenzioni pubbliche (frodi nelle), in Digesto pen., XIII, Torino, 1997, 523), ma questa conclusione però deve fare i conti con due circostanze che precludono, nel caso di nostro interesse, il ricorso a tali disposizioni.

In primo luogo, va considerato come il Decreto Liquidità non preveda l'erogazione dei prestiti a vantaggio di imprenditori messi in difficoltà dalla pandemia da parte di enti pubblici o UE (nonostante tale nozione sia intesa in senso assai ampio, come sostenuto da come sostenuto da Cass., sez. un., 19 aprile 2007, n. 16568, in Mass. Uff., n. 235962. A commento, si vedano PICCIALLI, Truffa ed indebita percezione di finanziamenti, in Corr. Merito, 2007, 787; VALENTINI, Le Sezioni unite consacrano la primazia dell'art. 316-ter c.p.: un epilogo consapevole?, in Cass. Pen., 2007, 4526), bensì disciplini la concessione di garanzie (che coprono peraltro solo parte dell'importo) da parte dello Stato su prestiti concessi da privati: in questo caso, dunque, il beneficio che il privato riceve dalla pubblica amministrazione è elemento accessorio rispetto al rapporto che il privato che usufruisce della garanzia statuale instaura con un soggetto esterno alla pubblica amministrazione. In secondo luogo, a rendere non applicabile le disposizioni di cui agli artt. 316-ter, 640-bis c.p. al caso di specie è la già evidenziata natura non pubblicistica dell'ente creditizio che eroga la prestazione.

Quanto ad altri profili di rilevanza penale connessi alla richiesta ed utilizzo di contributi agevolati previsti dal d.l. n. 23 del 2020 va richiamata la fattispecie di falso di cui agli artt. 483 c.p. e 76 comma 3 d.P.R. 445/2000 – il quale dispone che “chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso nei casi previsti dal presente testo unico è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia. La sanzione ordinariamente prevista dal codice penale è aumentata da un terzo alla metà” – posto che nell'ambito del decreto Liquidità le dichiarazioni dei privati godono in effetti di una presunzione “privilegiata” di veridicità come ricavabile dall'art. 13 che per l'appunto con riferimento alla concessione del Fondo centrale di garanzia PMI richiede il rilascio di attestazioni dei privati inerenti ad alcune circostanze dell'impresa.

Deve tuttavia evidenziarsi come l'applicazione di tale disposizione incriminatrice sarà assai sporadica in ragione della difficoltà di definire con certezza e sicurezza quando le dichiarazioni in ordine ai fabbisogni finanziari ed alle ragioni della crisi della singola azienda risultino effettivamente mendaci. Del reato di falso in esame infatti si risponde a titolo di dolo, rappresentato dalla volontà cosciente e non coartata di compiere il fatto e nella consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero (Cass., sez. III, 4 ottobre 2018, n. 44097, in Mass. Uff., n. 277407; Cass., sez. V, 19 luglio 2018, n. 39958, in Mass. Uff., n. 273820), mentre l'illecito non sussiste quando la falsità sia dovuta a negligenza o a una leggerezza nella condotta dell'agente ovvero ad una colposa omissione di indagine (Cass., sez. V, 22 gennaio 2020, n. 2496, in Mass. Uff., n. 278134; Cass., sez. V, 24 ottobre 2018, n. 48604); da qui, l'emersione delle difficoltà che si incontreranno quando si intenderà contestare il reato in parola giacché tale imputazione sarà ipotizzabile solo nel caso in cui sia indiscutibile la non veridicità della dichiarazione resa dall'imprenditore, circostanza assai rara giacché il contenuto delle dichiarazioni richiamate dall'art. 13 d.lg. n. 23 del 2020 ha un contenuto fortemente valutativo e più che fatti nelle predette dichiarazioni sono riportati giudizi e valutazioni, di cui, come è noto, è assai complesso stabilire la veridicità.

