Caducazione del titolo esecutivo ed effetti nel giudizio di opposizione all'esecuzione

01 Settembre 2021

La giurisprudenza e la dottrina, pur partendo dalla comune premessa della possibilità del rilievo anche d'ufficio della caducazione sopravvenuta del titolo in sede oppositiva, si dividono profondamente nelle conseguenze del venir meno del titolo esecutivo in corso di causa, con significative ricadute sul tema della liquidazione delle spese di lite, dando così vita ad un contrasto poi sfociato nella rimessione della questione alle Sezioni unite della Corte di cassazione.
Breve premessa

Spesso accade che nel corso del giudizio di opposizione all'esecuzione venga meno il titolo esecutivo che il creditore aveva posto a fondamento dell'azione esecutiva.

In giurisprudenza, ci si è chiesti quale sia la sorte del giudizio di opposizione pendente. Frequentemente, i giudici di merito sono soliti dichiarare la cessazione della materia del contendere del giudizio di opposizione, ma non sono mancate soluzioni diversificate, al punto di spingere la terza sezione della S.C. (il riferimento è a Cass. civ., 26 febbraio 2020, n. 6422, in questa Rivista) a rimettere gli atti al Primo Presidente per la sua eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, data l'esistenza di un contrasto sul punto.

La tesi dell'irrilevanza della caducazione del titolo esecutivo nel caso in cui l'inesistenza di quest'ultimo non costituisca motivo di opposizione all'esecuzione

Per una parte minoritaria della giurisprudenza, se l'inesistenza del titolo non costituiva motivo dell'opposizione all'esecuzione, il fatto sopravvenuto diviene irrilevante, dovendosi decidere l'opposizione sulla base della fondatezza dei motivi originari posti dal debitore a fondamento della sua domanda, senza che la successiva caducazione del titolo acquisti rilievo ai fini della decisione. A base di questa proposta interpretativa, vi è l'idea per la quale ogni motivo di opposizione costituisce una autonoma causa petendi della conseguente domanda, per cui, da un lato il debitore non potrebbe cambiare nel corso del processo la ragione della sua richiesta di dichiarare l'inesistenza del diritto di procedere ad esecuzione forzata e, per altro verso, il giudice non potrebbe, senza violare il principio della domanda e quello della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, porre a fondamento della sua decisione un motivo diverso da quello posto a base della domanda di opposizione.

Quest'indirizzo, cui aderisce la decisione oggetto del ricorso per cassazione che ha originato la rimessione della questione alle Sezioni Unite (App. Firenze, 21 novembre 2016, n. 1932), pone il problema di stabilire se sia consentito al giudice dell'esecuzione di prendere atto del venire meno del titolo esecutivo, con conseguente dichiarazione di improcedibilità dell'esecuzione in corso e con l'ulteriore effetto di verificare se in conseguenza di questo evento non possa autorizzarsi il giudice dell'opposizione di considerare il venir meno dell'interesse delle parti alla prosecuzione del giudizio.

La tesi della rilevanza del venir meno del titolo qualunque sia il motivo dell'opposizione dell'esecuzione

Per altro orientamento, sostenuto da decenni dalla Cassazione, è ammissibile e rilevante la caducazione del titolo esecutivo in sede di opposizione (e ciò anche se anche se il venir meno del titolo esecutivo dipenda dall'estinzione del processo per inattività del creditore; così, per es. Cass. civ., 19 maggio 2011, n.11021) qualunque sia il motivo per il quale la stessa era stata proposta; ciò in quanto, se si vuole tenere fermo il principio della necessità dell'esistenza del titolo esecutivo per tutto il corso dell'esecuzione, non frustrando le esigenze di economia processuale, che mal sopporterebbero la necessità di una ulteriore opposizione del debitore diretta a far valere l'inesistenza del diritto di procedere ad esecuzione giustificata dall'annullamento del titolo è da guardare con scarso favore una soluzione che costringa il giudice dell'opposizione a pronunciarsi su una materia oramai superata/estinta dal sopravvenire della caducazione.

