L'accertamento del passivo nell'accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento
25 Novembre 2020
All'attività di accertamento del passivo nell'ambito dell'accordo di composizione della crisi è applicabile, per analogia, la disciplina prevista per il concordato preventivo? Caso pratico - Due coniugi sovraindebitati presentavano dinanzi al Tribunale di Milano una proposta di accordo con i creditori, ai sensi dell'art. 9 ss. l. 27 gennaio 2012 n. 3, per comporre l'esposizione debitoria familiare. Nella proposta e nel piano predisposti era contenuto un elenco dei creditori, con l'indicazione del debito e della natura dello stesso, i cui dati non coincidevano perfettamente con quelli risultanti dell'attestazione del gestore della crisi. In particolare, nel piano veniva indicato un debito per un importo superiore a quello risultante al gestore della crisi. A tal fine, è bene osservare che l'attestazione del gestore della crisi era il risultato dell'attività di circolarizzazione posta in essere, nell'ambito della quale ciascuno dei creditori aveva precisato i propri diritti allo stesso professionista attestatore. Il giudice designato per la procedura, ritenendo sussistenti tutti i requisiti di legge, apriva la procedura e, a seguito della votazione favorevole della maggioranza del ceto creditorio, omologava la proposta, senza formulare espressamente alcun rilievo sul passivo della procedura. Peraltro, nemmeno il creditore i cui diritti avevano trovato una rappresentazione difforme eccepiva alcunché. Successivamente, nel corso della fase esecutiva della proposta, il gestore della crisi, tenuto a vigilare il corretto adempimento del piano e ad eseguire specifiche attività demandategli dal giudice, predisponeva un progetto di riparto parziale in favore dei creditori, che aveva quale base il passivo così come verificato dallo stesso professionista. Tale progetto veniva trasmesso alla massa dopo essere stato vagliato dal giudice. Il creditore che si era visto “ammesso” al passivo per un importo inferiore a quello vantato, trasmetteva osservazioni al gestore della crisi, lamentando che l'importo corretto fosse quello esposto nel piano, il quale, peraltro, era già stato omologato dal giudice, con la conseguente definitività e «passaggio in giudicato» del relativo accertamento. A seguito della rimessione degli atti al giudice, questo dichiarava l'infondatezza delle eccezioni del creditore, condividendo la tesi sostenuta dal gestore della crisi. Spiegazioni e conclusioni - La pronuncia in commento risulta di grande interesse poiché affronta un tema non disciplinato dalla l. n. 3 del 2012, sul quale, peraltro, non si contano precedenti prese di posizione della giurisprudenza di merito. Il Tribunale di Milano, in composizione monocratica, ha espressamente escluso che, nell'ambito dell'accordo di composizione, la quantificazione dei diritti dei creditori possa considerarsi definitiva come in ambito fallimentare. Ed infatti, al procedimento di cui all'art. 9 ss. l. n. 3 del 2012 – ma le stesse conclusioni dovrebbero valere, mutatis mutandis, per il piano del consumatore, descritto dall'art. 12 bis l. n. 3 del 2012 – si devono applicare le stesse norme e gli stessi principi del concordato preventivo, alla luce delle analoghe strutture procedimentali e dell'assenza di una fase di accertamento giudiziale del passivo della procedura. Ebbene, per quest'ultima procedura, secondo l'ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, il provvedimento di omologazione da parte del tribunale determina solamente«un vincolo definitivo sulla riduzione quantitativa dei crediti [nel corso del procedimento], ma non comporta la formazione di un giudicato sull'esistenza, entità e rango (privilegiato o chirografario) di questi ultimi» (Cass. 21 dicembre 2018, n. 33345). Si può dunque concludere che l'attività di accertamento dei crediti che viene eseguita, tanto nel concordato preventivo quanto nell'accordo di composizione della crisi, non possiede carattere giurisdizionale ma meramente amministrativo, ed ha la precipua funzione di consentire il calcolo delle maggioranze richieste ai fini dell'approvazione della proposta. Tale circostanza, peraltro, non esclude la possibilità di far accertare in via ordinaria, nei confronti del soggetto o dell'impresa debitrice, il proprio credito ed il privilegio che lo assiste. A parere del Tribunale, inoltre, nel caso di valori di attivo e passivo discrepanti, si devono tenere in considerazione quelli esposti dal gestore della crisi e non quelli rappresentati dal debitore. Normativa e giurisprudenza
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