L’azione civile nei processi per bancarotta

Ciro Santoriello
24 Settembre 2021

Come è noto, il danno risarcibile derivante dal reato fallimentare si distingue dunque dal pregiudizio economico prodotto dall'insolvenza, non risarcibile in sede penale. Il danno da reato si compone del danno morale e del danno patrimoniale, ulteriore rispetto all'inadempimento dell'obbligazione che legittima il creditore all'insinuazione del passivo...
Massima

I creditori sono legittimati uti singuli ad esercitare l'azione civile nel procedimento penale per il delitto di bancarotta fraudolenta quando intendano far valere un titolo di azione propria, personale, come nel caso di danni non patrimoniali patiti dalla consumazione del reato; la loro legittimazione ad esercitare l'azione civile nel procedimento penale per bancarotta fraudolenta invece è sussidiaria rispetto a quella del curatore e quindi può essere esercitate solo se quest'ultimo rimanga inerte.

Il caso

In sede di appello, nell'ambito di un procedimento per bancarotta fraudolenta patrimoniale, dopo aver disposto la condanna del presidente e del consigliere del Consiglio di Amministrazione di una società fallita, veniva disposta anche la condanna in favore della parte civile – un creditore dell'impresa fallita - di una somma di denaro. In sede di ricorso per cassazione su quest'ultimo punto, la difesa lamentava che, essendo contestato unicamente il delitto di bancarotta fraudolenta, la pretesa risarcitoria del creditore non doveva trovare accoglimento, in quanto la richiesta risarcitoria da parte del fallimento inglobava tutte le pretese della massa creditoria della fallita, ivi compresa quella della parte civile; inoltre la Corte territoriale non aveva considerato l'incidenza della revoca della costituzione di parte civile da parte del fallimento in seguito alla transazione stipulata con gli imputati.

La questione

Come è noto, il danno risarcibile derivante dal reato fallimentare si distingue dunque dal pregiudizio economico prodotto dall'insolvenza, non risarcibile in sede penale. Il danno da reato si compone del danno morale e del danno patrimoniale, ulteriore rispetto all'inadempimento dell'obbligazione che legittima il creditore all'insinuazione del passivo. Il danno patrimoniale, per la precisione, è determinato dalla differenza tra attivo fallimentare ed attivo che si sarebbe realizzato senza la condotta che ha negativamente inciso sul patrimonio del fallito; se l'azione delittuosa non incide negativamente sul patrimonio (si pensi ad esempio ad una bancarotta documentale), il danno viene individuato nel c.d. interesse negativo, costituito dalla maggior spesa che la massa fallimentare ha dovuto sopportare a causa di tale condotta (CORUCCI, La bancarotta e i reati fallimentari, Milano, 2013, 281).

L'art. 240 prevede che il curatore fallimentare (ma anche il commissario giudiziale – Trib. Napoli, 25 luglio 2013, in Foro Amm., 2013, 1317 e il commissario straordinario – Trib. Roma, 7 novembre 2012, in Foro Amm., 2013, 125) si possa costituire nel procedimento penale avente ad oggetto i reati previsti dagli artt. 216 ss. La costituzione avviene nell'interesse dei creditori (a favore della massa, e, segnatamente a favore di quanti siano danneggiati dal reato, non di singoli creditori che non lamentino un pregiudizio da delitto).

La posizione del curatore è particolare: egli non rappresenta i creditori ma è legittimato all'azione (senza necessità di procura speciale) quale organo del fallimento, anche a prescindere da qualsivoglia autorizzazione o parere contrario di costoro (CONTI, Diritto penale commerciale, I reati fallimentari, II, Torino, 1991, 484; LA MONICA, I reati fallimentari, II ed., aggiornata da Maccari, Milano, 1999, 630), sino alla chiusura della procedura e per il periodo successivo, quando non si sia chiusa la vicenda penale, i creditori potranno proseguire nell'azione civile, sostituendosi al curatore ormai decaduto (GIULIANI-BALESTRINO, La bancarotta e gli altri reati concorsuali, V ed., Milano, 2006, 365).

