Mantenimento del figlio maggiorenne: versamento diretto dell'assegno solo se statuito da un provvedimento del giudice

26 Agosto 2021

La S.C. affronta la questione del versamento diretto dell'assegno di mantenimento in favore del figlio maggiorenne, chiedendosi se sia corretto che un accordo intervenuto tra le parti fissi la possibilità per il genitore obbligato di effettuare il pagamento direttamente al figlio anzichè alla madre.
Massima

La determinazione dell'assegno di mantenimento dei figli risponde ad un superiore interesse della prole, non disponibile dalle parti. Pertanto, una volta statuito dal provvedimento giudiziale chi debba essere il debitore e chi il creditore di quella obbligazione, tale provvedimento non può essere posto nel nulla per effetto di un successivo accordo tra i soggetti obbligati.

Il versamento diretto dell'assegno di mantenimento al figlio maggiorenne, invece che al genitore convivente, non è una facoltà dell'obbligato, ma può essere disposto solo da un provvedimento del giudice.

Il caso

Nel 2002 il Tribunale di Padova pronunciava la separazione giudiziale tra due coniugi, prevedendo a carico del marito l'obbligo di corresponsione alla moglie, a titolo di contributo al mantenimento del figlio minore della coppia, la somma di Euro 300,00 mensili.

Nel 2011 la moglie notificava al marito un atto di precetto per intimargli il pagamento dell'importo di euro 21.766,83 a titolo di arretrati nel versamento dell'assegno di mantenimento del minore. Il marito proponeva opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c. deducendo di essere stato sempre adempiente, avendo versato l'importo dell'assegno mensile, fino al 2007, direttamente nelle mani della moglie, e, a partire da gennaio 2007, nelle mani del proprio figlio.

Nel 2014 il Tribunale accoglieva l'opposizione ritenendo che l'intimato avesse puntualmente adempiuto la propria obbligazione versando l'assegno direttamente al figlio, giacché tale modalità di adempimento era stata concordata tra l'obbligato, la moglie e il figlio. La prova di tale accordo, secondo il giudice di prime cure, risultava sia da una dichiarazione scritta del figlio, quale beneficiario dell'assegno, sia dalle dichiarazioni rese dalla moglie in sede di interrogatorio formale.

La Corte d'appello di Venezia accogliendo il gravame proposto dalla donna, rigettava invece l'opposizione, ritenendo che l'obbligazione dovesse essere adempiuta nei confronti dell'altro coniuge anche dopo il raggiungimento della maggiore età del figlio, e che il versamento dell'assegno direttamente nelle mani del figlio dovesse essere subordinato ad un provvedimento del giudice di mutamento delle condizioni di separazione che, nel caso di specie, non era stato richiesto.

Avverso la sentenza della Corte d'appello, il marito proponeva ricorso per cassazione fondato su due motivi. Con il primo motivo, il ricorrente denunciava il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, per avere la Corte di merito trascurato di esaminare la dichiarazione resa dalla moglie in sede di interrogatorio libero dinanzi al giudice istruttore, dichiarazione dalla quale il giudice d'appello avrebbe dovuto trarre la conclusione che, per ammissione della stessa creditrice, padre, madre e figlio, avevano concordemente convenuto il versamento diretto dell'assegno a quest'ultimo.

Con il secondo motivo, il ricorrente lamentava la violazione degli artt. 155-quinquiese 337-septiesc.c., sostenendo che l'obbligo di versamento dell'assegno di mantenimento del figlio, previsto da una sentenza di separazione, può essere modificato per accordo tra le parti senza che sia necessario un provvedimento del giudice, che il titolare del credito di mantenimento è il figlio, una volta divenuto maggiorenne, e che solo nel caso di inerzia del medesimo, la legittimazione a domandare il pagamento dell'assegno spetta al genitore.

