La durata del concordato preventivo in continuità aziendale
02 Febbraio 2021
Qual è la durata della procedura di concordato preventivo in continuità di cui all'art. 186 bis L.Fall.?
Caso pratico - Un recente decreto del tribunale (Trib. Pistoia, 21 settembre 2020), offre lo spunto per trattare l'argomento della durata della procedura di concordato preventivo in continuità, exart. 186-bis l. fall., assieme al tema del pagamento dilazionato dei creditori privilegiati. Nel caso in esame, una società debitrice era stata ammessa al concordato preventivo in continuità aziendale (diretta), anteriormente all'emanazione delle disposizioni normative aventi ad oggetto le misure restrittive volte al contenimento del virus Covid-19. Ci si riferisce, in particolare, alla normativa introdotta con D.L. 8 aprile 2020, n. 23 (cd. Decreto Liquidità), pubblicato in G.U. l'8 aprile 2020 e convertito, con modificazioni, dalla L. 5 giugno 2020, n. 40. Nell'ambito della procedura concordataria – al momento dell'entrata in vigore del Decreto Liquidità – non si era ancora tenuta l'udienza dei creditori per l'approvazione del concordato ex art. 174 l. fall. Il ricorrente, con apposita istanza, aveva così chiesto la concessione di un termine sino a novanta 90 giorni per il deposito di una nuova proposta, con relativo piano d'impresa, ai sensi dell'art. 9, comma 2, D.L. 23/2020. La richiesta di proroga, da una parte, era motivata dalla rilevanza degli effetti della situazione emergenziale in essere sulla tenuta della proposta, dall'altra, forniva anticipazioni in ordine alle nuove linee del piano di concordato. Il tribunale, esaminata la domanda, rilevava che gli interventi prospettati dal debitore apparivano idonei ad incidere sulla struttura della proposta già vagliata in sede d'ammissione, dal momento che il ricorrente:
I giudici, dato atto che nell'ambito della procedura non si era tenuta la votazione, assegnavano alla debitrice il termine di novanta giorni per la presentazione di una nuova proposta, del correlato piano e della documentazione ex art. 161, commi 2-3, l.fall., revocando l'adunanza dei creditori già fissata per il 7 luglio 2020. Con tale decreto, il tribunale disponeva che il ricorrente depositasse mensilmente una relazione con indicazione degli atti d'ordinaria amministrazione compiuti e di quelli urgenti di straordinaria amministrazione posti in essere a seguito di autorizzazione, informando sulle attività compiute ai fini della predisposizione della nuova proposta. La società, nei termini assegnati, dopo aver fornito una serie di precisazioni in risposta alle richieste di chiarimenti da parte del tribunale, presentava la nuova proposta di concordato in continuità aziendale. Tale proposta prevedeva, rispetto alla precedente già vagliata dal tribunale in sede d'apertura del concorso, due principali modifiche. In primo luogo, la società aveva programmato la vendita dello “storico” fabbricato strumentale già sede d'impresa, che sarebbe stato sostituito, quale centro direzionale ed operativo, da due immobili condotti in leasing. In secondo luogo, la debitrice allungava l'arco temporale posto a base del piano economico-finanziario, portandolo da cinque a sette anni (2021-2017), prevedendo, fra l'altro, in funzione del piano medesimo, una progressiva riduzione dei costi del personale. Tenuto conto delle integrazioni apportate, la proposta – secondo il ricorrente – sarebbe stata idonea ad assicurare:
Il tribunale, ritenuti sussistenti i presupposti ex artt. 160, commi 1-2, 161 e 186-bis l. fall., valutato che la previsione di soddisfacimento dei creditori in sette anni non contrasta con l'art. 186-bis, comma 2, l. fall., dichiarava ammissibile la proposta, assegnando al proponente il termine di quindici giorni per il deposito della somma ritenuta necessaria per la procedura.
