In tema di nesso causale in presenza di patologie riconducibili alle malattie professionali da amianto

Antonio Bana
30 Settembre 2021

In materia di malattie professionali causate da amianto uno dei nodi centrali da sciogliere riguarda il nesso causale tra l'esposizione al fattore di rischio e lo sviluppo della patologia letale da parte della persona offesa. La problematica in questione si confronta ogni giorno anche con il tema delicato dell'attendibilità sui criteri di selezione del sapere scientifico..
Introduzione

In materia di malattie professionali causate da amianto uno dei nodi centrali da sciogliere riguarda il nesso causale tra l'esposizione al fattore di rischio e lo sviluppo della patologia letale da parte della persona offesa.

La problematica in questione si confronta ogni giorno anche con il tema delicato dell'attendibilità sui criteri di selezione del sapere scientifico con il naturale ingresso anche nel processo penale di teorie scientifiche nuove sulle quali la comunità scientifica deve ancora pronunciarsi e il giudice penale diventa “perito peritorum” in casi sempre più delicati che a distanza di anni tornano in aula a chiedere chiarimenti e soprattutto anche lunghi processi.

Il tumore del polmone

Il carcinoma polmonare è una patologia tumorale ad alta incidenza nella popolazione generale.

Secondo i dati dell'Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM) sono stimate, per il 2018, circa 27.900 nuove diagnosi di tumore del polmone per gli uomini (14% di tutti i tumori) e 13.600 nuove diagnosi di tumore del polmone per le donne (8% di tutti i tumori).

Si calcola che attualmente 1 uomo su 9 ed una donna su 36 possa sviluppare un tumore del polmone nel corso della vita.

Il tumore del polmone rappresenta la prima causa di morte per tumore nei maschi (il 26% del totale delle morti) e la terza causa nelle donne (11% del totale delle morti). Tra gli uomini il tumore del polmone è al primo posto tra le cause di morte oncologica in tutte le fasce di età essendo responsabile del 16% dei decessi per tumore tra i giovani (0-49 anni), del 30% tra gli adulti (50-69 anni) e del 25% tra gli ultrasettantenni. Nelle donne è la seconda causa di morte per neoplasia nelle fasce di età fra 0-49 e 50-69 anni (rispettivamente l'11% ed il 14%) e la terza causa nelle ultrasettantenni (10%). I tassi di mortalità osservati nelle varie aree geografiche nazionali non evidenziano nei maschi, al pari dei dati di incidenza, un gradiente Nord-Sud, con un tasso per 100.000 abitanti di 63,8 al Nord, di 55,7 al Centro e di 62,7 al Sud, e un moderato gradiente con un tasso per 100.000 abitanti femmine, rispettivamente, del 16,9, 13,4 e 12,5. Anche per la mortalità l'analisi degli andamenti temporali conferma un decremento nei maschi a partire dal 1996 (–2,0%/anno) e un costante incremento nelle femmine (+1,8%/ anno nel periodo 1996-2010). Così come per l'incidenza, anche questo dato è da porre in relazione al diverso andamento dell'abitudine al fumo nei due sessi degli ultimi due decenni.

Le principali cause del carcinoma polmonare: le incidenze causali da fumo di tabacco

È a tutti noto che il fumo di sigaretta è il fattore di rischio largamente preponderante per questa malattia con attribuibilità causale superiore all'85% e questa evidenza è tale da essere stata addirittura pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana: infatti nelle Linee guida in tema di prevenzione primaria dei tumori del polmone (Ministero della Sanità) elaborate dalla Commissione Oncologica Nazionale, in applicazione di quanto previsto dal Piano sanitario nazionale per il triennio 1994-1996 si rimarca che il tumore del polmone è “la neoplasia per la quale sono meglio conosciuti i fattori eziologici: oltre l'85 % dei casi è infatti attribuibile al fumo di sigaretta”. Questa indicazione è sostanzialmente confermata anche dal D.P.R. 23 luglio 1998, Approvazione del Piano Sanitario Nazionale per il triennio 1998-2000 in cui si afferma che “è attribuibile al fumo il 90 % delle morti per tumori polmonari”.

