L'ordine di pagamento diretto in sede di separazione: una disciplina speciale e autosufficiente

Francesca Crespi
29 Ottobre 2021

La questione affrontata dal Supremo Collegio è la seguente: può operare nei confronti del coniuge obbligato il cumulo tra il pignoramento di un quinto dello stipendio a seguito di esecuzione forzata prezzo terzi e l'ordine di corresponsione diretta al datore di lavoro dell'assegno di mantenimento?
Massima

L'art. 156 comma 6 c.c. costituisce una disciplina speciale, orientata dall'esigenza di assicurare la realizzazione delle finalità proprie dell'assegno di mantenimento, governata da una propria autosufficienza che non le permette di essere influenzata dai principi generali, ivi compresi quelli di cui all'art. 545 c.p.c.; la formulazione volutamente elastica della norma attribuisce al giudice la possibilità di ordinare al terzo il pagamento dell'intera somma dovuta al debitore principale, ove tale importo realizzi pienamente l'assetto economico stabilito in sede di separazione.

Il caso

A seguito di ricorso ex art. 710 c.p.c., depositato da Tizia, il Tribunale di Roma ha revocato l'assegno perequativo posto a carico di Tizio per il figlio Sempronio, divenuto economicamente indipendente, ha ridotto il contributo al mantenimento per l'altro figlio, Caietto e ha confermato l'assegno di mantenimento per la moglie; ha altresì ordinato - ex art. 156 comma 6 c.c. - al datore di lavoro di Caio di corrispondere direttamente a Tizia sia l'assegno di separazione per la stessa che il mantenimento del figlio.

Contro la decisione di primo grado è stato proposto reclamo, rigettato dalla Corte d'Appello di Roma.

Il marito, quindi, ha adito la Corte di Cassazione, denunciando - con il primo motivo - la violazione di legge e il difetto di motivazione per non aver dichiarato l'inammissibilità del cumulo tra la trattenuta del quinto dello stipendio dovuta ad un pignoramento presso terzi e l'ordine di pagamento diretto al datore di lavoro previsto dall'art. 156 comma 6 c.c., in ragione del superamento del limite – ovvero la metà dell'ammontare delle somme - di cui all'art. 545 comma 5 c.p.c.

La questione

La questione affrontata dal Supremo Collegio è la seguente: può operare nei confronti del coniuge obbligato il cumulo tra il pignoramento di un quinto dello stipendio a seguito di esecuzione forzata prezzo terzi e l'ordine di corresponsione diretta al datore di lavoro dell'assegno di mantenimento?

Le soluzioni giuridiche

Secondo i giudici della Suprema Corte, il rimedio dell'ordine al terzo di pagamento diretto degli assegni di mantenimento, è disciplina speciale, impermeabile ai limiti che l'ordinamento pone, con l'art. 545 c.p.c., alla pignorabilità degli stipendi e dei trattamenti pensionistici.

Difatti, il pignoramento dello stipendio trova la propria causa nel soddisfacimento di un credito pregresso e può essere effettuato nella misura di un quinto come specificatamente indicato dalla norma, mentre l'ordine di corresponsione rivolto al datore di lavoro è volto a garantire l'adempimento delle prestazioni future del coniuge obbligato (assegno per la moglie e/o assegno per i figli), può riguardare l'intera somma dovuta dal terzo, debitor debitoris.

Pignoramento e ordine di pagamento si muovono in ambiti di discrezionalità differenti: la pignorabilità dello stipendio per la misura del quinto rientra nel potere del legislatore, che – come detto – ne identifica a priori la misura (Corte cost., ordinanza n. 225/2002; Corte cost., sent. n. 437/1997), mentre per quanto concerne l'assegno di mantenimento, è il giudice a dover stabilire in quale misura il terzo debba essere chiamato ad adempiere, pur potendo legittimamente prevedere che il datore di lavoro versi l'intero stipendio al coniuge creditore, qualora tale cifra realizzi pienamente – senza ovviamente eccedere – l'assetto economico determinato in sede di separazione.

