Codice di Procedura Penale art. 344 bis - Improcedibilita' per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione 1

Sergio Beltrani

Improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione1

1. La mancata definizione del giudizio di appello entro il termine di due anni costituisce causa di improcedibilità dell'azione penale.

2. La mancata definizione del giudizio di cassazione entro il termine di un anno costituisce causa di improcedibilità dell'azione penale.

3. I termini di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo decorrono dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine previsto dall'articolo 544, come eventualmente prorogato ai sensi dell'articolo 154 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del presente codice, per il deposito della motivazione della sentenza.

4. Quando il giudizio di impugnazione è particolarmente complesso, in ragione del numero delle parti o delle imputazioni o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare, i termini di cui ai commi 1 e 2 sono prorogati, con ordinanza motivata del giudice che procede, per un periodo non superiore a un anno nel giudizio di appello e a sei mesi nel giudizio di cassazione. Ulteriori proroghe possono essere disposte, per le ragioni e per la durata indicate nel periodo precedente, quando si procede per i delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni, per i delitti di cui agli articoli 270, terzo comma, 306, secondo comma, 416-bis, 416-ter, 609-bis, nelle ipotesi aggravate di cui all'articolo 609-ter, 609-quater e 609-octies del codice penale, nonché per i delitti aggravati ai sensi dell'articolo 416-bis.1, primo comma, del codice penale e per il delitto di cui all'articolo 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309. Nondimeno, quando si procede per i delitti aggravati ai sensi dell'articolo 416-bis.1, primo comma, del codice penale, i periodi di proroga non possono superare complessivamente tre anni nel giudizio di appello e un anno e sei mesi nel giudizio di cassazione.

5. Contro l'ordinanza che dispone la proroga del termine previsto dal comma 1, l'imputato e il suo difensore possono proporre ricorso per cassazione, a pena di inammissibilità, entro cinque giorni dalla lettura dell'ordinanza o, in mancanza, dalla sua notificazione. Il ricorso non ha effetto sospensivo. La Corte di cassazione decide entro trenta giorni dalla ricezione degli atti osservando le forme previste dall'articolo 611. Quando la Corte di cassazione rigetta o dichiara inammissibile il ricorso, la questione non può essere riproposta con l'impugnazione della sentenza.

6. I termini di cui ai commi 1 e 2 sono sospesi, con effetto per tutti gli imputati nei cui confronti si sta procedendo, nei casi previsti dall'articolo 159, primo comma, del codice penale e, nel giudizio di appello, anche per il tempo occorrente per la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale. In caso di sospensione per la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, il periodo di sospensione tra un'udienza e quella successiva non può comunque eccedere sessanta giorni. Quando è necessario procedere a nuove ricerche dell'imputato, ai sensi dell'articolo 159 o dell'articolo 598-ter, comma 2, del presente codice, per la notificazione del decreto di citazione per il giudizio di appello o degli avvisi di cui all'articolo 613, comma 4, i termini di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo sono altresì sospesi, con effetto per tutti gli imputati nei cui confronti si sta procedendo, tra la data in cui l'autorità giudiziaria dispone le nuove ricerche e la data in cui la notificazione è effettuata2.

7. La declaratoria di improcedibilità non ha luogo quando l'imputato chiede la prosecuzione del processo.

8. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 624, le disposizioni di cui ai commi 1, 4, 5, 6 e 7 del presente articolo si applicano anche nel giudizio conseguente all'annullamento della sentenza con rinvio al giudice competente per l'appello. In questo caso, il termine di durata massima del processo decorre dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine previsto dall'articolo 617.

9. Le disposizioni del presente articolo non si applicano nei procedimenti per i delitti puniti con l'ergastolo, anche come effetto dell'applicazione di circostanze aggravanti.

[1] Articolo inserito dall'art. 2, comma 2, lett. a), l. 27 settembre 2021, n. 134, a decorrere dal 19 ottobre 2021A norma del comma 3 del medesimo articolo «Le disposizioni di cui al comma 2 del presente articolo si applicano ai soli procedimenti di impugnazione che hanno a oggetto reati commessi a far data dal 1° gennaio 2020.». I successivi commi 4 e 5 del medesimo articolo dispongono inoltre che:  «4. Per i procedimenti di cui al comma 3 nei quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, siano già pervenuti al giudice dell'appello o alla Corte di cassazione gli atti trasmessi ai sensi dell'articolo 590 del codice di procedura penale, i termini di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 344-bis del codice di procedura penale decorrono dalla data di entrata in vigore della presente legge. 5. Nei procedimenti di cui al comma 3 nei quali l'impugnazione è proposta entro la data del 31 dicembre 2024, i termini previsti dai commi 1 e 2 dell'articolo 344-bis del codice di procedura penale sono, rispettivamente, di tre anni per il giudizio di appello e di un anno e sei mesi per il giudizio di cassazione. Gli stessi termini si applicano nei giudizi conseguenti ad annullamento con rinvio pronunciato prima del 31 dicembre 2024. In caso di pluralità di impugnazioni, si fa riferimento all'atto di impugnazione proposto per primo.»

[2]  Comma così modificato dall'art. 16, comma 1, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che ha inserito le parole: «o dell'articolo 598- ter, comma 2,» dopo le parole: «dell'articolo 159». Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199.

Inquadramento

Il nuovo art. 344-bis c.p.p. costituisce il “pezzo forte” della c.d. “Riforma Cartabia” (essendo stata la legge n. 134 del 2021 — pubblicata in GU 4 ottobre 2021 ed in vigore dal 19 ottobre 2021 — così ormai ribattezzata in omaggio al nome della Ministra Guardasigilli).

L'iter del progetto di riforma aveva preso il via con l'istituzione, in data 16 marzo 2021, di una Commissione di studio (la c.d. “Commissione Lattanzi”, dal nome del suo Presidente) incaricata di elaborare proposte di riforma riguardanti il processo penale, il sistema sanzionatorio penale e la disciplina della prescrizione del reato, perseguendo i seguenti obiettivi:

— riduzione dei tempi di definizione dei procedimenti;

— riduzione del numero dei procedimenti da trattare.   

Attraverso la riforma in fieri ed il perseguimento dei predetti obiettivi, si intendeva, inoltre, rinnovare la fiducia della collettività nell'amministrazione della giustizia e garantire l'effettività della tutela giurisdizionale per tutti, nel rispetto dei principi del giusto processo e della ragionevole durata di esso, valori costituzionalmente tutelati dall'art. 111 Cost.