Queste valutazioni sono fondate su studi epidemiologici che hanno consentito di stimare il rischio attribuibile all'abitudine al fumo. Il dato è quindi ottenuto mediante analisi statistiche su dati osservazionali relativi a gruppi di persone dedite a questa abitudine voluttuaria.

La relazione dose-risposta fra numero di sigarette fumate al dì ed il rischio di ammalare di cancro del polmone è assolutamente consolidata, con Rischi Relativi “normalmente” superiori a 10 ma anche decisamente superiori a seconda del numero di sigarette fumate come riportato nel testo di Oncologia Clinica già citato e nella valutazione IARC di seguito trascritta.

La pubblicazione della IARC sugli effetti del fumo di tabacco conferma che “In populations with prolonged cigarette use, the proportion of lung cancer cases attributable to cigarette smoking has reached 90%” ovvero che “in popolazioni con prolungata abitudine al fumo, la proporzione dei casi di tumore del polmone attribuibili al fumo di sigaretta ha raggiunto il 90%” e che “la durata dell'abitudine al fumo è il determinante più importante nel causare il tumore del polmone nei fumatori. Pertanto più precoce è l'età dell'abitudine al fumo e più lungo è il perdurare dell'abitudine al fumo in età adulta, maggiore è il rischio. Il rischio di tumore del polmone aumenta anche in proporzione al numero di sigarette fumate”.

La predisposizione genetica e l'inquinamento atmosferico

Il fatto che solo una minoranza dei fumatori sviluppa il cancro polmonare suggerisce una predisposizione genetica nei confronti della malattia. Un eccesso di rischio cancro polmonare di due-tre volte è stato osservato nei familiari di primo grado dei pazienti affetti dalla neoplasia ed il rischio è ulteriormente incrementato nelle famiglie con più persone affette.

Nell'ultimo decennio è stato pubblicato un numero crescente di studi epidemiologici che hanno dimostrato come l'inquinamento atmosferico (ed in particolare la concentrazione di particolato con diametro inferiore ai 10µm (PM10) sia associato ad un aumento di rischio di ammalare di cancro polmonare.

Ultimo fra questi studi in ordine di tempo è lo studio multicentrico europeo noto con l'acronimo ESCAPE che, su di una coorte di oltre 300000 persone (abitanti fra l'altro, anche a Torino e Roma), ha dimostrato un incremento di rischio di ammalare di cancro polmonare del 22% ogni 10 µg/m3 di PM10; più specificatamente, il rischio aumenta del 51% (sempre ogni 10 µg/m3 di PM10) per quanto riguarda gli adenocarcinomi.

È ancora più recente l'annuncio delle conclusioni del Gruppo di Lavoro dell'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) relativamente alla carcinogenicità dell'inquinamento outdoor: orbene, il Gruppo di lavoro ha classificato l'inquinamento outdoor come cancerogeno di gruppo 1, ovvero cancerogeno per l'uomo, giungendo ad un tale giudizio, fatto assai poco frequente, all'unanimità.

Il tumore polmonare e l'esposizione ad amianto: i vari criteri interpretativi della letteratura scientifica

Il tumore del polmone è compreso fra gli organi bersaglio da esposizione ad amianto ma in anni recenti si è sviluppato un importante dibattito sulle condizioni di esposizione idonee a produrre questo effetto. Infatti, riguardo al rapporto causale tra amianto e tumore del polmone, nella prima edizione del Consensus Report di Helsinki: Asbestos, asbestosis, and cancer: The Helsinki criteria for diagnosis and attribution si sostiene che, prima di definire l'esistenza di un rapporto causale fra esposizione ad amianto e tumore del polmone, sia necessario considerare che: “because of the high incidence of lung cancer in the general population, it is not possibile to prove in precise deterministic terms that asbestos is the causative factor for an individual patient, even when asbestosis is present” ossia “a causa dell'elevata incidenza del tumore del polmone nella popolazione generale, non è possibile dimostrare, nel singolo individuo, in termini deterministici precisi, che l'asbesto sia il fattore causale, anche quando è presente un quadro di asbestosi”.