Conclusione diversa per il commissario liquidatore - nel procedimento per bancarotta a carico degli amministratori di una società dichiarata in stato di insolvenza - per il quale risulta inammissibile la costituzione di parte civile se privo di autorizzazione dell'autorità amministrativa che vigila sulla liquidazione, considerato che la previsione di cui all'art. 206 l. fall. richiede tale autorizzazione per il promovimento dell'azione di responsabilità contro gli amministratori e la costituzione in discorso si sostanzia in un'azione di responsabilità nell'ambito del processo penale, mentre nessun rilievo spiega in quest'ambito l'art. 200 l. fall. che riguarda solo le cause relative a rapporti di natura patrimoniale, per le quali il commissario liquidatore sta in giudizio senza la previa autorizzazione dell'autorità di vigilanza (Cass., sez. V, 16 dicembre 2004, n. 3407). Più recentemente, invece, è stato affermato il contrario, giacché la Suprema Corte ha avuto modo di precisare che l'art. 206 l. fall. riguarda solamente il promovimento dell'azione di responsabilità ai sensi degli artt. 2393 e 2394 c.c. e gli atti di cui all'art. 35 l. fall. che non sono invece sovrapponibili all'esercizio dell'azione civile nel processo penale (Cass., sez. V, 17 marzo 2016, n. 20108).

L'art. 100, d.lgs. n. 180 del 2015, emanato in attuazione della direttiva 2014/59/UE del Parlamento e Consiglio europeo e che introduce le procedure per il risanamento e la risoluzione degli enti creditizi, estende la legittimazione a costituirsi parte civile anche al commissario speciale di cui all'art. 37 del medesimo decreto, disposizione che diventa operativa qualora l'ente sottoposto a risoluzione si trovi in stato di insolvenza e questa sia comunque superata per effetto della risoluzione stessa. Nonostante ciò, nonostante ci sia il superamento dello stato di insolvenza, si continuano infatti ad applicare, per stessa ammissione dell'art. 36, d.lgs. n. 180 del 2015, le norme previste dagli artt. 216 ss. l. fall. In questo caso la costituzione è riservata al commissario speciale.

Quanto precede non esclude che il curatore possa esercitare l'azione civile, previa autorizzazione del giudice fallimentare, per reati diversi dal novero fallimentare (es. furto o appropriazione indebita) che abbiano danneggiato il patrimonio dedotto a garanzia dei creditori (Cass., sez. V, 7 settembre 2015, n. 5010 con riferimento al reato di associazione per delinquere; v. più recentemente Cass., sez. V, 14 febbraio 2017, n. 6904).

I singoli creditori, invece, sono legittimati alla costituzione di parte civile per il solo delitto di bancarotta fraudolenta e nella sola ipotesi che manchi la costituzione del curatore, ovvero intendano far valere un titolo di azione propria personale. Questa previsione – criticata in dottrina - tende ad evitare istanze sostanzialmente preferenziali a favore dei singoli creditori insinuati al processo penale. Discusso se i creditori possano comunque agire persone offese e far valere i relativi diritti anche nelle ipotesi in cui non gli è consentito l'esercizio dell'azione civile nel processo penale: la giurisprudenza si è pronunciata in senso negativo (Cass., sez. V, 7 giugno 2016, n. 23647).

È discussa la permanenza della limitazione all'esercizio dell'azione civile nel processo penale da parte dei singoli creditori una volta che il fallimento sia chiuso: ha risposto positivamente al quesito parte della dottrina, ma alcuni autori si sono espressi in senso contrario segnalando che la norma non prevede questa ipotesi. La giurisprudenza ha concluso sostenendo che la costituzione dei singoli creditori sarebbe ammissibile negli stessi termini in cui l'esercizio dell'azione penale sarebbe stata consentita al curatore (Cass., sez. V, 3 giugno 1980, n. 11782).

Con riferimento ai rapporti tra azione del curatore e dei creditori, occorre sottolineare come la costituzione di parte civile del curatore successiva a quella già effettuata da singoli creditori (senza che essi abbiano fatto valere una ragione personale) fa decadere quest'ultima, né il curatore potrebbe - attesa la diversa causa petendi - subentrare alla loro iniziativa processuale. Una isolata decisione della Cassazione ha escluso l'applicabilità della disposizione limitativa all'azione dei creditori nel caso in cui il reato contestato sia quello di bancarotta impropria (Cass., sez. V, 11 febbraio 1988, n. 1727): la tesi non rinviene, tuttavia, alcun sostegno sistematico né aderenza alle predette ragioni che sottostanno alla scelta normativa. Il testo dell'art. 240, secondo comma, l. fall. non accenna minimamente ad un diverso trattamento tra le varie ipotesi di bancarotta fraudolenta, includendo nella sua previsione, con lettera esplicita, la complessiva fattispecie di "bancarotta fraudolenta", nozione che - all'evidenza - include in sé (per il rinvio dettato dall'art. 223 comma 1) l'intera gamma delle previsioni dell'art. 216 l. fall. né utilizza espressioni che alludono inequivocabilmente all'autore del delitto di bancarotta fraudolenta propria, indicando (a differenza che nel primo comma che menziona il "fallito") il «procedimento penale per bancarotta fraudolenta», utile anche per annettere l'ipotesi di cui all'art. 223 l. fall. (in questo senso, infatti, Cass., sez. V, 3 ottobre 2007, n. 43191).