Il giudice dell'opposizione, preso atto dell'inesistenza sopravvenuta del titolo esecutivo, dichiara pertanto la cessazione della materia del contendere, alla luce della sopravvenuta carenza di interesse alla pronuncia sulla domanda originaria e liquida le spese, imponendone il pagamento al creditore opposto (salva l'eventualità di una compensazione ove ne ricorrano i presupposti), senza cioè valutare l'originaria fondatezza dell'opposizione, irrilevante alla luce della (sia pure successiva) mancanza del titolo esecutivo. In altri termini, in sede di opposizione all'esecuzione, con cui si contesta il diritto di procedere all'esecuzione forzata perché il credito di chi la minaccia o la inizia non è assistito da titolo esecutivo, l'accertamento dell'idoneità del titolo a legittimare l'azione esecutiva si pone come preliminare dal punto di vista logico per la decisione sui motivi di opposizione, anche se questi non investano direttamente la questione. Pertanto, dichiarata cessata la materia del contendere per effetto del preliminare rilievo dell'avvenuta caducazione del titolo esecutivo nelle more del giudizio di opposizione, questa deve ritenersi fondata per qualunque motivo sia stata proposta, e il giudice dell'opposizione non può, in violazione del principio di soccombenza, condannare l'opponente al pagamento delle spese processuali, sulla base della disamina dei motivi proposti, risultando detti motivi assorbiti dal rilievo dell'avvenuta caducazione del titolo con conseguente illegittimità ex tunc dell'esecuzione.

Come accennato, questa soluzione è da tempo patrocinata da parte della giurisprudenza: così Cass civ.,13 marzo 2012, n.3977; Cass civ., 28 giugno 2014, n.18251; Cass. civ., 9 agosto 2019, n. 21240, in Giur.it., 2020, 329, con nota di Barafani, La caducazione del titolo esecutivo in sede di opposizione all'esecuzione; Cass. civ., 6 settembre 2017, n. 20868. Si pone in linea con quest'orientamento Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata, Milano, 2017, 1979, la quale osserva che al giudice dell'opposizione deve essere riconosciuto il potere di rilevare d'ufficio il venir meno del titolo, non potendogli attribuire poteri inferiori a quelli assegnati al giudice dell'esecuzione e che risulta equo, in questi casi, disporre la compensazione delle spese.

Alla base di tale idea vi è una particolare applicazione della dichiarazione di cessazione della materia del contendere, non più accompagnata da una disamina della originaria fondatezza della domanda ai fini della liquidazione delle spese, secondo il criterio della c.d. soccombenza virtuale (che caratterizza e forse giustifica l'utilizzo di questa particolare formula terminativa del giudizio), ma in qualche misura impone una regolamentazione delle spese «a rime obbligate», imponendole sempre a carico del creditore, considerato soccombente nel giudizio di opposizione.

La tesi che opta per la dichiarazione di cessazione della materia del contendere ma che fa applicazione della c.d. soccombenza virtuale

