Nascita dell'obbligo contributivo nell'ipotesi di vendita medio tempore dell'unità immobiliare

14 Settembre 2021

Il Supremo Collegio ribadisce il suo orientamento riguardo al momento della nascita dell'obbligo contributivo, precisando, sul versante processuale, che la solidarietà passiva nel rapporto obbligatorio è prevista, ex art. 66, comma 4, disp. att. c.c. nell'interesse del creditore e serve a rafforzare il diritto di quest'ultimo, consentendogli di ottenere l'adempimento dell'intera obbligazione da uno qualsiasi dei condebitori, mentre non ha alcuna influenza nei rapporti interni tra condebitori solidali, fra i quali l'obbligazione si divide in base al titolo o, in mancanza, in parti uguali, sicché, qualora il creditore convenga in giudizio più debitori, sostenendone la responsabilità solidale ed il giudice, invece, condanni uno solo di essi, il debitore condannato, ove non abbia proposto alcuna domanda di rivalsa nei confronti del condebitore solidale e, quindi, non abbia dedotto in giudizio il rapporto interno che lo lega a quest'ultimo, non ha interesse ad impugnare tale sentenza, nella parte in cui esclude la solidarietà, perché essa non aggrava la sua posizione di debitore dell'intero, né pregiudica il suo eventuale diritto di rivalsa.
Massima

In tema di riparto delle spese condominiali per l'esecuzione di lavori consistenti in innovazioni, straordinaria manutenzione o ristrutturazione sulle parti comuni, laddove, successivamente alla delibera assembleare che abbia disposto l'esecuzione di tali interventi, sia venduta un'unità immobiliare sita nel condominio, i costi di detti lavori gravano, secondo un criterio rilevante anche nei rapporti interni tra compratore e venditore, su chi era proprietario dell'immobile compravenduto al momento dell'approvazione di detta delibera, la quale ha valore costitutivo della relativa obbligazione, anche se, poi, le opere siano state, in tutto o in parte, realizzate in epoca successiva all'atto traslativo, con conseguente diritto dell'acquirente a rivalersi nei confronti del proprio dante causa, per quanto pagato al condominio in forza del principio di solidarietà passiva ex art. 63 disp. att. c.c., salvo che sia diversamente convenuto tra venditore e compratore, pur rimanendo comunque inopponibili al condominio i patti eventualmente intercorsi tra costoro.

Il caso

La sentenza di appello - sottoposta all'esame della Corte di Cassazione - in parziale riforma della decisione di prime cure, aveva condannato Tizio (condomino alienante) a tenere indenne Caio (condomino acquirente) di quanto fosse obbligato a pagare al Condominio in base al decreto ingiuntivo, con cui il Tribunale aveva intimato ad entrambi, in solido, di corrispondere al medesimo Condominio la quota spettante delle spese relative a lavori straordinari di ristrutturazione eseguiti nell'edificio.

Nel procedimento monitorio, il creditore-Condominio aveva precisato che tale spesa era stata deliberata dall'assemblea del 21 luglio 2000 e che, successivamente, in data 12 marzo 2001 Tizio aveva alienato a Caio l'unità immobiliari già di sua proprietà, senza provvedere al versamento della propria quota.

L'acquirente e l'alienante avevano proposto distinte opposizioni a tale decreto ingiuntivo (poi riunite): il primo aveva dedotto che la spesa era stata deliberata prima dell'acquisto dell'appartamento da parte sua, asserendo, quindi, che l'unico obbligato nei confronti del Condominio fosse il venditore, il quale, comunque, avrebbe dovuto essere preventivamente escusso, ed agendo, pertanto, in rivalsa nei suoi confronti; mentre il secondo aveva rilevato, al contrario, che l'unico obbligato al pagamento delle somme in oggetto fosse l'acquirente, in quanto le spese erano state sostenute soltanto dopo l'acquisto da parte di quest'ultimo dell'unità immobiliare de qua.

Il Tribunale aveva accolto l'opposizione del venditore e rigettato quella dell'acquirente, sostenendo che l'obbligazione del condomino di contribuire alle spese di manutenzione delle parti comuni dell'edificio sorge unicamente per effetto della concreta esecuzione dei lavori e, quindi, dall'attività gestionale compiuta, sicché era l'acquirente il soggetto obbligato nei confronti del Condominio in quanto i medesimi lavori, benché deliberati nel luglio 2000, erano poi iniziati nel maggio 2001.

