L'affidamento familiare non può essere disposto sine die e va adottato previo ascolto del minore

20 Settembre 2021

Quali sono i presupposti e i requisiti dell'affido familiare? Quando è necessario l'ascolto del minore? Questi gli interrogativi ai quali l'ordinanza della Cassazione oggetto di commento tenta di dare soluzione.
Massima

Il provvedimento di affidamento familiare del minore deve essere preceduto dall'ascolto di quest'ultimo e deve indicare il periodo di presumibile estensione temporale, rapportabile al complesso di interventi volti al recupero della famiglia d'origine.

Il caso

In un procedimento di separazione giudiziale il Tribunale ordinario aveva disposto il collocamento temporaneo della figlia della coppia presso la zia paterna, la sospensione degli incontri con la mamma ”sino a quando lo riterranno necessario i medici curanti della signora”, l'affidamento al servizio sociale dell'organizzazione di un incontro settimanale con il padre con facoltà di ampliare le modalità ove se ne ravvisassero le condizioni.

La decisione veniva impugnata da entrambe le parti e gli appelli venivano respinti dalla Corte d'appello di Torino.

Il padre proponeva quindi ricorso per cassazione deducendo il mancato ascolto della minore e dei nonni – espressamente richiesto dal padre –, il collocamento sine die della bambina presso la famiglia degli zii e il mancato addebito della separazione alla moglie.

La madre, con ricorso incidentale, deduceva la violazione dell'art. 4 l. n. 184/1983 in relazione all'affidamento familiare della figlia.

La questione

Quali sono i presupposti e i requisiti dell'affidamento familiare e quando è necessario l'ascolto del minore nei procedimenti che lo riguardano.

Le soluzioni giuridiche

La decisione in commento si sofferma, preliminarmente, sulla possibilità di applicare l'istituto dell'affidamento familiare, previsto dalla l. n. 184/1983 e successive modifiche, nell'ambito del procedimento di separazione personale tra coniugi pendenti dinanzi al Tribunale ordinario.

La Corte osserva in primo luogo che l'istituto dell'affidamento familiare ha lo scopo di consentire il superamento delle condotte dei genitori pregiudizievoli per la prole, che il principio cardine al quale si ispira la norma è il diritto del minore a un crescita sana ed equilibrata all'interno della propria famiglia – espressamente enunciato all'articolo 1 della legge 184/1983 – e che, per questo motivo, il medesimo deve essere necessariamente limitato nel tempo.

Una volta rimosse le condizioni che ostacolano il regolare svolgimento della funzione educativa dei genitori e non rendono possibile la convivenza, dunque, il bambino deve rientrare nell'alveo della famiglia.

La misura dell'affidamento familiare, inoltre, è indubbiamente uno di quei provvedimenti “convenienti nell'interesse del minore” indicati dall'art. 333 c.c. e, pertanto, in forza della attuale formulazione dell'art. 38, disp. att. c. c., ben può essere applicata dal Tribunale ordinario nell'ambito dei procedimenti per separazione e divorzio o di disciplina della cessazione della convivenza tra genitori non sposati.

È ormai pacifico infatti che in seguito alla riforma introdotta dalla legge n. 219/2012, nel caso in cui sia pendente un procedimento per separazione o divorzio, o un giudizio ex art. 316 c.c., per tutta la durata del processo la competenza in merito all'adozione dei provvedimenti previsti dagli artt. 330, 332, 333, 334 e 335 c.c. spetta al Tribunale ordinario, restando riservata al giudice minorile solo la decisione relativa alla decadenza della responsabilità genitoriale.

Il Tribunale ordinario, però, nel disporre l'affidamento familiare – anche nella forma dell'affido “endo-familiare”, così da non allontanare il minore dal contesto familiare di riferimento, come è avvenuto nel caso all'esame della Corte – è tenuto comunque a rispettare i presupposti e le regole dettate dalla l. n. 184/1983.

Alla luce di tale premessa, la Cassazione ribadisce che l'affidamento familiare deve essere preceduto dall'ascolto del minore - previsto dall'art. 4, comma 1 l. n. 184/1983 e dall'art. 336-bis c.c. per tutti i procedimenti inerenti i minori di età – e inoltre, come disposto dall'art. 4 comma 3 della medesima l. n. 184/1983, deve essere adeguatamente motivato, deve disciplinare analiticamente «modi e tempi dei poteri riconosciuti all'affidatario, le modalità attraverso le quali i genitori e gli altri componenti il nucleo possono mantenere i rapporti con il minore», deve infine indicare il servizio sociale al quale è attribuita «la responsabilità del programma di assistenza e la vigilanza nel periodo di affidamento, con l'obbligo di tenere costantemente informato il giudice che ha disposto la misura di ogni evento di particolare importanza, illustrando con relazioni periodiche semestrali l'andamento de programma di assistenza, la sua presumibile ulteriore durata e l'evoluzione delle condizioni di difficoltà del nucleo familiare di provenienza».

