Madre condannata a risarcire direttamente il figlio perché ostacola la relazione con il padre

Michol Fiorendi
08 Novembre 2021

Può il figlio ostacolato dalla madre nel rapporto con il padre, chiedere il risarcimento del danno subito per violazione del suo diritto alla bigenitorialità?
Massima

Il genitore (nella specie, la madre) che, nonostante le indicazioni del Tribunale e l'affiancamento dei Servizi Sociali, pone continuativamente in essere un atteggiamento di ostruzionismo della relazione del figlio con l'altro genitore (nella specie, il padre), provocando nel bambino gravi e ingiustificati timori, vìola il di lui diritto alla bigenitorialità e va, pertanto, condannato al risarcimento del danno direttamente in capo al figlio, siccome portatore di autonomo diritto in tal senso.

Il caso

Nell'ambito di un giudizio di separazione, il Giudice, regolamentando il diritto di visita dei genitori rispetto al figlio minorenne, rileva che gli incontri tra padre e figlio non si stanno svolgendo, né con le modalità prescritte, né con modalità alternative.

Ritenuta, quindi, la necessità di facilitare tali incontri senza arrecare pregiudizio al figlio, ripristina le modalità che maggiormente, nel corso del giudizio, si sono rivelate idonee a garantire il diritto di visita tra padre e figlio. In particolare, il Giudice considera che non è praticabile un diritto di visita che coinvolga l'operatore domiciliare nelle giornate per lo stesso non lavorative (il sabato e la domenica), e che entrambi i genitori debbano essere supportati affinchè cessino ogni condotta pregiudizievole per il minore, compresi gli atteggiamenti aggressivi o provocatori nei confronti dell'altro genitore manifestati in occasione degli accordi sulle visite padre-figlio, nonché l'utilizzo di fotografie o video ritraenti il minore o terze persone insieme a lui.

Durante il lungo corso del procedimento, nonostante i vari avvertimenti, risulta dalle relazioni dai servizi sociali che la mamma non ha agevolato il rapporto tra padre e figlio, provocando nel bambino gravi e ingiustificati timori. Il padre pertanto richiede che la madre venga condannata al risarcimento del danno nei suoi confronti. Il Tribunale ritiene, però, di dover sì disporre la condanna al risarcimento del danno, ma direttamente in capo al figlio. Ciò anche sulla scorta della relazione del Ctu che ha evidenziato come il disturbo da eccessivo attaccamento alla madre riscontrato nel bambino possa essere superato solo con l'inserimento della figura paterna nella vita del figlio, oltre che con la collaborazione della madre, non adeguata alle necessità del figlio.

La questione

Nel momento in cui un genitore non rispetta il diritto alla bigenitorialità del figlio, può quest'ultimo, in qualità di portatore autonomo di tale diritto soggettivo, beneficiare personalmente dell'eventuale risarcimento del danno?

Le soluzioni giuridiche

Con la sentenza qui in commento vediamo come il Tribunale di Mantova (e vedremo, successivamente, come non sia di certo l'unica decisione) ritenga che ostacolare il rapporto tra padre e figlio leda il diritto alla bigenitorialità del minore.

Se i genitori non garantiscono tale diritto ai propri figli, si possono creare gli estremi perché il Tribunale decida per la decadenza dalla responsabilità genitoriale di colui che mette in atto atteggiamenti lesivi di questo diritto, così come stabilito (per voler citare altri casi), con ordinanza n. 28723/2020, anche dalla prima sezione civile della Suprema Corte, con la quale è stato accolto il ricorso di un padre che lamentava gli atteggiamenti ostruzionistici della madre rispetto al suo rapporto con il figlio minorenne.

In tale caso, la Cassazione accoglie la domanda del padre, rinviando alla Corte d'Appello in diversa composizione, perchè rivaluti la vicenda alla luce del principio di bigenitorialità.

La Suprema Corte, anche in tal caso, ribadisce in primo luogo il diritto del bambino alla bigenitorialità, vale a dire poter avere un rapporto equilibrato e tendenzialmente paritetico con entrambi i genitori, ricordando, al riguardo, la definizione fornita dalla sua stessa giurisprudenza, secondo cui la bigenitorialità consiste nella «presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, nel dovere dei primi di cooperare nell'assistenza, educazione e istruzione».

