Decreto Legge - 24/08/2021 - n. 118 art. 10 - Autorizzazioni del tribunale e rinegoziazione dei contrattiAutorizzazioni del tribunale e rinegoziazione dei contratti [1. Su richiesta dell'imprenditore il tribunale, verificata la funzionalità degli atti rispetto alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori, può: a) autorizzare l'imprenditore a contrarre finanziamenti prededucibili ai sensi dell'articolo 111 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267; b) autorizzare l'imprenditore a contrarre finanziamenti dai soci prededucibili ai sensi dell'articolo 111 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267; c) autorizzare una o più società appartenenti ad un gruppo di imprese di cui all'articolo 13 del presente decreto a contrarre finanziamenti prededucibili ai sensi dell'articolo 111 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 1; d) autorizzare l'imprenditore a trasferire in qualunque forma l'azienda o uno o più suoi rami senza gli effetti di cui all'articolo 2560, secondo comma, del codice civile , dettando le misure ritenute opportune, tenuto conto delle istanze delle parti interessate al fine di tutelare gli interessi coinvolti; resta fermo l'articolo 2112 del codice civile2.]3 2. L'esperto di cui all'articolo 12 del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 può invitare le parti a rideterminare, secondo buona fede, il contenuto dei contratti ad esecuzione continuata o periodica ovvero ad esecuzione differita se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa per effetto della pandemia da SARS-CoV-2. In mancanza di accordo, su domanda dell'imprenditore, il tribunale, acquisito il parere dell'esperto e tenuto conto delle ragioni dell'altro contraente, può rideterminare equamente le condizioni del contratto, per il periodo strettamente necessario e come misura indispensabile ad assicurare la continuità aziendale. Se accoglie la domanda il tribunale assicura l'equilibrio tra le prestazioni anche stabilendo la corresponsione di un indennizzo. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle prestazioni oggetto di contratti di lavoro dipendente4. 3. Il procedimento di cui al comma 2 si svolge innanzi al tribunale competente ai sensi dell'articolo 27 del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, che, sentite le parti interessate e assunte le informazioni necessarie, provvedendo, ove occorre, ai sensi dell'articolo 68 del codice di procedura civile, decide in composizione monocratica. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Il reclamo si propone al tribunale e del collegio non può far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento5. [1] Lettera modificata dall'articolo 1, comma 1, della Legge 21 ottobre 2021, n. 147, in sede di conversione. [2] Lettera modificata dall'articolo 1, comma 1, della Legge 21 ottobre 2021, n. 147, in sede di conversione. [3] Comma abrogato dall'articolo 46, comma 2, lettera b), numero 1), del D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83. [4] Comma modificato dall'articolo 46, comma 2, lettera b), numero 2), del D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83. [5] Comma modificato dall'articolo 46, comma 2, lettera b), numero 3), del D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83. Inquadramento
L'imprenditore, stabilisce l'art. 9, conserva durante le trattative per la composizione negoziata la gestione ordinaria e straordinaria dell'impresa. In realtà, il contenuto così liberatorio della disposizione va subito ridimensionato. Infatti, per il compimento di tutta una serie di atti gestionali l'imprenditore che ha chiesto la composizione negoziata deve chiedere una autorizzazione preventiva al tribunale. In proposito la norma citata rinvia ad alcune disposizioni della legge fallimentare r.d. 16 marzo 1942, n. 267, quali fonti ormai sperimentate di una disciplina cui è assegnata una persistente attualità. L'esigenza di ottenere un placet dall'organo giudiziario costituisce una rilevante limitazione all'autonomia negoziale dell'imprenditore, nelle sue trattative con i creditori intraprese per porre rimedio all'indebitamento dell'impresa tramite il consenso delle parti. Anche nel caso della composizione negoziata persiste un interesse pubblico a contemperare il sostegno da offrire all'imprenditore in difficoltà con le aspettative dei soggetti verso i quali ha assunto obbligazioni. Gli atti oggetto di autorizzazione
