Autoriciclaggio: una configurazione ancora problematica

Ranieri Razzante
08 Novembre 2021

La Corte di Giustizia dell'Unione Europea veniva investita della domanda di pronuncia pregiudiziale da parte della Corte di Appello di Brasov, in Romania, per un procedimento nel quale si contestava l'attribuzione del delitto di riciclaggio – segnatamente, “autoriciclaggio” – ad un soggetto che si era reso colpevole di frode fiscale...
Massima

Le direttive Ue prevalgono sul diritto nazionale in caso di interpretazioni difformi. In particolare, l'art. 1, par. 2, lett. a), della direttiva 2005/60 va interpretato nel senso che nulla osta a che le normative nazionali prevedano che il reato di riciclaggio di capitali possa essere commesso dal medesimo autore del delitto presupposto.

Il caso

La Corte di Giustizia dell'Unione Europea veniva investita della domanda di pronuncia pregiudiziale da parte della Corte di Appello di Brasov, in Romania, per un procedimento nel quale si contestava l'attribuzione del delitto di riciclaggio – segnatamente, “autoriciclaggio” – ad un soggetto che si era reso colpevole di frode fiscale. In particolare, il Tribunale superiore di Brasov lo aveva condannato a pena detentiva per riciclaggio di capitali, originatisi a seguito di evasione fiscale compiuta attraverso 80 atti materiali commessi tra il 2009 e il 2013.

Nella sentenza del 15 novembre 2018, in primo grado, si pronunciava la condanna di LG a un anno e nove mesi di reclusione per non aver registrato, nella contabilità di una società da lui amministrata, alcune fatture di vendita, per cui – nel diritto rumeno come in quello italiano – ciò concretizzava il delitto di evasione fiscale. Gli importi de quibus venivano trasferiti sul conto corrente bancario di un'altra società, amministrata da MH, per poi essere prelevati da entrambi gli amministratori, mediante un contratto di cessione di un credito fittizio tra le due società.

LG era stato aiutato da MH nel compimento del reato di riciclaggio, ma il Tribunale di prime cure ha prosciolto quest'ultima, perché non la riteneva imputabile, in quanto non provabile che questa (la signora MH) sapesse della provenienza illecita dei capitali da parte di LG.

A questo punto, non solo LG stesso, ma anche la Procura presso il Tribunale superiore di Brazov, nonché l'Amministrazione fiscale rumena (come parte civile), hanno impugnato la suddetta sentenza dinnanzi alla Corte d'appello, in data 13 dicembre 2018.

Le richieste miravano, evidentemente, ad ottenere la condanna altresì di MH, per realizzare quella solidarietà nell'obbligazione sanzionatoria, a maggior garanzia dell'esazione della somma (peraltro, però, già risarcita dal LG dopo la sentenza di primo grado!).

La Corte d'Appello nominata, visto il subentro di questioni non più eminentemente di diritto interno, ma coinvolgenti l'interpretazione delle norme di cui alle direttive Ue in tema di prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio, si rimetteva alla Corte di Giustizia, in via pregiudiziale.

La questione

La Corte operava innanzitutto una ricostruzione puntuale e articolata della normativa, nazionale e internazionale, in subiecta materia.

Ciò perché qui veniva in gioco, giova ripeterlo, la corretta qualificazione del reato, anzi della fattispecie, prevista dalla direttiva Ue 2015/849, la quale confermava quanto detto, sul punto, dalla precedente 2005/60, vigente – quest'ultima – all'epoca dei fatti contestati (anche se non trasposta, nei termini, nel diritto rumeno)

Orbene, nel preambolo della direttiva del 2015, e nell'art. 1 par. 3, lett. a), della medesima, definendosi il riciclaggio come (semplificando) quel delitto derivante da azioni di occultamento della reale provenienza (illecita) del denaro impiegato negli atti dissimulati (questo caso ne vede di fiscalmente rilevanti), atti posti in essere “essendo a conoscenza che tali beni provengono da un'attività criminosa”, ciò faceva concludere al Giudice del rinvio che l'autore del reato di riciclaggio non può essere lo stesso di quello del reato principale.

Peraltro, si aggiungeva a quanto appena esposto che ritenere che l'autore del reato principale possa anche essere quello del delitto a valle (il riciclaggio, per l'appunto) violerebbe il principio del ne bis in idem.

Alla Corte Ue, la Corte d'Appello chiariva inoltre, con missiva del 16 gennaio 2020, che nonostante che LG avesse ritirato il suo appello, restavano in piedi quelli degli altri due istanti (v. supra), e che quindi era fondata la richiesta della pronuncia pregiudiziale de qua.

Le soluzioni giuridiche

La pronuncia interviene a chiarimento, quantomai opportuno, su un tema mai troppo definito da quando la norma sull'autoriciclaggio è stata introdotta negli ordinamenti europei.

La Corte Ue innanzitutto ha dovuto assumersi la responsabilità della pronuncia, in quanto il governo rumeno ne aveva contestata l'utilità, posto che il ritiro dell'appello da parte di LG avrebbe vanificato il suo intervento.

Ma le questioni vertevano principalmente su direttive Ue, quindi sul diritto dell'Unione, e qui – si rammenta da parte dei togati europei - la competenza si attribuisce sulla base di una “presunzione di rilevanza” (art. 267 TFUE).

Di talchè, si definisce innanzitutto che LG era stato condannato per il reato di riciclaggio di cui all'art. 29 par. 1, lett. a), della legge n. 656/2002 e ss.aa. rumena, che trasponeva le disposizioni della direttiva 2005/60, in vigore all'epoca dei fatti.

La questione dirimente, poi, è quella della ammissibilità della previsione, in uno Stato Ue, del reato di riciclaggio commesso dallo stesso autore del delitto presupposto (il c.d. autoriciclaggio), così come dal ripetuto disposto della direttiva 2005/60.

Orbene, la Corte qui non lo esclude, in tutti i casi in cui l'autore del riciclaggio conosca la provenienza delittuosa del denaro o beni che impiega per la commissione del primo reato.

Ogni Stato – come peraltro è poi, ad oggi, avvenuto in molti della Ue ed extra-Ue – è libero di prevedere siffatta figura criminosa (come noto, in Italia dal 1 gennaio 2015, con l'art. 648-ter.1 del codice penale). E ciò è ribadito dalla più recente direttiva 2018/1673 sul contrasto del riciclaggio mediante il diritto penale (in Italia, mentre si scrive, in corso di recepimento).

Non si porrebbe inoltre, secondo questa (illuminante) sentenza della Corte Europea, il problema del ne bis in idem, poiché quest'ultimo riguarda l'identità degli stessi fatti materiali costituenti reato (art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea); nel caso sottoposto ai Giudici, trattasi di due reati diversi, per l'appunto il riciclaggio e l'evasione fiscale.

In conclusione

Si conclude quindi, correttamente, che l'art. 1 par. 2, lett. a), della direttiva Ue 2005/60 deve essere interpretato in senso affatto ostativo, per una normativa nazionale, di previsione dell'autoriciclaggio.

Un chiarimento che, in verità, era già stato nei fatti recepito tra le righe delle decisioni ad oggi riscontrabili bella nostra giurisprudenza di merito e di legittimità.

Guida all'approfondimento

R. Razzante, Manuale di legislazione e prassi dell'antiriciclaggio, Torino, 2020

R. Razzante, L'autoriciclaggio e i rapporti con i reati presupposto, in Riv. 231, n. 4/2014, pagg. 19-26.

R. Razzante, Il riciclaggio nella giurisprudenza, Giuffré, Milano, 2011.

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