Qualora il curatore, successivamente all'inizio del processo penale per bancarotta, abbia optato per l'esercizio in sede civile dell'azione di responsabilità nei confronti del fallito, la precedente costituzione di parte civile del singolo creditore in sede penale conserva efficacia solo per i crediti di natura personale, mentre deve intendersi automaticamente caducata per i crediti della massa già azionati dallo stesso curatore (Cass., sez. V, 9 aprile 2014, n. 19216).

Le soluzioni giuridiche

La Cassazione ha ritenuto il motivo relativo al capo civile di condanna infondato.

In proposito ai sensi dell'art. 240, comma 2, R.D. n. 267 del 1942, il singolo creditore è legittimato in proprio a costituirsi parte civile nel procedimento penale per il delitto di bancarotta fraudolenta nella sua qualità di persona danneggiata dal reato, quando fa valere una richiesta di risarcimento a titolo personale (Cass., sez. V, 4 novembre 2016, n. 6904; Cass., sez. V, 3 ottobre 2007, n. 43101), per cui i creditori sono legittimati ad esercitare l'azione civile nel procedimento penale per bancarotta fraudolenta in ogni caso in cui tale azione non sia esercitata dal curatore (c.d. legittimazione sussidiaria); qualora, invece, i creditori intendano far valere un titolo di azione propria, personale (c.d. legittimazione principale) la costituzione di parte civile è consentita in concorso con quella esperita dal curatore (Cass., sez. V, 3 giugno 1980 n. 11782).

Di conseguenza, i creditori sono legittimati uti singuli ad esercitare l'azione civile nel procedimento penale per il delitto di bancarotta fraudolenta quando intendano far valere un titolo di azione propria, personale, come nel caso di danni non patrimoniali patiti dalla consumazione del reato (Cass., sez. V, 12 aprile 2005, n. 42608), come accaduto nel caso di specie posto che la parte civile Barbato si era costituita nel processo penale chiedendo il ristoro del danno morale derivato dal depauperamento fraudolento dei risparmi di una vita, non già del danno patrimoniale; l'azione civile è, dunque, del tutto diversa, nel petitum, da quella esercitata ex art. 240 l. fall. dalla curatela fallimentare.

Osservazioni

La decisione in commento si pone senz'altro nel solco del consolidato orientamento giurisprudenziale di cui si è detto, subordinando, come si è detto, la legittimazione del creditore alla costituzione di parte civile alla circostanza che egli agisca per il soddisfacimento di interessi riferibili esclusivamente alla sua persona.

Quanto alla nozione di azione propria personale che legittima il creditore all'esercizio dell'azione civile, pur in presenza di costituzione del curatore nel processo penale, essa attiene indubitabilmente a reati diversi da quelli fallimentari, quali truffa, appropriazione indebita, insolvenza fraudolenta che possono concorrere con quello di bancarotta. La dottrina e la diffusa giurisprudenza ritengono che la norma alluda anche a tutti i casi in cui il danno lamentato e di cui chiesto il risarcimento non può essere ripetuto dall'organo concorsuale, come è il caso di danni non patrimoniali (Cass., sez. V, 12 aprile 2005, n. 42608). Peraltro, si ritiene che la limitazione in parola concerna la sola posizione dei creditori e non, ad esempio, degli obbligazionisti ai sensi dell'art. 2395 c.c. o degli azionisti (Trib. Roma, 7 novembre 2012, in Foro Amm., 2013, 125).

Infine, problematica è la posizione del Comitato dei creditori che, nell'economia della riforma, assume un ruolo centrale (ancorché la prassi l'abbia di molto svilito): autorevole opinione ritiene trattarsi di ente esponenziale e, quindi, legittimato - se portatore di danno patrimoniale - alla costituzione di parte civile, secondo giurisprudenza ormai consolidata [da ultimo Cass., sez. II, 28 marzo 2007, n. 20681).

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