Utilizzo della finanza endogena e della finanza esogena all'interno del concordato preventivo in continuità
30 Luglio 2020
Nell'ambito del concordato preventivo in continuità, qual è il criterio per stabilire se i flussi derivanti dalla prosecuzione dell'attività aziendale siano liberamente distribuibili o se debbano sottostare alle regole di distribuzione del patrimonio del debitore?
Caso concreto - La società debitrice ha depositato una proposta concordataria che prevede la soddisfazione dei creditori mediante l'esecuzione di un concordato in continuità aziendale indiretta ex artt. 160, comma 1, lett. a), 182 ter e 186 bis L.F. Il piano prevede l'intervento di due assuntori che si obbligano a dividersi attivo e passivo della procedura in specifiche e distinte porzioni, con effetto liberatorio per la proponente. Nello specifico, uno dei due assuntori si impegna a sostenere le passività prededucibili per un totale di euro 9.151.000 a fronte dell'assunzione della sola porzione di attivo consistente nelle partecipazioni sociali, mentre al secondo spetta tutto il residuo attivo (comprensivo dell'azienda affittata) e il residuo passivo, che provvederà a coprire mediante i proventi generati dalla prosecuzione dell'attività d'impresa e le risorse che lo stesso si è impegnato ad apportare mediante l'integrale sottoscrizione di un prestito obbligazionario dell'importo di euro 8.500.0000 con scadenza a 10 anni. Pertanto, al momento dell'omologazione della proposta concordataria, i passivi (stralciati) si trasferiranno per assunzione ai due assuntori, uno dei quali proseguirà l'attività aziendale, lasciando una “società relitto”, assimilabile ad una società che abbia compiuto la sua liquidazione, esdebitata nei limiti dello stralcio proposto ai creditori e completamente liberata da tutte le obbligazioni una volta perfezionata l'assunzione. Sulla base di tale piano, la proposta prevede il soddisfacimento dei creditori secondo le seguenti modalità e tempistiche: - soddisfacimento integrale delle spese prededucibili; - pagamento entro l'anno dall'omologa dei creditori muniti di privilegio speciale e generale (con capienza solo parziale - 78% - unicamente del privilegio ex art. 2751 bis n. 1 c.c., ovvero dei dipendenti), nei limiti della capienza dei beni sui quali insiste la prelazione; - pagamento parziale e dilazionato del ceto creditorio di rango chirografario (ab origine o declassato) con suddivisione in 8 classi di creditori. In relazione a tutti i crediti erariali la proponente ha presentato domanda di transazione fiscale ex art. 182-ter l.fall., rendendo così inevitabile il classamento dei creditori. Preso atto del raggiungimento della maggioranza dei crediti ammessi al voto, il Tribunale fissava l'udienza per la comparizione delle parti e del Commissario Giudiziale avanti al Collegio per decidere in merito all'omologazione della domanda. Nel termine di dieci giorni prima dell'udienza proponevano opposizione all'omologazione tre creditori, tra cui l'Agenzia delle Entrate, la cui opposizione, che contesta la sussistenza dei presupposti giuridici per l'omologazione, si basa sulle seguenti ragioni: 1) la società ricorrente non versa in uno stato di crisi, bensì in una situazione di insolvenza, per di più derivante da decisioni imprenditoriali giustificate solo da logiche di gruppo, estranee all'attività caratteristica dell'impresa stessa e la non veridicità dei dati di bilancio configurerebbe un'ipotesi di atto in frode dei creditori ex art. 173 l.fall.; 2) la proposta viola l'art. 182 ter l.fall., secondo cui la soddisfazione offerta ai creditori tributari erariali non può essere inferiore a quanto è previsto possa essere ottenuto in occasione della liquidazione fallimentare, anche perché le previsioni di realizzo non terrebbero conto dell'eventuale maggior attivo ricavabile dall'esercizio di azioni revocatorie e di responsabilità nei confronti dell'organo amministrativo; 3) l'Agenzia delle Entrate lamenta il fatto che la percentuale di soddisfacimento offerta dalla proponente risulterebbe bassa, soprattutto se confrontata con la maggior somma disponibile ipotizzata dai Commissari. La proposta sarebbe inoltre inammissibile nel momento in cui si prospetti un'assunzione dei debiti comportante la liberazione della ricorrente da ogni passività pregressa, laddove in ambito fiscale non sia prevista la facoltà di prevedere una forma di accollo liberatorio per i pregressi debiti tributari; 4) nella relazione ex art. 172 l.fall., i Commissari Giudiziali hanno rappresentato la possibilità che il piano generi una redditività maggiore di quella considerata, la quale andrebbe interamente a vantaggio degli assuntori e, dunque, sarebbe sottratta alla massa concorsuale. Questo profilo verrebbe ad integrare un'ipotesi sia di indicazione di dati non veritieri sia di occultamento di parte dell'attivo, sia di esposizione di passività insussistenti, con applicazione dell'art. 173 l.fall.
