Divisione dell'immobile in comproprietà a seguito della fine della convivenza

Sabrina Apa
16 Settembre 2021

Il caso in esame concerne l'individuazione dei principi da applicare alla regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra gli ex partners e, in particolare, in ordine alla divisione dell'immobile in comproprietà in caso di cessazione della relazione affettiva.
Massima

In tema di conseguenze economiche dello scioglimento della famiglia di fatto, in ordine alla divisione dell'immobile acquistato da una coppia non unita in matrimonio e del conguaglio spettante all'ex compagna dovrà tenersi conto del maggior esborso economico sostenuto dal partner per il suo acquisto.

Il caso

Nella fattispecie in esame si discute della divisione di un immobile comune fra ex conviventi, attribuito dal giudice di primo grado al partner, dietro pagamento di conguaglio, determinato tenuto conto del mutuo gravante su ambedue i comproprietari.

La Corte d'appello di Milano, adita dalla ex compagna, ha modificato il valore del bene e la misura del conguaglio, adottando un diverso criterio di conteggio del mutuo residuo. Invero, rigettando il motivo di appello incidentale, con il quale l'ex convivente chiedeva che, nella determinazione delle quote, si tenesse conto del diverso e maggiore apporto da lui fornito per l'acquisto, la Corte d'appello ha ritenuto che l'acquisto fosse avvenuto per quote indivise, presumendo che, in assenza di elementi contrari (dichiarazione delle parti nell'atto di acquisto al momento della stipula, del pagamento delle rate, etc.), quand'anche si fosse ritenuto che gli oneri dell'acquisto (anticipi e rate di mutuo, quantomeno sino al termine della convivenza) erano stati sostenuti in modo maggiore da uno degli acquirenti, per la parte "eccedente" la propria quota erano stati compiuti a titolo di liberalità nei confronti della co-acquirente, trovando, l'intento liberale, giustificazione nella stessa situazione di convivenza.

Per la cassazione della sentenza l'ex convivente ha proposto ricorso affidato a due motivi.

La questione

Il caso in esame concerne l'individuazione dei principi da applicare alla regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra gli ex partners e, in particolare, in ordine alla divisione dell'immobile in comproprietà in caso di cessazione della relazione affettiva.

Le soluzioni giuridiche

La fattispecie concerne l'individuazione dei principi da applicare alla regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra gli ex partner e, in particolare, in ordine alla divisione dell'immobile in comproprietà in caso di cessazione della relazione affettiva.

La questione giuridica sottoposta alla Corte di Cassazione si articola in due motivi: il primo, volto a sostenere che era stata acquisita la prova del maggiore esborso sostenuto dal ricorrente per l'acquisto, idonea a superare la presunzione di parità delle quote stabilita dall'art. 1298 c.c., in tema di solidarietà passiva; il secondo, riguardante la verifica in ordine alla configurabilità o meno dell'istituto della liberalità.

Con riferimento al primo motivo la Cassazione, dichiarandone l'infondatezza, osserva l'improprietà del riferimento normativo all'art. 1298 c.c., poiché la presunzione che viene in considerazione è quella posta dall'art. 1101 c.c., precisando come la presunzione di parità delle quote dei partecipanti alla comunione operi solo in difetto di indicazione del titolo.

Al riguardo mette conto osservare che nella sentenza impugnata si assume che l'acquisto dell'immobile, oggetto di divisione, sia avvenuto per quote indivise e paritarie. In forza di tale espressa previsione del titolo, il cui richiamo da parte della corte d'appello non ha costituito oggetto di censura, la comunione è a parti uguali, qualunque sia stata la misura del rispettivo esborso. In proposito la Cassazione sottolinea come, in presenza di un una simile precisazione del titolo, quand'anche risulti dal negozio che uno dei partecipanti ha sborsato una somma maggiore, colui che ha pagato di più vanterebbe soltanto un diritto di credito verso gli altri.