In seno alla Commissione Lattanzi erano maturate, con riguardo alla disciplina della prescrizione del reato ed alla riduzione dei tempi di definizione dei procedimenti, due proposte.

La prima mirava a ridurre l'incidenza della prescrizione nei giudizi d'impugnazione, modificando l'art. 159 c.p., che disciplina le cause di sospensione (così la Relazione della Commissione Lattanzi sul punto: « si propone in particolare la sostituzione del secondo comma dell'art. 159 c.p. con cinque nuovi commi, allo scopo di introdurre, in luogo dell'attuale sospensione della prescrizione illimitata e incondizionata dopo la condanna, una sospensione condizionata e di durata limitata, corrispondente alla durata non irragionevole stabilita per i giudizi di impugnazione dalla legge Pinto »).

La seconda prevedeva una riforma più radicale: partendo dal presupposto che la prescrizione, determinata dal c.d. “tempo dell'oblio”, « che determina il venir meno dell'interesse sociale alla punizione del fatto », non può verificarsi dopo l'inizio del procedimento, perché il suo termine deve cessare di decorrere con l'esercizio dell'azione penale, attraverso la quale lo Stato manifesta il suo interesse a perseguire il reato commesso: si legge, in proposito, nella Relazione della Commissione Lattanzi che « Se e quando il processo inizia, anche un solo giorno prima del maturare del termine di prescrizione del reato, prosegue senza che la prescrizione del reato possa più maturare, perché lo Stato si è attivato in tempo ». Si proponeva, pertanto,  l'inserimento, nell'art. 158 c.p., di un nuovo quarto comma, a norma del quale « Il corso della prescrizione del reato cessa definitivamente, in ogni caso, con l'esercizio dell'azione penale », oltre che di una serie di disposizioni consequenziali. Al tempo stesso, si proponeva l'inserimento di una nuova disposizione, l'art. 344-bis c.p.p., che introduceva nell'ordinamento una nuova causa d'improcedibilità per il superamento dei termini massimi di durata del processo, a garanzia dell'esigenza di salvaguardare il diritto alla ragionevole durata del processo: preso atto del fatto che la priorità odierna è di ridurre i tempi di definizione dei giudizi, allineandoli agli standard europei, che, peraltro, nessuno mai illustra compiutamente: per avere dati significativi, non basta, infatti, richiamare il tempo di durata del singolo procedimento, occorrendo anche verificare il numero dei procedimenti assegnati, nelle varie fasi, a ciascun magistrato; si osservava che questo risultato « può essere raggiunto individuando termini di fase prossimi a quelli di ragionevole durata del processo, che per la legge Pinto sono pari a tre anni per il primo grado, a due per l'appello e a un anno per il giudizio di legittimità »; in quest'ottica, l'improcedibilità dell'azione costituiva « estremo rimedio per la tutela del diritto fondamentale alla ragionevole durata del processo », rimedio « che, in una logica di progressività, è temporalmente preceduto dal rimedio risarcitorio della legge Pinto », essendo il previsto termine di improcedibilità determinato dalla Commissione in misura più ampia di quello corrispondente previsto dalla citata legge Pinto. Secondo la proposta della Commissione, in particolare, i termini di improcedibilità avrebbero dovuto essere pari ad anni 4, 3, e 2 rispettivamente per il giudizio di primo grado, di appello e di legittimità; l'improcedibilità si sarebbe dovuta determinare per ciascuna fase: il processo penale, nel suo complesso, non sarebbe dovuto durare, dalla data dell'esercizio dell'azione penale (e, quindi, senza considerare il tempo necessario per lo svolgimento delle indagini preliminari), più di nove anni, salva proroga del termine di fase nei casi previsti, nelle ipotesi in precedenza previste come cause di sospensione del corso della prescrizione del reato; per una serie di reati di particolare gravità si ipotizzava l'evenienza di prevedere un termine di improcedibilità di durata maggiore, o addirittura, per i reati puniti con l'ergastolo o di criminalità organizzata, l'esclusione dalla disciplina.

Una terza proposta, discussa ma non accolta dalla Commissione, limitava il meccanismo dell'improcedibilità ai soli giudizi d'impugnazione; di conseguenza, il termine di prescrizione del reato cessava di decorrere definitivamente con l'emissione della sentenza di primo grado: proprio questa è, peraltro, la proposta accolta dalla novella.

La disciplina

Il nuovo art. 344-bis c.p.p. stabilisce che l'azione penale, nei casi in cui essa era ex ante procedibile, diventa ex post “improcedibile” in caso di mancata definizione dei giudizi d'impugnazione entro termini prestabiliti.

Questa previsione è viziata da un primo, grave, errore logico-giuridico, potendo, nei casi presi in considerazione dalla disposizione, l'azione penale correttamente esercitata perché “procedibile” (a seconda dei casi, d'ufficio oppure a querela di parte) al più divenire “improseguibile”, non certo radicalmente improcedibile: la tecnicamente errata dizione utilizzata dal legislatore (verosimilmente fuorviata da una collocazione surreale, nell'ambito delle condizioni di procedibilità, istituto che, peraltro, fino ad ieri condizionava anche l'inizio del procedimento, non soltanto la tombale conclusione del processo) sembra volere intendere che, a seguito della declaratoria di “improcedibilità” per mancata definizione entro il termine previsto del giudizio d'impugnazione, l'azione penale, dichiarata improcedibile, non potrà essere esercitata nuovamente in relazione al medesimo fatto storico, pur se diversamente qualificato in diritto. A ciò induce anche il rilievo che il successivo art. 345 c.p.p. (il quale disciplina i casi di riproponibilità dell'azione penale in presenza del sopravvenire della condizione di procedibilità inizialmente mancante, evocando — anche nel secondo comma — situazioni che, in relazione alla nuova causa di improcedibilità di cui all'art. 344-bis, rimuovibile solo da una tempestiva definizione ex post dell'impugnazione, non sono ex ante immaginabili) non è stato modificato dalla novella. 

A seguito dell'introduzione dell'art. 344-bis c.p.p., è stato modificato anche l'art. 578 c.p.p., attraverso l'inserimento di un nuovo comma 1-bis, a norma del quale gli effetti civili delle sentenze di condanna pronunciate in primo grado restano salvi: si prevede, in particolare, che, nei casi in cui, nei confronti dell'imputato, sia stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, in favore della parte civile, il giudice di appello e la Corte di cassazione, nel dichiarare improcedibile l'azione penale per il superamento dei termini di cui ai commi 1 e 2 dell'art. 344-bis, rinviano per la prosecuzione del giudizio riguardante l'azione civile, al giudice civile competente per valore in grado di appello, che decide valutando le prove acquisite nel processo penale.