Soluzione - Con riferimento al primo motivo di doglianza, il Tribunale deduce l'irrilevanza delle argomentazioni dell'Agenzia delle Entrate, in quanto è pacifico che il concordato costituisca procedura concorsuale cui possono accedere non solo le imprese in crisi, ma anche quelle in stato di insolvenza, né la mera prospettazione in ricorso di uno stato di crisi potrebbe mai ritenersi di per sé atto in frode ex art. 173 l.fall. Per quanto riguarda l'inattendibilità dei bilanci, il Tribunale chiarisce che “per aversi atto in frode in relazione alla esposizione dei dati aziendali, non è sufficiente una mera diversità di valutazione di dati aziendali da parte del commissario, occorrendo, per contro, un concreto riscontro circa la consapevole non corrispondenza al vero dei dati esposti dalla parte”. Quanto al secondo motivo di doglianza, il Tribunale sostiene che la tesi sostenuta dall'opponente circa la possibilità che venga generata una maggiore redditività rispetto a quella considerata viene a basarsi su elementi caratterizzati da forte incertezza e aleatorietà, esposti ad un marcatissimo rischio di compromissione nell'ipotesi di una dichiarazione di fallimento. Per quanto riguarda le azioni revocatorie, il Tribunale prende atto che né i Commissari né alcuno altro degli opponenti è stato in grado di delineare con sufficiente chiarezza se da tali azioni potrebbe derivare un flusso attivo, ed in che entità, risultando quindi, la comparazione del tutto incerta ed aleatoria. Con riguardo al terzo motivo di doglianza, il Tribunale rammenta il fondamentale arresto della giurisprudenza di legittimità secondo cui “il controllo di legittimità sulla fattibilità della proposta di concordato si attua verificando l'effettiva realizzabilità della causa concreta del concordato il cui fulcro è costituito dal duplice profilo del superamento della situazione di crisi dell'imprenditore da un lato, e dall'assicurazione del soddisfacimento, sia pure ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori dall'altro”. Molto pregnante è la motivazione con la quale il Tribunale respinge il quarto rilievo di opposizione, relativo alla destinazione dei flussi derivanti dalla continuità e al divieto, immanente all'ordinamento, che il loro surplus vada integralmente a beneficio dell'assuntore e non invece ai creditori pregressi, secondo l'ordine delle cause di prelazione. Lo schema del concordato per assunzione ha in sé connaturata l'aspettativa dell'assuntore medesimo di riuscire a realizzare l'attivo della procedura in modo più fruttuoso di quanto possa avvenire nell'ambito della procedura medesima. Affermata, quindi, la piena ammissibilità dell'appropriazione da parte dell'assuntore del delta da esso ricavato liquidando autonomamente l'attivo della procedura, il Tribunale passa ad affrontare il diverso problema del rapporto tra i flussi della continuità indiretta e le cause di prelazione. In merito a tale problema, il Tribunale ribadisce il principio per cui “i flussi della continuità, allorquando siano generati da una prosecuzione aziendale resa possibile unicamente per effetto dell'apporto di un soggetto terzo, non possono ritenersi assoggettati al rispetto dell'ordine delle cause di prelazione, per la semplice ragione che detti flussi, nella prospettiva fallimentare, semplicemente non esisterebbero. Un conto è che i flussi della continuità siano comunque generati dalla residua capacità patrimoniale del debitore, giacché in tal caso appare assai complesso condurre i suddetti flussi al di fuori della regola dell'art. 2471 c.c. Un altro conto è che tali flussi, in quanto generati da una finanza esterna, ne ereditino i caratteri, e risultino, quindi, liberamente distribuibili, sol che si consideri che, in assenza dell'apporto del terzo, detti flussi non esisterebbero, e conseguentemente le cause di prelazione – in primis il privilegio generale mobiliare – non avrebbero oggetto alcuno su cui esercitarsi”. In conclusione, il Tribunale afferma che “i flussi che derivano da risorse esterne resteranno vincolati ad un solo parametro, e cioè quel miglior soddisfacimento dei creditori che l'art. 186 bis pone come condizione di ammissibilità della continuità. Ciò significa che una parte di essi, dovrà indubbiamente essere destinata ai creditori concordatari per assicurare loro il miglior soddisfacimento, ma, una volta rispettato tale parametro, resteranno liberamente distribuibili”. Tutto ciò premesso, il Tribunale, ritendendo che la proposta concordataria destina una parte adeguata degli apporti degli assuntori per assicurare alla creditrice un miglior soddisfacimento rispetto alla prospettiva fallimentare, ha respinto le opposizioni proposte, ritenendo il Collegio che sussistano le condizioni di legge per l'omologazione del concordato.
Normativa e giurisprudenza
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