L'istanza di fallimento in proprio ai tempi del Coronavirus

09 Ottobre 2020

Il DL 23/2020 (cd. Decreto Liquidità), all'art. 10 c. 1, prevedeva in origine che nella fase dell'emergenza epidemiologica da COVID-19 l'imprenditore “sopra soglia” non potesse chiedere al tribunale il proprio fallimento, pena la improcedibilità del relativo ricorso. Come è cambiata la disciplina in sede di conversione?

Il DL 23/2020 (cd. Decreto Liquidità), all'art. 10 c. 1, prevedeva in origine che nella fase dell'emergenza epidemiologica da COVID-19 l'imprenditore “sopra soglia” non potesse chiedere al tribunale il proprio fallimento, pena la improcedibilità del relativo ricorso. Come è cambiata la disciplina in sede di conversione?

Caso pratico - Una recente sentenza del Tribunale di Piacenza (Trib. Piacenza, 8 maggio 2020) offre lo spunto per trattare l'argomento del fallimento in proprio dell'imprenditore commerciale nel quadro della situazione d'emergenza epidemiologica legata alla diffusione del virus COVID-19.

Il Tribunale di Piacenza, con la suddetta sentenza, depositata l'8 maggio 2020 (pres. Brusati. est. Tiberti), ha ritenuto di non dover provvedere con la declaratoria d'improcedibilità in relazione ad una istanza presentata da un imprenditore “sopra soglia” per il proprio fallimento.

Nel caso in esame, era emerso dall'istruttoria fallimentare che lo stato di dissesto dell'impresa era già chiaramente in atto al momento dell'attuazione delle misure governative di gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19.

Fra l'altro, in sede d'istruttoria, lo stesso debitore aveva insistito per il proprio fallimento, dimostrando così – per quanto ciò possa rilevare in funzione del procedimento pre-fallimentare – di non essere interessato ad avvalersi di alcuno “schermo” d'improcedibilità.

Il foro emiliano, nel ritenere procedibile l'istanza di fallimento presentata in proprio dall'imprenditore commerciale, ha rimarcato il fatto che l'art. 10, comma 1, D.L. 23/2020, non fa alcun espresso riferimento all'art. 14 l. fall.

Tale norma prevede che il debitore che agisca per il proprio fallimento è tenuto a depositare le scritture contabili e fiscali obbligatorie relative al triennio precedente, nonché una serie di informazioni ed ulteriore documentazione inerente il complesso aziendale.

Secondo il foro piacentino, al di là di quanto rilevato nella Relazione Illustrativa al Decreto liquidità, in mancanza di un espresso richiamo al citato art. 14 l. fall., occorre fare riferimento alla concreta ratio dell'art. 10, comma 1, D.L. n. 23/2020.

Sul punto, i giudici emiliani hanno rilevato “come la voluntas legis non possa che rilevare in senso oggettivo e debba, in ogni caso, desumersi in primis dal tenore letterale della norma, restando l'intenzione puramente soggettiva dei singoli rappresentanti del potere legislativo del tutto irrilevante”.

E poiché, nel caso in esame, l'intento concreto della norma è quello di mitigare gli effetti legati alla diffusione del virus, tale esigenza non sussisterebbe, sotto un profilo logico, qualora il dissesto dell'impresa fosse ascrivibile ad un periodo anteriore rispetto a quello relativo all'emergenza epidemiologica.

In sostanza, il Tribunale di Piacenza – anticipando quella che sarebbe poi stata la scelta del Parlamento in sede di conversione del Decreto Liquidità –, ha escluso l'applicabilità del precetto ex art. 10, comma 1, alle insolvenze generatesi ante D.L. n. 23/2020.

I giudici territoriali, dopo aver verificato la legittimazione processuale dell'istante, nonché la propria competenza in relazione al caso concreto, dato atto dell'avvenuto superamento delle soglie ex art. 1, comma 2, l. fall., hanno così provveduto a dichiarare il fallimento del ricorrente.

Spiegazioni e conclusioni - L'art. 10, comma 1, D.L. 8 aprile 2020, n. 23, (Decreto Liquidità) rubricato “Disposizioni temporanee in materia di ricorsi e richieste per la dichiarazione di fallimento e dello stato di insolvenza” disponeva in origine che le istanze di fallimento depositate tra il 09/03/2020 ed il 30/06/2020 fossero improcedibili.

La norma prevedeva, quale unica eccezione, la richiesta di fallimento presentata dal PM laddove la stessa avesse contenuto la domanda di emissione dei provvedimenti cautelari e/o conservativi a tutela del patrimonio dell'impresa debitrice, ex art. 15, comma 8, l. fall.