Gli stessi esperti commentavano che un criterio importante per l'attribuzione di un tumore ad un'esposizione ad asbesto fosse costituito dal livello di fibre di asbesto rilevate nel polmone: infatti è attribuito un rischio di circa due volte maggiore in presenza di un livello di circa 2 milioni di fibre (λ>5µm) di anfibolo per grammo di tessuto secco o di 5 milioni di fibre (λ>1µm) per grammo di tessuto secco; o ancora per una concentrazione tra 5000 o 15000 corpuscoli dell'asbesto per grammo di tessuto secco o infine per il riscontro di una concentrazione da 5 a 15 corpuscoli dell'asbesto per millilitro nel liquido di lavaggio broncoalveolare.

Per livelli molto bassi di esposizione ad amianto il rischio di tumore polmonare appare essere indefinibile.

Il rischio relativo di sviluppare un tumore polmonare risulta grossolanamente raddoppiato in gruppi di soggetti con un'esposizione cumulativa ad asbesto di 25 ff/cc/anni, cioè, ad esempio, un'esposizione ambientale di 1 fibra per centimetro cubo per 25 anni.

Pertanto per poter attribuire un tumore polmonare all'esposizione ad asbesto devono essere soddisfatti (anche non contemporaneamente) i seguenti criteri:

  1. la presenza di asbestosi (intesa come indice di elevata esposizione o almeno superiore alle 25 ff/cc/anni) oppure
  2. una stima di esposizione cumulativa pari o superiore a 25 ff/cc/anni oppure
  3. la presenza di almeno 5.000-15.000 corpuscoli dell'asbesto o 2 milioni di fibre anfiboliche per grammo di tessuto polmonare secco (λ>5 μm) o 5 milioni se λ>1 μm.

Tutti questi elementi costituiscono un nuovo approccio al problema che aggiorna alcune posizioni del passato sulla indipendenza della neoplasia dalla documentata fibrosi polmonare.

Queste posizioni erano relative a situazioni di esposizione tipiche dell'industria amiantiera propriamente detta in cui le condizioni di esposizione erano elevate o molto elevate e, pertanto, anche per i soggetti in cui non fosse dimostrabile, alla radiologia del torace, un quadro di asbestosi poteva essere assunto come valido il principio che una dose cumulativa individuale elevata o molto elevata, dell'ordine di centinaia o migliaia di fibre/anni fosse efficace per produrre il tumore.

Si consideri che Irving Selikoff, nel volume Asbestos and Disease, scriveva che le esposizioni in grado di produrre asbestosi fossero dell'ordine di almeno 100 ff/cc/anni di dose cumulativa. Se ne ricava che esposizioni di una discreta rilevanza ma non in grado di produrre asbestosi debbano essere tenute in conto nella valutazione dell'associazione causale fra esposizione ad amianto e comparsa della neoplasia.

Il limite è stato appunto fissato a 25 ff/cc/anni di dose cumulativa. Questo valore non è in grado di determinare quadri di asbestosi ed è stato definito in base alla possibilità di rilevare rischi relativi per il tumore del polmone dell'ordine di 2, ossia un valore che consenta di affrontare sul piano medico-legale la discussione su un rapporto associativo valutabile con il criterio del “più probabile che non”.

Questo concetto è stato ripreso nella recente pubblicazione in tema di patologie asbesto-correlate pubblicato dalla Società Italiana di Medicina del Lavoro, disponibile sul sito internet della Società stessa.