Per quanto attiene al secondo motivo, lo stesso si articola in due diverse censure. Con la prima si sostiene che la Corte d'appello non ha considerato che la liberalità, qualora sussistente, richiedeva la forma scritta. In proposito la Cassazione, ritenendo la censura infondata, osserva che il ricorrente riconosce che il denaro utilizzato per l'acquisto e quanto occorrente per il pagamento delle rate di mutuo non fu dato al coniuge, ma al creditore: con la conseguenza che la fattispecie in ipotesi riscontrabile sarebbe quella dell'adempimento del terzo fatto per spirito di liberalità. Con la conseguenza che si sarebbe in presenza quindi, secondo la stessa prospettazione di parte, di una donazione indiretta posta in essere con un negozio per il quale non è richiesta la forma scritta (Cass. nn. 14197/2013 e 5333/2004).

Con la seconda censura si rimprovera alla Corte d'appello di aver erroneamente ravvisato, nel maggiore apporto fornito dal ricorrente all'acquisto dell'immobile, l'adempimento di un'obbligazione naturale. In proposito la Corte di Cassazione ritiene la censura fondata anche se per una ragione non perfettamente coincidente con quella indicata nel ricorso, osservando che la corte d'appello non ha ravvisato l'esistenza di un'obbligazione naturale (Cass. n. 14732/2018), ma ha negato il rimborso, supponendo che il maggiore apporto all'acquisto fosse stato fatto "a titolo di liberalità" di un convivente in favore dell'altro; senza considerare che l'animus donandi deve essere provato. Sul punto, merita precisare che la prova può essere data per presunzioni, ma deve trattarsi di presunzioni "serie", in base ad un rigoroso esame di tutte le circostanze del singolo caso (Cass. n. 9379/2020).

In contrasto con tale necessità, la corte milanese ha ritenuto la convivenza, per sé stessa, elemento idoneo a giustificare il maggiore apporto per spirito di liberalità, finendo per ritenere a priori superflua la verifica dei fatti dedotti, e cioè del maggiore apporto al momento dell'acquisto e persino del pagamento delle rate di mutuo. Al riguardo la Corte di Cassazione richiama i principi in tema di solidarietà passiva, ricordando che l'obbligazione solidale, se non risulta diversamente, si divide nei rapporti interni fra condebitori in parti eguali; pertanto, il coobbligato che abbia pagato l'intero, è titolare, salvo prova contraria a carico dell'altro condebitore, del diritto di ripetere da quest'ultimo la metà di quanto pagato al comune creditore (Cass. n. 188/1966).

Conclusivamente, il Collegio, dopo aver dichiarato infondato il primo motivo e accertata invece la fondatezza del secondo motivo nei limiti di cui sopra, cassa la sentenza in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Milano.

Osservazioni

Il caso in esame risulta di particolare interesse perché consente di riflettere sul regime giuridico dell'immobile adibito ad abitazione familiare da parte della coppia di fatto che si separa, e, contestualmente, di chiarire la portata applicativa dei diversi istituti giuridici che possono configurarsi in una simile fattispecie.

Preliminarmente, per quanto attiene al regime giuridico dell'immobile adibito a casa della coppia di fatto, merita osservare che nell'ipotesi di separazione dei conviventi, in assenza di figli minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti, per l'immobile in comproprietà troveranno applicazione le norme ordinarie di diritto civile. Ne consegue che se, come nel caso di specie, la casa sia in comproprietà della coppia, potrà essere concordato l'uso da parte di uno dei due partner a fronte della corresponsione di un'indennità a favore dell'altro, oppure si potrà optare per la vendita a terzi con divisione del ricavato, o ancora, ove non sia possibile raggiungere un accordo, chiedere la divisione giudiziale dell'immobile.