La questione

La pronuncia in esame affronta la questione della possibilità da parte del genitore obbligato di effettuare il pagamento diretto dell'assegno di mantenimento al figlio divenuto maggiorenne, sulla base di un accordo tra le parti e senza che sia stato emesso un provvedimento giudiziale di modifica delle statuizioni contenute nella sentenza di separazione dei coniugi.

Le soluzioni giuridiche

Secondo la Corte di Cassazione, il giudice d'appello ha accolto l'opposizione per una ragione di diritto e non di fatto, affermando appunto che qualsiasi accordo tra le parti, anche tacito, non poteva produrre l'effetto di autorizzare il debitore alla corresponsione dell'assegno direttamente nelle mani del figlio, in assenza di un provvedimento giurisdizionale di modifica delle statuizioni previste dalla sentenza di separazione. Conseguentemente, per i giudici di legittimità non rileva vagliare se la Corte d'appello abbia o non abbia esaminato le dichiarazioni nella parte in cui contenevano dichiarazioni confessorie. La Corte territoriale, alla luce della sentenza adottata, non aveva dunque necessità di accertare se vi fosse stato davvero tra le parti un accordo derogativo delle statuizioni contenute nel titolo esecutivo.

Il Supremo Collegio precisa che la determinazione dell'assegno di mantenimento dei figli da parte del coniuge separato, risponde ad un interesse superiore di questi ultimi, che non è disponibile dalle parti. Pertanto, secondo la pronuncia in commento, quando il provvedimento giudiziale stabilisce chi debba essere il debitore e chi il creditore di quella obbligazione, tale provvedimento non può essere posto nel nulla da un successivo accordo tra i soggetti obbligati.

I giudici di legittimità, pur ammettendo la possibilità che il coniuge beneficiario dell'assegno di mantenimento del figlio possa indicare quest'ultimo quale adiectus solutionis causa,ai sensi dell'art. 1188 c.c., nello stesso tempo evidenziano la differenza esistente tra l'indicazione di pagamento, che non muta la persona del creditore, e la sostituzione del creditore fissato dal titolo giudiziale con un altro creditore. Invero, nella questione di cui si discorre, secondo la Corte di Cassazione, non risulta che il ricorrente abbia mai dedotto la violazione dell'art. 1188 c.c., né che questi abbia allegato in punta di fatto che la madre avesse indicato nel figlio il destinatario del pagamento ai sensi di detta norma. Il ricorrente aveva dedotto soltanto l'esistenza di un accordo tra madre, padre e figlio, in virtù del quale quest'ultimo non sarebbe divenuto un mero adiectus,bensì il vero e proprio creditore. Un accordo che la Corte di Cassazione considera nullo e privo di effetti.

Rilevano, infine, i giudici di legittimità, che l'art. 337-septies c. 1 c.c. non può essere interpretato nel senso invocato dal ricorrente, giacché tale norma non consente dubbi sul fatto che il versamento diretto dell'assegno di mantenimento al figlio maggiorenne non è una facoltà dell'obbligato, ma può derivare solo da una decisione del giudice.

La Suprema Corte, pertanto, rigetta il ricorso, dichiarando la infondatezza dei motivi addotti.

Osservazioni

Il mantenimento della prole maggiorenne trova una specifica regolamentazione per le ipotesi di crisi della famiglia nell'art. 337-septies c.c., disposizione introdotta dal d.lgs. 28 dicembre 2013,n. 154, che riproduce la formulazione dell'abrogata norma di cui all'art. 155-quinquies c.c., dettata dalla l. 8 febbraio 2006, n. 54. La disciplina contenuta nell'art. 337-septies c.c. prevede che il giudice, valutate le circostanze, possa disporre in favore dei figli che abbiano raggiunto la maggiore età ma che non siano ancora economicamente autosufficienti, il pagamento di un assegno periodico; tale assegno è versato direttamente all'avente diritto, salvo diversa determinazione del giudice.