L'esposizione cumulativa pari a 25 fibre/ml/anni rappresenta uno standard, oggi sostanzialmente accettato in letteratura, per definire un significativo aumento del rischio per gli esposti ad amianto di ammalare di tumore del polmone. Il rischio associato ad esposizioni di minore entità è, al contrario, indefinito e valutabile, al massimo, nell'ordine della “possibilità” e non già della “elevata probabilità”: questo dato deve essere tenuto nel dovuto conto anche in ambito civile risarcitorio, ove non può e non deve sussistere il criterio del “non si può escludere che”. Questo concetto è molto importante ed è stato appunto ripreso nel Position Paper SIML, proprio in riferimento alla sua applicabilità in contesti medico legali di tipo civilistico, nel rispetto del criterio del “più probabile che non”, che non verrebbe soddisfatto in caso di esposizioni cumulative inferiori a 25 ff/cc-anni.

In ogni caso, è da sottolinearsi come in letteratura le indicazioni relative al raddoppio del rischio di cancro del polmone siano comprese fra lo 0,5% (per il crisotilo puro) ed il 4,8% (per gli esposti ad anfiboli) per fibra/ml/anno; per esposizioni a miscele di amianti il raddoppio del rischio sarebbe pari allo 0,32% per fibra/ml/anno. Da questi dati deriverebbero dosi cumulative necessarie per il raddoppio del rischio – ed il raddoppio del rischio è il livello minimo significativo – rispettivamente pari a 200 e 300 ff/cc-anni per crisotilo puro e miscele di amianti. Gli estensori dei Criteri di Helsinki hanno utilizzato il valore del 4% per fibra/ml/anni (che giustappunto porta – per il raddoppio del rischio – a 25 ff/cc-anni) senza alcuna giustificazione e come, se avessero scelto il limite inferiore, ovvero, lo 0,5%, il raddoppio del rischio si verificherebbe per una esposizione cumulativa di 200 ff/cc-anni (Attanoos R. Lung cancer associated with asbestos exposure. In: Craighead JE, Gibbs AR. Asbestos and its diseases. New York: Oxford University Press, 2008, pp. 181-183.)

Sarebbe stato opportuno – in particolare per quanto riguarda l'utilizzo di tali riferimenti negli ambiti legali – scegliere quanto meno il valore mediano.

Al riguardo, si ritiene necessarie almeno una puntualizzazione relativamente alla “storia occupazionale di pesante esposizione, o di 5-10 anni di moderata esposizione”.

Secondo i Criteri di Helsinki, “pesante” esposizione è quella derivante dalle attività di “manifattura dei prodotti in amianto, spruzzatura dell'amianto, coibentazione con amianto, demolizione di vecchi edifici”, mentre “moderata” esposizione è quella derivante da attività di “costruzione o cantieristica navale” (tali definizioni sono state riprese integralmente da Henderson et a l.Henderson DW et al. After Helsinki: a multidisciplinary review of the relationship between asbestos exposure and lung cancer, with emphasis on studies published during 1997-2004. Pathology, 36: 517-550, 2004).

Una presa di posizione in argomento era già reperibile nel febbraio 2007, successivamente alla pubblicazione della prima edizione dei Criteri di Helsinki e si riportano le valutazioni trascrivendo la frase conclusiva dell'editoriale "The Helsinki Criteria for Attribution of Lung Cancer to Asbestos Exposure. How Robust are the Criteria?" pubblicato su una nota rivista internazionale.

Gli Autori sostengono che: "Although it may not be perfect, the presence of asbestosis remains the most reasonable criterion for causal attribution purposes" ossia "Sebbene possa non essere perfetto, la presenza di asbestosi rimane il criterio più ragionevole per i propositi di attribuzione causale".