Per altra impostazione, seguita negli ultimi anni dalla terza sezione civile della S.C., il giudice dell'opposizione pronuncia sì la cessazione della materia del contendere, ma facendo applicazione della c.d. soccombenza virtuale, in forza della quale, come è noto, le spese devono essere pagate da colui il quale sarebbe risultato soccombente all'esito del giudizio in mancanza del fatto nuovo (ovvero, secondo una prospettiva solo parzialmente coincidente, al quale è riconducibile la responsabilità di avere dato causa al giudizio). Ne deriva che nulla esclude che il debitore sia condannato al pagamento delle spese se la sua opposizione in mancanza del fatto nuovo sarebbe stata destinata al rigetto, per esempio perché basata su motivi di opposizione non ritenuti fondati o ammissibili. Questa posizione si fonda sulla convinzione che non necessariamente l'opposizione del debitore risulti fondata, e che dunque non vada premiato solo perché nelle more di un giudizio di opposizione (magari proposta senza alcuna speranza di successo, solo per puntare, magari ad una non meditata sospensione dell'esecuzione) è venuto meno il titolo esecutivo (Cass. civ., 29 novembre 2018, n. 30857; Cass. civ., 11 dicembre 2018, n.31955, Foro it., 2019, I, 3728, con nota di Nicolella, Gli effetti della sopravvenuta carenza del titolo nel giudizio di opposizione all'esecuzione; Cass. civ., 17 gennaio 2020, n.1005). Da ciò deriva che il processo non può concludersi con una pronuncia che dichiari fondata un'opposizione che, sulla base del motivo proposto, era da considerare infondata nel momento in cui è stata proposta sulla base del motivo indicato dal debitore (che si ricordi, secondo l'orientamento prevalente in giurisprudenza, costituisce autonoma causa petendi dell'azione del debitore e non è sostituibile dal giudice il quale d'ufficio rilevi l'esistenza di un diverso motivo di inesistenza del diritto di procedere ad esecuzione); a ciò si aggiunga come, a ragionare diversamente, la disciplina delle spese sarebbe casuale, nel senso che finirebbe per dipendere dal tempo in cui avviene la caducazione del titolo. Se essa interviene nel corso del giudizio di opposizione le spese sono a carico del creditore, al contrario di quanto sarebbe accaduto se al momento della decisione sull'opposizione la caducazione non si fosse ancora realizzata, ipotesi nella quale il debitore soccombente sarebbe stato destinato a pagare le spese. La dichiarazione di cessata materia del contendere, insomma, da un lato garantirebbe una definizione del giudizio coerente con il venir meno dell'interesse a pronunciarsi sul diritto originario a procedere all'esecuzione, e dall'altro lato una regolamentazione delle spese più equa, che tenga conto della fondatezza originaria dell'opposizione.

La tesi secondo cui la caducazione del titolo esecutiva determina la sopravvenuta fondatezza dell'opposizione

Secondo un'ultima prospettiva, seguita da altre pronunce della Cassazione, infine, la caducazione del titolo determina la sopravvenuta fondatezza dell'opposizione, che dunque va accolta, con tutte le conseguenze che ne derivano in punto di regolamentazione delle spese, di regola poste a carico del creditore opposto (così Cass civ., 13 luglio 2011, n. 15363, in www.expartecreditoris.it che, accogliendo un ricorso per cassazione proposto nei confronti di una sentenza che aveva affermato l'impossibilità per il giudice dell'opposizione di rilevare la caducazione del titolo ove un tale argomento non costituisse motivo di opposizione, ha deciso il merito accogliendo l'opposizione stessa); in dottrina propendono per questa tesi, Scala, La cessazione della materia del contendere nel processo civile, Torino, 2001, 273, nota 259; Nicolella, op. ult. cit., e Barafani, op. ult. cit., la quale aggiunge che la più corretta qualificazione dell'esistenza del titolo rispetto alla decisione sull'opposizione all'esecuzione è quella di questione preliminare di merito rilevabile dal giudice in forza del principio di decisione sulla base della ragione più liquida). In questa logica, l'eventuale infondatezza originaria della domanda del debitore rileva solo al fine di una compensazione delle spese, mentre l'eventuale abuso dello strumento dell'opposizione può essere sanzionato applicando l'art.92 c.p.c.in tema di condanna alle spese della parte che ha violato i doveri di lealtà e probità.