Il terzo comma dell'art. 10 disponeva che qualora alla dichiarazione di improcedibilità del ricorso fosse seguito il fallimento dell'imprenditore, l'arco temporale compreso tra il 9 marzo 2020 ed il 30 giugno 2020 non sarebbe stato computato ai fini della decorrenza dei termini ex artt. 10 e 69-bis l. fall.

Com'è noto, secondo l'art. 10 l. fall. il debitore può essere dichiarato fallito entro un anno dalla cancellazione dal Registro imprese, sempreché lo stato d'insolvenza non si sia manifestato oltre l'anno successivo.

L'art. 69-bis l. fall prevede invece che le azioni revocatorie non possano essere introdotte dopo il decorso del termine di tre anni dalla dichiarazione di fallimento e, in ogni caso, una volta decorsi cinque anni dal compimento dell'atto.

Sotto altro profilo, l'art. 10, comma 3, D.L. n. 23/2020, facendo riferimento all'ipotesi che il debitore fallisca in un secondo momento, presuppone che la declaratoria d'improcedibilità del ricorso non precluda la possibilità per il creditore di presentare una nuova istanza di fallimento, superata la fase emergenziale.

Quanto sopra rappresenta una deroga al principio generale secondo il quale, una volta che sia stata dichiarata la improcedibilità di un atto giuridico, lo stesso non possa essere riproposto, e ciò anche ove non sia decorso il termine fissato dalla legge (art. 398 c.p.c.).

Circa la ratio dell'originario art. 10, comma 1, D.L. n. 23/2020, il legislatore, nel sancire la improcedibilità delle istanze di fallimento depositate nella fase di gestione dell'emergenza epidemiologica, ha inteso perseguire due obiettivi.

Da una parte, quello di evitare che vadano dispersi assetti produttivi “sani”, per quanto inevitabilmente colpiti dagli effetti della diffusione del virus: il fallimento dell'imprenditore non recherebbe, infatti, alcun vantaggio per i creditori, atteso che la liquidazione avverrebbe in un mercato non ricettivo e, dunque, scarsamente competitivo.

Dall'altra, quello di prevenire l'afflusso massivo di istanze di fallimento presso le cancellerie delle competenti sedi giudiziarie, istanze la cui ordinaria gestione sarebbe difficilmente compatibile con le limitazioni organizzative derivanti dall'applicazione delle misure di mitigazione del rischio da contagio.

D'altro canto, l'eccezione prevista dall'art. 10, comma 1, D.L. n. 23/2020 (istanza del PM con richiesta di emissione delle “misure” preventive), mirava ad evitare che quegli imprenditori che avessero posto in essere condotte distrattive/dissipative in danno ai propri creditori potessero avvantaggiarsi del “blocco” dei procedimenti per la dichiarazione di fallimento.

Secondo l'originario tenore dell'art. 10, comma 1, D.L. n. 23/2020 – che faceva riferimento a “tutti” i ricorsi –, l'imprenditore che fosse venuto a trovarsi in una situazione d'insolvenza ex art. 5 l. fall. nel periodo d'emergenza epidemiologica, non avrebbe potuto chiedere all'autorità giudiziaria competente il proprio fallimento.

Ciò ha trovato conferma, in chiave interpretativa, nella Relazione illustrativa al Decreto liquidità, là dove veniva sottolineato l'intendimento del legislatore di “sottrarre gli stessi imprenditori alla drammatica scelta di presentare istanza di fallimento in proprio, in un quadro in cui lo stato di insolvenza può derivare da fattori esogeni e straordinari”.

La L. 5 giugno 2020, n. 40, pubblicata in G.U. n. 143 del 6 giugno 2020, nel convertire in legge il D.L. n. 23/2020, ha introdotto all'interno dell'art. 10 del Decreto Liquidità un secondo comma.

Tale disposizione ha previsto due nuove deroghe in relazione ai profili di improcedibilità dei ricorsi per la dichiarazione di fallimento dell'imprenditore presentate nel periodo dell'emergenza sanitaria da COVID-19.

La prima deroga è portata dall'art. 10, comma 1, lett. a): l'improcedibilità del ricorso per il fallimento in proprio dell'imprenditore non si applica quando l'insolvenza non sia conseguenza dell'epidemia da COVID-19.

La seconda, dall'art. 10, comma 1, lett. b): non è improcedibile il ricorso da chiunque presentato in relazione ai casi d'inammissibilità, revoca ovvero mancata omologazione del concordato preventivo ex artt. 162, comma 2, 173, commi 2-3, e180,comma 7, l. fall.