Questa affermazione era in linea con quanto già sottolineato da due di questi Autori (Churg e Weill) in un precedente carteggio in tema di dose dipendenza del tumore del polmone rispetto all'esposizione ad amianto, citando lavori sperimentali, in particolare quello di Davis e Cowie, in cui questi cultori della materia scrivevano: “…there is in fact considerable evidence that lung cancers in animals exposed to asbestos only develop when asbestosis is present...” ossia “…esiste di fatto una considerevole evidenza che negli animali da esperimento esposti ad amianto il tumore del polmone si sviluppa solo quando è presente l'asbestosi…”.

Anche l'Ente Assicuratore tedesco prevede, per l'attribuzione di una neoplasia polmonare all'esposizione all'amianto, un'esposizione cumulativa di almeno 25 ff/cc/anni (es. 1 fibra/cc come valore medio di esposizione giornaliera continuativa sulle 8 ore di lavoro per 25 anni).

L'ipotesi che esista una soglia di esposizione al di sotto della quale non si determinerebbe l'effetto tumore del polmone è commentata anche nel lavoro di Hodgson & Darton che scrivono: "The argument is essentially based on a view of the carcinogenic process induced by asbestos as being an extension of the chronic inflammatory processes producing fibrosis. It is widely agreed that heavy doses of chrysotile are required to produce lung fibrosis. And some evidence has been derived from the New Orleans cohort suggesting a threshold dose of about 30 f/ml/yr for radiological fibrosis (Weill, 1994)." ossia "La tesi è basata essenzialmente sulla considerazione che il processo di cancerogenesi indotto dall'amianto sia una estensione del processo infiammatorio cronico che produce la fibrosi. E alcune evidenze sono state ricavate dalla coorte di New Orleans che suggerisce una dose soglia di circa 30 ff/ml/anni per la fibrosi radiologica (Weill, 1994)".

Occorre rimarcare come in studi su minatori di crisotilo del Quebec e su lavoratori inglesi della produzione di materiali d'attrito per freni e frizioni non sia stato evidenziato un aumento del rischio relativo per esposizioni cumulative inferiori rispettivamente a 100 e 356 fibre/ml/anni.

Nel Lavoro di Henderson e collaboratori viene proposta una estesa discussione sui criteri quantitativi adottati nel Consenus Report di Helsinki e dall'Istituto Assicuratore Tedesco e si conclude, in termini generali, sulla validità di questo approccio.

Cagle, afferma: “Il rischio di asbestosi e il rischio di tumore polmonare asbesto-correlato aumentano in modo parallelo con l'aumento del carico tissutale di amianto. L'evidenza indica che il livello di esposizione all'asbesto necessario perché vi sia un rischio di asbestosi è della stessa entità di quello necessario perché ci sia un rischio di cancro polmonare. La presenza di asbestosi, pertanto, è un affidabile indicatore del fatto che il paziente è stato esposto alla dose di amianto, o al carico tissutale, necessario a porre il paziente a rischio di tumore polmonare asbesto correlato”. Egli afferma ancora, analizzando un lavoro di Roggli: “Tale osservazione indica che la grande maggioranza dei pazienti con tumore polmonare e carico tissutale di amianto sufficiente ad aumentare il rischio di tumore polmonare hanno anche asbestosi nelle sezioni di tessuti. Ciò dimostra che l'asbestosi è un marcatore del tumore polmonare asbesto correlato, sia come indicatore del carico tissutale di amianto necessario per aumentare il rischio di tumore, sia come verifica che il soggetto è suscettibile all'azione fibrogenica-cancerogena dell'esposizione ad amianto”.

Nell'edizione del 2014 del Consensus “Asbestos, asbestosis, and cancer: The Helsinki criteria for diagnosis and attribution” vengono ribaditi i concetti già espressi nell'edizione del 1997 e, pertanto, sono confermati gli stessi criteri per l'attribuzione di una neoplasia polmonare ad esposizione ad amianto, nel caso di un singolo individuo.