L’ambito applicativo della disciplina: il “giudizio” d’impugnazione.

L'art. 344-bis c.p.p.si applica, per sua espressa previsione, ai soli “giudizi” d'impugnazione, non quindi a tutte le impugnazioni, come pure sarebbe stato possibile prevedere.

Tenuto conto che il termine “giudizio”, impiegato dalla disposizione per delimitare il suo ambito applicativo, intitola anche il libro VII del vigente codice di rito, ed evoca il processo di cognizione ordinario, potendo al più essere ampliato estensivamente (per trasparente identità di presupposto legittimante e di ratio), fino a ricomprendere i processi di cognizione celebrati e conclusi con i riti alternativi, riteniamo che la prevista causa speciale d'improcedibilità, avente natura eccezionale, e come tale insuscettibile di analogia, non operi fuori da questi casi, ed in particolare non operi per ogni  diverso subprocedimento nell'ambito del quale sia accordata alle parti la facoltà di proporre una impugnazione. Invero, i lavori preparatori della novella appaiono  delineare con chiarezza l'esistenza — nella prospettiva dei riformatori — di un rapporto di complementarità tra l'ambito di applicazione del nuovo istituto dell'improcedibilità delle impugnazioni e la disciplina dell'estinzione dei reati per prescrizione (poiché il primo, in tutte le proposte discusse dalla Commissione Lattanzi, era destinato ad occupare gli spazi sottratti all'operatività dell'altra), oggi normativamente evidenziato, ineludibilmente, dal coordinamento sistematico esistente tra il corso della prescrizione, che si arresta tendenzialmente nel momento della definizione del giudizio di cognizione di primo grado, e l'operatività dell'improcedibilità dell'impugnazione, che assume rilievo in relazione alla definizione del giudizio di secondo grado o di cassazione), di tal che non sembra potervi essere spazio per l'operatività della nuova causa di improcedibilità delle impugnazioni in casi nei quali — in difetto di essa — non sarebbe stato comunque possibile ipotizzare l'attitudine delle conclusiva decisione dell'impugnazione stessa a scongiurare il maturare dei termini di prescrizione del reato.

Si noti, inoltre, che, nella struttura dell'art. 344-bis, accanto al termine “giudizio d'impugnazione” figura il termine “definizione” (cui il giudizio d'impugnazione in relazione al quale opera la nuova causa d'improcedibilità deve essere finalizzato), che «sembra evocare l'attitudine della decisione che conclude il “giudizio d'impugnazione” alla definitività, che sola può scongiurare oggi il maturare del termine previsto a pena d'improcedibilità, come scongiurava ieri il maturare del termine di prescrizione» (Beltrani 2022, 2085).   

Per tali ragioni,  la disciplina dell'improcedibilità dell'impugnazione  non opera in relazione Beltrani 2080 ss.):

- al ricorso per cassazione previsto  ex artt. 311 e 325 c.p.p. nell'ambito dei subprocedimenti cautelari personali e reali, la cui “definizione” non condiziona il prosieguo del procedimento di cognizione ed, in particolare, non condiziona, in primo grado, il maturare, o meno, dei termini di prescrizione;

- alle impugnazioni proposte nell'ambito del procedimento di esecuzione   (nel quale si è già formato un giudicato);

- alle impugnazioni in materia di mandato di arresto europeo e di estradizioni;

- alle impugnazioni straordinarie o che comunque presuppongono un giudicato (ricorso straordinario ex art. 625-bis c.p.p.; richiesta di eliminazione degli effetti pregiudizievoli delle decisioni adottate in violazione della Convenzione EDU ex art. 628-bis c.p.p.; revisione ex artt. 629 ss. c.p.p.; rescissione del giudicato ex art. 629-bis c.p.p.; riparazione per l'ingiusta detenzione ex art. 314 c. c.p.p.; riparazione dell'errore giudiziario ex art. 643 ss. c.p.p.);

—  al ricorso previsto dal comma 5 dello stesso art. 344-bis (che ciononostante andrà deciso con celerità, dovendo la Corte di appello essere messa tempestivamente in grado di ovviare all'eventuale illegittimità della proroga);

—  ai ricorsi per cassazione contro gli atti abnormi;

—  alle impugnazioni riguardanti il procedimento di prevenzione (che prescinde  dalla commissione, e conseguentemente  dall'accertamento della commissione, di un reato, ed ha una disciplina ad hoc, dettata dagli artt. 10 e 27 d. lgs. n. 159 del 2011).

Per le medesime ragioni sistematiche, riteniamo che l'improcedibilità ex art. 344-bis c.p.p. non operi neppure nel procedimento in danno degli enti ex d.lgs. n. 231/2001, nell'ambito del quale, in forza della disposizione speciale di cui all'art. 22, comma 4,  del predetto d.lgs., a seguito della contestazione dell'illecito la prescrizione “non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio” (Beltrani2023).

I termini

La nuova disciplina prevede due ipotesi:

— per i delitti puniti con l'ergastolo, anche come effetto dell'applicazione di circostanze aggravanti, il comma 9 stabilisce che non è previsto alcun termine entro il quale definire, a pena di c.d. “improcedibilità”, i giudizi d'impugnazione: il riferimento (che condiziona l'organizzazione dei ruoli di udienza e la determinazione delle priorità nella trattazione dei giudizi d'impugnazione per il rispetto di termini che devono essere ex ante già certi) può essere inteso come evocante la pena edittale astratta comminata per il reato, anche se non più irrogabile all'esito del giudizio d'impugnazione de quo,  valorizzando esigenze di certezza, ed in particolare il rilievo che l'applicazione o meno della causa d'improcedibilità non potrebbe essere determinata ex post, ovvero secundum eventum, in considerazione della pena in concreto irrogata in ciascun grado; con eguale, e forse anche maggiore, fondamento può, peraltro, essere sostenuta la tesi opposta, che a noi appare più ragionevole, secondo la quale, fermo il riferimento alla pena comminata in astratto dalla norma incriminatrice violata, assumerà comunque rilievo soltanto la pena in astratto tuttora irrogabile nel giudizio d'impugnazione, non anche quella non più irrogabile.

Esemplificando: se il giudice di primo grado ha escluso l'aggravante che rendeva irrogabile l'ergastolo, e questo punto della decisione non è appellato, dovrà ritenersi che non si procede più per un reato punito con l'ergastolo;

— per tutti gli altri reati, i giudizi d'impugnazione devono essere definiti entro termini prestabiliti, in particolare quello di appello entro il termine di due anni (comma 1), quello di cassazione entro il termine di un anno (comma 2).