Spiegazioni e conclusioni - La nuova proposta di concordato ex art. 9, comma 2, Decreto Liquidità L'art. 9, comma 2,D.L. n. 23/2020, convertito in L. n. 40/2020, dispone che nei procedimenti di concordato preventivo e ristrutturazione dei debiti pendenti al 23/02/2020 il debitore possa presentare, sino all'udienza fissata per l'omologa, un'istanza per la concessione di un termine, non superiore a 90 giorni, per il deposito di una nuova proposta e del correlato piano, nonché di un nuovo accordo ex art. 182-bisl. fall. Il nuovo termine inizia a decorrere dalla data del deposito in cancelleria del decreto di concessione da parte del tribunale; il termine non può poi essere ulteriormente prorogato. L'istanza di proroga non è ammissibile qualora la stessa sia presentata nell'ambito di un concordato nel corso del quale si sia già tenuta l'adunanza dei creditori e non siano state raggiunte le maggioranze (art. 177 l. fall.). L'art. 9, comma 3, D.L. n. 23/2020 ha previsto che ove il debitore intenda modificare solo i termini d'adempimento del concordato ovvero dell'accordo di ristrutturazione possa depositare, entro la data fissata per l'omologa, una memoria contenente l'indicazione dei nuovi termini, assieme alla documentazione comprovante la necessità di tale modifica. Il secondo periodo dell'art. 9, comma 3, ha previsto che il differimento dei termini non possa essere superiore a sei mesi rispetto al termine originariamente previsto ai fini dell'esecuzione della proposta concordataria ovvero dell'accordo di ristrutturazione. In questo caso, il tribunale, acquisito il parere del commissario giudiziale, riscontrata la sussistenza dei presupposti ex artt. 180 o 182-bisl. fall., procede all'omologa, dando espressamente atto delle nuove scadenze per l'adempimento della procedura. L'art. 9, commi 2-3, D.L. n. 23/2020 non ha subìto alcuna modifica né integrazione in sede di conversione, avvenuta – come sopra ricordato –, con modificazioni, per effetto della L. n. 40/2020. Si ricorda, peraltro, che il testo di conversione ha introdotto all'interno dell'art. 9 del Decreto Liquidità, due nuovi commi, il comma 5-bis ed il comma 5-ter. Il primo, dispone che il debitore che al 31/12/2021 abbia ottenuto la concessione dei termini ex artt. 161, comma 6, o art. 182-bis, comma 7, l. fall. possa, prima della scadenza, depositare un atto di rinuncia alla procedura, dichiarando di aver predisposto un piano di risanamento attestato ex art. 67, comma 3, lett. d), l. fall., pubblicato al registro imprese. Il tribunale, verificate la completezza e la regolarità della documentazione sotto il profilo probatorio, dichiara improcedibile il ricorso originariamente presentato dal debitore ex art. 161, comma 6, o dell'art. 182-bis, comma 7, l. fall. Il secondo, precisa che la norma prevista dall'art. 161, comma 10, l. fall. non si applichi ai ricorsi prenotativi depositati entro la data del 31 dicembre 2020. Pertanto, il debitore può beneficiare della concessione di un termine sino a centoventi giorni (prorogabile sino ad ulteriori sessanta) anche laddove sia pendente nei propri confronti, al momento del deposito del ricorso prenotativo, un procedimento per la dichiarazione di fallimento. Il pagamento dilazionato dei creditori privilegiati Secondo il Tribunale di Pistoia la previsione concordataria di soddisfacimento dilazionato dei creditori muniti di legittime cause di prelazione non contrasta con il precetto previsto dall'art. 186-bis, comma 2, lett. c), l. fall. Tale norma dispone che il piano possa prevedere una moratoria sino ad un anno dall'omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussista la prelazione; in questo caso, i creditori non hanno diritto al voto. Quanto sopra, nel rispetto della regola generale prevista dall'art. 160, comma 2, l. fall. E dunque a condizione che il “sacrificio” dei creditori prelatizi non sia superiore rispetto al trattamento che sarebbe loro destinato in caso di liquidazione, in funzione della capienza patrimoniale del debitore. In effetti, l'ammissibilità di una proposta di concordato preventivo che preveda il pagamento