La liquidazione dei beni in assenza di patrimonio prontamente liquidabile
24 Agosto 2020
È inammissibile il ricorso di ammissione alla procedura di liquidazione dei beni di cui all'art. 14 ter ss. l. 27 gennaio 2012 n. 3 in ragione della totale incapienza del patrimonio prontamente liquidabile del soggetto sovraindebitato?
Caso concreto - Un soggetto che si trova in stato di sovraindebitamento, in ragione del perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, presenta al tribunale territorialmente competente una domanda di apertura della procedura di liquidazione del patrimonio ai sensi dell'art. 14 ter ss. l. 27 gennaio 2012, n. 3. La scelta del ricorrente ricade sulla procedura di liquidazione e non su quella di accordo poiché, non avendo un rapporto di lavoro dipendente e non percependo con regolarità un importo mensile a titolo di reddito, non vi erano le condizioni per predisporre un piano, o, meglio, non vi erano le condizioni per ottenere l'attestazione di fattibilità (in assenza di ragionevoli certezze sulle entrate mensili del sovraindebitato). Peraltro, il soggetto, nel momento del deposito della domanda, si trovava in una situazione del tutto peculiare: non solo non percepiva un reddito mensile fisso ma il reddito annuo che dichiarava non era sufficiente per far fronte alle (seppur) esigue esigenze di sostentamento della famiglia (composta anche da un figlio minore), tanto che queste ultime non potevano che essere soddisfatte attraverso l'aiuto di terzi. Dunque, la situazione finanziaria del ricorrente era tale per cui non poteva essere certo l'effettivo apporto di risorse all'eventuale futura procedura, poiché il reddito percepito doveva anzitutto essere destinato alle necessità familiari. In questo contesto, peraltro, occorre precisare che il patrimonio del soggetto sovraindebitato non era composto da alcun altro bene immobile o mobile che poteva essere destinato alla procedura. Ad eccezione dei beni assolutamente impignorabili ai sensi dell'art. 515 c.p.c., infatti, il soggetto era proprietario degli strumenti che utilizzava per svolgere il proprio lavoro, in assenza dei quali non era possibile nemmeno la produzione del reddito e che, pertanto, non potevano essere liquidati nel corso della procedura di cui all'art. 14 ter ss. l. n. 3 del 2012. Il Tribunale di Milano, in composizione monocratica, con decreto del 7 dicembre 2019, ha dichiarato inammissibile la domanda di accesso alla procedura di liquidazione del patrimonio, assumendo una posizione netta riguardo all'istanza presentata in assenza di beni prontamente liquidabili.
Spiegazioni e conclusioni - Nel dettaglio, il Tribunale di Milano, in composizione monocratica, ha espressamente chiarito che il ricorso per l'apertura della liquidazione del patrimonio non può ritenersi ammissibile se il patrimonio del soggetto sovraindebitato risulta del tutto incapiente, mancando non solo beni mobili e immobili ma anche reddito da distribuire ai creditori. Il Tribunale, infatti, dopo aver precisato di aderire alla corrente giurisprudenziale che ritiene ammissibile la domanda ai sensi dell'art. 14 ter ss. l. n. 3 del 2012 anche in assenza di beni mobili e immobili da acquisire all'attivo della procedura (orientamento già sostenuto dal Tribunale di Milano 30 luglio 2019 e dal Tribunale di Verona 21 dicembre 2018), ha sostenuto che la mancanza di beni debba essere “compensata” dalla percezione di un reddito da lavoro distribuibile ai creditori concorsuali. In buona sostanza, a parere del Tribunale di Milano, il sovraindebitato, per accedere alla liquidazione del patrimonio, deve essere nelle condizioni di mettere a distribuzione del concorso almeno una parte del proprio reddito. In caso contrario, ovverosia in difetto di un “patrimonio prontamente liquidabile”, mancherebbe quello che viene definito dal giudicante come “elemento essenziale per far fronte alle obbligazioni assunte”. Dunque, l'impossibilità di affermare che i ricavi futuri saranno superiori alla somma necessaria al sovraindebitato per il mantenimento proprio e della propria famiglia e che, quindi, residuerà, nel corso della durata della liquidazione, una somma da destinare al pagamento dei creditori, impedisce l'apertura della procedura, attesa la totale incapacità di raggiungere l'obiettivo della stessa (la soddisfazione della massa). A ben vedere, anche alla luce di quanto disposto dall'art. 14 quinquies l. n. 3 del 2012, che disciplina i requisiti per l'accesso alla procedura di liquidazione dei beni, le conclusioni cui è giunto il Tribunale di Milano non parrebbero condivisibili. Ed infatti, il profilo della eventuale soddisfazione del ceto creditorio rileva ai fini non della liquidazione del patrimonio bensì dell'esdebitazione, normata dall'art. 14 terdecies l. n. 3 del 2012. Pertanto, solamente in occasione della valutazione sulla sussistenza dei presupposti per l'estinzione dei debiti residui dopo la procedura liquidatoria dovrà essere considerato l'avvenuto parziale soddisfacimento della massa. Non va dimenticato, inoltre, che la legge, anche al fine di permettere la liquidazione dei beni eventualmente sopravvenuti nel patrimonio del debitore (si pensi alla donazione ricevuta o all'acquisizione di un'eredità o di un bene a titolo di legato), fissa la durata minima della procedura di cui all'art. 14 ter ss. in “almeno quattro anni”. Occorre quindi considerare che la prognosi di una eventuale assenza di beni da destinare ai creditori, basata sul patrimonio del sovraindebitato al momento di presentazione della domanda, potrebbe anche non trovare alcun risvolto concreto. In conclusione, la tesi sostenuta dal Tribunale di Milano nella pronuncia in commento, anche alla luce della lettera della legge, non parrebbe condivisibile.
Normativa e giurisprudenza
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