Gli atti per il cui compimento va chiesta una autorizzazione sono elencati nel primo comma dell'art. 10. L'elencazione va ritenuta tassativa e pertanto non estensibile in via interpretativa. Infatti essa costituisce una restrizione alla regola generale dettata dall'art. 9 secondo la quale l'imprenditore conserva nelle trattative la gestione ordinaria e straordinaria dell'impresa. In quanto eccezione al principio di libertà, il novero delle fattispecie oggetto di autorizzazione costituisce un numero chiuso. Allo scopo di definire le fattispecie di deroga all'affermazione di principio, la disposizione in esame rinvia all'art. 111 legge fallimentare. Il rinvio risulta piuttosto poco felice per due motivi. Esso non è riferibile a tutte le fattispecie oggetto dell'art. 10 ma riguarda soltanto i casi contemplati nel primo comma costituiti dai conferimenti a favore dell'impresa in situazione di squilibrio. Inoltre, e per di più, la norma richiamata del r.d. 267/1942 disciplina l'ordine con il quale vanno distribuite le somme ricavate dalla liquidazione dell'attivo fallimentare. Come avviene del resto anche nell'espropriazione forzata, una volta ottenuta nella procedura concorsuale dalle operazioni compiute una somma di denaro che ne costituisce l'attivo ricavato, questa viene ripartita tra i creditori aventi diritto. La ripartizione è eseguita nel rispetto di regole precise riguardanti l'ordine dei privilegi e la tempestività dell'intervento. L'ambito al quale la detta norma oggetto di richiamo si riferisce è pertanto del tutto specifico, in quanto concerne una procedura concorsuale che presuppone l'avvenuta dichiarazione del fallimento dell'imprenditore in dissesto. Il rinvio ad opera dell'art. 10 in esame non sembra allora puntuale per la sede estremamente diversa nella quale è chiamato ad operare: il contesto di trattative negoziali tra le parti, finalizzate a risolvere una situazione di squilibrio prima che essa si trasformi in una crisi da dichiarare in modo ufficiale. Quel rinvio, dunque, deve essere inteso in un modo che possa adattarsi alla vicenda della composizione negoziata, nel cui ambito la divisione di diritti e di beni tra i creditori non costituisce episodio necessario o costitutivo. Le pattuizioni, nella composizione negoziata, possono non rispettare l'ordine dei privilegi, se chi è scavalcato lo consente nell'interesse della prosecuzione della vita dell'impresa; e possono risolversi in rinunce a diritti o in permute di beni. Deve allora intendersi che la prededucibilità fallimentare vada riferita non ad un ordine di pagamenti ma ad un soddisfacimento che a determinate condizioni (l'autorizzazione del tribunale) può prevalere sulla contraria volontà di alcune delle parti creditizie. Non dovendosi (necessariamente) seguire una regola legale di preferenze, l'unico ostacolo possibile che il ricorso al tribunale può superare è quello della mancanza di consenso di taluno di coloro che con la loro volontà dovrebbero dare adesione ad un determinato atto funzionale alla composizione negoziata. Se così va inteso il tenore della norma, può dirsi che il legislatore avrebbe potuto utilizzare uno strumento diverso da un meccanico rinvio sprovvisto di una esatta sovrapponibilità; e fare a meno di utilizzare indicazioni suscettibili di indurre perplessità nell'interprete. Del resto, il detto richiamo all'art. 111 appare poco significativo anche per altro aspetto. Questa disposizione infatti si limita a disporre che sono considerati crediti prededucibili quelli così qualificati da una specifica disposizione di legge e quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali previste dalla legge fallimentare. Le indicazioni per tal modo fornite assumevano un contenuto di concretezza nell'ambito della procedura concorsuale, minutamente disciplinata dalla legge. Ma, se riferite alle trattative negoziali, esse rivelano una decisa insufficienza. Il rimando alla “prededucibilità” da desumersi dalla qualifica disposta dalla legge si riduce ad una mera tautologia che per nulla chiarisce quanto occorre alle trattative della composizione negoziata. E la natura prededucibile da desumere dalla disciplina delle procedure concorsuali non può essere riferita alla composizione contrattata che, per definizione, non è una procedura concorsuale. In pratica, il riferimento alla prededucibilità nella procedura fallimentare assume il mero significato di indicare nella composizione negoziale quali sono gli atti per il cui compimento è richiesta la preventiva autorizzazione del tribunale. Essi si concretano nei finanziamenti a favore dell'impresa che si trova nella situazione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario (lettere a, b e c dell'art. 10). I finanziamenti in questione possono essere contrattati e ottenuti dall'imprenditore; o conferiti da terzi; provenienti dai soci oppure da una o più società del gruppo di imprese. La provenienza non ha alcun rilievo per quanto riguarda la composizione negoziata. Vale la regola secondo cui tutti i conferimenti in oggetto debbono essere previamente autorizzati. Ciò significa, in sostanza, che gli apporti in denaro e in beni debbono avvenire in via ufficiale, dichiarata e conosciuta, per il tramite di un vaglio esercitato dall'autorità giurisdizionale. Una fattispecie a sé è prevista dalla lettera d) della norma in esame. Uno degli atti che il tribunale può autorizzare su istanza