02 Settembre 2021

Scopo dell'azione revocatoria ordinaria e fallimentare esperita dal Curatore è la ricostituzione della garanzia patrimoniale generica del fallito strettamente funzionale a consentire l'esecuzione diretta sul bene o ottenere il controvalore in denaro. Pertanto, intrapresa con successo l'azione revocatoria degli atti di cessione di una posizione contrattuale già del fallito, la stessa non viene ripristinata in sé in capo alla massa per effetto dell'accoglimento della domanda di revoca e non attribuisce all'organo concorsuale le facoltà esercitabili per i rapporti pendenti alla data del fallimento.

Scopo dell'azione revocatoria ordinaria e fallimentare esperita dal Curatore è la ricostituzione della garanzia patrimoniale generica del fallito strettamente funzionale a consentire l'esecuzione diretta sul bene o ottenere il controvalore in denaro. Pertanto, intrapresa con successo l'azione revocatoria degli atti di cessione di una posizione contrattuale già del fallito, la stessa non viene ripristinata in sé in capo alla massa per effetto dell'accoglimento della domanda di revoca e non attribuisce all'organo concorsuale le facoltà esercitabili per i rapporti pendenti alla data del fallimento.

Questo il principio di diritto tracciato nella sentenza in esame in tema di azione revocatoria fallimentare di cessione del contratto di leasing, all'esito della quale la Suprema Corte, nel solco dei principi di diritto pacifici in tema di azione revocatoria fallimentare ed ordinaria, ha definito l'ambito delle prerogative e dei poteri in concreto spettanti al Curatore a seguito dell'accoglimento della domanda di revoca.

La vicenda oggetto di causa – il giudizio di primo grado - A seguito del fallimento della società Alfa, il curatore fallimentare agiva in giudizio al fine di sentire dichiarata l'inefficacia ex art. 64 l.fall. in subordine ex art. 67, comma 1, l.fall. e, in ulteriore subordine, ex art. 66 l.fall. e art. 2901 c.c., della cessione di due contratti di leasing intervenuta tra la fallita ed una società terza. Dichiarava inoltre l'attore, quale conseguenza dell'intervenuta revoca delle cessioni, di volere esercitare le prerogative contrattuali previste dall'art. 72 l.fall. e, a seguito della retrocessione del bene alla società di leasing, ottenendo la restituzione dei canoni ex art. 1526 c.c., detratto l'equo indennizzo.

Accolta la domanda subordinata di revocatoria ordinaria nei confronti di tutti i soggetti attinti (società di leasing, società cessionaria del contratto e società subcessionaria chiamata in causa), il Tribunale affermava il rientro della titolarità contrattuale in capo al Curatore, con conseguente possibilità di optare ai sensi dell'art. 72 l.fall. per lo scioglimento del contratto ottenendo la restituzione dei canoni pagati al netto dell'equo indennizzo.

L'overturning della Corte d'Appello - La Corte di merito, in accoglimento del gravame proposto dalla società di leasing, escludendo la legittimazione passiva della società concedente non partecipe dell'atto depauperativo, affermava che dall'inefficacia relativa dell'atto conseguente la pronuncia di revoca non discende l'effettiva reintegrazione del patrimonio del debitore, ma solo l'inefficacia relativa dell'atto senza effetti restitutori o traslativi, né riacquisto della posizione contrattuale originaria in guisa da consentire l'esercizio delle prerogative discendenti dalla pendenza del rapporto alla data del fallimento.

La risposta della Corte di Cassazione - L'ambito del giudicato di revoca e gli effetti costitutivi (meramente finalizzati all'esecuzione) dell'inefficacia relativa dell'atto. La sentenza qui annotata, confermando la decisione della Corte di merito, resta fedele al solco tracciato dalla giurisprudenza di legittimità in relazione agli effetti dell'azione revocatoria ordinaria e fallimentare.

L'oggetto della domanda di revocatoria (ordinaria o fallimentare), afferma la Corte, non è il bene in sé, ma la reintegrazione della generica garanzia patrimoniale dei creditori mediante l'assoggettabilità del bene ad esecuzione. Non avviene dunque alcuna retrocessione della titolarità dominicale in capo al fallito (e dunque al Curatore), ma sorge il diritto a disporne esecutivamente al fine di ristabilire l'equilibrio patrimoniale alterato dall'atto.