Con riguardo ai predetti termini:

— il dies a quo coincide con il novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine previsto dall'art. 544 c.p.p. (come eventualmente prorogato ulteriormente ex art. 154 disp. att. c.p.p.) per il deposito della motivazione della sentenza;

— il dies ad quem coincide con la “definizione” del giudizio di impugnazione.

Nel silenzio della disposizione, riteniamo che i predetti termini ricominciano a decorrere integralmente — senza “scomputi” — nei casi in cui il singolo giudizio di impugnazione debba essere celebrato nuovamente a seguito di annullamento.

Segue. Il dies a quo

La Corte di appello e la Corte di cassazione dovranno, pertanto, definire il proprio grado di giudizio rispettivamente entro due anni oppure entro un anno, computati a partire dal 90 ° giorno successivo al giorno in cui scade il termine fissato, per il deposito della motivazione della sentenza di primo grado o di appello, a norma del combinato disposto degli artt. 544 c.p.p. e 165 disp. att. c.p.p.: si vuole in tal modo sanzionare l'eventuale inerzia del giudice del grado precedente che abbia depositato la motivazione della sentenza violando i predetti termini, laddove, al contrario, nel caso in cui il Giudice di pace, il Tribunale o la Corte di appello abbiano rispettato i predetti termini, ed essendo il termine per proporre appello o ricorso per cassazione pari, al massimo, a 45 giorni, residuerebbero in ogni caso — fino al momento della decorrenza del termine di cui all'art. 344-bis — non meno di 45 giorni per provvedere alla trasmissione degli atti rispettivamente in Tribunale, alla Corte di appello oppure alla Corte di cassazione.

Questa previsione appare estremamente irragionevole (e, pertanto, in sospetto contrasto con l'art. 3 Cost.), oltre che suscettibile di compromettere la corretta amministrazione della giustizia (e, pertanto, in sospetto contrasto con l'art. 101 Cost.), nella misura in cui prevede che il tempo a disposizione del giudice dell'appello o di legittimità per la definizione del grado sia condizionato dall'operato sia del giudice del grado precedente, sia del personale amministrativo che presta servizio presso l'Ufficio giudiziario dianzi al quale si è celebrato il grado precedente, e quindi non dipenda esclusivamente dall'organizzazione del giudice dell'impugnazione.

Per quanto ci si sia ragionato, non è stato francamente possibile comprendere la ragione per la quale il termine previsto dall'art. 344-bis, comunque commisurato, non sia stato fatto decorrere dal momento in cui l'Ufficio giudiziario competente per il giudizio d'impugnazione abbia ricevuto gli atti dall'Ufficio giudiziario a quo.

Balza, inoltre, immediatamente all'attenzione dell'interprete, anche in sede di commento a prima lettura, una ingiustificabile lacuna: considerate le conseguenze tanto radicali della mancata definizione del giudizio d'impugnazione entro i termini prestabiliti a pena di improcedibilità, andava certamente prevista la possibilità di disporre la rimessione in termini per il giudizio di impugnazione nella misura in cui il ritardo (oltre i termini massimi di rito) nel deposito della motivazione della sentenza del grado precedente abbia costituito effetto (almeno) del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato, ed il ritardo nella trasmissione degli atti al giudice competente per l'impugnazione abbia costituito effetto (almeno) del dolo del personale amministrativo, ugualmente accertato con sentenza passata in giudicato.

Segue . Il dies ad quem

Il concetto di “definizione” potrebbe, a stretto rigore, se inteso in senso tecnico, evocare il giudicato: solo con il giudicato, infatti, ai sensi dell'art. 648 c.p.p., la sentenza diviene irrevocabile ed il giudizio d'impugnazione può ritenersi “definito”, venendo meno la possibilità che, rispettivamente, esso sia nuovamente celebrato in sede di rinvio (in appello), od a seguito di un giudizio di rinvio (in Cassazione).

Nondimeno, appare evidente che esso sia stato utilizzato atecnicamente, volendo al contrario evocare la data di decisione, che coincide con quella della pubblicazione del dispositivo: a tale data potrà ritenersi definito il giudizio ai fini del rispetto del termine previsto a pena di improcedibilità. Invero, sia pur ad altri effetti, la Corte di cassazione (Cass. VI, n. 31702/2008; Cass. V, n. 25470/2009) ha in passato chiarito che il grado di giudizio deve ritenersi definito nel momento della pubblicazione (di massima, mediante lettura) del dispositivo, non in quello, eventualmente successivo, del deposito della motivazione.

Considerato che, come appena osservato, il dies a quo del medesimo termine previsto per il giudizio d'impugnazione di grado successivo inizia a decorrere a partire dal 90 °giorno successivo alla scadenza del termine fissato per il deposito della motivazione della sentenza che ha definito la fase precedente, appare evidente che il termine fissato per il deposito della motivazione della sentenza di primo grado:

non assume rilievo in primo grado, per la cui definizione non è previsto il rispetto dei termini di cui all'art. 344-bis;

condiziona il dies a quo del termine per la definizione del giudizio di appello.

Inoltre, il termine fissato per il deposito della motivazione della sentenza che ha definito il giudizio di appello:

non rileva in appello come dies ad quem, che va, al contrario, computato con riferimento alla data della pubblicazione del dispositivo;

condiziona il dies a quo del termine per la definizione del giudizio di legittimità;

Infine, il termine fissato per il deposito della motivazione della sentenza che ha definito il giudizio di cassazione:

non rileva in Cassazione come dies ad quem, che va, lo si ripete, computato con riferimento alla data della pubblicazione del dispositivo;

 condiziona, come si vedrà (sub Disposizioni riguardanti il giudizio di rinvio), il dies a quo del termine per la definizione del giudizio di rinvio.

Casi di proroga dei termini previsti a pena di “improcedibilità”.

Il comma 4 della disposizione consente, nei casi in cui il giudizio di impugnazione sia particolarmente complesso, la proroga dei termini previsti dai commi 1 e 2 a pena di improcedibilità, rispettivamente, del giudizio di appello o di legittimità.

La “particolare complessità” del giudizio di impugnazione va determinata, per espressa previsione normativa, avendo riguardo:

— al numero delle parti o delle imputazioni;

— al numero o alla complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare.

La proroga può avere durata pari a:

— non oltre un anno nel giudizio di appello;

— non oltre sei mesi nel giudizio di cassazione.