La legge di conversione ha poi integrato il terzo comma dell'art. 10, D.L. n. 23/2020, estendendo la “sospensione” del termine compreso tra il 09/03/2020 ed il 30/06/2020 alle “revocatorie” ex artt. 64, 65 e 67, comma 1 e 2, l. fall., nonché al fallimento in estensione del socio illimitatamente responsabile ex art. 147 l. fall.

Peraltro, secondo quanto previsto dalla legge di conversione, la sospensione suddetta si rende applicabile alle sole procedure fallimentari che siano state dichiarate aperte non oltre la data del 30 settembre 2020.

Sul punto, il terzo comma dell'art. 10 dispone: “Quando alla dichiarazione d'improcedibilità dei ricorsi presentati nel periodo di cui al comma 1 fa seguito, entro il 30 settembre 2020, la dichiarazione di fallimento, il periodo di cui al comma 1 non viene computato nei termini di cui agli artt. 10, 64, 65, 67, primo e secondo comma, 69-bis e 147 l. fall.”.

Ne consegue che i creditori che abbiano introdotto un ricorso dichiarato improcedibile ex art. 10, comma 1, D.L. n. 23/2020 dovranno attivarsi per chiedere nuovamente il fallimento del debitore entro il 30/09/2020, al fine di ottenere la sospensione dei termini nella prospettiva dell'esercizio delle azioni previste dal terzo comma del citato art. 10.

È da immaginare che tale nuova previsione possa indurre ad un afflusso rilevante di ricorsi per il fallimento dell'imprenditore commerciale, ex art. 15 l. fall., rischiando così, in concreto, di rimanere inapplicabile o comunque di “appesantire” oltremisura la ripresa dell'ordinario funzionamento dei procedimenti camerali.

L'originario art. 10, comma 1, D.L. n. 23/2020 faceva riferimento a “tutti” i ricorsi per la dichiarazione di fallimento presentati fra il 9 marzo 2020 ed il 30 giugno 2020, salvo che il procedimento non prendesse avvio dall'iniziativa del PM, con richiesta di emissione dei provvedimenti cautelari e/o conservativi, ex art. 15, comma 8, l. fall.

La norma non faceva alcun discrimine fra le insolvenze in atto al momento dell'instaurarsi della fase emergenziale da COVID-19 e le insolvenze causate e/o aggravate dagli effetti della gestione contingente dei rischi da contagio.

D'altra parte, avendo originariamente richiamato, il legislatore del Decreto Liquidità, “tutti” i ricorsi ex art. 15 l. fall. – e dunque anche quelli presentati dallo stesso debitore –, tale circostanza assorbiva e superava il mancato richiamo all'art. 14 l. fall.

Tale norma assume in effetti rilevanza solo sotto il profilo tecnico-procedimentale, disponendo in ordine agli adempimenti cui è tenuto l'imprenditore commerciale che intenda presentare la richiesta del proprio fallimento.

Considerata la chiara formulazione dell'art. 10, comma 1, D.L. n. 23/2020, nel testo ante conversione, nonché la “specialità” delle ragioni sottese alla ricordata deroga ivi prevista (iniziativa del PM), tale disposizione implicava un'applicazione secondo il proprio senso letterale.

Avuto riguardo alle ragioni enunciate nella Relazione illustrativa (scudo difensivo contro un evento straordinario; blocco del flusso delle istanze di fallimento), la norma ex art. 10, comma 1, si configurava così, da una parte, misura eccezionale e temporanea, dall'altra, misura avente portata generale.

La deroga prevista in relazione alla sola iniziativa da parte del pubblico ministero, laddove la stessa fosse stata accompagnata dalla richiesta delle misure “protettive” ex art. 15, comma 8, l. fall., assumeva dunque valenza tassativa.

Era così precluso all'imprenditore attivarsi per il proprio fallimento nel periodo compreso tra il 9 marzo 2020 ed il 30 giugno 2020, e ciò indipendentemente dalle cause concrete che avessero condotto l'impresa al dissesto.

Peraltro, i procedimenti avviati prima del 9 marzo 2020 avrebbero proseguito il proprio corso ex art. 15 l. fall., pur compatibilmente con le sospensioni e/o i rinvii delle attività processuali previste dai vari provvedimenti governativi di gestione dell'emergenza (in questo senso, fra gli altri, Tribunali di Milano, Firenze, Brescia, Novara, Forlì).

Attesa la valenza di norma “positiva” dell'art. 10, comma 1, D.L. n. 23/2020, nel testo ante conversione, un tema era se tale previsione, nell'impedire che il debitore potesse attivarsi per il proprio fallimento nel periodo emergenziale, presentasse profili d'incostituzionalità, con particolare riguardo al diritto di difesa ex art. 24 Cost.

