Escluso il mantenimento diretto del figlio anche quando l'affido è condiviso

Sabina Anna Rita Galluzzo
05 Ottobre 2021

La Corte affronta la delicata tematica del mantenimento diretto dei figli. Nello specifico ci si chiede se, in presenza di un affido condiviso, sia preferibile che ogni genitore adempia direttamente al mantenimento della prole oppure sia meglio che il giudice preveda e quantifichi un assegno.
Massima

In tema di separazione personale dei coniugi, l'affidamento condiviso dei figli minori, è istituto che, in quanto fondato sull'esclusivo interesse del minore, non fa venir meno l'obbligo patrimoniale di uno dei genitori di contribuire, con la corresponsione di un assegno, al mantenimento dei figli, in relazione alle loro esigenze di vita, sulla base del contesto familiare e sociale di appartenenza, rimanendo per converso escluso che l'istituto stesso implichi, come conseguenza "automatica", che ciascuno dei genitori debba provvedere paritariamente, in modo diretto ed autonomo, alle predette esigenze, posto che, in concreto, è il genitore convivente ad anticipare le spese ordinarie per il mantenimento del figlio e a provvedervi nella quotidianità attraverso la necessaria programmazione che connota la vita familiare.

Il caso

Nel corso di una separazione giudiziale, la Corte d'appello, riformando parzialmente la sentenza di primo grado, disponeva l'affido condiviso del figlio con collocazione prevalente presso la madre e ampliava, rispetto a quanto stabilito dal Tribunale i tempi di permanenza del minore presso il padre. Confermava inoltre l'assegnazione della casa coniugale alla donna e riduceva il contributo di mantenimento del minore a carico dell'uomo, nonché l'assegno di mantenimento per la moglie. La Corte territoriale prevedeva inoltre una sanzione pecuniaria in danno del padre in considerazione del fatto che questi non aveva adempiuto agli obblighi di mantenimento nei confronti del figlio.

Contro tale provvedimento l'uomo propone ricorso in Cassazione.

La questione

Molteplici sono le questioni al centro della vicenda. I punti presi in esame dai giudici di legittimità ruotano, in particolare, intorno alla presenza di un figlio della coppia: dall'affidamento, all'audizione, alla regolamentazione degli incontri con il genitore non collocatario, fino all'assegnazione della casa familiare. Centrale importanza assume poi la modalità di mantenimento della prole. La Corte affronta infatti nella specie la delicata tematica del mantenimento diretto dei figli. Nello specifico ci si chiede se, in presenza di un affido condiviso, sia preferibile che ogni genitore adempia direttamente al mantenimento della prole oppure sia più vicino alla realizzazione dell'interesse del minore che il giudice preveda e quantifichi un assegno.

Le soluzioni giuridiche

La Cassazione con un'articolata motivazione, che prende in esame molteplici aspetti della vicenda, respinge il ricorso.

Il primo punto su cui si sofferma è quello relativo all'audizione del minore e in particolare alla presunta nullità del provvedimento di merito causata dal mancato ascolto dello stesso. In proposito la Corte, accogliendo il consolidato orientamento in materia, specifica che nei procedimenti relativi all'affidamento dei figli (art. 337-bis c.c.) l'audizione del minore infradodicenne capace di discernimento, costituisce adempimento previsto a pena di nullità, in relazione al quale incombe sul giudice, che ritenga di ometterlo, un obbligo di specifica e circostanziata motivazione, tanto più necessaria quanto più l'età del minore si approssima a quella dei dodici anni, oltre la quale subentra l'obbligo legale dell'ascolto. Il giudice pertanto può anche non procedere all'audizione del minore infradodicenne se ritiene lo stesso incapace di discernimento purché tale scelta sia suffragata da adeguata motivazione. La motivazione del giudice è sempre comunque necessaria in tutti i casi in cui si ritenga di non sentire il minore perché ad esempio l'ascolto è in contrasto con il suo interesse o manifestamente superfluo e nel caso in cui si opti per un ascolto effettuato nel corso di indagini peritali o demandato a un esperto al di fuori di detto incarico (Cass.1474/2021).

Nella specie peraltro, precisa l'ordinanza in esame il minore era stato ascoltato in sede d'Appello dalla Corte territoriale rendendo la decisione impugnata immune dal vizio di nullità.

