La conversione dell'accordo di composizione della crisi in procedura di liquidazione dei beni

Lorenzo Rossi
24 Agosto 2020

È possibile convertire una procedura di accordo di composizione della crisi – già aperta e non approvata dai creditori – in una procedura di liquidazione del patrimonio ai sensi dell'art. 14 ter l. 27 gennaio 2012, n. 3?

È possibile convertire una procedura di accordo di composizione della crisi – già aperta e non approvata dai creditori – in una procedura di liquidazione del patrimonio ai sensi dell'art. 14 ter l. 27 gennaio 2012, n. 3?

Caso concreto - Un soggetto sovraindebitato ha avuto accesso ad una procedura di accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento ex art. 9 ss. l. 27 gennaio 2012, n. 3, avendo il giudice ritenuto il piano e la proposta ammissibili e, di conseguenza, rimesso alla valutazione dei creditori la sua approvazione.

In occasione dell'udienza fissata ai sensi dell'art. 10 l. n. 3 del 2012, il giudice, analizzata la relazione depositata dall'Organismo di composizione della crisi, ha constatato il mancato raggiungimento della maggioranza dei creditori e l'impossibilità di omologare la proposta di accordo predisposta dal debitore.

Tuttavia, in tale sede, il legale del debitore, dopo la pubblicazione del risultato delle votazioni, ha domandato la conversione della procedura e l'apertura della liquidazione dei beni, al fine di evitare di incorrere nelle preclusioni disciplinate dall'art. 7, comma 2, lett. b) l. n. 3 del 2012.

Come noto, infatti, la predetta disposizione stabilisce che “la proposta [di accordo con i creditori o il piano del consumatore] non è ammissibile quando il debitore, anche consumatore: (…) b) ha fatto ricorso, nei precedenti cinque anni, ai procedimenti di cui al presente capo”.

Dunque, nel caso di definizione della procedura da sovraindebitamento avrebbe corso il rischio di vedersi precluso l'accesso ad una nuova procedura di cui alla l. n. 3 del 2012.

Il Tribunale di Milano, con il decreto del 29 gennaio 2018, ritenendo ammissibile la nuova domanda proposta dal debitore, ha dichiarato aperta la procedura di liquidazione del patrimonio del ricorrente.

Spiegazioni e conclusioni - Il Tribunale di Milano, nel giungere alle conclusioni esposte nel decreto in commento, ha riscontrato nel dettato normativo l'assenza di una previsione che disciplini la conversione di una procedura di accordo in una procedura di liquidazione nell'ipotesi di mancato raggiungimento delle maggioranze di legge.

Precisamente, si è constatato che l'unica disposizione che tratti della conversione dei una procedura da sovraindebitamento in procedura liquidatoria di cui all'art. 14 ter l. n. 3 del 2012 è quella del successivo art. 14 quater, il quale, peraltro, si occupa delle ipotesi cc.dd. patologiche. Ed infatti, tale ultima previsione stabilisce i casi di annullamento o di risoluzione dell'accordo di composizione della crisi nonché quelle di cessazione degli effetti o di revoca del piano del consumatore, che sono ipotesi che presuppongono colpa, dolo o frode da parte del debitore.

Effettuata tale premessa, ed accertata la presenza di una disposizione che ammette la conversione (seppur solamente in ipotesi di patologia), il Tribunale è giunto ad una soluzione ermeneutica attraverso l'utilizzo della figura dell'analogia.

Nel dettaglio, argomentando dal presupposto che il legislatore abbia voluto regolare in modo espresso la conversione da una procedura ad un'altra – quella liquidatoria –, e che dunque abbia deciso di ammettere questa particolare evoluzione procedimentale, il Tribunale, constatata la lacuna normativa – e non la voluta assenza di regolamentazione – per il caso di mancato raggiungimento delle maggioranze di legge nell'accordo di composizione della crisi, ha ritenuto che la previsione di cui all'art. 14 quater debba essere estesa anche a tutte le ipotesi in cui non vi sia un evento di natura patologica che impedisca la completa esecuzione di piano del consumatore o accordo.

A detta del Tribunale, l'utilizzo della figura dell'analogia, in questa particolare ipotesi di lacuna normativa, è essenziale, poiché, nel caso opposto, si incorrerebbe nella violazione del principio di ragionevolezza, dettato dall'art. 3 Cost. Non è infatti ammissibile che, nell'ipotesi in cui la mancata omologazione dell'accordo dipenda non dal comportamento del ricorrente ma da fattori a lui estranei, il debitore sia trattato in modo deteriore – preclusione totale all'accesso alle procedure di cui alla l. n. 3 del 2012 – rispetto al caso in cui compia condotte pregiudizievoli per i creditori o, più in generale, per il buon andamento della procedura.

Dunque, anche per il generale atteggiamento di favor del legislatore nei confronti del soggetto sovraindebitato, deve ammettersi che il debitore – anche in sede di domanda subordinata, nel ricorso per l'accesso ad una procedura da sovraindebitamento – possa sempre chiedere la conversione dell'accordo con i creditori o del piano del consumatore nella liquidazione del patrimonio.

È bene precisare che, in modo quasi del tutto analogo alla l. n. 3 del 2012, il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza regola, rispettivamente agli artt. 73 e 83, la conversione delle procedure di ristrutturazione dei debiti del consumatore e di concordato minore.

Normativa e giurisprudenza

  • Art. 7 L. 27 gennaio 2012, n. 3
  • Art. 9 L. 27 gennaio 2012, n. 3
  • Art. 10 L. 27 gennaio 2012, n. 3
  • Art. 14 ter L. 27 gennaio 2012, n. 3
  • Art. 14 quater L. 27 gennaio 2012, n. 3
  • Tribunale di Milano 29 gennaio 2018

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