Per effetto di questa proroga:

— il giudizio d'appello potrà essere definito entro il termine di tre anni;

— il giudizio di cassazione potrà essere definito entro il termine di un anno e sei mesi.

Ulteriori proroghe possono essere disposte, per le medesime ragioni, e per la stessa durata, quando si procede per una serie di delitti (all'evidenza ritenuti tali da suscitare maggiore allarme sociale) indicati con elencazione da ritenersi tassativa, come tale insuscettibile di analogia:

— delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni;

— delitti di cui agli articoli 270, terzo comma, 306, secondo comma, 416-bis, 416-ter, 609-bis (nelle ipotesi aggravate di cui all'articolo 609-ter), 609-quater e 609-octies c.p.;

— delitti aggravati ai sensi dell'articolo 416-bis.1, primo comma, c.p.;

— delitto di cui all'articolo 74 d.P.R. n. 309 del 1990.

Per i soli delitti aggravati ai sensi dell'articolo 416-bis.1, primo comma, c.p. si prevede che i periodi di proroga non possono superare, nel complesso, tre anni nel giudizio di appello ed un anno e sei mesi nel giudizio di cassazione; ne consegue che, per essi:

— il giudizio d'appello potrà essere definito entro il termine di cinque anni;

— il giudizio di cassazione potrà essere definito entro il termine di due anni e sei mesi.

Anche a tale proposito riteniamo più ragionevole ritenere che la predetta circostanza aggravante non deve essere stata esclusa irrevocabilmente nel precedente grado di giudizio, e deve, quindi, essere tuttora contestata ed astrattamente configurabile nello specifico grado d'impugnazione cui si riferisca la proroga.

La previsione di un periodo di proroga massimo, tra i reati per i quali sono consentite proroghe ulteriori rispetto a quella prevista per tutti i reati, per i soli delitti aggravati ai sensi dell'articolo 416-bis.1, primo comma, c.p., non può che voler dire che per gli altri (delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni; delitti di cui agli articoli 270, terzo comma, 306, secondo comma, 416-bis, 416-ter, 609-bis (nelle ipotesi aggravate di cui all'articolo 609-ter), 609-quater e 609-octies c.p.; delitto di cui all'articolo 74 d.P.R. n. 309 del 1990) le proroghe possono essere disposte senza limiti (inclusio unius, exclusio alterius), salvo unicamente l'onere di motivazione, del quale non è, peraltro, agevolmente possibile desumere l'oggetto: ragionevolmente andranno indicate le ragioni per le quali – in relazione a circostanze di fatto sopravvenute (poiché, in difetto, le proroghe ulteriori finirebbero col divenire conseguenza automatica della prima) - permangono le condizioni che avevano inizialmente legittimato la proroga.   

Nel caso in cui si proceda per una pluralità di reati connessi, il termine più ampio previsto per il reato più grave, o comunque per quello (in ipotesi meno grave, ma) ricompreso nell'elenco dei delitti per i quali sono consentite proroghe di durata maggiore, opera anche per i reati connessi, anche se contestati ad imputati diversi: a ciò induce il rilievo che non è stato previsto un caso ad hoc di separazione processuale obbligatoria ex art. 18 c.p.p.

I predetti termini ricominciano a decorrere integralmente, e, nei casi consentiti, con immutata facoltà di proroga — senza “scomputi” — nei casi in cui il singolo giudizio di impugnazione debba essere celebrato nuovamente a seguito di annullamento.

Segue.  Il regime giuridico dell’ordinanza di proroga

Competente a disporre la proroga del termine previsto a pena di improcedibilità per la definizione di impugnazione è il giudice che procede, ovvero quello che dovrà definire il giudizio di impugnazione: sarebbe, infatti, irragionevole, legittimare a disporre la proroga il giudice a quo, pur se ciò potrebbe, almeno in apparenza, sembrare consentito dal tenore letterale della disposizione (il giudice a quo è, infatti, competente in materia cautelare ex art. 91 disp. att. c.p.p. fino al momento della trasmissione degli atti al giudice di grado superiore, ed è, quindi, fino a tale momento, a tutti gli effetti “giudice che procede” anche nella fase che decorre dal 90 °giorno successivo al giorno in cui scade il termine fissato, per il deposito della motivazione della sentenza di primo grado o di appello, fino al giorno in cui ha luogo la trasmissione degli atti al giudice competente per la decisione dell'impugnazione): invero, solo il giudice ad quem appare in condizione di valutare l'effettiva sussistenza dei presupposti in presenza dei quali è consentito disporre la proroga.

Il provvedimento di proroga andrà disposto in forma di ordinanza motivata: la precisazione, atteso il tenore dell'art. 125, comma 2, c.p.p. (a norma del quale le ordinanze sono motivate, a pena di nullità) appare superflua.

L'ordinanza che dispone la proroga del termine previsto per la celebrazione del giudizio di legittimità non è impugnabile.

Contro l'ordinanza che dispone la proroga del termine previsto per la celebrazione del giudizio di appello, l'imputato e il suo difensore (ma la dizione, che riprende quella di cui all'art. 607 c.p.p., va interpretata nel senso dell'inammissibilità del ricorso personale, secondo la disciplina generale di cui all'art. 613 c.p.p,) possono proporre ricorso per cassazione, a pena di inammissibilità, entro cinque giorni dalla lettura dell'ordinanza o, in mancanza, dalla sua notificazione; il ricorso non ha effetto sospensivo. La Corte di cassazione decide entro trenta giorni dalla ricezione degli atti, osservando le forme previste dall'art. 611 c.p.p.(udienza camerale non partecipata): il termine è ordinatorio, e la disposizione è imbarazzante, poiché impossibile da rispettare (in forza del termine di trenta giorni “liberi” tra l'avviso e la data di udienza, previsto dal menzionato art. 611, se anche, nel medesimo giorno in cui il ricorso perviene alla cancelleria centrale della Cassazione, lo si riuscisse a registrare, spogliare e fissare, e fossero citate le parti, ne occorrerebbero pur sempre almeno 31 per decidere. Ma come è possibile commettere questi errori?) .

Quando la Corte di cassazione rigetta o dichiara inammissibile il ricorso, la questione non può essere riproposta con l'impugnazione della sentenza.