Riguardo poi alla casa familiare, assegnata dal Tribunale alla madre in quanto genitore collocatario del minore, e in relazione alla quale l'uomo chiedeva la divisione, la Cassazione, richiamando i suoi precedenti giurisprudenziali specifica come, l'abitazione adibita a residenza della famiglia può essere divisa e dunque l'assegnazione della stessa limitata ad una porzione dell'immobile solo nel caso in cui l'unità abitativa sia autonoma e distinta rispetto a quella destinata ad accogliere il figlio o anche sia agevolmente divisibile (Cass 22266/2020). È altresì necessario che non vi sia conflittualità tra i genitori. In particolare la soluzione della divisione dell'immobile è possibile, si precisa in giurisprudenza, solo se conforme all'interesse dei minori (Cass. 11783/2016; Cass. 24156 /2014).

Nella specie peraltro precisano gli Ermellini, respingendo la censura, il ricorrente non aveva dimostrato né la divisibilità dell'immobile né tantomeno l'assenza di conflittualità.

I giudici di legittimità si soffermano altresì sull'affido condiviso e sulla sua concreta attuazione. Nella specie in particolare il ricorrente lamentava, appellandosi anche alla Convenzione europea dei diritti umani, che il giudice di merito non avesse previsto adeguati tempi di frequentazione padre figlio, non garantendo pertanto, a suo dire, il diritto del minore a una genitorialità piena. In proposito la Cassazione, rifacendosi anche in questo caso ai suoi precedenti, specifica che «la regolamentazione dei rapporti fra genitori non conviventi e figli minori non può avvenire sulla base di una simmetrica e paritaria ripartizione dei tempi di permanenza con entrambi ma deve essere il risultato di una valutazione ponderata del giudice del merito che tenga conto del diritto del minore” a una significativa e piena relazione sia con la madre che con il padre» (Cass.3652/2020; Galluzzo, È possibile suddividere al 50% il tempo del figlio tra i genitori?, in ilFamiliarista.it). Il principio di bigenitorialità si traduce infatti nel diritto-dovere di ciascun genitore a essere presente in maniera significativa nella vita del figlio, ma ciò non comporta l'applicazione di una proporzione matematica in termini di parità dei tempi di frequentazione del minore in quanto l'esercizio del diritto deve essere armonizzato in concreto con le complessive esigenze di vita del minore e dell'altro genitore (Cass. 31902/2018).

La Cassazione si sofferma inoltre sulla delicata questione del mantenimento diretto del minore. Il padre infatti sosteneva di provvedere direttamente alle esigenze del figlio quando questi viveva con lui e per tale ragione chiedeva di non versare alla moglie il relativo assegno. Era stato anche perseguito ai sensi dell'art. 570 c.p. e poi assolto perché il fatto non costituisce reato.

La questione nasce dall'emanazione della legge sull'affido condiviso (l. n. 54/2006) che ha previsto che «salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità» (attualmente art. 337-ter c.c.). Tale disposizione sembrava in origine finalizzata a trasformare l'assegno stabilito dal giudice per il mantenimento dei figli in una misura eccezionale rendendo preferibile e più vicino al principio di bigenitorialità che ogni genitore provveda in forma diretta o per capitoli di spesa al mantenimento dei figli.

Nella prassi peraltro la giurisprudenza maggioritaria, di fronte ai singoli casi concreti, ha mantenuto la previsione dell'assegno affermando l'ormai consolidato principio secondo cui l'affidamento condiviso, non fa venir meno l'obbligo patrimoniale di uno dei genitori di contribuire, con la corresponsione di un assegno, al mantenimento dei figli, in relazione alle loro esigenze di vita, sulla base del contesto familiare e sociale di appartenenza, rimanendo per converso escluso che l'istituto stesso implichi, come conseguenza automatica, che ciascuno dei genitori debba provvedere paritariamente, in modo diretto e autonomo, alle predette esigenze (Cass. 13504/2015). Si afferma pertanto che il contributo diretto da parte di ciascuno dei genitori non costituisce una necessaria conseguenza dell'affido condiviso. Il giudice ha in materia infatti un'ampia discrezionalità da esercitare sempre ovviamente “con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale della prole”. (Cass.785/2012).

In questo orientamento si inserisce l'ordinanza in esame che precisa come il genitore convivente con il figlio abbia diritto ad ottenere il contributo per il mantenimento del minore posto che è lui in concreto a anticipare le spese ordinarie (Cass. 24316/2013). Risulta pertanto nella specie confermato l'obbligo per il padre di contribuire al mantenimento del figlio tramite il versamento di un assegno.

