Quantificazione del danno nelle azioni di responsabilità dei fallimenti contro gli amministratori in assenza di scritture contabili

02 Agosto 2020

In assenza di scritture contabili, è possibile quantificare il danno causato dall'amministratore alla società nella misura dello sbilancio fallimentare?

In assenza di scritture contabili, è possibile quantificare il danno causato dall'amministratore alla società nella misura dello sbilancio fallimentare?

Caso concreto - Nelle azioni di responsabilità avviate dalla curatela fallimentare contro gli amministratori della società, una dei problemi principali è quello di quantificare il danno patito dalla società. Il metodo analitico, di ricostruzione delle singole voci di danno imputabili a specifiche condotte dell'amministratore, seppure formalmente corretto, si può scontrare con le difficoltà di ricostruzione dell'andamento della società per un lungo arco di tempo, soprattutto quando mancano le scritture contabili. Il metodo sintetico, consistente nel quantificare il danno come equivalente al deficit fallimentare, si è fatto strada negli ultimi anni e, infine, è stato recepito dal codice della crisi.

Una recente sentenza del Tribunale di Firenze (13 maggio 2020) consente di riflettere sulla problematica della quantificazione del danno nelle azioni di responsabilità. Il caso può essere così illustrato. È corrente una s.r.l., amministrata da un amministratore unico. La società viene costituita nel 2009, ma dal 2011 omette pressoché integralmente la tenuta delle scritture contabili nonché la presentazione delle denunce fiscali e l'ultimo bilancio depositato è quello relativo all'esercizio 2010. Nel 2015, la s.r.l. viene dichiarata fallita dal Tribunale di Livorno.

Una volta dichiarato il fallimento della società, il curatore esercita l'azione di responsabilità nei confronti dell'amministratore unico. Nello stato passivo si sono insinuati i lavoratori dipendenti, l'erario e gli istituti previdenziali. Il curatore, per la totale assenza di scritture, non può però inviare agli altri creditori le comunicazioni previste dall'art. 92 L.F. La gestione dell'amministratore ha provocato alla società un danno di difficile quantificazione, danno che si può dunque liquidare solo equitativamente.ù

Soluzione - Il problema di come quantificare il danno nelle azioni di responsabilità esercitate dalle curatele fallimentari è sempre stato molto dibattuto. La prova del danno, secondo le regole generali, dovrebbe essere resa in modo analitico, dimostrando con quali singole operazioni si è generato il nocumento per la società. La documentazione analitica del danno non è tuttavia possibile quando mancano le scritture contabili. Ai sensi dell'art. 2214 c.c., “l'imprenditore che esercita un'attività commerciale deve tenere il libro giornale e il libro degli inventari” e “deve altresì tenere le altre scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa”.

La giurisprudenza della Corte di cassazione mostra che si è passati da una originaria sfiducia a un progressivo favor di meccanismi equitativi di valutazione del danno nell'ambito delle azioni di responsabilità fallimentari.

Secondo Corte di cassazione, 11 luglio 2013, n. 17198, qualora il curatore fallimentare di una società di capitali eserciti l'azione di responsabilità verso l'ex amministratore, il mancato rinvenimento della contabilità d'impresa non determina in modo automatico che l'ex amministratore risponda della differenza fra l'attivo e il passivo accertati in sede fallimentare, potendo il giudice applicare il criterio differenziale soltanto in funzione equitativa, attraverso l'indicazione delle ragioni che non hanno permesso di accertare gli specifici effetti pregiudizievoli della condotta e che rendono plausibile ascrivere al convenuto l'intero sbilancio patrimoniale.

Come si può notare da questa decisione, il criterio equitativo non può essere subito usato dal giudice, ma questi deve prima spiegare perché non si riesce a dimostrare in altro modo le condotte nocive imputabili agli amministratori e l'ammontare del danno che ne è conseguito. A questo riguardo non si può dimenticare che l'art. 1226 c.c. prevede che “se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa”. Dalla disposizione emerge che: in primo luogo, si deve cercare di quantificare il danno nel suo preciso ammontare; solo in secondo luogo, se non è possibile una prova analitica, il danno può essere liquidato equitativamente.

L'esigenza di spiegare le ragioni del ricorso al criterio equitativo è stato ben evidenziato da un'altra decisione della Corte di cassazione. Cass., 2 ottobre 2015, n. 19733, ha stabilito che nell'azione di responsabilità promossa dal curatore contro l'ex amministratore di una società, poi fallita, il giudice, ove, nella quantificazione del danno risarcibile, si avvalga, ricorrendone le condizioni, del criterio equitativo della differenza fra il passivo accertato e l'attivo liquidato in sede fallimentare, deve indicare le ragioni per le quali, da un lato, l'insolvenza sarebbe stata conseguenza delle condotte gestionali dell'amministratore e, dall'altro, l'accertamento del nesso di causalità materiale fra queste ultime e il danno allegato sarebbe stato precluso dall'insufficienza delle scritture contabili sociali.

Il criterio della differenza fra passivo e attivo fallimentare è stato ora recepito espressamente dall'art. 2486 comma 3 c.c.: “se è stata aperta una procedura concorsuale e mancano le scritture contabili o se a causa dell'irregolarità delle stesse o per altre ragioni i netti patrimoniali non possono essere determinati, il danno è liquidato in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura”.

Questa disposizione è entrata in vigore nel marzo 2019 e il Tribunale di Firenze non la può direttamente applicare nel caso di specie. Tuttavia il giudice fiorentino giunge a una decisione simile, basandosi sulla giurisprudenza che la Corte di cassazione ha sviluppato nel corso degli anni e che si è indicata sopra. Il Tribunale di Firenze constata che il passivo fallimentare (per quanto si è potuto accertare, sulla base della documentazione agli atti) ammonta a € 126.412,64 e non risulta alcun attivo. Si può così determinare il risarcimento dovuto nella somma di € 130.580, pari al suddetto sbilancio maggiorato della rivalutazione monetaria. In definitiva il giudice fiorentino condanna l'amministratore a pagare al fallimento detta somma a titolo di risarcimento del danno.

Normativa e giurisprudenza

  • Artt. 2476 e 2486 c.c.
  • Art. 146 L.F.
  • Cass., 4 aprile 2011, n. 7606 “La totale mancanza di contabilità sociale, o la sua tenuta in modo sommario e non intelleggibile, è di per sé giustificativa della condanna dell'amministratore al risarcimento del danno, in sede di azione di responsabilità promossa dalla società, vertendosi in tema di violazione da parte dell'amministratore medesimo di specifici obblighi di legge, idonei a tradursi in un pregiudizio per il patrimonio sociale”.
  • Cass., 3 gennaio 2017, n. 38 “Nell'azione di responsabilità contro gli amministratori promossa dal curatore ex art. 146 L.F., ai fini della quantificazione del danno risarcibile, il criterio del differenziale tra il passivo accertato e l'attivo liquidato in sede fallimentare può essere utilizzato solo quale parametro per una liquidazione equitativa, ove ne sussistano le condizioni”.

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