In sede di separazione, infatti, il giudice in un primo momento è chiamato a determinare il quantum dell'assegno sulla base delle specifiche circostanze del caso concreto, valutando complessivamente le situazioni economico-patrimoniali delle parti e, soprattutto, considerando la residua disponibilità in capo all'obbligato di risorse economiche e patrimoniali che siano sufficienti a garantirgli di far fronte alle proprie esigenze di vita (art. 156 comma 2 c.c.). Solo in un secondo momento – ribadisce la Suprema Corte – al giudice è riconosciuta la possibilità di concedere la garanzia di cui all'art. 156 comma 6 c.c., ordinando così al datore di lavoro il pagamento diretto al coniuge creditore di una parte dell'intera somma dovuta dal terzo o, eventualmente, dell'intero ogniqualvolta tale importo realizzi pienamente l'assetto della separazione. Il giudice, dunque, non può in alcun modo effettuare alcun tipo di valutazione in merito all'entità o ai presupposti che giustificano la previsione e la quantificazione dell'assegno di mantenimento, ma deve unicamente considerare se l'ordine di pagamento diretto sia utile a garantire il pagamento dell'assegno alla parte richiedente. Il che si verificherà allorquando il comportamento tenuto dall'obbligato sia idoneo a mettere in discussione il corretto e puntuale adempimento delle prestazioni future, vanificando così la finalità propria del mantenimento stesso (Cass. 6 novembre 2006, n. 23668; Cass. 19 maggio 2011, n. 11062). Nell'ipotesi in cui si dovesse erroneamente sostenere il contrario – e, quindi, la possibilità per il giudice, in sede di concessione della misura di garanzia, di rimettere in discussione l'entità dell'assegno – l'attività valutativa risulterebbe totalmente carente di funzione processuale (Cass., 2 dicembre 1998, n. 12204).

Ed è proprio sulla base della corretta assenza di un giudizio valutativo in merito al quantum dell'assegno, che la decisione in commento ha evidenziato come la distrazione delle somme di cui all'art. 156 comma 6 c.c. non sia soggetta al limite di cui all'art. 545 c.p.c., giacché il giudice chiamato a concedere tale garanzia ha già determinato – in un momento precedente, e sulla base di differenti presupposti – l'entità dell'assegno e, quindi, ha già valutato e identificato quanto sia necessario al coniuge obbligato per far fronte alle proprie esigenze di vita.

Secondo la Cassazione, poi, la norma speciale di cui all'art. 8, l. div, non è applicabile in via analogica alla separazione, giacché «il legislatore ha riservato un'autonoma regolamentazione alla disciplina dell'ordine al terzo per il caso di separazione, astenendosi dall'individuare la quota cui deve essere limitato il detto ordine e inserendo all'interno della disposizione un elemento di elasticità (il riferimento a "una parte" delle somme di denaro dovute): e tanto è sufficiente per escludere l'applicabilità per analogia della disposizione, non esistendo alcuna lacuna normativa che legittimerebbe il ricorso a tale forma di interpretazione» (cfr. Cass. 27 gennaio 2004, n. 1398, cit., sempre in motivazione).

Il Supremo Collegio ha, pertanto, rigettato il primo motivo addotto dal ricorrente, affermando che - a prescindere dal fatto che, nel caso di specie, la somma tra la quota mensile pignorata e gli assegni oggetto dell'ordine di pagamento non supera la metà dello stipendio del marito individuata sulla base dell'ammontare netto annuo - il pignoramento pregresso di un quinto dello stipendio non impedisce la distrazione delle somme ex art. 156 comma 6 c.c., poiché quest'ultimo istituto ha una disciplina speciale ed autosufficiente, che – in quanto tale – non può essere sottoposta ai limiti sanciti dall'art. 545 c.p.c.

Osservazioni

Anche con tale pronuncia la Corte di Cassazione ha voluto ribadire quale sia il fondamento posto alla base della previsione di cui all'art. 156 comma 6 c.c., risaltandone l'ambito di applicazione e lo scopo. Il legislatore, infatti, stante la specifica finalità del mantenimento ha previsto una garanzia ad hoc a favore del coniuge che ha diritto all'assegno, che gode di una disciplina speciale proprio a causa del particolare interesse che tutela. Difatti, è sufficiente che gli adempimenti futuri siano messi in discussione, affinché il giudice impartisca al terzo l'ordine di versare le somme direttamente al coniuge creditore, giacché la mancanza di un puntuale adempimento frustrerebbe lo scopo per il quale il mantenimento viene essenzialmente previsto. Pertanto, è sicuramente corretto affermare che non possano essere imposti limiti quantitativi differenti a tale specifica garanzia, dovendo la stessa tutelare il diritto al mantenimento come già identificato e quantificato in precedenza dal giudice.

Riferimenti

Finocchiaro F., Del matrimonio, II, 2 ed., in Comm. Scialoja, Branca, sub artt. 84-158, Bologna-Roma, p. 441;

Servetti G., Le garanzie patrimoniali nella famiglia. Corresponsione diretta, sequestro, ipoteca, Milano, 2013;

Simeone A., Garanzie: ordine di pagamento diretto, in IlFamiliarista, 24 marzo 2015.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.