Compensi liquidati all’avvocato: possono essere inferiori ai minimi dei parametri forensi?

Michele Liguori
12 Ottobre 2021

Può il giudice liquidare i compensi dell'avvocato in misura inferiore ai minimi dei parametri professionali? La risposta al quesito.

L'art. 24, comma 1, L. 13/6/1942 n. 794 dispone: “Gli onorari e i diritti stabiliti per le prestazioni dei procuratori e gli onorari minimi stabiliti per le prestazioni degli avvocati sono inderogabili”.

Tale norma, che prevede l'inderogabilità (dei diritti e) dei minimi degli onorari, è stata abrogata dall'art. 2, comma 1, D.L. 22/9/2008 n. 200 a decorrere dal 16/12/2009.

Successivamente, però:

  • l'art. 1 L. 18/2/2009 n. 9 ha rispristinato l'efficacia della norma;
  • l'art. 1, comma 1, D.lgs. 1/12/2009 n. 179 ha dichiarato indispensabile la permanenza in vigore della norma.

La Suprema Corte di Cassazione, nella vigenza di tale norma (prima dell'abrogazione) e delle tariffe professionali, non ha mai dubitato dell'inderogabilità dei minimi degli onorari.

È ius receptum, infatti, che “In tema di tariffe professionali degli avvocati, è valida la disposizione statale che fissa il principio della normale inderogabilità dei minimi degli onorari” (Cass. 28/3/2006 n. 7094; conf. Cass. 28/4/2004 n. 8135; Cass. 23/4/2004 n. 7764; Cass. 11/11/2003 n. 16943; Cass. 15/7/2003 n. 11031; Cass. 7/3/2003 n. 3432; conf., in tema di tariffe obbligatorie dei Medici Veterinari, Cass. 14/7/2011 n. 15454).

L'art. 13, comma 6, L. 31/12/2012 n. 247 successivamente ha previsto: “I parametri indicati nel decreto emanato dal Ministro della giustizia, su proposta del CNF, ogni due anni, ai sensi dell'articolo 1, comma 3, si applicano…in caso di liquidazione giudiziale dei compensi”.

Tale norma è stata attuata in ordine cronologico:

  • dal D.M. 10/3/2014 n. 55;
  • dalD.M. 8/3/2018 n. 37.

Le disposizioni di entrambi i decreti si applicano, per espressa previsione normativa, alle liquidazioni successive alla loro entrata in vigore (art. 23 D.M. 10/3/2014 n. 55 e art. 6 D.M. 8/3/2018 n. 37).

E' ius receptum, infatti, che “i nuovi parametri siano da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del…decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorché tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta in epoca precedente, quando ancora erano in vigore le tariffe professionali abrogate” atteso che “il compenso evoca la nozione di un corrispettivo unitario, che ha riguardo all'opera professionale complessivamente prestata” (Sez. Un. 12/10/2012 n. 17405 che ha affermato il principio in relazione ai precedenti parametri professionali di cui al D.M. 20/7/2012 n. 140 ed alla disposizione temporale dell'art. 41; conf., in relazione ai vigenti parametri professionali, Cass. 29/7/2021 n. 21798; Cass. 23/6/2021 n. 18003; Cass. 15/4/2021 n. 9938).

L'art. 4, comma 1, terzo e quarto alinea D.M. 10/3/2014 n. 55, nel testo in vigore prima della modifica attuata con il D.M. 8/3/2018 n. 37, dispone(va): “Il giudice tiene conto dei valori medi di cui alle tabelle allegate, che, in applicazione dei parametri generali, possono essere aumentati, di regola, fino all'80 per cento, o diminuiti fino al 50 per cento. Per la fase istruttoria l'aumento è di regola fino al 100 per cento e la diminuzione di regola fino al 70 per cento”.

La Suprema Corte di Cassazione, nella vigenza di tale norma, ha ritenuto che il giudice può derogare ai minimi con apposita motivazione.