La durata dell'affidamento costituisce quindi il punto nevralgico dell'istituto e, per questo motivo, il provvedimento del giudice deve specificare il periodo di presumibile durata, in rapporto al complesso di interventi volti al recupero della famiglia, perché qualora la mancanza di un ambiente familiare idoneo risulti insuperabile e non risolvibile, si dovrà procedere con la pronuncia di adottabilità, anche nel caso in cui la condizione di affidamento familiare in sé sia positiva.

Per la medesima ragione un'eventuale proroga dell'affidamento non può avere una durata indeterminata, in quanto sarebbe un'implicita ammissione dell'impossibilità di recuperare un ambiente idoneo alla crescita del minore nella famiglia di origine, incompatibile con la finalità dell'istituto.

Quando il provvedimento di affidamento viene disposto dal Tribunale ordinario, pertanto, è quest'ultimo a dover stabilire la durata del medesimo, per poi valutare se sussistano motivi per disporne la cessazione e un'eventuale proroga – sempre temporanea – da motivare adeguatamente. Laddove le condizioni della famiglia non siano suscettibili di miglioramento e non sia quindi possibile reintrodurvi il minore, si dovrà invece procedere nuovamente all'ascolto per poi trasmettere gli atti al Tribunale peri Minorenni competente per l'adozione dei necessari provvedimenti a tutela dello stesso.

Sotto altro profilo, la Suprema Corte osserva altresì che spetta al Tribunale ordinario anche il compito di valutare l'opportunità della nomina di un curatore speciale del minore, sia quando si debba adottare un provvedimento di affidamento etero familiare - che va a limitare la responsabilità genitoriale e può comportare l'insorgere di un conflitto di interessi con i genitori – sia quando emerga un'alta conflittualità tra i coniugi.

Nel caso di specie, l'ascolto della figlia non era stato disposto senza alcuna motivazione sul punto, la durata dell'affidamento familiare non era stata contenuta nel termine massimo previsto dalla legge (non risultando neanche l'adozione di una proroga), né era stata valutata la sussistenza o meno di un conflitto di interessi tra la figlia e i genitori e, pertanto, la sentenza è stata cassata e rimessa alla corte d'appello in diversa composizione.

Il motivo relativo al mancato accoglimento della domanda di addebito, invece, è stato dichiarato inammissibile in quanto il giudice di legittimità ha ritenuto che la Corte territoriale aveva affermato – motivando adeguatamente sul punto – sia che non era possibile individuare a quale coniuge potesse addebitarsi la crisi coniugale, sia quali fossero i comportamenti di “volontario inadempimento agli obblighi nascenti dal matrimonio”, atteso che entrambi i coniugi presentavano una condizione patologica.

Osservazioni

Con l'ordinanza in esame la Corte riepiloga i presupposti e i requisiti dell'affidamento familiare, richiamando la propria giurisprudenza e i principi cardine della normativa di riferimento e i temi centrali della pronuncia sono essenzialmente due: la necessaria temporaneità dell'affidamento e l'ascolto del minore.

Sul primo aspetto la Corte ribadisce che l'allontanamento del minore dalla famiglia di origine deve sempre costituire l'extrema ratio, per cui è necessario, preliminarmente, cercare di rimuovere gli ostacoli e le difficoltà che impediscono ai genitori di prendersi cura della prole, disponendo il temporaneo allontanamento dei figli e il loro affidamento a terzi.

Poiché tali interventi sono comunque traumatici per i minori, è altrettanto doveroso verificare se all'interno del nucleo familiare siano presenti altri parenti in grado di occuparsi di loro nel periodo di allontanamento dai genitori, così da evitare l'ulteriore trauma di vedersi privati anche del “contesto familiare” in cui sono cresciuti (come già precisato da Cass. civ. sez. I, 4 novembre 2019 n. 28257) in quanto «non si può ignorare il fatto che in questi casi i minori siano già provati dalla situazione di difficoltà che hanno vissuto in famiglia, nonché dal conseguente allontanamento dai genitori» e, pertanto, il giudice di merito è «tenuto ad accertare l'adeguatezza dei membri della famiglia allargata che si siano dichiarati disponibili all'affido e con i quali i minori abbiano stabilito rapporti significativi. Solo nell'ipotesi in cui i suddetti membri non siano in grado di soddisfare le esigenze dei minori e di salvaguardarne il sano ed equilibrato sviluppo psico-fisico, allora sarà possibile disporre l'affido etero-familiare».

La decisione della corte territoriale cassata dagli ermellini aveva effettivamente valutato tale possibilità e affidato la figlia della coppia alla zia, ma aveva completamente omesso di disciplinare forme e modi dell'affidamento, creando, di fatto, un illegittimo affidamento sine die senza curarsi di verificare sussistenza e sviluppo del piano di recupero dei genitori, in violazione delle regole previste dalla l. n. 184/1983.