Infine, si ricorda che nelle ipotesi che stiamo esaminando potrebbe rinvenirsi un'ipotesi di mendacio bancario, di cui all'art. 137, comma 1 bis, T.U.B., che incrimina chiunque (anche se l'ipotesi più frequente è che la condotta attiva sia posta in essere dall'amministratore dell'azienda beneficiaria dell'eventuale concessione di credito, mentre non risponderanno dell'illecito eventuali garanti o terzi cui la banca si rivolga per ricevere informazioni in ordine alla posizione economica del possibile destinatario del credito) fornisce dati “aziendali” non veritieri all'istituto di credito richiesto dell'eventuale concessione del credito. Posto che ai fini della configurabilità della fattispecie è sufficiente che la banca risulti destinataria - anche in via mediata - della richiesta, mentre per il perfezionamento di tale delitto non occorre l'effettiva concessione del credito né, quindi, l'aver arrecato un danno patrimoniale alla banca erogatrice, essendo appunto sufficiente la richiesta ad una banca di erogazione di credito (in qualsiasi forma) ex novo, ovvero di modifica delle condizioni in essere rispetto ad un credito già concesso (MANGANO, Il reato di mendacio bancario, Milano, 1981, 38; BATTAGLINI, Sanzioni amministrative, disciplinari e penali nella nuova legge bancaria, in Banca e borsa Tit. credito, 1938, I, 20; FOFFANI, Reati bancari, in Pedrazzi, Alessandri, Foffani, Seminara, Spagnolo, Manuale di diritto penale dell'impresa, II edizione, Bologna 2000, 500), nulla parrebbe impedire impedisce di contestare tale reato in caso di ricorso al beneficio economico previsto dal Decreto Liquidità manifestando falsamente la sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge. Tuttavia, a precludere in tali ipotesi la contestazione del delitto sta la circostanza che il reato di mendacio bancario è diretto a tutelare la sfera patrimoniale dell'istituto di credito, il quale viene posto in pericolo dai dati falsi comunicatagli dal richiedente il prestito; di contro, quando il prestito che viene richiesto dal singolo è assistito dalle garanzie statuali previsti dal Decreto Liquidità, allora il mendacio bancario non lede il patrimonio della banca, cercando il singolo di beneficiare della garanzia pubblica pur in assenza dei presupposti previsti: di conseguenza, la comunicazione di dati falsi alla banca, quando finalizzata a rientrare nei benefici previsti dal Decreto Liquidità, può integrare, con le difficoltà che si sono sopra menzionate, il delitto di cui all'art. 483 e non quello di mendacio bancario.

E' invece sicuramente richiamabile nelle ipotesi considerate il delitto di ricorso abusivo al credito di cui all'art. 218 L.F.. Va considerato, infatti, che la previsione della legge fallimentare intende impedire all'imprenditore di continuare ad operare celando artatamente il proprio stato di dissesto, in danno (oltre che del contraente che eroga il credito, anche e soprattutto) della massa dei creditori che può vedere aggravato il dissesto patrimoniale del debitore proprio a seguito di inopportune erogazioni di prestiti che consentono di continuare nell'esercizio dell'impresa seppure in modo spesso rovinoso (SELVAGGI, In tema di ricorso abusivo al credito, in AA.VV., Crisi dell'impresa, procedure concorsuali e diritto penale dell'insolvenza. Aspetti problematici, a cura di R. BORSARI, Padova, 2015, 483, che utilizza una espressione di U. PIOLETTI, Il ricorso abusivo al credito, in Trattato delle procedure concorsuali, diretto da L. GHIA, C. PICCININNI, F. SEVERINI, vol. VI, I reati nelle procedure concorsuali. Gli adempimenti fiscali, Torino 2012, 187), il che per l'appunto è quanto si verifica laddove l'imprenditore faccia ricorso al prestito garantito dal Decreto Liquidità senza averne diritto.

Nessun dubbio che l'ottenimento di prestiti garantiti ex D.L. n. 23 del 2020 possa integrare l'elemento materiale del reato di ricorso abusivo al credito, posto che con il termine “credito” si fa riferimento, secondo l'impostazione ampiamente prevalente, “a qualsiasi contratto con il quale l'imprenditore ottiene una prestazione in cambio della promessa di prestazione futura” (MANGANO, Disciplina penale del fallimento, Milano 2003, 127), così come pare indiscutibile che uno dei presupposti per accedere alle garanzie di cui fa menzione il D.L. n. 23 del 2020 sia rappresentato dalla circostanza che l'impresa interessata non versi né in stato di insolvenza né in stato di dissesto, tanto è vero che una delle dichiarazioni che vanno in proposito rilasciate deve attestare, in relazione ai nuovi finanziamenti concessi da banche, intermediari finanziari e dagli altri soggetti abilitati alla concessione di credito in favore di piccole e medie imprese e di persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni, che l'attività d'impresa di chi necessita il finanziamento è stata danneggiata dall'emergenza COVID-19 e quindi non si tratta di una crisi economica preesistente. Dunque, una mendace dichiarazione circa la solidità economica dell'impresa, con riferimento al fabbisogno patrimoniale, economico e finanziario della stessa ed alle ragioni della crisi economica che la stessa attraversa, integra pienamente quella dissimulazione di cui fa menzione il citato art. 218 R.D. n. 267 del 1942.

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