In molteplici occasioni la giurisprudenza ha sottolineato come il mantenimento diretto necessita, di un genitore presente ed attento alle esigenze dei figli, che deve sapere di cosa in quel momento c'è necessità se vestiario o sostegno scolastico, o altro. Un'accesa conflittualità inoltre che, com'è noto, non impedisce che si disponga l'affido condiviso, può rendere estremamente difficile per il genitore convivente e meno abbiente gestire le spese per il figlio.

La corresponsione dell'assegno, pertanto, si rivela, secondo la giurisprudenza di legittimità, quantomeno opportuna se non necessaria quando l'affidamento condiviso prevede il collocamento prevalente presso uno dei genitori. Il collocatario, essendo più ampio il tempo di permanenza presso di lui, potrà quindi gestire da solo il contributo ricevuto dall'altro genitore, dovendo provvedere in misura maggiore alle spese correnti e all'acquisto di beni durevoli che non attengono necessariamente alle spese straordinarie (Cass. 23411/2009). In quest'ordine di idee si sottolinea come l'assegno sia sempre il modo più idoneo per assolvere all'obbligo di mantenimento dei figli, perché determinato e difficile da eludere.

Al contrario altri, seppur rari provvedimenti di merito, hanno sottolineato come il mantenimento diretto dei figli svolge la proficua funzione di far partecipare attivamente e concretamente alla vita della prole anche il genitore con questa non stabilmente convivente, e ciò in linea con la riforma introdotta dalla legge n. 54/2006. Nel caso inoltre di tempi di gestione del tutto paritetici e in assenza di una sproporzionalità tra i redditi, il principio di proporzionalità può essere realizzato attraverso il mantenimento cosiddetto diretto per le esigenze ordinarie del minore (vitto, abbigliamento, ecc.) e la ripartizione in parti uguali delle spese straordinarie (Trib. Catanzaro, n. 443/2019).

Osservazioni

La tematica del mantenimento diretto del minore ha dato origine ad accese discussioni nel corso degli ultimi anni. Al momento dell'emanazione della l. n. 54/2006, e dell'introduzione dell'affido condiviso come scelta prioritaria infatti sembrava potesse tramontare la regola che vedeva il genitore non convivente con il figlio, obbligato a versare un mantenimento nelle mani dell'altro. Sembrava infatti che la forma del mantenimento diretto fosse la più idonea a realizzare il principio di bigenitorialità. Così non è stato nell'applicazione pratica in quanto, come esaminato, la giurisprudenza ha nella maggior parte dei casi preferito continuare a stabilire un assegno.

La dottrina, anche in occasione della presentazione di progetti di modifica della legge sull'affido condiviso, si è schierata su due opposti fronti.

Da una parte si afferma come il Legislatore abbia privilegiato la forma di mantenimento diretta relegando l'assegno ad un ruolo del tutto marginale, da disporsi in funzione unicamente integrativa, e da utilizzare solo in circostanze particolari. Mantenimento diretto significa per il figlio, si sottolinea in quest'ordine di idee, «avere sopra di sé l'attenzione affettuosa di entrambi i genitori, essendo curato e assistito nei suoi bisogni da entrambi» (Maglietta M. La contribuzione diretta dovrebbe essere preferita al versamento periodico, in Famiglia e minori, 2010, 3, 33).

Dall'altra parte peraltro si evidenzia come l'abolizione dell'istituto dell'assegno di mantenimento introdurrebbe un'inaccettabile iniquità nel diritto di famiglia, indipendentemente dal fatto che siano previsti nel caso concreto tempi paritetici di frequentazione. Il costo per il mantenimento di un figlio convivente dipende infatti solo in piccola parte dal tempo che il minore trascorre con ciascun genitore (Rimini, Sul disegno di legge Pillon e sugli altri Dd.l. in materia di responsabilità genitoriale in discussione in Senato, in Famiglia e diritto, n.1/2019).

Di fronte alle molteplici situazioni che si possono presentare nella realtà, si evidenzia comunque che, il mantenimento diretto, può funzionare solo se tra madre e padre c'è una proficua collaborazione nell'interesse dei figli, altrimenti solo un intervento giudiziale può garantire la realizzazione dell'interesse del minore.

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