La Corte d'Appello aveva, invece, ritenuto che, in base a quanto stabilito dall'art. 63 disp. att. c.c., correttamente il Tribunale avesse intimato ad entrambi gli ingiunti di pagare i contributi pretesi dal Condominio, e perciò rigettato la domanda di revoca del decreto ingiuntivo avanzata dall'acquirente; quanto ai rapporti interni, si è, invece, richiamato il principio secondo cui obbligato a contribuire alle spese di manutenzione delle parti comuni dell'edificio è colui che risultava proprietario dell'unità immobiliare al momento dell'adozione della delibera di approvazione dei lavori, sicché il venditore era tenuto a rifondere all'acquirente quanto lo stesso dovesse pagare al Condominio in forza del decreto ingiuntivo opposto.

La questione

La censura proposta dal ricorrente (venditore dell'unità immobiliare) era volta, sostanzialmente, a rivedere criticamente la teoria secondo la quale l'origine del credito per lavori straordinari dovesse ricercata nella delibera condominiale, avente valore costitutivo, che deliberava l'approvazione dell'esecuzione dei lavori straordinari nell'edificio.

Le soluzioni giuridiche

Ad avviso degli ermellini, però, assume rilievo pregiudiziale l'ulteriore doglianza, in cui si professava l'avvenuta formazione del giudicato interno in ordine all'insussistenza del debito solidale per le spese riferibile al venditore, stante la mancata impugnazione da parte del creditore-Condominio della sentenza di primo grado, con cui era stato escluso l'obbligo gravante sul medesimo ricorrente.

Tale doglianza è stata considerata infondata, atteso che l'acquirente, nell'opporsi al decreto ingiuntivo intimatole, in solido con l'alienante, aveva spiegato immediata azione di rivalsa proprio nei confronti di quest'ultimo, giacché ritenuto unico obbligato a pagare quelle spese condominiali.

Al riguardo, si è osservato che la solidarietà passiva nel rapporto obbligatorio - come, nella specie, quella prevista dall'art. 63, comma 2, disp. att. c.c. (ora, comma 4, in forza della I. n. 220/2012) - è prevista dal legislatore nell'interesse del creditore e serve a rafforzare il diritto di quest'ultimo, consentendogli di ottenere l'adempimento dell'intera obbligazione da uno qualsiasi dei condebitori, mentre non ha alcuna influenza nei rapporti interni tra condebitori solidali, fra i quali l'obbligazione si divide secondo quanto risulta dal titolo o, in mancanza, in parti uguali.

Pertanto, se - come era avvenuto nel caso di specie - il creditore conviene in giudizio più debitori sostenendo la loro responsabilità solidale, e, invece, il giudice accerti la responsabilità esclusiva di uno di essi, con esclusione del rapporto di solidarietà, pronunciando conseguentemente la condanna soltanto di un condebitore, questi, ove abbia proposto domanda di rivalsa nei confronti del preteso condebitore solidale, ha comunque interesse ad impugnare tale sentenza, perché essa pregiudica il suo eventuale diritto di rivalsa, essendo stato dedotto in giudizio il rapporto interno che lo lega all'altro debitore.

In sostanza, l'assunto passaggio in giudicato nei confronti del creditore del rigetto della sua pretesa rivolta verso uno dei condebitori solidali non esclude l'interesse di altro condebitore, ritenuto unico effettivo obbligato dal primo giudice, ad appellare la sentenza per sentir affermare la responsabilità del debitore assolto, seppure l'accoglimento della pretesa dell'appellante abbia, poi, effetto solo nel rapporto interno di ripartizione del debito (argomentando da Cass. civ., sez. III, 10 maggio 2001, n. 6502; Cass. civ., sez. III, 2 febbraio 2006, n. 2266; Cass. civ., sez. III, 15 gennaio 2020, n. 542).

Dopo questa precisazione sul versante processuale, per quanto concerne il merito, il ricorrente tenta di sollecitare un mutamento della consolidata interpretazione giurisprudenziale, secondo cui, in tema di riparto delle spese condominiali concernenti lavori di manutenzione straordinaria sulle parti comuni, laddove, successivamente alla delibera assembleare che abbia disposto l'esecuzione di tali interventi, sia venduta un'unità immobiliare sita nel condominio, i costi dei lavori gravano - secondo un criterio rilevante anche nei rapporti interni tra compratore e venditore, che non si siano diversamente accordati tra di loro alla luce di patti comunque inopponibili al condominio - su chi era proprietario dell'immobile compravenduto al momento dell'approvazione di detta delibera, la quale ha valore costitutivo della relativa obbligazione; né rileva, in senso contrario, che la vendita sia avvenuta prima dell'approvazione di tutti gli stati di ripartizione dei lavori, o prima che il condomino che aveva approvato la suddetta delibera abbia assolto integralmente ai propri oneri verso il condominio (v., tra le altre, Cass. civ., sez. II, 9 ottobre 2020, n. 21860; Cass. civ., sez. II, 20 maggio 2019, n. 13505; Cass. civ., sez. VI/II, 22 giugno 2017, n. 15547; Cass. civ., sez. VI/II, 22 marzo 2017, n. 7395; Cass. civ., sez. II, 3 dicembre 2010, n. 24654).