L'attuale documento “fornisce informazioni che aiuteranno i soggetti che hanno il compito di affrontare il tema dell'attribuibilità causale all'asbesto, a livello individuale. Anche se il rischio di sviluppare certe condizioni patologiche potrebbe aumentare con l'esposizione ad amianto, tali condizioni si verificano anche nella popolazione generale in associazione ad altri fattori di rischio. Quindi la difficoltà nel determinare il nesso di causalità dell'amianto su queste condizioni a livello individuale è equivalente a quella affrontata nel documento originale dei Criteria riguardo al tumore del polmone.”.

Linee guida per valutare la correlazione tra esposizione ad asbesto e cancro del polmone

Nel febbraio 2009 è stata inoltre pubblicata una review in cui si propone una Linea Guida per valutare la correlazione tra esposizione ad asbesto e cancro del polmone. In essa si dà per scontato che, in presenza di asbestosi, il cancro polmonare sia da attribuire alla esposizione all'asbesto, indipendentemente dal fattore fumo. Nel caso di un conteggio di fibre nel range dell'asbestosi ma con assenza di fibrosi, la correlazione tra asbesto e cancro polmonare è controversa anche se possibile.

Poco probabile la associazione tra cancro polmonare ed asbesto nel caso in cui si abbia un conteggio di fibre di anfiboli (λ>1 μm) inferiore a 5 milioni di fibre per grammo di tessuto secco e assenza di fibrosi; nessuna correlazione tra cancro ed asbesto nel caso in cui vi siano solo placche pleuriche o in casi in cui vi sia una bassa esposizione con conteggio di fibre nel tessuto secco inferiore a 2 milioni di fibre di anfiboli (λ>5 μm).

Si legge infatti:

It should be emphasized that cumulative doses necessary to induce lung parenchymal diseases, such as lung cancer and asbestosis, are significantly higher than is sufficient to induce malignant mesothelioma and pleural plaques. The presence of pleural plaques alone represents an insufficient basis on which to conclude that a lung cancer is attributed to asbestos exposure.” ossia “Dovrebbe essere enfatizzato il fatto che la dose cumulativa necessaria per indurre una malattia parenchimale come il tumore polmonare e l'asbestosi è significativamente maggiore rispetto a quella sufficiente ad indurre mesotelioma maligno o placche pleuriche. La presenza delle sole placche pleuriche rappresenta una base insufficiente per concludere che un tumore polmonare sia attribuibile all'esposizione ad amianto”. Si conclude sostenendo che la Linea Guida per definire il rapporto causale con l'amianto è basata sui seguenti criteri (“The following is a guideline for assessing asbestos causation:”) (Tabella successiva).

*Questo argomento è un argomento di grande dibattito. È stato accettato in alcune aule di giustizia ma non in tutte.

Il ricorso al principio di concausalità non deve e non può, infatti, diventare un espediente per sfuggire alla prova del nesso causale: analisi delle linee guida giurisprudenziali

Di qui la necessità, logicamente preliminare all'utilizzo della teoria dell'effetto sinergico, di accertare che nel caso di specie abbia agito l'amianto (e non, da solo, il fumo)

(Cass.Pen., Sez. IV, ud. 3.11.2016, dep. 2017, n. 12175, par. 17).

Nella sentenza qui sopra richiamata della Suprema Corte di, si è affermato che “non può ricercare il legame eziologico, necessario per la tipicità del fatto, sulla base di una nozione di concausalità meramente medica, dovendo le conoscenze scientifiche essere ricondotte nell'alveo di una causa condizionalistica necessaria. Ne consegue che, per affermare la causalità della condotta omissiva del datore di lavoro, nell'insorgenza del tumore polmonare del lavoratore, occorre dimostrare che esso non abbia avuto esclusiva origine dal prolungato ed intenso fumo di sigarette e che l'esposizione all'amianto sia stata una condizione necessaria per l'insorgenza o per la significativa accelerazione della patologia. (In motivazione la Corte, censurando la decisione impugnata afferma che essa “attinge a un concetto vago di causalità e concausalità che, se consentito in ambito medico, deve in ambito penale essere trasfuso in precise categorie giuridiche”)” (massima Cass. Pen. Sez. IV, 21.12.2011, dep. 22.03.2012, n. 11197, Dejure).