Si ricorda, altresì, l'orientamento a livello europeo della Corte Europea dei diritti dell'uomo. Essa, chiamata a pronunciarsi sul rispetto del diritto alla vita familiare di cui all'art. 8 CEDU, ha riconosciuto ai Giudici nazionali ampia libertà in materia di affidamento dei figli minori, ma ha precisato che «è necessario un rigoroso controllo sulle “restrizioni supplementari” ossia quelle apportate al diritto di visita dei genitori e dei figli al rispetto della loro vita familiare, di cui all'art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo».

Ciò al fine di «scongiurare il rischio di troncare le relazioni familiari tra un figlio in tenera età ed uno dei genitori».

In altre parole, le misure che limitano il diritto alla vita familiare ed alla bigenitorialità, laddove non siano giustificate nel caso di specie, violano l'art. 8 CEDU. Inoltre, spiega la Cassazione, la Corte Edu pone l'accento sui tempi di attuazione delle misure necessarie a favorire il riavvicinamento tra padre e figlio. Far trascorrere troppo tempo, infatti, sarebbe pregiudizievole tanto nei confronti del genitore quanto nei confronti del minore. Ed anche in questo caso si configurerebbe una violazione dell'art. 8 CEDU per mancato rispetto del diritto della vita familiare. In conclusione, nel caso di specie, la Corte d'Appello ha preso una decisione senza osservare i principi della CEDU. Infatti, non ha spiegato perchè ha escluso una frequentazione più assidua tra padre e figlio e ha errato nel non considerare gli atteggiamenti ostruzionistici della madre ai fini della decisione. Questi, infatti, rappresentano «una condotta gravemente lesiva del diritto del minore alla bigenitorialità».

Oltre alla pronuncia appena descritta, ve ne sono altre degne di nota, che possono offrire uno scorcio interessante sull'atteggiamento tenuto dai Tribunali verso un certo genere di condotta della mamma (o del papà) che ostacola la frequentazione tra l'altro genitore e figli e il sereno svolgimento del loro rapporto.

La Cassazione, infatti, con sentenza n. 1564/2021 condanna la moglie che non rispetta il diritto di visita del marito da lei separato, eludendo così il provvedimento del giudice emesso in sede di separazione. Ciò, dopo aver appurato in giudizio l'attendibilità dei fatti narrati dal marito e restando indimostrata impossibilità addotta dalla donna per giustificare l'elusione del provvedimento che ha sancito il diritto di visita del padre. Nel caso di specie, alla donna sono state contestate una serie di condotte legate tra loro, in quanto la stessa, per un determinato periodo, non ha consentito al marito separato, genitore non affidatario dei figli, di esercitare il proprio diritto di visita nei giorni stabiliti dal giudice e confermati dal decreto di omologa della separazione, sfuggendo in questo modo all'esecuzione del suddetto provvedimento giudiziale.

Osservazioni

Quando i genitori decidono di interrompere la loro relazione, deve esser garantito ai figli di poter, comunque, mantenere un rapporto pieno e soddisfacente, in termini di qualità e quantità, con ciascuno di essi. Tanto la mamma, quanto il papà, infatti, sono figure fondamentali per l'armonioso sviluppo della personalità dei bambini e per la loro serena crescita psicofisica.

Ma vi è ancora chi non si rassegna al fatto che i genitori, in termini tendenzialmente paritari, debbano partecipare attivamente alla vita dei figli, indipendentemente dal tempo che i minori trascorrono con l'uno o con l'altro.

Nella maggior parte dei casi, in ambito separativo e di divorzio, sono le madri che ricoprono il ruolo di genitore collocatario, e quindi di stabili conviventi dei figli, e ciò può creare una tendenza ad approfittare di questa situazione “privilegiata”. Ma, analogamente, si comportano i padri, quando i bambini vengono collocati presso di loro, se hanno risentimento e astio verso la madre.

Diverse sono le condotte, ormai tipizzate, che certi genitori mettono in atto per raggiungere il loro obiettivo: dal trasferirsi più lontano possibile dalla casa familiare, al coinvolgere i figli nel conflitto mai sopito verso l'ex partner, ecc.

In questa selva di atteggiamenti strumentalizzanti e manipolatori dei figli, i quali, loro malgrado, assumono la funzione di veri e propri mezzi di contesa nelle mani del genitore, i Tribunali sono sempre più spesso costretti a intervenire, per sanzionare gli inopportuni comportamenti posti in essere dai genitori e, soprattutto, per tutelare i figli e il loro inviolabile diritto di poter contare su due genitori. Ma anche per dare ristoro alle sofferenze e al disagio patito dal genitore che si vede, illegittimamente, ostacolare e limitare nel rapporto con la prole.