A base di questa soluzione vi è la constatazione che l'istituto della cessazione della materia del contendere causato da ragioni di ordine sostanziale presuppone il sopraggiungere di un evento dal quale derivi la realizzazione del diritto controverso (per es. il pagamento richiesto nella domanda) o la sostituzione della fonte di regolamentazione del rapporto tra le parti sul piano sostanziale (come accade nel caso di transazione), trascurando il caso di un evento che renda impossibile la realizzazione dell'evento richiesto (per es. la morte di una parte in giudizi relativi a diritti intrasmissibili): si tratta dunque di ipotesi nelle quali si può discorrere di infondatezza sopravvenuta della domanda (tanto è vero che in dottrina si è prospettata in alternativa alla dichiarazione di cessata materia del contendere la pronuncia di rigetto della domanda). Quando invece sopraggiunge un fatto nuovo che rende fondata la pretesa in origine astrattamente infondata (per es. la scadenza del termine per l'adempimento) è necessaria, per ragioni di economia processuale una pronuncia che, preso atto del fatto nuovo, accolga la domanda. Se dunque si considera l'esistenza del titolo esecutivo come fatto costitutivo dell'azione esecutiva e fondata una opposizione che ne denunci la mancanza, non dovrebbe rilevare il momento in cui tale evento si verifica, conducendo in ogni caso all'accoglimento della domanda del debitore esecutato. Non emergono ragioni per utilizzare formule diverse, neanche in punto di liquidazione delle spese, potendosi utilizzare gli strumenti forniti dagli articoli 91 e seguenti del codice di rito per regolare il caso di opposizione infondata o di comportamento scorretto del debitore.

Per quest'indirizzo, seguire tale soluzione non comporta un eccessivo pregiudizio per la posizione del creditore, il quale, nell'iniziare l'esecuzione sulla scorta di un titolo esecutivo non definitivo, assume il rischio che possa essere caducato successivamente, in un sistema nel quale, non si dimentichi, l'art. 336 c.p.c. consente l'annullamento di tutti gli atti di esecuzione compiuti sulla base di una sentenza di riforma del titolo esecutivo non ancora passata in giudicato e dunque suscettibile di ulteriore impugnazione.

Vi è poi un ulteriore elemento che spinge a considerare con favore l'idea che non sia necessario scomodare formule di definizione del processo atipiche nel caso considerato: emergono molteplici dubbi sulla natura della sentenza di cessata materia del contendere, discutendosi in particolare se si tratti di una pronuncia di merito o di mero rito. Se si accogliesse la seconda alternativa, la pronuncia che accerta il sopraggiungere del venir meno del titolo esecutivo potrebbe non impedire al creditore di iniziare una nuova esecuzione sulla base dello stesso titolo (di cui magari contesta l'effettiva caducazione, come potrebbe accadere nel caso di un provvedimento di annullamento del titolo non considerato già esecutivo da parte del creditore), mentre invece dubbi ed incertezze non potrebbero porsi nel caso di sentenza di accoglimento dell'opposizione, sicuramente in grado di impedire la riattivazione della procedura esecutiva.

Alla luce del quadro che precede, si comprende perché Cass civ., 26 febbraio 2020, n. 6422 ha ritenuto necessario rimettere la questione alle Sezioni Unite, affinché si pronuncino sul punto, nell'auspicio che il S.C. chiarisca anche quali sono le implicazioni sistematiche che possono derivare dalla scelta delle varie possibili soluzioni proposte.

Riferimenti
  • Barafani, La caducazione del titolo esecutivo in sede di opposizione all'esecuzione, in Giur. it., 2020, 328 ss.;
  • Crivelli, Alle Sezioni Unite la questione degli effetti della caducazione del titolo sul giudizio d'opposizione, in www.giustiziacivile.com;
  • Farina P., Il nuovo art. 615 c.p.c. e le preclusioni tra discutibili esigenze sistematiche e rischi di un'esecuzione ingiusta, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2017, 258 ss.;
  • Giordano R., L'opposizione all'esecuzione, in Arieta – Didone – De Santis (diretto da), Codice commentato delle esecuzioni civili, 2016, 2455 ss.;
  • Nicolella, Gli effetti della sopravvenuta carenza del titolo nel giudizio di opposizione all'esecuzione, in Foro it., 2019, I, 3728 ss.;
  • Vincre, L'«improcedibilità» dell'espropriazione e l'opposizione all'esecuzione, in Riv. dir. proc., 2018, 1651 ss.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario