Necessario il compimento di un solo atto per il reato di corruzione

Redazione Scientifica
10 Settembre 2021

In tema di corruzione per l'esercizio delle funzioni, non è necessario un impegno permanente dell'agente pubblico alla prestazione di una serie indeterminata di atti d'ufficio o di servizio in favore del terzo interessato, essendo invece sufficiente anche una dazione causalmente ricollegata al compimento di un singolo atto.

In tema di corruzione per l'esercizio delle funzioni, non è necessario un impegno permanente dell'agente pubblico alla prestazione di una serie indeterminata di atti d'ufficio o di servizio in favore del terzo interessato, essendo invece sufficiente anche una dazione causalmente ricollegata al compimento di un singolo atto.

La Corte d'Appello di Genova assolveva dal reato di corruzione per l'esercizio della funzioneun architetto che aveva versato una somma di denaro a un impiegato tecnico del Comune di Sanremo affinché seguisse l'iter burocratico di una pratica edilizia a cui era interessato.

La Procura generale ricorre in Cassazione, lamentandosi del fatto che la Corte d'Appello avesse escluso il reato di corruzione di cui all'art. 318 c.p., sostenendo che non era dimostrato il coinvolgimento del pubblico funzionario in maniera continuativa.

Il ricorso è fondato. La Corte di Cassazione, infatti, afferma che in tema di corruzione per l'esercizio delle funzioni, non è necessario un impegno permanente dell'agente pubblico alla prestazione di una serie indeterminata di atti d'ufficio o di servizio in favore del terzo interessato, essendo invece sufficiente anche una dazione causalmente ricollegata al compimento di un singolo atto.

Inoltre, la Suprema Corte chiarisce che la legge n. 190/2012 è intervenuta per estendere la tutela penale alle ipotesi di corruzione sistemica, quelle, cioè, non legate ad una specifica prestazione da parte del pubblico agente, ma, piuttosto, alla messa a disposizione della propria funzione per gli interessi di terzi (il c.d. «pubblico ufficiale a libro paga»), avendo il legislatore preso atto che già solo tale distorsione potenziale del concreto esercizio della funzione è sufficiente a ledere il prestigio ed il buon andamento della pubblica amministrazione.

Tuttavia, avvertono i Giudici, «in alcun modo la novella ha inteso escludere dal perimetro della norma le ipotesi, già sanzionate in precedenza, in cui il patto corruttivo fosse diretto a uno specifico atto del pubblico agente o ne costituisse la remunerazione successiva». In questo senso, la Cassazione dà rilievo all'espressione utilizzata, «per l'esercizio delle sue funzioni e dei suoi poteri», tanto ampia da potere comprendere sia la vendita del singolo atto, sia quella più generale della funzione, come pure la corruzione antecedente e quella susseguente (in precedenza distinte, ma ora ritenute espressione dello stesso grado di disvalore, perché considerate entrambe di gravità tale da compromettere la fiducia dei cittadini nella pubblica amministrazione).

E allora «interpretare la disposizione dell'attuale art. 318, come invece fa la Corte d'Appello, nel senso che, per la configurabilità del reato, l'elemento decisivo sia costituito dalla protrazione nel tempo del rapporto corruttivo e non, invece, dal mercimonio della funzione, ancorché legato al compimento di un singolo atto, significa rovesciare l'intentio legis».

Per questi motivi, la Corte di Cassazione annulla la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d'Appello di Genova.

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