E' ius receptum, infatti, che “in tema di liquidazione delle spese processuali successiva al D.M. n. 55 del 2014, il giudice deve solo quantificare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe, a loro volta derogabili con apposita motivazione…in questo quadro normativo, si va consolidando l'orientamento secondo cui, non sussistendo più il vincolo legale della inderogabilità dei minimi tariffari, i parametri di determinazione del compenso per la prestazione defensionale in giudizio e le soglie numeriche di riferimento costituiscono criteri di orientamento e individuano la misura economica "standard" del valore della prestazione professionale” (Cass. 1/6/2020 n. 10343; conf. Cass. 25/5/2020 n. 9542; Cass. 15/12/2017 n. 30286; Cass. 11/12/2017 n. 29606).

L'art. 4, comma 1, terzo e quarto alinea D.M. 10/3/2014 n. 55, come modificato dall'art. 1, comma 1, lettera a, D.M. 8/3/202018 n. 37 - applicabile, come innanzi esposto, a tutte le “liquidazioni successive alla sua entrata in vigore” ex art. 6 D.M. 8/3/2018 n. 37 - a sua volta dispone: “Il giudice tiene conto dei valori medi di cui alle tabelle allegate, che, in applicazione dei parametri generali, possono essere aumentati di regola sino all'80 per cento, ovvero possono essere diminuiti in ogni caso non oltre il 50 per cento. Per la fase istruttoria l'aumento è di regola fino al 100 per cento e la diminuzione in ogni caso non oltre il 70 per cento”.

Il giudice oggi, pertanto, in base al combinato disposto di tali norme:

  • deve liquidare i compensi sulla scorta dei vigenti parametri professionali di cui al D.M. 10/3/2014 n. 55, come modificati dal D.M. 8/3/2018 n. 37;
  • non può, in ogni caso, liquidare per compensi importi inferiori ai minimi che sono:
    • il 50% dei medi per la fase di studio, introduttiva e decisionale;
    • il 30% dei medi per la fase istruttoria o di trattazione.

Tale ultimo assunto è confermato dalla locuzione avverbiale “in ogni caso” - presente nella norma innanzi indicata ed oggi vigente e non in quella precedente - e dal suo inequivoco significato.

La predetta previsione normativa, pertanto, va interpretata, sia letteralmente che logicamente (e quindi con il criterio storico e sistematico innanzi richiamato), nel senso che oggi il giudice in nessun caso (e cioè mai) può liquidare per compensi importi inferiori ai minimi.

È ius receptum, infatti, che:

  • se la determinazione giudiziale deve tener conto dei parametri ministeriali (arg. L. n. 247 del 2012, ex artt. 13 e 13 bis), essi entrano nella struttura delle norme relative alla liquidazione dei compensi dei professionisti e le completano fornendo al giudice un criterio di riferimento nell'attività a lui demandata, pur negli spazi di discrezionalità che le tabelle di cui ai decreti ministeriali offrono, sia nella parte in cui prevedono minimi e massimi sia lì dove consentono al giudice di aumentare o ridurre i compensi” (Sez. Un. 8/7/2021 n. 19427);
  • l'art. 4, comma 1, terzo e quarto alinea D.M. 10/3/2014 n. 55, come modificato dall'art. 1, comma 1, lettera a, D.M. 8/3/2018 n. 37, ha reintrodotto “l'inderogabilità delle riduzioni massimedei compensi (per tutte: Cass. 22/1/2021 n. 1421).

L'art. 4, comma 1, terzo e quarto alinea D.M. 10/3/2014 n. 55, come modificato dall'art. 1, comma 1, lettera a, D.M. 8/3/2018 n. 37 - nella parte in cui prevede che il giudice in nessun caso (e cioè mai) può liquidare per compensi importi inferiori ai minimi - è senz'altro compatibile con le norme del Trattato CE.

La Corte di giustizia dell'Unione europea, infatti, ha ritenuto, con decisioni vincolanti “ultra partes” ed “erga omnes”, conforme alle disposizioni degli artt. 10 e 81 (ex 85) del Trattato CE la disposizione interna che fissa il principio della normale inderogabilità dei minimi degli onorari di avvocato (Corte giust., Grande Sezione, 5/12/2006, nelle cause riunite C-94/2004 e C-202/2004; conf. Corte giust. 19/2/2002, in causa C-35/99; Corte giust. 29/11/2001, in causa C-221/1999).

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