Per citarne un altro ancora, è questo, per esempio, il caso su cui si è pronunciato il Tribunale di Milano che, recentemente, si è occupato di una separazione particolarmente bellicosa e conflittuale, nella quale la madre consegnava abitualmente il figlio al padre senza l'occorrente per la scuola o l'attività sportiva programmata, così costringendolo a ritornare nella casa materna per recuperarlo.

E, in altre occasioni, quando il padre passava a prendere il bambino, non glielo faceva trovare o gli comunicava sue improvvise malattie che “non gli permettevano di andare dal papà”.

Il Tribunale di Milano, con provvedimento del gennaio 2018, non ha soltanto punito il comportamento della madre per il passato, ma ha anche previsto l'applicazione di una sanzione economica, automatica a suo carico e a beneficio del padre, per ogni singola futura violazione del diritto paterno di stare con suo figlio nei tempi calendarizzati dal Tribunale, ai sensi dell'art. 614-bis c.p.c. (nel caso specifico, 30 euro ogni volta che non venisse consegnato il materiale scolastico, 50 euro quando non fosse consentito al bambino di trascorrere il tempo con il papà).

Nel caso non bastasse, il Tribunale potrebbe intervenire più drasticamente, anche arrivando a modificare il collocamento del minore.

Ricordiamo, peraltro, che può essere disposto l'affidamento esclusivo a favore del padre qualora la madre tenga dei comportamenti morbosi nei confronti del figlio tali da ostacolare il suo rapporto con il padre ed aumentare il rifiuto da parte del minore della figura paterna. È quanto ha stabilito il Tribunale di Castrovillari in un procedimento di separazione giudiziale dei coniugi in ordine all'affidamento del figlio minore, in considerazione di alcuni atteggiamenti palesemente morbosi e pregiudizievoli della madre.

In particolare, quest'ultima aveva più volte denunciato il padre per maltrattamenti e abusi sessuali nei confronti del figlio (poi rivelatesi infondati). Aveva, inoltre, proposto reclamo avverso l'ordinanza presidenziale che prevedeva un diritto di visita del padre, a detta della donna, “eccessivo” e detto provvedimento era stato successivamente confermato dalla Corte d'Appello; aveva chiesto all'istituto scolastico di modificare l'orario di entrata e di uscita di scuola del figlio per impedirne gli incontri con il padre. In corso di causa, il Tribunale aveva, addirittura, disposto delle visite protette tra il minore e entrambi i genitori, prevedendo altresì relazioni bimestrali da parte delle operatrici sull'attività svolta. Da tale percorso erano emerse una totale rigidità e sfiducia della donna nei confronti dei servizi sociali e delle psicologhe addette, nonché una scarsa propensione alla collaborazione ed al recupero del rapporto tra padre e figlio, dimostratosi eccessivamente attaccato alla madre e sopito sotto i suoi condizionamenti. Al contrario, il padre si era rivelato più fiducioso nei confronti delle operatrici e più consapevole delle difficoltà del caso.

In considerazione di tutti tali elementi, il Tribunale ha disposto l'affidamento esclusivo del figlio al padre, in ragione dell'attaccamento morboso della madre nei confronti del figlio ed il rapporto simbiotico tra i due, dell'incapacità della madre di assumere posizioni nette di contrasto rispetto al figlio, al quale veniva demandata ogni determinazione riguardo al padre, dell'incapacità della donna di sostenere il figlio nel reciproco rapporto con l'altro genitore e con i parenti paterni; dell'annientamento del rapporto del minore con il padre fino a compromettere profondamente il suo equilibrio interiore ed esporlo al rischio di relazioni sociali disfunzionali.

Diversi giudici si sono occupati negli anni della questione, trovandosi ad avere a che fare con mamme che –avvantaggiate del fatto che i figli erano con loro conviventi – hanno posto in essere condotte alienanti dei figli dai padri.

Il Tribunale di Roma, con una sentenza del 2016, stabilì che il genitore che avesse allontanato l'altro, tentando di sminuirlo e/o di metterlo in cattiva luce, avrebbe perso l'affidamento dei figli: ovviamente si parlava di un caso molto grave, potremmo dire estremo, poiché il giudice ha comunque come principale obiettivo la tutela dei figli.

E revocare l'affido condiviso, in favore di un affido esclusivo, è una decisione che va presa con enorme cautela, unicamente quando i figli e il padre vengano danneggiati dal comportamento della madre.