Questa disposizione dimostra la miopia del Legislatore, o forse no: pur non volendo considerare gli oneri ulteriori che graveranno sui magistrati della Corte di cassazione (tutto sommato agevolmente arginabili, atteso che si discute di ricorsi seriali, per la cui trattazione può ragionevolmente ritenersi che possa fornire un valido ausilio il neonato ufficio del giudice), appare evidente che le cancellerie della Suprema Corte si troveranno assediate senza vie di fuga, dovendo fronteggiare gli oneri di comunicazione prescritti dall'art. 611 c.p.p. in relazione a decine di migliaia di ricorsi contro le decine di migliaia di proroghe che le Corti d'appello non mancheranno di disporre sempre e  comunque, e le difese non mancheranno di impugnare sempre e comunque.

Perché non provare a chiedere, e comunque prevedere, la possibilità di decidere sempre e comunque de plano (ex art. 610, comma 5-bis, c.p.p.)?

Per fortuna, come abbiamo anticipato sub  § 2.1, con riguardo al subprocedimento che si instaura a seguito del ricorso previsto dal comma 5 dell'art. 344-bis, non avente natura tecnica di “giudizio”, la causa di improcedibilità prevista dall'art. 344-bis non opera.

Casi di sospensione dei termini previsti a pena di “improcedibilità”.

I termini previsti a pena di improcedibilità dai primi due commi dell'art. 344-bis sono sospesi, ai sensi del comma 7 della disposizione, con effetto per tutti gli imputati nei cui confronti si sta procedendo, in tre situazioni:

— nei casi previsti dall'art. 159, primo comma, c.p. (ovvero nei casi di sospensione della prescrizione);

— nel giudizio di appello, per il tempo occorrente per la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale (art. 603 c.p.p.): si prevede, in proposito, che, in caso di sospensione per la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, il periodo di sospensione tra un'udienza e quella successiva non può comunque eccedere sessanta giorni. Il riferimento indiscriminato alla “rinnovazione dibattimentale” consente di ritenere sospeso il termine de quo anche nel caso in cui sia disposta una rinnovazione discrezionale, e non soltanto quando essa è obbligatoria ex art. 603, comma 3-bis, c.p.p.;

— quando è necessario procedere a nuove ricerche dell'imputato, ai sensi dell'art. 159 c.p.p. o dell'articolo 598-ter, comma 2, c.p.p. (tale ultimo riferimento è stato introdotto, come norma di coordinamento, dal d. lg.s. n. 150 del 2022, per adeguare la disciplina dettata dall'art. 344-bis alle nuove disposizioni, introdotte dal predetto d. lgs., in tema di assenza dell'imputato in appello), per la notificazione del decreto di citazione per il giudizio di appello o degli avvisi di cui all'art. 613, comma 4, in cassazione, i termini de quibus sono sospesi tra la data in cui l'autorità giudiziaria dispone le nuove ricerche e la data in cui la notificazione è effettuata.

Il riferimento ai soli “termini di cui ai commi 1 e 2”, presente nella disposizione potrebbe legittimare il dubbio che le cause di sospensione non operino anche in riferimento alle eventualmente previste proroghe: ci sembra, peraltro, sistematicamente e ragionevolmente (ex art. 3 Cost.) corretto ritenere che la predetta previsione evochi i “termini di cui ai commi 1 e 2” come prorogati: in caso contrario, le difese avrebbero gioco troppo facile a neutralizzare le proroghe eventualmente disposte con astensioni e/o impedimenti di varia natura.  L'esigenza che ha indotto il legislatore a “sterilizzare” i termini-base esiste, quindi, anche per le proroghe, in caso contrario destinate immancabilmente a risultare inutiliter data.

Come per le cause di sospensione del termine di prescrizione del reato, anche le cause di sospensione del termine di improcedibilità delle impugnazione sono computabili sempre e comunque, non essendone previsti limiti massimi.

Disposizioni riguardanti il giudizio di rinvio.

Il comma 8 dell'art. 344-bis prevede che, fermo restando quanto previsto dall'art. 624 c.p.p. (in tema di annullamento parziale delle sentenze impugnate in cassazione), le disposizioni di cui ai commi 1, 4, 5, 6 e 7 dello stesso art. 344-bis si applicano anche nel giudizio di rinvio in appello, ma, in questo caso, il termine di durata massima del processo (pari ad anni due, oltre proroghe) decorrerà dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine previsto dall'art. 617 c.p.p. per il deposito della motivazione.

Sarà, quindi, necessario che, almeno nei casi di annullamento con rinvio, in presenza di motivazioni di particolare complessità destinate ad essere depositate oltre il trentesimo giorno dalla decisione, anche la Corte di cassazione inizi a ricorrere allo strumento di cui all'art. 544, comma 3, c.p.p., senz'altro compatibile con il giudizio di legittimità, per espressa previsione dell'art. 617, comma 1, seconda parte, c.p.p., a norma del quale « Si osservano le disposizioni concernenti la sentenza nel giudizio di primo grado, in quanto applicabili », come, d'altro canto, lo strumento accessorio di cui all'art.  154 disp. att. c.p.p., (in argomento, cfr. amplius Beltrani 2022, 4136 ss.).

La predetta necessità sussiste peraltro, per le medesime ragioni sistematiche che delimitano l'ambito applicativo dell'istituto disciplinato dall'art. 344-bis (cfr. sub § 2.1), soltanto nei casi in cui il rinvio riguardi il punto della decisione inerente all'affermazione di responsabilità: invero, nei casi in cui si sia formato il giudicato parziale sull'affermazione di responsabilità, ed il rinvio riguardi altri punti della decisione (ad es., configurazione di circostanze, anche aggravanti; trattamento sanzionatorio),  come in precedenza non decorreva il termine di prescrizione (Cass. S.U., n. 3423/2021, Gialluisi, in motivazione), così ora non decorre quello previsto a pena d'improcedibilità dell'impugnazione (cfr. amplius sul punto Beltrani, 2022, 4137 ss.; in senso contrario, Nappi, 2021, 4).

La rinunzia alla declaratoria di improcedibilità.

L'imputato ha facoltà di chiedere la prosecuzione del processo, rinunziando alla declaratoria di improcedibilità.

Pur nel silenzio del comma 7 dell'art. 344-bis sul punto, sembra ragionevole ritenere, come già per la rinunzia alla prescrizione ex art. 157, settimo comma, c.p. (il cui diritto potestativo è attribuito, più o meno nei medesimi termini, all'imputato) che si tratti di atto personalissimo riservato all'imputato, che non rientra, pertanto, nel novero degli atti processuali che possono essere compiuti dal difensore (se non munito di procura speciale) a norma dell'art. 99 c.p.p. (cfr., con riferimento alla rinunzia alla prescrizione, Cass. III, n. 54374/2018 e Cass. I, n. 21666/2013).