dilazionato dei creditori privilegiati è direttamente riconosciuta dall'art. 160, comma 2, l. fall. come modificato con D.Lgs. n. 169/2007. Tale norma dispone che la proposta può prevedere che i creditori prelatizi siano soddisfatti non integralmente purché il soddisfacimento sia non inferiore rispetto a quello realizzabile sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore degli assets sui quali sussista la prelazione, come attestato con relazione giurata ex art. 67, comma 3, lett. d), l. fall. In coerenza con la previsione di cui sopra, l'art. 177, comma 3, l. fall. prevede che ai fini della legittimazione al voto, i creditori muniti di prelazione per i quali la proposta concordataria preveda la soddisfazione non integrale siano equiparati ai creditori chirografari per la parte non soddisfatta del credito. Com'è noto, prima della ricordata modifica della legge fallimentare ad opera del D.Lgs. n. 169/2007, l'ammissione dell'imprenditore al concordato preventivo presupponeva l'integrale soddisfacimento di tutti i creditori privilegiati in contestualità con l'omologazione della procedura. Il “vecchio” art. 160 l. fall., nel disporre che la proposta dovesse prevedere il pagamento dei chirografari entro sei mesi e che, in caso di dilazione maggiore, fosse necessaria una garanzia, anche per gli interessi, presupponeva che i privilegiati fossero soddisfatti immediatamente. Ciò legittimava che gli stessi non partecipassero al voto. Il legislatore, al principio generale della falcidiabilità dei crediti muniti di prelazione, sussistendo le sopra ricordate condizioni, ha poi conformato sia la transazione fiscale, ex art. 182-ter l. fall., sia il concordato in continuità, ex art. 186-bis l. fall. Nel primo caso, disponendo che il piano possa prevedere il pagamento parziale o dilazionato dei crediti per tributi ed accessori amministrati dalle agenzie fiscali, nonché di quelli per contributi ed accessori amministrati dagli enti previdenziali ed assistenziali (art. 182-ter, comma 1). Nel secondo, come ricordato, che il piano possa prevedere una moratoria sino ad un anno dall'omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la prelazione, senza partecipazione al voto da parte di costoro (art. 186-bis, comma 2, lett. c). Fra l'altro, in ambito di concordato con continuità l'esclusione dal voto rappresenta una sorta di "moratoria" coatta, valendo a confermare, a contrariis, per i concordati liquidatori, la regola generale ex art. 177, comma 3, l. fall.: i privilegiati per i quali la proposta preveda un soddisfacimento parziale sono equiparati ai chirografari per la parte non soddisfatta del credito (Cass. n. 10112/2014). Se dunque il principio generale è quello del pagamento non dilazionato dei creditori muniti di legittime cause di prelazione, il soddisfacimento dilazionato equivale ad un soddisfacimento non integrale. Ed è tale “sacrificio” che legittima la partecipazione al voto dei privilegiati. In relazione al quantum della perdita cd. conseguenziale, trattasi di un accertamento che il giudice del merito compie attraverso il preliminare vaglio critico della relazione giurata ex art. 160, comma 2,l. fall. Quanto sopra, tenuto conto, da un lato, di eventuali interessi “compensativi” offerti dal proponente ai propri creditori, dall'altro, dei tempi di realizzo degli assets sui quali insistano le prelazioni nell'alternativa ipotesi liquidatoria. Nel caso in esame, il debitore aveva provveduto a determinare la perdita riconducibile al ceto privilegiato per effetto della dilazione superiore all'anno, applicando il criterio previsto dal Codice della crisi e dell'insolvenza. Ci si riferisce all'art. 86 del D.Lgs. n. 14/2019. Tale norma – rubricata “Moratoria nel concordato in continuità” – prevede, sotto un profilo generale, che il piano possa prevedere una dilazione fino a due anni (non più, dunque, un solo anno) dall'omologazione per il pagamento dei privilegiati, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni/diritti sui quali sussista la causa di prelazione. Qualora la moratoria ecceda il biennio, i creditori hanno diritto