Conseguenza diretta è che il bene dismesso con l'atto impugnato dal Curatore viene in considerazione, rispetto all'interesse di quei creditori, soltanto per il suo valore; ricorda dunque la Corte che i creditori dell'alienante (e per essi il curatore fallimentare ove l'alienante sia fallito) restano tutelati nella garanzia patrimoniale generica dalle regole del concorso, nel senso che possono insinuarsi al passivo del fallimento dell'acquirente per il valore del bene oggetto dell'atto di disposizione astrattamente revocabile, demandando al giudice delegato di quel fallimento anche la delibazione della pregiudiziale costitutiva (così richiamando espressamente Cass. civ., sez. un., 24 novembre 2020, n. 12476).

Sotto diverso e fondamentale profilo, la Corte richiama poi l'ulteriore consolidato principio secondo cui la sentenza che accoglie la domanda revocatoria, sia essa ordinaria o sia fallimentare ha natura costitutiva, in quanto modifica "ex post" una situazione giuridica preesistente, sia privando di effetti, atti che avevano già conseguito piena efficacia, sia determinando, conseguentemente, la restituzione dei beni o delle somme oggetto di revoca alla funzione di generale garanzia patrimoniale ed alla soddisfazione dei creditori (anche in questo caso è diretto il richiamo al precedente di cui Cass. civ., sez. un., 23 novembre 2018, n. 30416).

Il primo corollario: il difetto di legittimazione passiva del contraente ceduto nel contratto a prestazioni corrispettive. Se scopo dell'azione è la ricostituzione della garanzia patrimoniale, la domanda va rivolta esclusivamente nei confronti dei soggetti che abbiano partecipato al depauperamento patrimoniale, dunque nel caso a mano cedente e cessionario del contratto.

In un contratto a prestazioni corrispettive quale quello di leasing traslativo, conseguenza diretta è secondo la Corte il difetto di legittimazione passiva del contraente ceduto in difetto di prova della compartecipazione all'intento depauperativo, restando irrilevante l'eventuale consenso al subentro del contraente ai sensi dell'art. 1406 c.c., elemento estraneo al rapporto contrattuale impugnato dall'attore in revocatoria (non il trasferimento di un bene, ma la cessione del contratto).

Gli ulteriori (e centrali) corollari: l'interesse all'azione del Curatore ed il perimetro degli effetti della revoca. Proseguendo lo scrutinio dei due profili dedotti dalla Curatela, in punto di interesse all'azione in capo al Curatore, la Corte evidenzia che la portata recuperatoria e l'esemplificazione esecutiva dell'azione revocatoria delimita altresì il perimetro delle iniziative esperibili dall'Ufficio fallimentare a seguito del vittorioso esperimento della stessa.

Assicurando la neutralità dell'atto dispositivo, ma non certo la sua inesistenza giuridica, assume rilievo ai fini dell'interesse dei creditori esclusivamente il valore economico del bene, garantito anche, in caso di impossibilità di recupero ai fini liquidatori dalla richiesta di condanna per equivalente a carico dei convenuti in revocatoria.

Secondo la Corte, pertanto, nessun pregiudizio deriva al Curatore dall'impossibilità di esercitare le prerogative previste per i rapporti pendenti alla data del fallimento, optando qualora utile per la massa per lo scioglimento del contratto. Il pregiudizio che la revocatoria neutralizza è invece la scomposizione qualitativa o quantitativa del patrimonio del debitore, indebolito nella sua consistenza originaria dall'atto depauperativo. Ritenere invece che la pronuncia di revoca ripristini la situazione contrattuale preesistente all'atto significherebbe equiparare gli effetti dell'azione revocatoria a quelli delle ordinarie azioni contrattuali, ricostruzione che la Corte ritiene assolutamente non condivisibile.

Considerazioni conclusive. Appare dunque marcata la distinzione tra la funzione dell'azione revocatoria e gli effetti delle azioni contrattuali eventualmente esperibili dal Curatore (nullità/simulazione, annullabilità, rescissione) e tese a ripristinare lo status quo ante sul piano contrattuale esistente al momento del fallimento. E' chiaro per la Corte che l'inefficacia relativa conseguente alla dichiarazione di revoca non restituisce al Curatore la pienezza della posizione dominicale ceduta, bensì la sola legittimazione a procedere alla liquidazione del bene oggetto dell'azione (osservando in ogni caso la Corte che, per effetto dei pagamenti medio tempore intervenuti, nonché della risoluzione intervenuta nei confronti del subcessionario, la posizione “ripristinata” non avrebbe giammai potuto essere quella esistente al momento del fallimento).

Fonte:

dirittoegiustizia.it

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