Scaduta la proroga biennale, nell'inerzia delle parti, i contratti di locazione agevolati si rinnovano ogni volta tacitamente per un ulteriore biennio

Luca Malfanti Colombo
03 Settembre 2021

La fattispecie sottoposta all'esame del giudice di merito sabaudo aveva per oggetto la verifica (in caso di mancata disdetta esercitata dai contraenti nei termini di legge) della reale durata dei taciti rinnovi, successivi alla prima proroga contrattuale normativamente prevista, del contratto di locazione a canone agevolato (o concordato), stipulato dalle parti ex art. 2, comma 5, della l. n. 431/1998; il tutto nel tentativo di chiarire, così in via definitiva, il significato dell'espressione “alle medesime condizioni” previsto, appunto, per il tacito rinnovo, dall'ultimo periodo del menzionato articolo.
Massima

In tema di locazione abitativa a canone agevolato (o concordato), al termine della proroga biennale - prevista “di diritto” per il caso in cui le parti, alla prima scadenza del contratto, non concordino sul rinnovo del medesimo - ove manchi la comunicazione di disdetta, da effettuarsi a cura di ciascun contraente nei termini previsti dalla normativa ad hoc dettata, il contratto locativo deve intendersi tacitamente rinnovato, a ciascuna scadenza, per un ulteriore biennio; il tutto giusta il disposto dell'art. 19-bis del d.l. n. 34/2019 (c.d. decreto Crescita) che, integrando l'art. 2, comma 5, ultimo periodo, della l. n. 431/1998, ne precisa così il significato quanto alla previsione del tacito rinnovo “alle medesime condizioni”.

Il caso

La controversia prendeva le mosse dall'azione, promossa dalla locatrice, volta ad accertare e dichiarare non solo la risoluzione, per finita locazione, del contratto di affitto dalla medesima in precedenza stipulato con la conduttrice convenuta ex art. 2, comma 3, della l. n. 431/1998 ma anche, di conseguenza, la condanna di quest'ultima al rilascio dell'immobile locato libero da persone e cose; il tutto con la fissazione altresì del termine minimo di legge per il relativo rilascio. La locatrice proponeva, quindi, istanza citando in giudizio la conduttrice, quale parte opposta, innanzi il Tribunale di Torino.

La questione

Si trattava, quindi, di stabilire l'effettiva durata dei rinnovi tacitamente verificatisi successivamente alla scadenza della prima proroga contrattuale, come previsto dalla normativa per i contratti di locazione a canone agevolato (o concordato). Nello specifico, veniva demandato all'autorità giudiziaria di accertare l'avvenuta scadenza o meno dei termini di validità del contratto locativo oggetto d'esame. Il tutto tenendo conto che il medesimo, rientrante fra quelli di cui all'art. 2, comma3, della l. n. 431/1998, prevedeva innanzitutto (al comma 5 della citata legge) una proroga biennale, al termine dei primi tre anni canonici di durata, e successivamente, per il caso di inerzia delle parti, un tacito rinnovo “alle medesime condizioni”. Una locuzione, quest'ultima, che, a causa della propria ambiguità, non consentiva quindi alle parti di stabilire con certezza se il contratto de quo (già più volte tacitamente rinnovatosi essendo scaduta la prima proroga biennale) potesse definirsi o meno ancora valido ed efficace, non essendovi infatti chiarezza alcuna, in proposito, circa la durata - nel caso di specie, biennale o quinquennale - di ciascun tacito rinnovo verificatosi.

Le soluzioni giuridiche

Sul punto, il Tribunale di Torino ha ritenuto fondata l'istanza presentata dalla locatrice - e, quindi, potersi dichiarare risolto tra le parti il contratto per finita locazione, con il conseguente rilascio dell'immobile, a cura della convenuta, libero da persone e cose - in quanto era stata riscontrata l'intervenuta scadenza dell'ultimo rinnovo contrattuale, tacitamente verificatosi al pari dei precedenti, a seguito del naturale decorso del primo biennio di proroga prevista ex lege per i contratti agevolati (o concordati).