In effetti, una volta che l'imprenditore commerciale abbia provato di aver superato le soglie dimensionali ex art. 1, comma 2, l. fall., e di trovarsi al contempo in una situazione d'oggettivo stato d'insolvenza ex art. 5 l. fall., lo stesso avrebbe diritto all'apertura del concorso.

In correlazione a tale diritto – cui corrisponde il dovere di richiedere il fallimento in funzione del principio di par condicio –, sussiste in capo al debitore un potere processuale volto a dare impulso all'apertura della procedimento, accedendo ai relativi effetti, anche al fine di prevenire condotte penalmente rilevanti (ritardato fallimento, ex art. 217, comma 1, n. 4, l. fall.).

Sotto questo profilo, la previsione di improcedibilità del ricorso di fallimento in proprio ex art. 10, comma 1, D.L. n. 23/2020 poteva in astratto essere idonea a cagionare una lesione del diritto di difesa dell'imprenditore fallibile, ex art. 24, commi 1-2, Cost.

Deve però rilevarsi che il citato art. 10, comma 1, D.L. n. 23/2020 ha introdotto una “improcedibilità” di carattere temporaneo e transitorio, e non “assoluto”, nel senso tecnico-processuale previsto dal codice di rito.

Tale scelta – come visto – è stata motivata dalla valutata necessità, da un lato, di mitigare i dirompenti effetti del contagio, sotto il profilo economico, dall'altro, di arginare il prevedibile aumento delle istanze di fallimento, in un contesto giudiziario, a propria volta, colpito sotto l'aspetto organizzativo dagli effetti dell'emergenza sanitaria.

In questo quadro, nella prospettiva del bilanciamento degli interessi, il diritto del debitore di richiedere il proprio fallimento nella fase emergenziale può legittimamente essere “compresso” in funzione del perseguimento degli obiettivi sottesi alla gestione dell'emergenza.

Il legislatore, in sede di conversione del D.L. n. 23/2020, ha peraltro ritenuto di “mitigare” la improcedibilità delle istanza di auto-fallimento, circoscrivendo il “divieto” di fallire in proprio ai soli casi delle insolvenze generatesi per effetto delle conseguenze legate alla gestione dell'emergenza sanitaria.

Se, da un lato, sono stati confermati gli obiettivi dell'originario testo normativo (salvaguardare le imprese sane e limitare i ricorsi di fallimento), dall'altro, è stata rimossa l'impossibilità di fallire in proprio per quei debitori già insolventi prima della diffusione del virus.

Sotto questo profilo, la facoltà per l'imprenditore commerciale di richiedere il proprio fallimento, nei limiti di cui sopra, è stata riporta dal legislatore nell'alveo del legittimo esercizio del diritto di difesa exart. 24 Cost.

Resta, tuttavia – per concludere – la seguente considerazione.

L'aver limitato la “procedibilità” dei ricorsi in proprio alle solo insolvenze che esulino dagli effetti della pandemia, senza alcuna individuazione di parametri ben definiti/definibili, ha reso quanto mai problematica la gestione dei procedimenti prefallimentari, andando ad “inquinare” la struttura normativa dello stato d'insolvenza (art. 5 l. fall.), la quale resta pur sempre ancorata ad una concezione oggettiva del dissesto, non rilevando le cause/motivazioni che abbiano condotto il debitore alla propria crisi irreversibile.

Normativa e giurisprudenza

  • Art. 24 Cost.
  • Art. 10, D.L. 8 aprile 2020, n. 23
  • Art. 398 c.p.c.
  • Art. 6, comma 1, L.F.
  • Art. 10 L.F.
  • Art. 14 L.F.
  • Art. 15 L.F.
  • Art. 69-bis L.F.
  • art. 217, comma 1, n. 4, L.F.
  • Trib. Brescia, 11 marzo 2020
  • Trib. Forlì, 9 aprile 2020
  • Trib. Novara, 14 aprile 2020
  • Trib. Milano, 15 aprile 2020
  • Trib. Firenze, 21 aprile 2020
  • Trib. Piacenza, 8 maggio 2020

Per approfondire

  • GALLETTI D., I doveri reattivi dell'imprenditore sotto l'Impero CoVid-19 e l'obbligo di non arrendersi, in ilFallimentarista.it, 14 aprile 2020
  • LAMANNA F., Il “blocco” dei procedimenti prefallimentari imposto dal Decreto Liquidità, in ilFallimentarista.it, 14 aprile 2020

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