dell'imprenditore ha ad oggetto il trasferimento dell'azienda o di uno o più dei suoi rami; il trasferimento, è specificato, può avere qualunque forma: espressione intesa a ricomprendere ogni possibile fattispecie concreta e ad eliminare ogni possibile contestazione. Il caso di maggior rilievo è quello della delocalizzazione dell'azienda, divenuto ormai frequente in un mondo produttivo che ha accorciato le distanze ma non ha livellato i costi del lavoro e delle materie prime. L'autorizzazione, più specificamente, non riguarda il trasferimento di per sè (che rientra tra gli atti di straordinaria amministrazione consentiti all'imprenditore dall'art. 9) ma è riferito alla non applicazione degli effetti che tale atto comporta per il disposto dell'art. 2560, secondo comma, codice civile. Esso stabilisce che nel trasferimento di un'azienda commerciale anche l'acquirente risponde dei debiti inerenti all'esercizio dell'azienda ceduta anteriori al trasferimento, se essi risultano dai libri contabili obbligatori. La regola così posta, con ambito applicativo generale, impedisce facili elusioni per accordi strumentali tra cedente e cessionario. Nel contesto delle trattative per la composizione negoziata il tribunale può liberare dalla responsabilità per debiti l'acquirente, per tal modo facilitando l'operazione se e quando ritenuta conveniente nella situazione concreta. Si tratta quasi sempre di vicende complesse che coinvolgono non soltanto gli interessi dei creditori ma anche soprattutto il rapporto di lavoro dei dipendenti. Non a caso il legislatore ha disposto che resta fermo l'articolo 2112 codice civile, avente ad oggetto le norme che assicurano il mantenimento dei diritti dei lavoratori nel caso del trasferimento dell'azienda. Ne segue che, se il cessionario può venir liberato dall'obbligo di rispondere dei debiti pregressi che poteva conoscere consultando i libri contabili, nondimeno nei suoi confronti i rapporti di lavoro proseguono e i lavoratori conservano tutti i diritti che da quei rapporti derivano. La legge di conversione 147/2021 del decreto 118/2021 ha introdotto una disposizione finalizzata ad assicurare il controllo giudiziario su una fattispecie di trasferimento suscettibile di determinare benefici ad esclusivo favore dell’acquirente. Con il suo provvedimento autorizzativo il tribunale deve dettare le misure più opportune a regolare la cessione, tenuto doverosamente conto delle istanze delle parti interessate ed allo scopo di tutelare (cioè comporre) gli interessi coinvolti. La rideterminazione del contenuto dei contrattiIl secondo comma dell'art. 10 contiene disposizioni rese opportune in considerazione della grave crisi economica che ha colpito alcuni settori produttivi e commerciali colpiti dalla caduta della domanda causata dalla pandemia da SARS-Cov-2. Queste disposizioni avrebbero potuto far parte dei provvedimenti che ripetutamente Governo e Parlamento hanno adottato per far fronte ad una situazione generale che ha rischiato di minare in profondità la tenuta del Paese. Si è scelto di inserirle invece nel corpo di un istituto destinato, almeno nei propositi enunciati, a durare nel tempo oltre il periodo di emergenza, e ciò sia perché le misure innovative hanno un innegabile riferimento con l'istituto della composizione negoziata e sia perché gli strascichi negativi della pandemia si protrarranno anche dopo che il momento peggiore sarà trascorso. Le disposizioni in oggetto consentono all'esperto, nel corso delle trattative, di invitare le parti a rideterminare, secondo buona fede, il contenuto dei contratti ad esecuzione continuata o periodica ovvero ad esecuzione differita se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa per effetto della pandemia. L'invito rientra tra le facoltà di cui l'esperto può servirsi nel compimento della sua funzione, unitamente alle altre, idonee a pilotare i consensi e a risolvere questioni. Non vi sarebbe stato, dunque, motivo di farne menzione esplicita, se non fosse per il fatto che è stato predisposto uno strumento specifico per assicurare la buona riuscita dell'iniziativa dell'esperto. L'alternativa che si presenta è la seguente. L'invito formulato dall'esperto può essere accolto e trovare condivisione. Le parti stabiliscono allora le nuove pattuizioni tenuto conto delle circostanze specifiche alla situazione nella quale collocarle. L'accenno alla buona fede riferito alla rideterminazione volontaria costituisce un richiamo all'onestà degli intenti ed all'equanimità delle soluzioni proposte, che devono evitare ingiusti sacrifici a danno di alcuni ed a favore di pochi altri. Il dovere della buona fede nelle trattative, oltre che della correttezza, è imposto con norma di riferimento più ampio dall'art. 4, comma quarto, e costituisce un principio comportamentale che il codice civile estende all'ambito di tutta la materia contrattuale. La normativa si preoccupa piuttosto di porre regole da seguire