Il giudice di merito ha affermato, in particolare, che il tacito rinnovo del contratto di locazione (stipulato tra le parti originarie a canone agevolato e successivo alla prima scadenza della anzidetta proroga, deve intendersi avente ogni volta durata solo biennale. E ciò alla luce del combinato disposto degli artt. 2, comma 5, della l. n. 431/1998 e 19-bis del d.l. n. 34/2019 (quest'ultimo poi convertito nella l. n.58/2019). Nello specifico, la prima disposizione infra richiamata afferma, all'ultimo capoverso, che, qualora le parti (scadendo il periodo di proroga biennale) non dovessero per tempo attivarsi né per l'esercizio della facoltà di disdetta né per il rinnovo della locazione a nuove condizioni, il relativo contratto si rinnoverebbe automaticamente per via tacita “alle medesime condizioni”. In proposito, l'art. 19-bis del sopra citato decreto Crescita, nel tentativo di chiarire in via definitiva il significato di sì nebulosa espressione, ha quindi precisato che il menzionato tacito rinnovo deve intendersi, ad ogni scadenza, “di un ulteriore biennio”.

Da quanto sopra, emerge dunque che il contratto di locazione concordata oggetto di vertenza (una volta scaduta la prima durata triennale e la conseguente proroga biennale) doveva ritenersi tacitamente rinnovato, nell'inerzia degli interessati, di due anni per volta. E ciò fino all'ultima scadenza debitamente indicata dall'attrice, la quale, come dimostrato agli atti, aveva quindi provveduto ad interromperne definitivamente l'automatica rinnovazione mediante apposita comunicazione all'uopo inviata alla conduttrice nel rispetto dei modi e dei termini di cui alle succitate disposizioni normative. Per l'organo giudicante, pertanto, prive di fondamento sono risultate alcune osservazioni avanzate per contro dalla parte convenuta a sostegno delle proprie ragioni. Tra queste, innanzitutto, il fatto per cui il rinnovo del contratto di affitto (successivo alla scadenza del primo biennio di proroga) avrebbe dovuto intendersi ogni volta quinquennale e non biennale; e ciò per l'asserita impossibilità di applicare, con effetto retroattivo, il citato art. 19-bis ad una locazione (quale quella oggetto di causa) iniziata in data anteriore all'emanazione del richiamato provvedimento. Una situazione, quella ora descritta, che avrebbe perciò reso il contratto locativo in argomento interpretabile alla stregua della sola normativa codicistica di cui agli artt. 1362 ss. c.c.

A tal proposito, il giudice torinese ha ribadito che la validità dell'art. 19-bis (e la sua applicabilità al contratto in esame) non può essere messa in discussione e deriva dal fatto che la detta disposizione “integra ed interpreta ma non sostituisce l'art. 2, comma 5, della l. n. 431/1998 limitandosi a precisare il significato della locuzione alle medesime condizioni». In altre parole, la summenzionata norma non ha comportato alcuna modifica, con efficacia retroattiva, della l.n. 431/1998, ma si limita semplicemente a chiarirne la portata. E in ciò essa ha tradotto in pratica una facoltà che, come ha sottolineato (a titolo rafforzativo) il giudice di merito, la stessa giurisprudenza costituzionale ha più volte in passato già confermato in capo al legislatore. Ovvero, questi ha la possibilità di “adottare norme che precisino il significato di altre disposizioni legislative non solo quando sussista una situazione di incertezza nell'applicazione del diritto o vi siano contrasti giurisprudenziali, ma anche in presenza di un indirizzo omogeneo, quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, con ciò vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore». Da ciò deriva, per l'organo giudicante, che l'art. 19-bis del c.d. decreto Crescita avrebbe potuto dirsi illegittimo, nel caso di specie, solo qualora non avesse imposto (come invece è avvenuto) “una scelta rientrante tra le possibili varianti di senso del testo originario” della legge in materia locativa.

Un'altra osservazione avanzata dalla convenuta, ed inaccettabile per il Tribunale di Torino, riguarda l'asserita

improcedibilità dell'azione attorea, con l'improponibilità della relativa domanda, per vizio di forma. È stato invero fatto notare che l'attrice, considerando conclusa la durata del contratto di locazione, avrebbe dovuto proporre la propria istanza nei termini di “sfratto per finita locazione” e non, come invece è avvenuto, quale “intimazione di licenza per finita locazione”. Sotto questo profilo, tuttavia, il giudice torinese ha precisato trovare applicazione il principio della prevalenza dell'interpretazione sostanziale degli atti su quella formale. Un criterio in virtù del quale deve ritenersi che l'attrice abbia sostanzialmente proposto l'azione di “sfratto per finita locazione” (ex art. 657, comma 2, c.p.c.) a prescindere dalla qualificazione letterale data alla medesima. La domanda giudiziale deve quindi essere interpretata “con riferimento alla reale volontà della parte, avuto riguardo alla finalità perseguita che si evince dall'intero contenuto dell'atto, volontà che nel caso in esame risulta essere, per l'attrice, quella di intimare lo sfratto per finita locazione in considerazione della già avvenuta scadenza del contratto”.

