Omesso pagamento dei canoni di palestra e piscina durante il lockdown e risoluzione del contratto di locazione

06 Settembre 2021

Il Tribunale di Roma ritiene che, in caso di mancato pagamento dei canoni di locazione (seppur dovuto alla chiusura dell'impianto sportivo per il lockdown), non sussistano rimedi né generali né specifici che consentano al conduttore di legittimare il mancato pagamento, conseguendone che viene accolta la domanda del locatore di risoluzione del contratto di locazione per morosità.
Massima

In tema di contratto di locazione commerciale, la pandemia di Covid-19 e le misure di contenimento adottate dal Governo non rappresentano ragioni sufficienti per legittimare il conduttore a sospendere il pagamento dei canoni di locazione di un immobile adibito ad attività sportive, poiché non esistono disposizioni nell'ordinamento italiano che consentano al giudice di riequilibrare le condizioni economiche dei contratti di durata, nemmeno in presenza di eventi sopravvenuti e straordinari.

Il caso

Il caso affrontato dal Tribunale di Roma può essere illustrato come segue. Viene concluso un contratto di locazione commerciale di locali. A febbraio 2020, le parti concordano una riduzione del canone del 50% a causa della pandemia per il periodo di cinque mesi (da marzo a luglio 2020). Alla scadenza di questo periodo, in data 5 agosto 2020, il locatore intima al conduttore lo sfratto per morosità chiedendo dichiararsi la risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore e la condanna dello stesso alla restituzione dell'immobile nonché al pagamento dei canoni scaduti ed a scadere fino al rilascio. Difatti, la società conduttrice, dal febbraio 2020, aveva omesso ogni pagamento, nonostante la disponibilità della società locatrice alla riduzione dei canoni al 50% per alcuni mesi.

La società conduttrice si costituisce in giudizio, chiedendo il rigetto delle domande avversarie e la riduzione del canone di locazione previsto contrattualmente. La conduttrice rileva che nell'immobile locato gestiva una palestra e una piscina e che, dal marzo al maggio 2020, a seguito delle disposizioni governative di contenimento della pandemia di Covid-19, la palestra e la piscina erano rimaste chiuse, con azzeramento degli incassi. Alla riapertura dell'attività era stato necessario contingentare gli ingressi: era consentito l'accesso alla clientela in misura ridotta, sulla base dei metri quadrati di superficie dei locali, con conseguente diminuzione degli incassi e aumento dei costi per le pulizie e le sanificazioni. La conduttrice sosteneva che, in considerazione dell'eccezionalità della situazione venutasi a creare, gli inadempimenti non si potevano considerare di gravità tale da legittimare la richiesta risoluzione della locazione.

Con ordinanza ex art. 665 c.p.c., in data 1° ottobre 2020, il Tribunale di Roma ordinava al conduttore di rilasciare al locatore l'immobile. Con la sentenza oggetto del presente breve commento, il Tribunale di Roma dichiara risolto per grave inadempimento della conduttrice il contratto di locazione e condanna quest'ultima a rilasciare l'immobile alla locatrice, confermando la precedente ordinanza di rilascio. Inoltre, il giudice condanna la conduttrice a corrispondere alla locatrice i canoni di locazione scaduti ed a scadere da febbraio 2020 all'effettivo rilascio.

La questione

La questione trattata nella sentenza è se eventi dirompenti, sopravvenuti ed esterni alle parti, consentano al giudice di imporre una modifica delle condizioni economiche di un contratto di durata come la locazione. Gli eventi dirompenti sono la pandemia di Covid-19 e le misure di contenimento adottate con decreti dal Governo. Il primo evento (pandemia) può essere qualificato come una causa di forza maggiore, che impedisce il corretto adempimento delle obbligazioni contrattuali. Il secondo evento (decreti) può essere considerato come un fatto del principe, che - allo stesso modo - impedisce il corretto adempimento delle obbligazioni contrattuali.

Le soluzioni giuridiche

La risposta che dà il Tribunale al quesito se sia possibile ridurre, o addirittura azzerare, il canone di locazione è negativa. Attualmente, il nostro ordinamento non contiene - sostiene il giudice romano - disposizioni che attribuiscano all'autorità giudiziaria il potere di variare le condizioni economiche pattuite fra le parti, nemmeno a fronte di eventi così straordinari come la pandemia di Covid-19.

Osservazioni

La pandemia di Covid-19 ha avuto gravi effetti economici. Fra gli operatori maggiormente toccati rientrano i gestori di negozi e i titolari di attività della ristorazione e sportive. Il caso deciso dal Tribunale di Roma in commento riguarda proprio una palestra e una piscina. Il problema è molto sentito per i contratti di durata, come le locazioni e gli affitti, nei quali il conduttore/affittuario si obbliga a corrispondere il canone per un lungo periodo di tempo. Durante l'esecuzione del rapporto, possono subentrare eventi che alterano il sinallagma (ossia l'equilibrio) fra le prestazioni, così come originariamente ipotizzate.

Nel caso di specie, le parti avevano concordato una riduzione del canone di locazione; tuttavia, il conduttore non riesce a pagare nulla, così che si giunge alla risoluzione del contratto di locazione. Il Tribunale di Roma cerca nell'ordinamento una disposizione che consenta di accogliere la domanda del conduttore di riduzione dei canoni, ma non la trova.

L'analisi del Tribunale di Roma si sofferma in particolar modo sull'art. 1374 c.c., a mente del quale “il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi o l'equità”.

Se lo specifico contratto disciplinasse espressamente eventi come la forza maggiore, il problema non si porrebbe: l'evento della pandemia potrebbe essere qualificato in tal modo ed esentare il debitore da responsabilità. Tuttavia, generalmente (e come avvenuto nel caso di specie), i contratti di locazione non dettano una disciplina della forza maggiore. Clausole siffatte sono frequenti nei contratti internazionali, ma abbastanza rare in quelli meramente nazionali.

Similmente, se lo specifico contratto fra le parti prevedesse un obbligo di rinegoziazione in caso di eventi sopravvenuti e straordinari che alterano il sinallagma, la questione sarebbe più facile da risolvere. I contraenti sarebbero obbligati a sedersi a un tavolo e a trovare condizioni diverse che tengano conto della mutata situazione. Nel caso in cui una delle parti (il locatore) si rifiutasse di rinegoziare, potrebbe essere fatta valere una sua responsabilità da indisponibilità a rinegoziare.

Nel caso di specie, tuttavia, specifiche clausole del genere non erano contenute nel contratto di locazione concluso fra le parti. Il “rimedio” deve dunque essere reperito nell'ambito delle regole previste, in via generale, del codice civile. A questo riguardo, il Tribunale capitolino pensa all'art. 1374 c.c.: poco importa se le parti non hanno previsto nulla in tema di forza maggiore o obbligo di rinegoziazione; il contratto ha comunque effetti obbligatori ulteriori rispetto alle clausole specifiche pattuite fra le parti. Queste obbligazioni sono, recita l'art. 1374 c.c., quelle risultanti dalla “legge” oppure dalla “equità”.

Il Tribunale di Roma evoca anche l'art. 1375 c.c., secondo cui “il contratto deve essere eseguito secondo buona fede”. La tesi sostenibile (e che sarebbe favorevole al conduttore) è quella per cui nel corso dell'esecuzione il contratto deve essere eseguito secondo buona fede e la buona fede impone quantomeno una riduzione del canone per tenere conto della chiusura del centro sportivo imposta da pandemia e lockdown, con conseguente azzeramento degli introiti.

Tuttavia, il Tribunale di Roma non si lascia persuadere da questa tesi. La disposizione dell'art. 1375 c.c. ovviamente esiste ed è vincolante per il giudice. Tuttavia “esecuzione del contratto secondo buona fede” non significa che il giudice possa modificare le condizioni contrattuali. Ciò che può fare il giudice è solo “integrare” le clausole del contratto, non modificarle. Poiché il contratto fra le parti esiste, è valido e contiene le condizioni economiche, il giudice non può interferire su quelle condizioni economiche. La determinazione del corrispettivo è difatti rimessa all'autonomia contrattuale.