La rilevanza o meno, ai fini della declaratoria di improcedibilità, della corretta instaurazione del giudizio d’impugnazione.

La possibilità che la disciplina della prescrizione operasse in sede di legittimità anche in presenza di impugnazioni palesemente strumentali fu “disinnescata” dall'orientamento per il quale non può porsi in sede di legittimità la questione della declaratoria della estinzione per prescrizione del reato eventualmente maturata dopo la sentenza d'appello, nei casi in cui il ricorso sia conclusivamente dichiarato inammissibile, perché l'inammissibilità del ricorso per cassazione non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p.: l'orientamento, inaugurato, con riferimento ai soli casi di inammissibilità “originaria” del ricorso (ovvero di mancanza, nell'atto di impugnazione, dei requisiti prescritti dall'art. 581 c.p.p., compreso quello della specificità dei motivi), da Cass. S.U., n. 11/1995, è stato successivamente esteso a tutte la cause di inammissibilità del ricorso da Cass., S.U., n. 32/2001 (riguardante un caso di inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza dei motivi), ed è ormai graniticamente consolidato (Cass. S.U., n. 23428/2005; Cass. S.U., n. 19601/2008;Cass. S.U. , n. 12602/2016 ).

Poteva operare questo orientamento anche in riferimento alla neonata causa di improcedibilità di cui all'art. 344-bis c.p.p.? 

Nei precedenti della Suprema Corte si rinviene l'affermazione, ugualmente consolidata (cfr. Cass. S.U. , n. 24246/2004 ; Cass. III, n. 9154/2021), che la remissione di querela, intervenuta in pendenza del ricorso per cassazione e ritualmente accettata, determina l'estinzione del reato, che prevale su eventuali cause di inammissibilità e va rilevata e dichiarata dal giudice di legittimità, purché il ricorso sia stato tempestivamente proposto, non operando, quindi, unicamente in presenza di ricorsi tardivi: fermo restando tale ultimo principio, deve dirsi che, nel resto, l'orientamento non appare immediatamente “esportabile” in tema di improcedibilità dell'impugnazione ex art. 344-bis c.p.p., poiché la remissione accettata di querela è espressamente qualificata dall'art. 155 c.p. (non come causa, sia pur sopravvenuta, di improcedibilità, bensì)  come ben diversa causa di estinzione del reato.

In argomento, peraltro, una prima decisione (incredibilmente assunta dalla VII Sezione della Corte di cassazione, nonostante la novità e l'estrema rilevanza della questione) aveva ritenuto che  l'inammissibilità del ricorso osterebbe alla declaratoria d'improcedibilità, impedendo la costituzione di un valido rapporto processuale (Cass. VII, n. 43883/2021).

Per effetto dell'entrata in vigore, a partire dal 30/12/2022, del d. lgs. n. 150 del 2022 (c.d. “riforma Cartabia”) la questione è stata risolta normativamente; il nuovo art. 578, comma 1-bis c.p.p. (disposizione riferita alle impugnazioni riguardanti gli interessi civili, ma alla quale sarebbe palesemente irragionevole voler negare portata generale), prevede espressamente che l'azione penale può essere dichiarata improcedibile per il superamento dei termini di cui agli artt. 344-bis, commi 1 e 2, soltanto “se l'impugnazione non è inammissibile”

I rapporti con le cause di proscioglimento di cui all’art. 129 c.p.p.

Parte della dottrina (Nappi, 2021, 4) ritiene che, in presenza delle condizioni di cui all'art. 129, comma 2, c.p.p. (si fa l'esempio del soggetto assolto in primo grado, con sentenza impugnata dal P.M. e successivo giudizio di appello divenuto improcedibile), il giudice dell'impugnazione dovrebbe previlegiare il più favorevole proscioglimento per ragioni di merito alla declaratoria d'improcedibilità del giudizio d'impugnazione, applicando l'art. 129, comma 2, c.p.p. per analogia.

La tesi collide, peraltro, con il chiaro disposto dell'art. 129, il cui primo comma dispone l'immediata declaratoria della mancanza di una condizione di procedibilità e della sussistenza di cause di estinzione del reato, ed il cui secondo comma attribuisce soltanto rispetto alle seconde priorità all'assoluzione con formula liberatoria di per ragioni di merito. 

Le disposizioni riguardanti la prosecuzione del giudizio civile e le confische

Il d.lgs. n. 150 del 2022 ha inserito nel codice di rito, all'interno dell'art. 578 (al quale si rinvia amplius) il nuovo comma 1-bis, a norma del quale, quando, nei confronti dell'imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, in favore della parte civile, nonché in ogni altro caso d'impugnazione della sentenza anche per gli interessi civili (quest'ultimo inciso è stato aggiunto dal d.lgs. n. 150 del 2022) , il giudice dell'impugnazione, se quest'ultima non è inammissibile, nel dichiarare l'improcedibilità dell'azione penale ex art. 344-bis, rinvia per la prosecuzione del giudizio ai soli effetti civili al giudice o alla sezione civile competente nello stesso grado, che decidono sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile.

Nei predetti casi, il successivo comma 1-ter dispone che gli effetti del sequestro conservativo disposto a garanzia delle obbligazioni civili derivanti dal reato permangono fino a che la sentenza che decide sulle questioni civili non è più soggetta a impugnazione.

Trattasi di disciplina che ribadisce la condivisibile volontà (già espressa dal nuovo comma 1-bis dell'art. 573 c.p.p.) di attribuire al giudice civile la decisione dei giudizi d'impugnazione che investano unicamente questioni civili, e non riguardino più gli effetti penali.

Il d.lgs. n. 150 del 2022 ha inserito nel codice di rito anche il nuovo art. 578-ter  (al quale si rinvia amplius), a norma del quale il giudice dell'impugnazione, nel dichiarare l'azione penale improcedibile ai sensi dell'art. 344-bis, dispone la confisca nei casi in cui essa è obbligatoria anche quando non sia stata pronunciata condanna (cfr. art. 240, comma secondo, c. p.).

 In ogni altro caso, se vi sono beni in sequestro di cui era stata disposta confisca, il giudice dell'impugnazione, nel dichiarare l'azione penale improcedibile, trasmette con ordinanza gli atti al P.M. competente a formulare proposta di misura di prevenzione patrimoniale ex d.lgs. n. 159 del 2011: il sequestro disposto nel procedimento penale cessa di avere effetto se, entro novanta giorni dalla predetta ordinanza, non sia stato disposto il sequestro di prevenzione.