Ora, è abituale che il figlio maggiorenne non economicamente indipendente continui a vivere con uno dei genitori dopo la loro separazione, sicché sarà il genitore convivente ad occuparsi materialmente delle spese per la soddisfazione di tutte le esigenze relative al suo mantenimento.

Sotto il profilo della legittimazione, l'indirizzo della Corte di Cassazione, anche quello formatosi prima dell'introduzione nel 2006 dell'art. 155-quinquies c.c., è uniforme nel ritenere sussistente accanto al diritto al mantenimento del figlio maggiorenne, il diritto del genitore con lui convivente di ricevere dall'altro genitore un contributo alla copertura delle spese correnti per tale mantenimento, in virtù del comune dovere nei confronti della prole ai sensi degli artt. 147 e 148 c.c.. Il genitore convivente e il figlio maggiorenne sono titolari di diritti autonomi benché concorrenti, ed entrambi sono, dunque, legittimati a percepire l'assegno di mantenimento dal genitore obbligato (cfr.: Cass. civ. 25300/2013; Cass. 21437/2007; Cass. civ. 4188/2006; Cass. civ. 8007/2005; Cass. civ. 9067/2002). Secondo una parte della dottrina (Bianca), la legittimazione del figlio si fonda sulla titolarità del diritto al mantenimento, mentre quella del genitore trova fondamento nella continuità dei doveri di mantenimento che gravano su di lui in relazione alla convivenza.

Orbene, ancorché l'art. 337-septiesc.c. (già art. 155 quinquies c.c.) riconosca il diritto del figlio maggiorenne di percepire direttamente l'assegno periodico, concorrendo il suddetto diritto con quello del genitore convivente, il pagamento diretto sarà subordinato ad una specifica richiesta da parte del figlio. In mancanza di tale richiesta, il genitore obbligato non ha alcuna autonomia nella scelta del soggetto nei cui confronti adempiere (sul punto, cfr. Cass. civ. 18008/2018; v., inoltre, Cass. civ. 24316/2013 che ammette la possibilità per il figlio di richiedere anche «informalmente» la corresponsione diretta dell'assegno).

Nel caso esaminato dall'ordinanza in commento, la sentenza di separazione dei coniugi aveva posto a carico del padre l'obbligo di versamento alla madre di un assegno mensile a titolo di contributo al mantenimento del figlio, minore di età al momento della separazione dei propri genitori.

Il Supremo Collegio, nel caso in esame, ha escluso la possibilità per il genitore obbligato di decidere di corrispondere quanto dovuto direttamente al figlio - che nel frattempo aveva raggiunto la maggiore età - in assenza di un provvedimento giurisdizionale di mutamento delle statuizioni contenute nella sentenza di separazione che indicava la madre quale creditore dell'assegno, non rilevando a tal fine l'accordo tra i soggetti obbligati, considerato nullo e privo di effetti dai giudici di legittimità. La pronuncia de qua pone in evidenzia il carattere indisponibile della determinazione dell'assegno di mantenimento della prole, in quanto rispondente ad un superiore interesse della stessa, sottratto, quindi, all'autonomia delle parti.

Invero, secondo i giudici di legittimità, la lettura dell'art. 337-septies c.c. non pone dubbi sul fatto che il pagamento dell'assegno direttamente al figlio invece che al genitore convivente, può essere disposto solo dal giudice.

La concorde volontà delle parti, pertanto, non può avere di per sé l'effetto di autorizzare il versamento diretto, sostituendo il creditore fissato dal provvedimento giudiziale; con la conseguenza che il genitore obbligato, pur versando l'importo dovuto nelle mani del figlio che effettivamente utilizza tali somme per mantenersi, sarà inadempiente nei confronti dell'altro genitore, il cui diritto di percepire il contributo non viene meno con il conseguimento della maggiore età del figlio, che potrà, se lo vorrà, agire giudizialmente per domandare la corresponsione diretta dell'assegno, al fine di poter gestire da sé o d'intesa con il genitore con il quale egli vive, le risorse economiche finalizzate al proprio mantenimento.

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