Per quanto attiene all'ascolto del minore, invece, la Corte rileva sia che l'art. 4 l. n. 184/1983 prevede espressamente la necessità di procedere all'audizione del minore ultradodicenne - o anche di età inferiore se capace di discernimento – e che, inoltre, a seguito delle recenti riforme che hanno riguardato il diritto di famiglia, l'ascolto deve ritenersi necessario tutte le volte in cui il giudice sia chiamato a ad assumere decisioni che influiscono sull'esercizio della responsabilità genitoriale.

Il giudice di legittimità richiama al riguardo una recente pronuncia – la n. 1474 del 25 gennaio 2021 della prima sezione - che ha precisato che l'audizione dei minori, prevista dall'art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, è diventata un adempimento necessario nelle procedure giudiziarie che li riguardino ai sensi dell'art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata con la l. n. 77/2003, nonché dell'art. 315-bis c.c. (introdotto dalla l. n. 219/2012) e degli artt. 336-bis e 337-octies c.c. (inseriti dal d.lgs. n. 154/2013) e costituisce, pertanto, una modalità, tra le più rilevanti, di riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguardano, nonché elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse.

Ne consegue che la sua omissione – se non espressamente e adeguatamente motivata - costituisce violazione del principio del contraddittorio e dei principi del giusto processo, poiché il minore è portatore di interessi contrapposti e diversi da quelli del genitore, in sede di affidamento e diritto di visita e, per tale profilo, è qualificabile come parte in senso sostanziale

Giova ricordare, in merito, che con altra ordinanza – la Cass. n. 1471/2021 - sempre della prima sezione, e sempre del 25 gennaio 2021, la Suprema Corte aveva altresì precisato che «la perdita, o limitazioni significative della responsabilità genitoriale, pongono il minore in una situazione nella quale - vieppiù nelle ipotesi in cui il procedimento ablativo colpisca entrambi i genitori - vengono a mancargli proprio quelle figure di riferimento che sono istituzionalmente deputate - anche in forza di un principio sancito a livello costituzionale (art. 30 Cost.) - a garantire al medesimo il soddisfacimento del diritto «ad essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente (...) nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni», ai sensi del combinato disposto degli artt. 315-bis e 316 c.c. La considerazione del pericolo, per il minore, di venire a trovarsi di fronte ad una perdita o ad un rilevante ridimensionamento della responsabilità genitoriale, in relazione ad una o ad entrambe le figure di riferimento, non poteva, pertanto, che determinareuna scelta legislativa - posta in essere con la menzionata l. n. 149/2001 - che consentisse al minore medesimo di prendere posizione in maniera qualificata, mediante l'assistenza di un difensore, in ordine a decisioni di particolare rilievo ed incisive sulle sua vita futura».

Il giudice chiamato a decidere in ordine a provvedimenti limitativi ed eliminativi della potestà genitoriale – nei quali si può verificare un conflitto di interessi tra genitori e minore – dunque è tenuto a nominare un difensore del minore, mentre, nelle controversie relative al regime di affidamento e di visita del figlio di una coppia che pone fine alla propria comunione di vita, la partecipazione del minore si esprime mediante il suo ascolto (previsto in origine dall'art. 155-sexies c.c., poi divenuto necessario ai sensi dell'art. 315-bis c.c., introdotto dalla l. 10 dicembre 2012, n. 219, in attuazione dell'art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, e previsto altresì dall'art. 337-octies c.c , introdotto del d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, art. 55).

Si osserva infine che nell'ordinanza in esame la Cassazione si limita a precisare, in via incidentale, che il giudice di merito, prima di disporre l'affidamento familiare, è tenuto a valutare anche l'opportunità della nomina di un curatore speciale del minore, senza ulteriormente argomentare sul punto.

In merito si richiama nuovamente l'ordinanza Cass. 1471/2021 con la quale il giudice delle leggi ha invece affrontato nel dettaglio il tema della nomina del curatore speciale, precisando che nei cosiddetti “giudizi de potestate”, la posizione del figlio “risulta sempre contrapposta a quella di entrambi i genitori”, anche quando il provvedimento sia richiesto nei confronti di uno solo di essi, poichè che non si può ritenere che l'interesse del minore coincidenza con quello dell'altro genitore, che potrebbe aver presentato il ricorso, o aver aderito a quello presentato da uno dei soggetti legittimati, per scopi personali, affermando che, pertanto, in questi casi si deve necessariamente procedere alla nomina del curatore speciale, mentre, nelle altre ipotesi di conflitto si dovrà valutare caso per caso.

Nell'ordinanza in commento, poiché il giudice del merito ha disposto l'affidamento della figlia alla zia allontanandola dai genitori, ha indubbiamente adottato un provvedimento che incide sull'esercizio della responsabilità genitoriale limitandola e, pertanto, sulla base della recente giurisprudenza sopra citata, avrebbe dovuto non solo ascoltare la minore, ma procedere altresì alla nomina del curatore che rappresentasse la bambina nel processo, essendo la sua posizione in conflitto con quella dei genitori.

;

;

;

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.