al voto per la differenza fra l'entità del credito, maggiorato degli interessi legali, ed il valore dei pagamenti previsti nel piano, attualizzati alla data di presentazione della proposta in base ad un tasso pari alla metà del tasso ex art. 5,D.Lgs. n. 231/2002. Come precisato in sede di Relazione di accompagnamento al Codice della crisi, “attualizzando i pagamenti rispetto alla cronologia prevista dal piano si riesce a quantificare ciò che il creditore privilegiato perde in termini di chance di investimento. Il diritto di voto verrà quindi ad essere esercitato in misura corrispondente alla perdita”. Per quanto i creditori privilegiati abbiano diritto agli interessi legali, la dilazione è idonea a determinare nei loro confronti un “sacrificio” in funzione della mancata remunerazione dall'impiego delle somme ritraibili in caso di soddisfacimento tempestivo del credito. Il Legislatore del Codice (che entrerà in vigore il 1° settembre 2021, salvo ulteriori proroghe), rilevata l'impossibilità di stabilire un tasso per ciascuna tipologia di credito, ha fatto ricorso ad sistema sintetico, individuando un tasso unico assunto nel 50% del tasso d'interesse applicato al ritardo nei pagamenti nelle transazioni commerciali (D.Lgs. n. 231/2002). Detto tasso è determinato applicando una maggiorazione di otto punti al tasso d'interesse applicato dalla B.C.E. sulle più recenti operazioni di rifinanziamento. Il passaggio operativo è poi il seguente: i) assumere il piano dei pagamenti dilazionati previsti nel piano per i privilegiati al lordo degli interessi legali; ii) attualizzare tali flussi alla data di deposito della domanda concordataria; iii) sottrarre il valore così attualizzato dall'importo del credito dilazionato maggiorato dagli interessi legali. Tale differenza rappresenta la cd. “perdita conseguenziale”. Essa costituisce la parte del credito che parteciperà al voto. La durata del concordato Nel caso in esame, l'imprenditore aveva indicato nell'originario piano d'impresa un arco temporale di cinque anni per adempiere le obbligazioni previste nella proposta di concordato. A seguito della presentazione del nuovo piano ex art. 9, comma 2, Decreto Liquidità, il debitore ha innalzato il suddetto arco temporale portandolo a sette anni. Il Tribunale di Pistoia ha ritenuto che la nuova dilazione non incida negativamente sul vaglio d'ammissibilità della proposta, per una serie di condivisibili ragioni che passiamo sinteticamente ad esaminare. In primo luogo, l'art. 161, comma 2, l. fall., nel disporre che il piano d'impresa debba contenere la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta, non stabilisce alcuna durata massima della procedura. Né, di una durata massima, parla l'art. 186-bis l. fall. in tema di concordato preventivo con continuità aziendale. Il debitore, con la presentazione della domanda di concordato, agisce in base ad una duplice finalità. Da un lato, intende approntare uno strumento che sia idoneo a superare la crisi, ristabilendo una situazione di equilibrio aziendale; dall'altro, mira a proporre ai creditori un certo grado di soddisfacimento secondo tempi ragionevolmente contenuti. Com'è noto, la durata delle procedure concorsuali rileva ai fini del “giusto processo”. In ambito di procedure concorsuali la più recente giurisprudenza della Cassazione ha ritenuto che il procedimento non dovrebbe superare i sette anni, tenuto conto degli standard ricavabili dalle pronunce della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (Cass. n. 8468/2012), Più in particolare, con riferimento alla procedura concorsuale maggiore, il termine di cinque anni che può ritenersi normale nei fallimenti di media complessità, può raggiungere i sette anni laddove il procedimento si presenti notevolmente complesso (Cass. n. 20549/2009). La particolare complessità della procedura è ravvisabile nella presenza di un numero molto elevato di creditori, nella particolare natura e/o situazione giuridica degli assets da liquidare (partecipazioni, beni indivisi, ecc.), nel numero esteso di giudizi e procedimenti correlati alla procedura, nella loro