Più di recente, sullo stesso tema, è stato rilevato che “In tema di nesso causale, in presenza di patologie riconducibili a più fattori causali diversi e alternativi tra loro, qualora la rilevanza causale della condotta omissiva sull'evento patologico sia caratterizzata da una mera probabilità statistica, la ricostruzione del nesso eziologico impone la sicura esclusione di fattori causali alternativi.

Prevedibilità e prevenibilità dell'evento

L'accertamento della prevedibilità dell'evento e della sua prevenibilità devono, peraltro, essere rapportati all'agente concreto, come espresso dalla Suprema Corte: “Quando …si apre la verifica della colpa in senso soggettivo, e si discute della prevedibilità, non si fa più riferimento ad un agente modello ideale ma proprio all'imputato, agente concreto; è della prevedibilità da parte di questi che si tratta; è dell'agente concreto che vanno valutate le reali condizioni di operatività… Il quesito non è più, ad esempio, se l'art. 21 prescriveva di evitare l'aerodispersione dell'amianto; ma è se di tale regole e degli effetti della sua violazione …l'imputato avesse una ignoranza scusabile e se (passando al piano della prevenibilità) se egli avesse la concreta possibilità di fare quanto sarebbe stato di sicuro effetto preventivo” (Cass. Pen. Sez. IV, ud. 3.11.2016, dep. 14.03.2017, n.12175, vicenda Montefibre bis, par. 22.2 e 22.3).

Quindi, in un'ottica di difesa generale, non solo non possono automaticamente applicarsi le regole cautelari (peraltro poste in contesti storici, lontani nel tempo e differenti dalle regole preventive oggi efficaci), in tema di protezione dei lavoratori dalle polveri all'amianto, né può farsi ricorso alla generica tutela di cui all'art. 2087 c.c., ma nemmeno sono emersi in atti, né possono essere aggiunti in seguito a un eventuale dibattimentale, elementi che permettano di dichiararsi accertata la colpa in senso soggettivo in rapporto allo specifico evento contestato.

Del resto quando non è rintracciabile in atti alcun documento dell'ispettorato del lavoro o di altra autorità pubblica che ponga prescrizioni ovvero elevi contravvenzioni per quanto riguarda l'amianto. Non è rintracciabile alcun altro documento indirizzato agli imputati che li metta a conoscenza del rischio amianto rilevante o che, comunque, li ponga in una situazione di allarme rispetto a tale rischio con specifico riguardo alla patologia contestata.

Anzi le emergenze documentali possono dimostrare, da un punto di vista difensivo, solo il rispetto dei limiti dei valori soglia d'esposizione, proposti all'epoca nel settore e nel contesto aziendale.

Il rischio di condanne per responsabilità di mera posizione

In relazione all'attribuibilità delle condotte il reato contestato ha la struttura deireati commissivi, incentrati sulla esposizione alle fibre di amianto aerodisperse” e che la componente omissiva attiene semmai “alla connotazione colposa della condotta, essendo costituita dalla mancata adozione delle misure di prevenzione imposte dalla legge” (Cass. 43786/2010, Cozzini e Cass. Pen. Sez. IV, ud. 3.11.2016, n.12175, Bordogna e altri, par. 15.1). Tale rilievo “non ha valore meramente teorico, perché indirizza l'accertamento giudiziario, sia per il versante del soggetto attivo che per quello del nesso di causalità. Per il primo aspetto …la puntualizzazione svela che non si tratta di ricercare la posizione di garanzia (nozione che viene in considerazione nell'ambito dei reati omissivi impropri) ma di accertare chi abbia tenuto la condotta attiva”.