Osservazioni

L'art. 2, comma 3, della l. n. 431/1998 regolamenta i contratti di locazione cd. “agevolati” o “concordati”. Tale disposizione, dopo aver determinato la durata (non inferiore nel minimo a tre anni) degli stessi, precisa che alla prima scadenza, in caso di mancato accordo tra le parti sulla relativa rinnovazione, i medesimi si prorogano di diritto per ulteriori due anni. Il tutto salva però la facoltà del locatore di intimare disdetta motivata (rectius, diniego di rinnovazione) al conduttore alla prima scadenza. La stessa norma, poi, dopo aver altresì stabilito che terminando il periodo di proroga biennale ciascuna delle parti ha diritto di intimare all'altra disdetta pura e semplice, si chiude con il precetto dal quale è originata la causa in esame, ovvero: in mancanza di disdetta, “il contratto è rinnovato tacitamente alle medesime condizioni”. Quest'ultima espressione ha generato nel tempo notevoli dubbi interpretativi, in dottrina e giurisprudenza, circa l'esatta applicazione del “rinnovo” al termine del primo periodo di scadenza, ovvero se dovesse intendersi un rinnovo di anni tre, ossia pari alla prima durata del contratto, di tre più due, pari all'intera durata comprensiva anche della proroga biennale, oppure infine se dovese intendersi una scadenza di soli due anni, pari ed uguale a quella della proroga.

In proposito, un orientamento ha interpretato l'espressione “alle medesime condizioni del tacito rinnovo, successivo al primo biennio di proroga, nel senso che il contratto di locazione deve intendersi rinnovato “ad eguale canone e durata pari a quella originariamente pattuita nella misura non inferiore ai tre anni” (Trib. Torino 26 giugno 2008, n. 4655). Viene quindi qui valorizzata, per prima, la congruità di un periodo di rinnovo non inferiore al triennio, rilevando oltretutto che differentemente dai contratti a canone libero, il legislatore avrebbe inteso ora predeterminare, per quelli a canone concordato, un differente meccanismo di rinnovo, distinguendo quest'ultimo dalla proroga nonché prevedendo l'applicazione della medesima (intesa quale istituto eccezionale e differente dal rinnovo) soltanto una volta e quindi solo alla prima scadenza contrattuale e non alle scadenze successive. In ragione della detta interpretazione, pertanto, i contratti a canone concordato, in assenza di un comportamento attivo delle parti (consistente nella disdetta del contratto) si rinnoverebbero tacitamente, dopo il primo periodo contrattuale di tre anni più due, di ulteriori tre anni.

Diversa giurisprudenza, tuttavia, è giunta a conclusioni diametralmente opposte rispetto al suddetto orientamento. In altre parole, pur convenendo sull'incertezza del dato letterale (art. 2, comma 5, l. n. 431/1998), si è ritenuto qui di dare una lettura complessiva della durata del rapporto; il tutto sostenendo che “il contratto va riguardato come sequenza unitaria, di complessivi cinque anni (tre più due), con facoltà per il locatore di esercitare motivatamente la disdetta dopo tre anni e liberamente dopo i cinque” (Trib. Bologna n. 3151/2009); con il che al termine del primo rinnovo di tre anni più due il contratto, in assenza di disdetta, si rinnoverebbe di ulteriori cinque anni.

A tale incerto quadro di riferimento giurisprudenziale, variamente articolato, sono risultati poi altri orientamenti che, con alterni provvedimenti, hanno finito per “abbracciare” ora l'una ora l'altra delle tesi sopra prospettate. E cioè, durata limitata al periodo iniziale di riferimento non inferiore al triennio, ovvero intero periodo, quale sequenza unitaria cinque anni (v., fra tutti, Trib Genova 4 dicembre 2009 e Trib. Bari 29 ottobre 2012). Nel dibattito mai sopito della dottrina e giurisprudenza, si è quindi inserito il legislatore che, smentendo perciò le previe impostazioni, ha ritenuto di introdurre nel d.l. n. 34/1019, poi convertito in l. n. 58/2019, l'art. 19-bis, con il quale ha integrato (specificandolo) il comma 5 dell'art. 2 della l. n. 431/1998. Il tutto prevedendo la scelta di limitare la durata del tacito rinnovo (successivo alla prima proroga) al biennio e così, per ogni successivo tacito rinnovo, di biennio in biennio. Questa invero la previsione dell'art. 19-bis: “il quarto periodo del comma 5 dell'articolo 2 della legge 9 dicembre 1998 n. 431, si interpreta nel senso che, in mancanza della comunicazione ivi prevista, il contratto è rinnovato tacitamente, a ciascuna scadenza, per un ulteriore biennio». Grazie alla disposizione da ultimo richiamata il legislatore ha quindi definitivamente “ancorato”, per i contratti agevolati (o concordati), il termine di durata dei rinnovi taciti a quello della prima proroga biennale prevista ex lege dopo la prima scadenza, nel minimo triennale, dei detti contratti. Il tutto realizzando tra l'altro per la prima volta, come è stato fatto notare da parte della dottrina (fra tutti, v. Di Marzio e Grasselli), anche un'esplicita equiparazione fra le due terminologie della proroga e, appunto, del rinnovo contrattuale e risolvendo perciò in merito il relativo annoso dibattito dottrinale e giurisprudenziale che ha generato poi, nel corso degli anni, oltretutto i diversi orientamenti sopra richiamati.