Il Tribunale di Roma evidenzia che esistono, nel nostro ordinamento, delle disposizioni specifiche che consentono al giudice di alterare le condizioni economiche previste dalle parti. Tuttavia, dette disposizioni sono “particolari”, e non se ne può fare applicazione al di fuori del contesto in cui esse sono dettate. Più precisamente il giudice romano evoca l'art. 1384 c.c., disposizione che consente all'autorità giudiziaria di ridurre la penale manifestamente eccessiva. Inoltre, la sentenza in commento ricorda l'art. 1660 c.c. che attribuisce al giudice il potere, a certe condizioni, di modificare l'oggetto del contratto di appalto (sotto forma di variazioni) e, conseguentemente, di rideterminare il corrispettivo dell'appalto alla luce delle variazioni necessarie. Si tratta però di disposizioni particolari, che non sono espressione di un principio generale, in forza del quale il giudice possa intervenire nei contratti fra privati per rideterminare il corrispettivo della prestazione.

Il Tribunale di Roma si sofferma poi sull'art. 91 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (decreto c.d. Cura-Italia), il quale dispone che “il rispetto delle misure di contenimento … è sempre valutato ai fini dell'esclusione … della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”. Questa disposizione ha portata generale, nel senso che riguarda non solo i contratti di locazione, ma tutti i contratti e - ancora più in generale - l'adempimento di qualsiasi obbligazione. L'art. 91 d.l. n. 18/2020, peraltro, non afferma che il debitore, richiamandosi alle misure di contenimento (ossia ai provvedimenti di chiusura del Governo), non sia tenuto ad adempiere alle proprie obbligazioni. La disposizione è più sfumata, e si risolve in un obbligo per il giudice: detto obbligo consiste nel fatto che l'autorità giudiziaria deve sempre “valutare” se vi siano i presupposti per un'esclusione della responsabilità. Tuttavia, l'esito della valutazione del giudice può essere positivo (la responsabilità va esclusa) oppure negativo (la responsabilità non va esclusa).

Nel caso affrontato dal Tribunale di Roma in commento, la locazione - lo si ricordava sopra - concerneva un edificio adibito a palestra e piscina. Si tratta di uno dei settori (quello degli sport al chiuso) più colpito dalle misure restrittive adottate dal Governo. Il Governo, peraltro, consapevole delle ingenti perdite di fatturato subite dal settore (e negli stretti limiti di quanto consentito dal non florido bilancio statale), ha adottato delle normative speciali con riguardo proprio a questo ambito. Si tratta dell'art. 216 della l. 17 luglio 2020, n. 77 (di conversione del d.l. 19 maggio 2020, n. 34). L'art. 216, comma 3, prevede che: “la sospensione delle attività sportive, disposta con i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri ... è sempre valutata, ai sensi degli articoli 1256, 1464, 1467 e 1468 del codice civile … quale fattore di sopravvenuto squilibrio dell'assetto di interessi pattuito con il contratto di locazione di palestre, piscine e impianti sportivi di proprietà di soggetti privati. In ragione di tale squilibrio il conduttore ha diritto, limitatamente alle cinque mensilità da marzo 2020 a luglio 2020, ad una corrispondente riduzione del canone locatizio che, salva la prova di un diverso ammontare a cura della parte interessata, si presume pari al cinquanta per cento del canone contrattualmente stabilito”. Esiste, dunque, una disposizione speciale, che deroga alle regole generali del diritto civile, che riguarda proprio palestre e piscine. Detta norma prevede la riduzione del canone, nella misura che si presume uguale al 50%, per un breve periodo di cinque mesi (quelli del primo e più duro lockdown). Il punto è che, nel caso affrontato dal Tribunale di Roma, il conduttore aveva cessato in toto di pagare i canoni di locazione. Si tratta di un inadempimento totale che legittima, secondo il giudice romano, la risoluzione del contratto.

