Titolo di studio non sfruttato, ridotto l'assegno riconosciuto alla donna

Redazione Scientifica
07 Ottobre 2021

Vittoria per l'ex marito. Confermato in Cassazione il ‘taglio' deciso in appello. Rilevante anche la capacità lavorativa non valorizzata dalla donna.

Se la donna non ha sfruttato adeguatamente il proprio titolo di studio, allora va ‘tagliato' l'assegno divorzile a lei riconosciuto (Cassazione, ordinanza n. 26389/2021, sez. VI - 1 Civile, depositata il 29 settembre).

Ufficializzata la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, la diatriba tra moglie e marito si sposta sul fronte economico. In discussione, soprattutto, l'assegno divorzile preteso dalla donna.

In Tribunale i giudici sanciscono che l'uomo dovrà versare all'ex moglie 1.400 euro al mese. In appello la cifra viene ridotta a 900 euro.

Fondamentali le osservazioni proposte dall'uomo in merito al fatto che l'ex moglie «è in possesso della laurea in Fisioterapia che la abilita a svolgere attività lavorativa come fisioterapista» ed «esercita l'attività di istruttrice di pilates con corsi presso la casa coniugale».

Dalla Cassazione viene confermata la decisione emessa in secondo grado. Inutili le obiezioni proposte dalla donna.

I magistrati osservano che il giudice di appello ha fondato le proprie valutazioni «non su una mera equiparazione economica dei patrimoni dei due coniugi» bensì su una pluralità di fattori quali «l'assegnazione alla donna della casa familiare (ed il conseguente esonero di spesa per la locazione e per la gestione della casa), la capacità della donna di svolgere attività lavorativa quale fisioterapista, la lunga durata del matrimonio, la contribuzione offerta dalla donna al successo professionale del marito ed alla formazione del cospicuo patrimonio immobiliare, l'agiato tenore di vita vissuto dalla famiglia nel suo complesso durante la convivenza matrimoniale e la posizione economica e professionale del marito».

Rilevante, infine, la mancata prova da parte donna sulla «carenza di risorse economiche» e sull'«impossibilità di procurarsele».

Fonte: dirittoegiustizia.it

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