I giudici di Piazza Cavour ritengono, però, fondate le lamentele sollevate dal ricorrente, laddove adducono, in sostanza, l'omesso esame di un accordo raggiunto tra l'acquirente ed il venditore, nel senso che il primo si sarebbe accollato il pagamento delle spese di manutenzione straordinaria.

Tale fatto sarebbe dimostrato dalle prove testimoniali assunte, che la Corte d'Appello ha giudicato “ininfluenti” ai fini della decisione, riguardando “esclusivamente i rapporti interni fra le parti e non i profili della responsabilità verso il Condominio”, e sarebbe altresì evincibile dalla delibera di ripartizione delle spese approvata all'assemblea del 16 marzo 2001, cui parteciparono entrambe i contendenti.

L'omesso esame di tali “rapporti interni tra le parti”, emergenti dalle indicate fonti di prova, risulta decisivo ad avviso degli ermellini - in quanto gli stessi, se esaminati, avrebbero potuto verosimilmente determinare un esito diverso della controversia devoluta alla cognizione del giudice di appello, avente ad oggetto proprio l'azione di rivalsa spiegata dall'acquirente nei confronti del venditore.

Infatti, alla stregua dell'art. 63, comma 2, disp. att. c.c. (oggi, comma 4), chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato, solidalmente con questo, al pagamento dei contributi relativi all'anno in corso e a quello precedente.

A tal fine, occorre distinguere tra spese necessarie alla manutenzione ordinaria, alla conservazione, al godimento delle parti comuni dell'edificio o alla prestazione di servizi nell'interesse comune, oppure ad impedire o riparare un deterioramento, e spese attinenti a lavori che consistano in un'innovazione o che comunque comportino, per la loro particolarità e consistenza, un onere rilevante, superiore a quello inerente alla manutenzione ordinaria dell'edificio e cagionate da un evento non evitabile con quest'ultima.

Nella prima ipotesi, l'obbligazione si ritiene sorta non appena si compia l'intervento ritenuto necessario dall'amministratore e, quindi, in coincidenza con il compimento effettivo dell'attività gestionale, mentre, nella seconda, invece, la deliberazione dell'assemblea, chiamata a determinare quantità, qualità e costi dell'intervento, assume “valore costitutivo” della relativa obbligazione in capo a ciascun condomino.

Da ciò si fa derivare che, verificandosi l'alienazione di una porzione esclusiva posta nel condominio in seguito all'adozione di una delibera assembleare, antecedente alla stipula dell'atto traslativo, volta all'esecuzione di lavori consistenti in innovazioni, straordinaria manutenzione o ristrutturazione, ove non sia diversamente convenuto nei rapporti interni tra venditore e compratore, i relativi costi devono essere sopportati dal primo, anche se, poi, i lavori siano stati, in tutto o in parte, effettuati in epoca successiva, con conseguente diritto dell'acquirente a rivalersi nei confronti del proprio dante causa, per quanto pagato al condominio in forza del principio di solidarietà passiva ex art.63 disp. att. c.c.

Dunque, tale momento di insorgenza dell'obbligo di contribuzione condominiale rileva anche per imputare l'obbligo di partecipazione alla spesa nei rapporti interni tra venditore e compratore, ma sempre che gli stessi - come nel caso in esame assume avvenuto dal ricorrente - non si fossero diversamente accordati, rimanendo, peraltro, inopponibili al condominio i patti eventualmente intercorsi tra costoro.

Si consideri, pure - aggiungono i magistrati del Palazzaccio - che il dedotto accollo del debito condominiale da parte del compratore, in quanto semplice modalità di adempimento dell'obbligo di pagamento del prezzo della compravendita immobiliare comunque determinato in contratto, non potrebbe dirsi sottoposto ai limiti di prova di cui agli artt. 2725, comma 2, e 1350, n. 1), c.c.

