La qualificazione di un concordato preventivo in continuità aziendale

Elisa Castagnoli
27 Gennaio 2021

Nel caso in cui la proposta preveda la prosecuzione dell'attività tramite l'affitto di un ramo d'azienda (con la successiva cessione a terzi dello stesso), il concordato preventivo deve essere qualificato in continuità aziendale, a prescindere dalla circostanza che il controvalore della liquidazione dei beni prevista dal piano risulti complessivamente superiore ai proventi derivanti dalla continuità aziendale?

Nel caso in cui la proposta preveda la prosecuzione dell'attività tramite l'affitto di un ramo d'azienda (con la successiva cessione a terzi dello stesso), il concordato preventivo deve essere qualificato in continuità aziendale, a prescindere dalla circostanza che il controvalore della liquidazione dei beni prevista dal piano risulti complessivamente superiore ai proventi derivanti dalla continuità aziendale?

Caso pratico - Una società in nome collettivo depositava dinanzi al Tribunale di Rimini, nel termine concesso ai sensi dell'art. 161, comma 6, L.F., un piano e una proposta di concordato preventivo.

Tale proposta veniva dichiarata ammissibile dal Tribunale, il quale dichiarava conseguentemente aperta la procedura.

Tuttavia, in ragione delle difficoltà sorte a causa dell'emergenza epidemiologica che ha colpito l'Italia a partire dal mese di marzo del 2020, la debitrice decideva di proporre istanza ex art. 9, comma 2, d.l. 8 aprile 2020, n. 23, per modificare il piano concordatario precedentemente depositato. Al momento del deposito, peraltro, non si era ancora tenuta l'adunanza dei creditori ai sensi dell'art. 174 L.F.

Il Tribunale accoglieva la richiesta della società e assegnava un ulteriore termine per la predisposizione di una nuova proposta di concordato.

La nuova proposta concordataria prevedeva la continuazione dell'attività mediante l'affitto dell'azienda e la sua successiva cessione a terzi nonché la liquidazione di alcuni beni immobili di proprietà della società e dei soci illimitatamente responsabili. Si evidenzia che la soddisfazione dei creditori sarebbe avvenuta, in misura preponderante, attraverso l'attività liquidatoria e non mediante la continuazione dell'attività di impresa.

La società, per questa ragione, assumendo che la procedura potesse qualificarsi liquidatoria, non depositava unitamente al piano modificato l'attestazione descritta dall'art. 186 bis, comma 2, lett. b), L.F, funzionale a certificare che la continuazione aziendale sarebbe stata funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori.

Il Tribunale di Rimini, tuttavia, riteneva che la società non avesse correttamente qualificato la proposta. Di conseguenza, accertato il mancato deposito dell'attestazione richiesta nel caso di proposta di concordato preventivo con continuità aziendale, concedeva termine alla ricorrente, ai sensi dell'art. 162 L.F., per depositare la documentazione indicata.

Spiegazioni e conclusioni - Il caso in esame si esprime sulla qualificazione della proposta di concordato preventivo, aderendo ai principi dettati dalla più recente giurisprudenza di legittimità in ordine alla configurabilità della continuità aziendale di cui all'art. 186 bis L.F.

Il Tribunale, richiamando una sentenza della Corte di cassazione, ha infatti riconosciuto che, nonostante la previsione nel piano della liquidazione atomistica di una parte dei beni dell'impresa, la procedura di concordato preventivo possa definirsi in continuità aziendale se vi sia “una componente di qualsiasi consistenza di prosecuzione dell'attività aziendale” (Cass. 15 gennaio 2020, n. 734).

In altre parole, secondo la tesi sostenuta dal Tribunale, è sufficiente anche una minima componente di continuità aziendale per la soddisfazione del ceto creditorio affinché la procedura concordataria sia assoggettata all'integrale applicazione della disciplina contenuta nell'art. 186 bis L.F.

Questo orientamento, dunque, supera l'utilizzo del criterio di prevalenza, adottato dalla giurisprudenza precedente (si veda, tra le tante, Trib. Vercelli 13 agosto 2014).

In ragione di questa conclusione, per ogni proposta che preveda l'utilizzo di proventi ricavati dalla gestione dell'impresa per soddisfare i creditori sarà necessario il deposito della c.d. attestazione “rafforzata”, ovverosia della attestazione con cui il professionista indipendente certifichi che la prosecuzione dell'attività d'impresa prevista dal piano di concordato è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori.

Si segnala, in conclusione, che il criterio utilizzato dal Tribunale contrasta con quello adottato dal legislatore nel Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, laddove, all'art. 84, comma 3, si prevede che il concordato sia in continuità se il soddisfacimento dei creditori avviene in misura prevalente con la prosecuzione (anche indiretta) dell'attività di impresa.

Normativa e giurisprudenza

  • Art. 161 L.F.
  • Art. 162 L.F.
  • Art. 174 L.F.
  • Art. 186 bis L.F.
  • art. 9 D.L. 8 aprile 2020, n. 23
  • Art. 84 CCI
  • Trib. Rimini 24 settembre 2020
  • Trib. Vercelli 13 agosto 2014

Per approfondire

  • S. Sisia, C'era il concordato misto, (commento a Cass. n. 734/2020), in ilfallimentarista.it, 4 maggio 2020;
  • C. Pagliughi, Il concordato liquidatorio nel CCII. Dubbi interpretativi e limiti di utilizzo, in ilfallimentarista.it, 19 giugno 2020

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