In contesti organizzativi caratterizzati dalla complessità dimensionale – come sottolineato dalla Sezioni Unite – “l'individuazione della responsabilità penale passa non di rado attraverso una accurata analisi delle diverse sfere di competenza gestionale ed organizzativa all'interno di ciascuna istituzione. Dunque, rilevano da un lato le categorie giuridiche, i modelli di agente, dall'altro i concreti ruoli esercitati da ciascuno...”. Occorre “...individuare concretamente la figura istituzionale che può essere razionalmente chiamata a governare il rischio medesimo e la persona fisica che incarna concretamente quel ruolo” (Sez.Un., 24/04/2014, n. 38343, Espenhahn e altri, Thyssen Krupp, par. 12 e 13.1).

Tale ricognizione è indispensabile per “evitare il rischio di condanne per responsabilità di mera posizione” (Cass. Pen., Sez. IV, ud. 16.01.2019, dep. 11.06.2019, n. 137, vicenda Fincantieri Monfalcone bis, par. 8, in cui la Corte ha annullato la sentenza di merito che, in seguito a un vero e proprio “automatismo decisorio”, aveva condannato un consigliere senza deleghe “senza alcun approfondimento circa la reale partecipazione dell'imputato ai processi decisori del consiglio di amministrazione”, non potendo essere sufficiente quanto fatto dai giudici di merito, che si erano limitati a “presumere, senza indicare fonti di prova a riguardo, che il consiglio di amministrazione abbia, in effetti, condiviso le problematiche connesse alla salute e alla sicurezza sul lavoro”).

Riferimenti
  • F. Spera, Bussola danno da amianto, in Ridare.it;
  • S.Tordini Cagli, Morti d'amianto: la Cassazione ancora una volta annulla con rinvio le condanne inflitte in secondo grado, in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, n. 1/2018, p. 178 ss.;
  • S. Zirulia, Amianto: la Cassazione annulla le condanne nel processo Montefibre-bis, sulla scia del precedente Cozzini, in Dir. pen. cont., fasc. n. 5/2017, p. 372 ss;
  • F. Stella, Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale: il nesso di condizionamento fra azione ed evento, Giuffrè, 1975, p. 77-88, 153-156;
  • G. Canzio, La motivazione della sentenza e la prova scientifica: reasoning by probabilities, in G. Canzio, L. Lupária (a cura di), Prova scientifica e processo penale, 2018, p. 15-16;
  • S. Finocchiaro, La responsabilità penale per mesotelioma pleurico causato dall'esposizione ad amianto: una patologia di sistema, in corso di pubblicazione, in Riv. it. dir. proc. pen., n. 1/2021;
  • P. Rivello, Perizia e consulenza tecnica, in G. Canzio, L. Lupária (a cura di), Prova scientifica e processo penale, cit., p. 301 ss;
  • S. Zirulia, Contrasti reali e contrasti apparenti nella giurisprudenza post-Cozzini su causalità e amianto, in Riv. ir. dir. proc. pen., n. 3/2019, p. 1318 ss;
  • S. Corbetta, Delitti contro l'incolumità pubblica - Delitti di comune pericolo mediante violenza, in G. Marinucci-E. Dolcini (diretto da), Trattato di diritto penale. Parte Speciale, II, p. 751.
  • G. Ubertis, Prova scientifica e giustizia penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2016, pp. 1192 ss.
  • S. Zirulia, Contrasti reali e contrasti apparenti nella giurisprudenza post-Cozzini su causalità e amianto, in Riv. ir. dir. proc. pen., n. 3/2019, p. 1308 ss.
  • R. Bartoli, La recente evoluzione giurisprudenziale sul nesso causale nelle malattie professionali da amianto, in Dir. pen. cont. – Riv. Trim., n. 3-4/2014, p. 407.

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