Come detto, infatti, il diritto alla bigenitorialità spetta ad ogni minore: anche dopo la separazione di mamma e papà, un bambino deve poter mantenere un legame sereno con entrambi i genitori, i quali sono tenuti ad adoperarsi affinchè i figli mantengano un rapporto solido e amorevole con l'ex partner.

Non solo, dunque, la madre non deve adottare comportamenti che possano allontanare i figli dal padre, ma deve anche impegnarsi a rimuovere gli ostacoli, qualora i bambini non vogliano vedere papà, ovviamente in assenza di gravi motivi come i maltrattamenti e soprusi di qualsiasi genere. Se questo non avviene, si verifica un illecito: il genitore danneggiato potrà quindi rivolgersi ad un giudice, che potrà applicare un'ammonizione alla madre (che sarà eventualmente tenuta a pagare il risarcimento stabilito dal giudice) e, nei casi più gravi, la revoca dell'affidamento, che diventerà esclusivo a favore del genitore che si è sempre comportato correttamente con i figli e con l'ex coniuge.

Più recente e ancora più esplicita, è la sentenza Cass. pen. n. 23830/2019, della Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla vicenda di una signora condannata per il reato previsto dall'art. 388 c.p. (mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice): la donna, a cui il Tribunale aveva affidato la figlia, non aveva mai portato la medesima agli incontri con il padre, imposti dal giudice e in programma presso i Servizi Sociali del Comune.

La Corte di Cassazione si è pronunciata, stabilendo che il genitore affidatario ha l'obbligo di favorire – in assenza di situazioni di gravità – gli incontri tra i figli e l'altro genitore, in quanto entrambi sono indispensabili per la crescita del minore. Ostacolare quegli incontri può avere effetti deleteri sull'equilibrio psicologico e sulla formazione della personalità di un bambino. Nel caso in questione, dalle relazioni degli assistenti sociali era risultato come l'ex moglie non si fosse mai mostrata disponibile e avesse anzi deciso di interrompere gli incontri tra la figlia e il papà, contravvenendo a quanto stabilito dal giudice e mettendo in atto un comportamento ostruzionistico e manipolativo: la Corte di Cassazione ha, dunque, respinto il ricorso della madre, condannata in primo grado e poi in appello.

Come stabilito anche da una sentenza del Tribunale di Milano, se un genitore manifesta gravi atteggiamenti ostativi, può essere sottoposto all'ammonimento previsto dal codice civile, per invitarlo a cessare la condotta pregiudizievole alla frequentazione tra l'altro genitore e il figlio.

Tale ammonimento può portare con sé l'obbligo di risarcimento dei danni nei confronti del minore e/o dell'ex coniuge, il pagamento di una sanzione amministrativa tra i 75 euro e i 5.000 euro e misure di coercizione diretta, come per l'obbligo di corrispondere una determinata somma all'altro genitore, ogni qualvolta si violi un obbligo imposto dal giudice.

Alla luce di tutte queste pronunce, possiamo, quindi, osservare come sia ormai consolidato l'orientamento giudiziale di voler riconoscere, alla presenza di fattispecie di questo tipo, l'esistenza di un danno ingiusto, come elemento costitutivo dell'illecito civile. Il danno ingiusto si pone come lesione di un interesse giuridicamente protetto nella vita di relazione.

L'opinione che limita il danno ingiusto alla lesione di diritti tipici assoluti è ormai superata dalla realtà di un'esperienza che ha visto notevolmente ampliata la sfera di operatività della responsabilità extra-contrattuale.

Nell'attuale esperienza giuridica non trova riscontro neppure la tesi che ai fini dell'ingiustizia del danno parifica diritti assoluti e diritti di credito: la nostra giurisprudenza non riconosce come illecito extracontrattuale qualsiasi fatto lesivo di un interesse creditorio.

D'altra parte, le tesi che prescindono dall'antigiuridicità del danno offrono criteri generici o insufficienti di individuazione dei danni risarcibili.

Superando le incerte proposte dottrinarie, occorre anzitutto tener ferma la nozione di ingiustizia del danno quale lesione di un interesse giuridicamente protetto nella vita di relazione. Questa nozione emerge dal rilievo che il danno ingiusto dev'essere risarcito. Il danneggiato è quindi portatore di un interesse la cui lesione da parte di terzi comporta l'obbligo di risarcimento: obbligo che la legge prevede come reazione all'illecito (art. 2043 c.c.).

Si tratta, allora, di un interesse che i terzi devono rispettare se non vogliono incorrere nella responsabilità per illecito (c.d. responsabilità aquiliana).