La Relazione illustrativa (329) chiarisce che il previsto adempimento ha una mera funzione di impulso all'attivazione del procedimento di prevenzione, ove ne ricorrano le condizioni.

Completa il quadro il nuovo art. 175-bis disp. att., a norma del quale, ai fini di cui agli artt. 578, comma 1-bis, e 578-ter, comma 2, il giudice dell'impugnazione, nei procedimenti in cui sono costituite parti civili o vi sono beni in sequestro, si pronuncia sull'improcedibilità non oltre il sessantesimo giorno successivo al maturare dei prescritti termini di durata massima del giudizio d'impugnazione.

Diritto intertemporale

Il comma 3 dell'art. 2, comma 2, lett. a), l. 27 settembre 2021, n. 134, a sua volta vigente dal 19 ottobre 2021, contiene disposizioni transitorie.

Si prevede, come regola generale, che l'art. 344-bis c.p.p. si applica ai soli procedimenti di impugnazione che hanno ad oggetto reati commessi a far data dal 1° gennaio 2020.

Tra questi:

— per i procedimenti che al 19 ottobre 2021, data di entrata in vigore della legge novellatrice, siano già pervenuti al giudice dell'appello o alla Corte di cassazione gli atti trasmessi ai sensi dell'art. 590 c.p.p., i termini previsti a pena di improcedibilità dai commi 1 e 2 dell'art. 344-bis decorrono dal 19 ottobre 2021: la novella trova, quindi, immediata applicazione anche per i procedimenti già pendenti in appello od in cassazione alla data di entrata in vigore della novella, anche se già fissati, ma con termini maggiorati, ai sensi della disposizione che segue;

— per i procedimenti nei quali l'impugnazione è proposta entro il 31 dicembre 2024, i termini previsti a pena di improcedibilità dai commi 1 e 2 dell'art. 344-bis sono, rispettivamente, di tre anni per il giudizio di appello e di un anno e sei mesi per il giudizio di cassazione (e non più, rispettivamente, di due anni ed un anno); gli stessi termini si applicano nei giudizi conseguenti ad annullamento con rinvio pronunciato prima del 31 dicembre 2024. Nel silenzio della disposizione, deve ritenersi che resti salva la possibilità di prorogare i predetti termini; nulla essendo stato previsto — per effetto di questa deroga — con riferimento ai reati aggravati ex art. 416-bis.1, primo comma , c.p., per essi resta fermo che il termine massimo (comprensivo di proroghe) non può superare, nel complesso, cinque anni per il giudizio di appello e due anni e sei mesi per il giudizio di cassazione. In caso di pluralità di impugnazioni, si fa riferimento all'atto di impugnazione proposto per primo.

Fermo restando, quindi:

— che l'art. 344-bis si applica unicamente ai procedimenti aventi ad oggetto reati commessia far data dal 1° gennaio 2020;

— che per i procedimenti pendenti in appello od in cassazione alla data del 19 ottobre 2021, i termini previsti a pena di improcedibilità dai commi 1 e 2 dell'art. 344-bis decorrono dal 19 ottobre 2021;

ne consegue che:

— per le impugnazioni proposte fino al 31 dicembre 2024, tenuto conto della possibilità di proroga, il giudizio d'appello potrà essere definito in non meno di quattro anni, ed il giudizio di cassazione potrà essere definito in non meno di due anni, in entrambi i casi, oltre sospensioni. Per i soli delitti aggravati ai sensi dell'articolo 416-bis.1, primo comma, c.p. il giudizio d'appello potrà comunque essere definito entro il termine di cinque anni ed il  giudizio di cassazione potrà comunque essere definito entro il termine di due anni e sei mesi, in entrambi i casi, oltre sospensioni; per i delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni, i delitti di cui agli articoli 270, terzo comma, 306, secondo comma, 416-bis, 416-ter, 609-bis (nelle ipotesi aggravate di cui all'articolo 609-ter), 609-quater e 609-octies c.p. ed i delitti di cui all'articolo 74 d.P.R. n. 309 del 1990 non sono previsti termini massimi;

— per le impugnazioni proposte dal 1 gennaio 2025 , valgono i termini ordinari e le proroghe secondo quanto già osservato nel § Casi di proroga dei termini previsti a pena di “improcedibilità”, oltre sospensioni.

Con riferimento al giudizio di cassazione, la giurisprudenza (Cass. VII, n. 43883/2021; Cass. III, n. 1567/2022) ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 3, legge n. 134 del 2021, sollevata per asserito contrasto con gli artt. 3,25 e 111 Cost., nella parte in cui prevede che le disposizioni relative all'improcedibilità del giudizio di cassazione per superamento del termine di durata massima di un anno di cui all'art. 344-bis c.p.p., inserito dall'art. 2, comma 2, lett. a), stessa legge, si applichino ai soli procedimenti di impugnazione aventi ad oggetto reati commessi a far data dal 1° gennaio 2020: si è, in particolare, osservato che il regime transitorio è funzionale al coordinamento con la riforma introdotta dalla legge n. 3 del 2019, in materia di sospensione del termine di prescrizione nel giudizio di appello, anch'essa applicabile ai reati commessi dal 1° gennaio 2020, ed è stata ritenuta ragionevole la graduale introduzione dell'istituto per consentire un'adeguata organizzazione degli uffici giudiziari. Il principio, in relazione a questione di costituzionalità analoga (ma sollevata anche per presunto contrasto della medesima disposizione con gli artt. 7 Conv. EDU e 117 Cost.), è stato ribadito da Cass. V, n. 334/2022, precisando che  l'art. 344-bis ha natura processuale, ed è, come tale, insuscettibile di applicazione retroattiva.

Bibliografia

Beltrani, L’ambito applicativo della “nuova” causa d’improcedibilità del giudizio di cassazione, in Cass. pen. 2022, 6, 2080 ss.; Beltrani, L’improcedibilità del giudizio di rinvio per superamento del termine ex art. 344-bis, comma 8, c.p.p. ed i termini di deposito delle sentenze della Corte di cassazione, in Cass. pen. 2022, 11, 4136 ss.; Beltrani, La «nuova» causa d’improcedibilità dei «giudizi» d’impugnazione (art. 344-bis c.p.p.) e la responsabilità da reato degli enti, in Rivista 231, n. 2/2023; Nappi, Appunti sulla disciplina dell’improcedibilità per irragionevole durata dei giudizi d’impugnazione, in Quest. giust. 2021, 4.

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