particolare parcellazione ovvero obiettiva complessità. Sotto questo aspetto, il Tribunale di Pistoia ha ritenuto che l'allungamento del nuovo piano d'impresa a sette anni appaia conforme ai ricordati principi che informano la “ragionevole” durata del procedimento concorsuale. Sotto altro profilo, il foro toscano, richiamando il documento “Linee guida per il finanziamento delle imprese in crisi”, pubblicato dall'Università degli Studi di Firenze in collaborazione con ASSONIME e CNDCEC, ha ricordato che il termine previsto per il soddisfacimento dei creditori sociali prescinde dalla durata del piano in funzione del riequilibrio della gestione aziendale. Quest'ultimo arco temporale non può superare i cinque anni, essendo volto al ripristino della piena funzionalità dell'assetto d'impresa, attraverso l'approntamento delle misure previste per il riequilibrio (dismissioni, riconversioni, economie di costi, turn-around). Una proposta può prevedere un termine superiore a cinque anni, ma solo a condizione che vi siano fondate e motivate ragioni e che il piano preveda misure di salvaguardia volte a mitigare i possibili effetti legati a stime di più difficile previsione. Nel caso in esame, i tempi previsti nel piano concordatario ai fini dell'attuazione degli interventi programmati dalla società debitrice rispettavano l'arco temporale di cinque anni dal deposito della proposta. Il termine previsto per il soddisfacimento dei creditori può invece interessare un periodo più ampio: è dunque possibile – rileva il foro toscano – che nel termine previsto per il riequilibrio aziendale non siano estinte tutte le passività, le quali possono anzi essere riscadenziate. Peraltro, occorre che il piano concordatario non preveda un intervallo troppo lungo prima che siano iniziati i pagamenti a favore dei creditori sociali (Cass. n. 1521/2013). Del resto, lo stesso Codice della crisi e dell'insolvenza non ha previsto alcuna durata massima in relazione alla procedura di concordato, disponendo che il debitore presenti, assieme alla proposta, un piano contenente:
La proposta riformulata dal debitore è stata così ritenuta idonea a realizzare – anche con riferimento alla durata – la cd. causa concreta del concordato, tanto in funzione del riequilibrio aziendale, quanto in funzione del soddisfacimento dei creditori sociali. Alla luce della condivisibile pronunzia del Tribunale di Pistoia, conforme alla richiamata giurisprudenza della Corte di Cassazione (v. sotto per ulteriori pronunzie), è legittima una proposta di concordato in continuità aziendale che preveda il soddisfacimento dei creditori privilegiati oltre l'anno, ex art. 186-bis, comma 2, lett. c), l. fall. Peraltro, ciò comportando un soddisfacimento non integrale dei creditori muniti di prelazione, la proposta deve compiutamente rappresentare quale sia l'entità del danno cd. conseguenziale, potendo far riferimento a quanto previsto sull'argomento dal Codice della crisi e dell'insolvenza. I creditori privilegiati per i quali sia prevista una dilazione di pagamento eccedente i dodici mesi dall'omologa, hanno diritto di partecipare al voto ex art. 177 l. fall. in ragione della differenza fra l'entità del credito maggiorato degli interessi legali ed il valore dei pagamenti previsti nel piano attualizzati alla data di presentazione della proposta. Il debitore, con la presentazione della domanda di concordato, agisce in base ad una duplice finalità: approntare uno strumento idoneo a superare la crisi d'impresa, ristabilendo una situazione d'equilibrio aziendale; proporre ai creditori sociali un certo grado di soddisfacimento secondo tempi ragionevolmente contenuti. Il primo obiettivo (riequilibrio) deve compiersi in un arco temporale non superiore a 5 anni, essendo in gioco il ripristino della funzionalità aziendale; il secondo (soddisfacimento), può involvere un periodo più ampio, prevedendo il riscadenziamento delle obbligazioni, purché il piano non preveda un intervallo troppo lungo prima dell'inizio dei pagamenti ai creditori.
Normativa e giurisprudenza
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