nel caso in cui l'esortazione dell'esperto cada nel vuoto. Questi infatti può trovarsi ad affrontare il dissenso o l'ostruzionismo di taluno dei creditori e dunque vedersi impedito a far eseguire quell'operazione che reputa necessaria nell'ottica di un possibile risanamento. In questa evenienza spetta all'esperto valutare se occorre insistere per ottenere quanto aveva costituito oggetto del suo invito indipendentemente dalla totalità dei consensi. Per superare l'ostacolo è legittimato a rivolgersi al tribunale ed averne un provvedimento. La procedura che ne segue è la medesima che l'art. 10 disciplina per l'autorizzazione all'imprenditore a contrarre finanziamenti o a trasferire l'azienda con esenzione dagli obblighi scaduti per il cessionario. Il tribunale, sentite le parti, se condivide l'iniziativa dell'esperto provvede direttamente a rideterminare il contenuto del contratto ed a stabilire la durata temporale della modifica apportata per quanto necessario ed a titolo di misura indispensabile ad assicurare la continuità aziendale. Il criterio affidato al giudice dal legislatore per la decisione è quello dell'equità: che deve accompagnare la proporzione e l'utilità della determinazione per il buon fine delle trattative. Questo, in definitiva, è pur sempre lo scopo della composizione negoziata, nel cui ambito la rideterminazione deve inserirsi. Allo stesso scopo, tuttavia, l'interesse di chi subisce la rideterminazione non è detto che vada totalmente sacrificato. Secondo le circostanze, infatti, il tribunale può stabilire la corresponsione di un indennizzo finalizzato a riassicurare l'equilibrio delle prestazioni. La rideterminazione dei contratti non si applica alle prestazioni oggetto di contratti di lavoro dipendente. Può ritenersi che la disposizione in tal senso non valga come un divieto assoluto. Il costo della forza lavoro pesa in misura notevole sulle imprese, specialmente in situazioni di stagnazione del mercato. In proposito l'art. 4, comma ottavo, stabilisce che se nel corso della composizione negoziata sono assunte rilevanti determinazioni che incidono sui rapporti di lavoro di una pluralità di lavoratori, in entità che occupano più di quindici dipendenti, devono essere intraprese procedure di informazione e consultazione tra le rappresentanze datoriali e quelle dei lavoratori. Dunque, le rideterminazioni sono permesse, a patto che osservino le condizioni stabilite a tutela dei dipendenti.
Il procedimento dinanzi al tribunaleLa competenza del tribunale al quale l’imprenditore o l’esperto, ciascuno per il proprio scopo, hanno facoltà di rivolgersi segue la regola dettata dall’art. 9 della legge fallimentare. E’ competente l’ufficio del luogo in cui l’imprenditore ha la sede principale dell’impresa, salve le particolarità stabilite nel caso del trasferimento dell’azienda o dell’ubicazione all’estero della sede principale dell’impresa. Si applicano, in quanto compatibili, le norme dettate dal codice di procedura civile a proposito dei procedimenti in camera di consiglio: la domanda assume la forma del ricorso e i provvedimenti sono dati con decreto (art. 737 c.p.c.); il giudice può assumere informazioni (art. 738); i decreti acquistano efficacia quando sono decorsi i termini per proporre reclamo senza che esso sia stato presentato (art. 741); i decreti possono essere in ogni tempo revocati, con salvezza dei diritti acquistati in buona fede dai terzi (art. 742); la tutela per coloro che intendono impugnare i provvedimenti è assicurata dal reclamo (art. 739); le regole così poste si applicano a tutti i procedimenti camerali (purchè non riguardino materia di famiglia o di stato delle persone: art. 742-bis). Non si applica l’art. 738 (per il quale il presidente nomina tra i componenti del collegio un relatore, che riferisce in camera di consiglio), dato che nella specie il tribunale pronuncia in composizione monocratica. A questo quadro di disposizioni richiamate, l’art. 10, secondo e terzo comma, aggiunge alcune specificazioni. Il tribunale adito con il ricorso deve sentire le parti interessate e può assumere le informazioni che si rendono necessarie. Ove occorra, nomina un ausiliare, ex art. 68c.p.c., munito dell’esperienza e delle cognizioni idonee a fornire un sostegno peritale. Per la sua decisione acquisisce il parere dell’esperto e tiene conto delle ragioni dell’altro contraente (di colui, ad esempio, che ha in corso con l’imprenditore i contratti ad esecuzione continuativa, periodica o differita). Il tribunale che ritiene di accogliere l’istanza, a seconda dei casi: autorizza l’atto di finanziamento da compiere, autorizza il trasferimento dell’azienda; o ridetermina equamente le condizioni del contratto e stabilisce la durata temporale di queste nuove condizioni. Avverso la decisione è proponibile il reclamo al tribunale in composizione collegiale. Del collegio non può far parte il giudice che ha emesso il provvedimento.
|