Secondo il Tribunale di Roma, nel nostro ordinamento non esisterebbe un generale obbligo di rinegoziare i contratti in caso di sopravvenienze che alterano il sinallagma. L'affermazione è corretta, ma è opportuno segnalare la disposizione dell'art. 1467 c.c. in tema di eccessiva onerosità. La norma stabilisce che “nei contratti a esecuzione continuata o periodica… se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto” (comma 1). I minori introiti di una locazione a fronte del costo fisso della locazione possono determinare un'eccessiva onerosità del contratto. Il conduttore potrebbe così chiedere la risoluzione del contratto di locazione per eccessiva onerosità. Tuttavia risoluzione significa che il rapporto fra le parti finisce: il conduttore è obbligato ad abbandonare l'immobile e a cessare l'attività che vi svolgeva (salvo riesca ad aprirla altrove). L'ordinamento avrebbe invece bisogno di un rimedio che, ripristinando l'equilibrio, consenta la prosecuzione del rapporto contrattuale, prosecuzione che - in genere - è nell'interesse di ambedue le parti.

Il comma 3 del medesimo art. 1467 c.c. prevede che “la parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto”. Ecco finalmente trovata una disposizione sulla riconduzione ad equità del contratto. Peraltro, questa norma attribuisce il relativo potere a una sola delle parti (nell'ambito, qui in esame, dei contratti di locazione si tratta del locatore). Non è dunque un vero e proprio dovere di ambedue le parti di rinegoziare, bensì una mera facoltà di una delle parti di offrire di modificare le condizioni economiche del contratto.

Per completezza di esposizione, si noti tuttavia che - molto recentemente - il nostro legislatore ha introdotto una disposizione speciale proprio sulla ricontrattazione delle locazioni commerciali. L'art. 6-novies della l. 21 maggio 2021, n. 69 (di conversione del d.l. 22 marzo 2021, n. 41) prevede testualmente che: “le disposizioni del presente articolo sono volte a consentire un percorso regolato di condivisione dell'impatto economico derivante dall'emergenza epidemiologica da Covid-19, a tutela delle imprese e delle controparti locatrici, nei casi in cui il locatario abbia subito una significativa diminuzione del volume d'affari, del fatturato o dei corrispettivi, derivante dalle restrizioni sanitarie, nonché dalla crisi economica di taluni comparti e dalla riduzione dei flussi turistici legati alla crisi pandemica in atto”. L'art. 6-novies è stato integrato dal decreto c.d. “sostegni-bis” (d.l. 25 maggio 2021, n. 73, convertito nella l. 23 luglio 2021, n. 106), con la previsione che: “nei casi in cui il locatario non abbia avuto diritto di accedere, a partire dall'8 marzo 2020, ad alcuna delle misure di sostegno economico adottate dallo Stato per fronteggiare gli effetti delle restrizioni imposte dall'emergenza epidemiologica da Covid-19 ovvero non abbia beneficiato di altri strumenti di supporto di carattere economico e finanziario concordati con il locatore anche in funzione della crisi economica connessa alla pandemia stessa, il locatario e il locatore sono chiamati a collaborare tra di loro in buona fede per rideterminare temporaneamente il canone di locazione per un periodo massimo di cinque mesi nel corso del 2021”.

Viene statuita per la prima volta dal legislatore, in modo espresso e diretto, la regola secondo cui le parti del contratto devono collaborare per la rideterminazione. La disposizione concerne i soli contratti di locazione. Si osservi che il legislatore non indica il risultato che deve essere conseguito (sconto del 50% o del 30% o del 70%, per fare degli esempi), che dipende dalle particolarità del singolo caso. Manca inoltre la sanzione espressa per la violazione della disposizione, ma parrebbe doverne conseguire che - in caso di rifiuto ingiustificato a rinegoziare secondo criteri di ragionevolezza - possa intervenire il giudice stabilendo a quanto debba ammontare il canone rideterminato.

Riferimenti

Agostinelli, Incidenza delle misure emergenziali sui contratti di locazione, in Giur. it., 2020, 2325;

Carapezza Figlia, Locazioni commerciali e sopravvenienze da Covid-19. Riflessioni a margine delle prime decisioni giurisprudenziali, in Danno resp., 2020, 698.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.