È da notare inoltre che il citato art. 19-bis, introdotto dal legislatore, risolve in via definitiva persino il problema relativo al “come trattare” la tematica del tacito rinnovo per i contratti locativi agevolati stipulati in data anteriore alla sua entrata in vigore. Tale norma infatti opera un'equiparazione fra i termini di durata della prima proroga biennale e dei successivi rinnovi taciti senza limiti spazio-temporali. In altre parole, come ha rilevato il giudice torinese, essa dispone non solo “per il futuro” ma perfino retroattivamente, legandosi quindi inscindibilmente, senza soluzione di continuità, con l'art. 2, comma 5, della l. n. 431/1998. Non sussiste perciò alcuna incompatibilità nell'applicazione del menzionato art. 19 bis a locazioni concordate iniziate anteriormente all'emanazione del c.d. decreto Crescita (dispositivo contenente in sé la richiamata norma). Anche per quest'ultime, quindi, la durata di ogni tacito rinnovo (successivo alla prima proroga) non può che intendersi ogni volta solo biennale. D'altronde, l'applicazione “pacifica” dell'art. 19-bis anche a tali ultimi tipi di locazioni deriva dal fatto che la detta disposizione non introduce alcuna nuova disciplina giuridica ma si limita semplicemente a precisare e chiarire il significato di una previsione a sé anteriore, appunto l'art. 2, comma 5,della l. n. 431/1998, quanto al rinnovo tacito “alle medesime condizioni”.

Può correttamente dirsi quindi che, con l'introduzione dell'art. 19-bis, il legislatore abbia semplicemente voluto mettere in pratica una facoltà da tempo riconosciutagli persino dalla giurisprudenza costituzionale. E cioè, realizzare e adottare una norma precisante il significato di altre disposizioni legislative, rendendosi il tutto necessario sussistendo, riguardo a quest'ultime, “una situazione di incertezza nell'applicazione del diritto” e rendendosi quindi necessario attribuire una variante “di senso del testo originario, con ciò vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore”.

Si vuole segnalare, infine, un isolato orientamento dottrinale per cui il termine “alle medesime condizioni”, previsto dall'art. 2, comma 5, della l. n. 431/1998 per i taciti rinnovi dei contratti locativi agevolati, dovrebbe intendersi nel senso di “alle medesime condizioni economiche” del primo contratto stipulato fra le parti (v., fra tutti, Bucci e Gabrielli Padovini). Con ciò lasciando ancora libera la questione circa la determinazione della durata temporale appunto degli stessi rinnovi. Tale impostazione però, alla luce delle precedenti considerazioni, non ha trovato seguito, avendo appunto l'art. 19-bis del d.l. n. 34/2019 risolto definitivamente in maniera chiara la detta problematica per ogni contratto locativo agevolato; e il tutto indipendentemente dalla data temporale di stipula del medesimo.

Riferimenti

Grasselli, Rinnovazione tacita del contratto di locazione, in Condominioelocazione.it, 2018;

Falabella, Durata e cessazione del contratto per scadenza del termine, in La locazione, 2005, 1017;

AA.VV., Durata e rinnovo dei contratti a canone concordato, in Il codice delle locazioni, 2020, 386;

Bucci, La disciplina delle locazioni abitative dopo le riforme, Padova, 2000, 54;

Di Marzio, Occupazione di immobile senza titolo e rimedi esperibili dal proprietario, in Immob. & proprietà, 2011, fasc. 11, 50;

Gabrielli - Padovini, La locazione di immobili urbani, Padova, 2005, 509.

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