Ciò posto, sembra opportuno richiamare i principi delineati dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 14732/2018) sul tema della regolamentazione patrimoniale della fine del rapporto di convivenza more uxorio, utili a ricostruire sistematicamente le ipotesi in cui possa configurarsi un ingiustificato arricchimento anziché un atto di liberalità o l'adempimento di una mera obbligazione naturale. In particolare, secondo l'orientamento consolidato della Cassazione “l'azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell'altro che sia avvenuta senza giusta causa, sicché non è dato invocare la mancanza o l'ingiustizia della causa qualora l'arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell'adempimento di un'obbligazione naturale. È, pertanto, possibile configurare l'ingiustizia dell'arricchimento da parte di un convivente more uxorio nei confronti dell'altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza – il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto – e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza” (Cass. n. 11330/2009).

In proposito, sembra opportuno precisare che all'interno dell'azione di indebito arricchimento, la volontarietà del conferimento è idonea ad escludere il diritto alla ripetizione di quanto spontaneamente pagato in quanto essa è spontaneamente indirizzata ad avvantaggiare il soggetto a favore del quale viene effettuato il conferimento, ovvero in quanto la stessa sia una volontaria attribuzione patrimoniale a fondo perduto in favore di una determinata persona, che il conferente intende sostenere o aiutare economicamente in una sua attività, iniziativa o esigenza (Cass. n. 14732/2018).

Al riguardo, la stessa giurisprudenza di legittimità ha puntualizzato che i contributi, in lavoro o in natura, volontariamente prestati dal partner di una relazione personale per la realizzazione della casa comunque non sono prestati a vantaggio esclusivo dell'altro partner e pertanto non sono sottratti all'operatività del principio della ripetizione di indebito. E neppure è idoneo, al fine di escludere l'applicabilità della disciplina dell'articolo 2041 c.c., il richiamo al principio delle obbligazioni naturali.

Pertanto, fatta questa premessa in relazione all'applicabilità della disciplina sull'ingiustificato arricchimento qualora le prestazioni siano state spontaneamente erogate non in favore esclusivo del partner ma in vista della realizzazione di un progetto comune, la Cassazione ha osservato che occorre verificare se all'applicabilità delle norme sull'ingiustificato arricchimento osti la disciplina delle obbligazioni naturali, o se nel caso di specie le somme (e le prestazioni lavorative) erogate non fossero ripetibili perché effettuate in adempimento di un'obbligazione naturale (Cass. n. 14732/2018).

In conclusione, sembra interessante soffermarsi, sia pur brevemente, su una tematica affine rispetto a quella trattata in sentenza, vale a dire sulla sorte degli importi residuati sul conto corrente comune al momento dello scioglimento della convivenza, venendo in essere, anche in questa ipotesi, le norme concernenti la comunione ed i rapporti interni tra obbligati solidali.

Invero, nell'ipotesi di conto corrente cointestato tra due conviventi di fatto, la giurisprudenza di legittimità evidenzia come si presume che entrambi abbiano contribuito a determinare l'ammontare del deposito in parti uguali, per cui, dal momento dello scioglimento della convivenza ciascuno dei partner ha diritto all'attribuzione del 50% della somme presenti sul conto, se l'altra parte non dimostri una diversa misura dei conferimenti (in applicazione ai rapporti tra ex conviventi del principio consolidato sulla presunzione di parità in caso di cointestazione del rapporto di conto corrente, (Cass. nn. 77/2018, e Cass. n. 4066/2009). Secondo tale criterio, infatti, nel conto corrente bancario intestato a due (o più) persone, i rapporti interni tra correntisti non sono regolati dall'art. 1854 c.c., riguardante i rapporti con la banca, bensì dall'art. 1298 c.c., comma 2, in base al quale debito e credito solidale si dividono in quote uguali, solo se non risulti diversamente (Cass. n. 14732/2018).

Riferimenti

AA. VV., Matrimonio, unione civile, convivenza. Costituzione della famiglia e regimi patrimoniali, Collana Pratica professionale. Famiglia (a cura di A. Figone e A. Fasano), Giuffrè Francis Lefebvre, 2019

G. Oberto; G, Cassano, Diritti patrimoniali della famiglia. Matrimonio, unione civile, Giuffrè, 2017.

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