Ciò vuol dire che il danno ingiusto costituisce lesione di un interesse che l'ordinamento tutela nei confronti della generalità dei consociati, ossia lesione di un interesse giuridicamente protetto nella vita di relazione.

Quali siano questi interessi va accertato prescindendo dalle ipotesi di soluzioni astrattamente preferibili. Occorre piuttosto verificare le soluzioni del diritto vigente nella realtà del suo operare, cioè del diritto effettivo, come si manifesta principalmente negli orientamenti giurisprudenziali.

Gli interessi tutelati nella vita di relazione risultano essere, innanzitutto, quelli concernenti la persona e la proprietà.

Questi interessi sono giuridicamente qualificati nei diritti fondamentali e nei diritti reali, sicchè la loro tutela si immedesima nella tutela di tali diritti, potendosi parlare indifferentemente di danno ingiusto come lesione dell'interesse o del diritto.

Ora, qualsiasi ingerenza dolosa o colposa in pregiudizio dei diritti reali obbliga l'autore del danno al risarcimento.

L'ordinamento impone dunque a carico di tutti i consociati il rispetto diligente di tali diritti.

La lesione dei diritti fondamentali e della proprietà è ingiusta in quanto integra la violazione del generale dovere del loro diligente rispetto.

Al di fuori di questi diritti è andata poi affermandosi l'esigenza di rispetto della sfera familiare, professionale e giuridica della persona (e le pronunce che qui abbiamo analizzato ne sono esempio concreto).

Altri interessi hanno, quindi, trovato tutela nella vita di relazione attraverso specifiche previsioni normative o attraverso il riconoscimento giurisprudenziale del diritto di risarcimento del danno.

Dal complesso delle indicazioni normative e giurisprudenziali può desumersi il seguente quadro.

Danni ingiusti nel nostro ordinamento giuridico sono le lesioni dolose o colpose di diritti della personalità e diritti reali nonché le lesioni socialmente intollerabili per la gravità del fatto o per la particolare rilevanza dell'interesse leso.

Danni ingiusti sono, ancora, tutte le lesioni di interessi tutelati mediante norme penali o specifici divieti di legge. Gli interessi tutelati in via primaria nella vita di relazione sono gli interessi fondamentali della persona, ossia gli interessi che formano oggetto dei diritti della personalità.

Interessi della persona già riconosciuti nella tradizione civilistica come oggetto di tutela extracontrattuale sono quelli attinenti all'integrità fisica, all'onore, alla libertà sessuale, al nome, all'immagine, alla paternità morale delle opere dell'ingegno.

La clausola generale costituzionale che sanziona la tutela dei diritti fondamentali della persona ha poi consentito il riconoscimento di diritti che non hanno una specifica previsione nel codice o nella stessa Costituzione ma che rispondono a sicure istanze della società (riservatezza, identità personale, ecc.)

La tutela aquiliana dei diritti fondamentali dell'uomo non è sempre pacificamente riconosciuta. A volte, infatti, si è negato o dubitato che la garanzia costituzionale di taluni diritti ne comporti una tutela privatistica nella vita di relazione. In particolare, si è contestato che la parità di trattamento costituisca oggetto di un diritto soggettivo. La tutela civile dei diritti fondamentali pone, peraltro, due principali problemi. Il primo concerne i limiti che i singoli diritti incontrano nel rispetto di altri prevalenti interessi altrui. I limiti sono, a volte, puntualizzati dalla legge, come per il diritto all'immagine. In mancanza, essi vanno desunti da una valutazione obiettiva degli interessi in conflitto alla stregua della coscienza sociale.

Altro problema attiene alla risarcibilità delle lesioni dei diritti fondamentali. Un altro risultato ormai acquisito è il riconoscimento giurisprudenziale della risarcibilità del danno alla salute e all'integrità fisica (c.d. danno biologico) in sé e per sé considerato, a prescindere dalle conseguenze economiche negative.

Analogo risultato s'impone anche con riguardo alla lesione degli altri diritti della personalità.

Alla luce delle pronunce qui analizzate e delle riflessioni appena svolte, non possiamo che rilevare come questo riconoscimento da parte di dottrina e giurisprudenza dell'esistenza del danno ingiusto, venga altresì applicato nella sfera delle relazioni familiari, dove oggetto di tutela sono i diritti fondamentali delle persone che appartengono alla loro vita di relazione e all'ambito dei loro legami familiari. L

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