Osservazioni

In disparte l'accoglimento del motivo del ricorso per cassazione con riferimento alla rilevanza, nei profili interni, dei patti eventualmente raggiunti tra venditore e acquirente e la precisazione concernente l'interesse ad impugnare la statuizione sulla solidarietà tra gli stessi - pur sempre circoscritta temporalmente all'anno in corso e all'anno precedente - la sentenza in commento si pone nel solco della più recente giurisprudenza per quel che riguarda la verifica del momento in cui sorge l'obbligo di contribuzione alle spese condominiali, tematica particolarmente sentita allorché, soprattutto nell'àmbito di lavori di una certa rilevanza (economica e strutturale), vi sia un differimento temporale tra la data dell'assunzione della delibera approvativa della spesa e la data in cui la stessa, di fatto, è sostenuta (di regola, quando i medesimi lavori sono eseguiti), e si tratti, pertanto, di individuare il soggetto - venditore o acquirente - tenuto al pagamento di tale spesa tutte le volte in cui, nell'indicato arco temporale, avvenga il trasferimento della proprietà dell'unità immobiliare.

Rimane fermo che, nel contratto di compravendita dell'unità immobiliare in condominio, l'alienante e l'acquirente - come sembra emergere dalla sentenza in commento - possono liberamente convenire su quale dei due contraenti sia destinato a ricadere l'obbligo delle spese condominiali deliberate ma non ancora sostenute, ma è altrettanto pacifico che tali patti, efficaci nei loro rapporti interni, sono inopponibili al condominio, il quale spesso se la prende con uno di essi e ciascuno fa “scaricabarile” nei confronti dell'altro.

Sul punto - con la dovuta sintesi - la giurisprudenza ha espresso tre orientamenti.

Secondo il primo (e più risalente), orientamento, l'obbligo di contribuzione alle spese condominiali sorge al momento dell'assunzione della delibera dell'assemblea condominiale che approva la spesa, aggiungendo che non è strettamente necessaria un'ulteriore e successiva delibera dell'assemblea che, in concreto, ripartisca la spesa tra i vari condomini atteso che essa serve certamente a rendere liquido un debito preesistente ma potrebbe anche non essere adottata in quanto sulla base delle tabelle millesimali si possono agevolmente determinare le somme dovute dai singoli condomini (rispetto all'importo complessivo della spesa a suo tempo deliberata) mediante una semplice operazione aritmetica.

Ad avviso di altro orientamento (minoritario), invece, è decisivo il momento della concreta attuazione dell'attività comportante la spesa, piuttosto che quello della preventiva approvazione da parte dell'assemblea, in quanto la delibera assembleare rileva su un altro piano, ossia ha una funzione meramente autorizzativa del compimento della relativa attività di gestione da parte dell'amministratore

Attualmente, prevale un orientamento (che offre una risposta più articolata), che si fonda sulla diversa origine della spesa alla quale il condomino è tenuto a contribuire, nel senso che occorre distinguere, da un lato, le spese necessarie relative alla manutenzione ordinaria, e, dall'altro, le spese attinenti ad interventi comportanti innovazioni o, comunque, di straordinaria manutenzione.

Riguardo alle prime, la nascita dell'obbligazione coincide con il compimento effettivo dell'attività che comporta la spesa, in quanto tale intervento è effettuato nell'interesse della collettività dei condomini in base ad una valutazione dell'amministratore del condominio, che è l'organo cui spetta per legge il relativo potere, posto che, tra le sue attribuzioni, vi è appunto quella di “erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell'edificio e per l'esercizio dei servizi comuni” (art. 1130, comma 1, n. 3, c.c.).

Riguardo alle seconde, invece, la delibera assembleare ha valore costitutivo dell'obbligazione, poiché è rimesso all'assemblea dei condomini valutare sia la necessità della spesa sia di determinarne i limiti qualitativi e quantitativi.

Tale più recente orientamento dei giudici di legittimità è stato, peraltro, oggetto di critica da una parte della dottrina, la quale ha, altresì, evidenziato l'incertezza del discrimen tra manutenzione ordinaria e straordinaria su cui esso si fonda, con notevoli ripercussioni operative con riferimento alla tematica che ci occupa.

Riferimenti

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Monegat, Venditore ed acquirente: chi è tenuto a pagare le spese condominiali, in Immob. & proprietà, 2012, 52;

Carrato, Come si ripartiscono le spese fra il venditore e l'acquirente, in Immob. & diritto, 2011, fasc. 2, 22;

Torroni, Vendita dell'appartamento in condominio nelle more dell'esecuzione dei lavori di manutenzione straordinaria deliberati prima della vendita. Le incertezze della Cassazione richiedono soluzioni di tecnica contrattuale, in Riv. notar., 2011, II, fasc. 6, 1407;

Valenti, Note in tema di ripartizione delle spese tra alienante ed acquirente di un immobile condominiale, in Nuova giur. civ. comm., 2011, I, 398;

Scarpa, Vendita di un appartamento e acquisizione dello status di condomino, in Immob. & diritto, 2009, fasc. 2, 36;

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